4. Il rapporto tra teoria e pratica 1 Teoria, metodo, modello
4.6 Il rapporto teoria-pratica: la conoscenza tacita e il ruolo dell’intuizione
L’analisi condotta finora consente di evidenziare una serie di elementi che mettono in discussione una formulazione deterministica del rapporto teoria-prassi. Non solo appare difficile esplicitare le modalità con cui le teorie vengono applicate nei contesti operativi, non solo emergono una pluralità di saperi (e una pluralità di fonti del sapere), non necessariamente codificati, la cui ricomposizione in una teorizzazione della prassi sembra più un auspicio che una realtà, ma si riconosce anche che l’oggettivazione di questi saperi, in termini sia di consapevolezza del loro uso da parte degli operatori, sia di una loro condivisione nell’ambito della comunità professionale, costituisce un obiettivo ben lontano dall’essere acquisito. La pratica, nella sua unicità e imprevedibilità, interroga la competenza degli operatori, suggerisce processi che, secondo Schon, hanno a che fare più con l’intuito che non con il sapere certificato, mette in luce l’esistenza di una conoscenza inespressa di gran lunga superiore a ciò che riesce a essere oggettivato e tradotto in sapere certificato. “Noi possiamo conoscere più di quello che possiamo esprimere” (Polanyi)766: la parte di “conoscenza esplicitata e razionalizzata” affonderebbe le proprie radici, secondo Marradi, in una ben più ampia “conoscenza tacita, che di solito non c’è alcun bisogno di esplicitare, e che comunque si riesce a esplicitare solo parzialmente e con grande sforzo”.767
La struttura fondamentale della conoscenza inespressa è, per Polanyi, una relazione logica tra due cose (costituenti i due estremi della conoscenza inespressa), conosciute entrambi: solo per una di esse, però, il soggetto è in grado di fornire una descrizione. 768 Tra i due estremi, di cui uno, che rappresenta i particolari dell’entità, è più prossimo al soggetto e l’altro se ne allontana sempre più, la conoscenza inespressa “istituisce una relazione significante” 769, di tipo funzionale: “conosciamo il primo
766 M. Polanyi, cit., pag. 20.
767 A Marradi, in A. Marradi, M. Fobert Veutro, Sai dire cos’è una sedia? Una ricerca sulle capacità di
esplicitare le nostre conoscenze, Bonanno, Acireale-Roma, 2001.
768 M. Polanyi, cit., pagg. 23 e seg.
elemento solo in quanto contiamo sui suoi elementi perché ci aspettiamo il secondo”.770 In un atto di conoscenza inespressa l’attenzione si volge dall’elemento più prossimo a quello distale771: è possibile, quindi, cogliere l’entità grazie alla consapevolezza dei particolari che permettono di “volgere l’attenzione al significato combinato”.772 La conoscenza inespressa risiede, quindi, per l’autore, nella “consapevolezza di particolari riferiti ad un’entità costituita dalla loro connessione”.773
Il passaggio ‘da – a’, per Polanyi, realizza l’integrazione dei particolari dell’estremo più prossimo nell’entità coerente dell’altro estremo: un’integrazione che viene intesa come interiorizzazione/immedesimazione, aspetto questo che permette non solo di osservare le cose, ma di divenirne consapevoli.774 L’integrazione, sottolineata da Polanyi, quindi, suggerisce che la comprensione non dipende dall’osservazione delle cose, ma da processi di immedesimazione. Rinvenendo in tali processi la possibilità di comprensione, Polanyi respinge le operazioni di specificazione dei particolari e di successiva ricostruzione, operazioni che potrebbero alterare irrimediabilmente i significati dell’entità comprensiva.775
La relazione che lega i due estremi, l’uno prossimo, riguardante i particolari, l’altro distale, che costituisce il significato comprensivo, andrebbero intesi come due livelli di realtà, collegati da una relazione logica, in quanto estremi di un atto di conoscenza inespressa che li comprende entrambi. Il livello superiore si fonda su leggi che governano gli elementi di livello inferiore, mentre le leggi che governano i particolari non riescono a dar conto dei principi organizzativi dell’entità comprensiva. Ne deriva in primo luogo che in un atto di conoscenza inespressa vi è corrispondenza tra la struttura della comprensione e la struttura dell’entità comprensiva; in secondo luogo che quest’ultima si manifesta come emergenza di processi che non si verificano ai livelli inferiori.776 Inoltre la serie di operazioni, caratterizzate da complessità sempre maggiore, che portano all’emergenza, presentano una possibilità crescente di errore.777
Il processo di integrazione – immedesimazione proprio di un atto di conoscenza inespressa ha luogo, per l’autore, anche quando si applica una teoria. L’applicazione di una teoria, infatti, per Polanyi, significa volgersi “dalla teoria alle cose” che, a questo
770 Idem, pag. 26.
771 M. Polanyi, cit., pag. 25 e seg.
772 Idem, pag. 29.
773 Idem, pag. 77.
774 Idem, pagg. 33 e seg.
775 Idem, pagg. 34 e seg.
776 Idem, pagg. 50 e seg. Polanyi propone, in questo modo, una stratificazione della realtà.
punto, vengono viste nella prospettiva della teoria. Ne consegue, per l’autore, che la consapevolezza (o conoscenza autentica) di una teoria è possibile solo quando se ne fa questo uso e tale uso presuppone un processo di integrazione-immedesimazione.778 In questa prospettiva la stessa conoscenza scientifica non sarebbe riducibile al sapere ‘certificato’, ma si avvarrebbe di una componente importante di conoscenza inespressa. Secondo Polanyi, infatti, gli scienziati coglierebbero solo parti della realtà: queste parti costituirebbero “dei fili che guidano a esperienze illimitate, non ancora esplorate”.779 La scoperta scientifica dipenderebbe proprio dalla possibilità di scorgere un problema, di vedere qualcosa che è nascosto, “avere un barlume di connessione tra particolari non ancora compresi”.780 Questa capacità di “anticipazione”, per Polanyi, è un atto isolato, personale, frutto di intuizione, carica delle capacità di immaginazione dello scienziato stesso: “i frammenti intuiti appaiono come elementi di una totalità coerente ancora sconosciuta”, un qualcosa che gli altri non vedono.781 È a partire da questi frammenti che lo scienziato procede nella ricerca, volgendosi agli elementi sussidiari del problema e proseguendo fino a pervenire alla scoperta. Se l’intuizione è autentica, allora il problema sarà valido.782
L’influenza del pensiero di Polanyi e, più in generale, delle riflessioni sulla conoscenza tacita nell’ambito del servizio sociale e, specificatamente, nell’ambito del rapporto teoria – prassi appaiono più evidenti tra coloro che propendono per una dimensione artistica del servizio sociale, anche se, come si evince dall’analisi di Fargion783, gli stessi sostenitori della dimensione scientifica non negano il ruolo della conoscenza tacita e dell’intuizione nei processi conoscitivi. All’intuizione, in particolare, viene collegata la capacità/possibilità di scorgere un problema, di vedere qualcosa che è nascosto784: “a volte può anche esservi solo un’intuizione dell’assistente
778 Idem, pag. 33.
779 Idem, pag. 84.
780 Idem, pag. 38.
781 Idem, pagg. 91 e seg. La scelta e la responsabilità dello scienziato giacerebbe proprio nel cercare di scoprire la verità nascosta di cui ha intravisto dei particolari.
782 La risposta di Polanyi al paradosso del Menone di Platone (se un problema è noto, non è più un problema, se è ignoto, non lo si conosce) sarebbe rappresentata da quella vaga intuizione che ci sia qualcosa di nascosto, da scoprire. In questo modo la conoscenza non troverebbe il suo”fondamento nel passare dall’ideale al reale, ma dall’inespresso all’espresso, lungo una sequenza mediata dall’opinione o doxa”. F. Voltaggio in M. Polanyi, cit., pag. 11.
783 S. Fargion, I linguaggi…, cit.
784 Essendo la teoria l’elemento prossimo dal quale ci si volge per comprendere l’entità, il riferimento teorico diventa un elemento discriminante. Similmente a Dewey, cui l’autore si richiama, Polanyi ritiene che la possibilità di cogliere le cose dipende dal modo con cui le si osserva. Nella pubblicistica di servizio sociale questo tema viene ripreso da Folgheraiter con riferimento alle categorie mentali dell’esperto. Secondo l’autore, più l’esperto cerca di appropriarsi della realtà “compenetrandola con le sue categorie, meno… mantiene il contatto intuitivo con essa”. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia…, cit., pag. 376.
sociale che… deduce che possano esservi ulteriori problemi…” (Neve), “nella testa dell’esperto dovrebbe scattare una qualche illuminazione, dopodiché egli può finalmente vedere una verità addirittura banale…” (Folgheraiter).785 In questo senso l’intuizione assumerebbe un significato diverso dall’improvvisazione, criticata nell’ambito del servizio sociale per carenza di scientificità, per avvicinarsi di più a quella capacità di anticipazione propria della ‘scoperta’. Ciò non significa, tuttavia, attribuire all’intuizione garanzia di verità: come sottolinea lo stesso Polanyi l’intuizione può permettere di scoprire un problema, ma anche indurre in errore. E la possibilità di errore aumenta con il crescere della complessità. Più che certezze, l’intuizione sembra introdurre un elemento di variabilità nel rapporto teoria – prassi: un elemento che si correla tanto alla possibilità di comprensione, attraverso la formulazione di “ipotesi esplicative”786 che congiungono, come osservato da Morin, elementi anche distanti tra loro), quanto alla possibilità di errore. E, tuttavia, lo stesso errore, significativamente correlato nella pubblicistica di servizio sociale alla riflessività e alla conoscenza tacita, non viene assunto unicamente nella sua accezione negativa, ma viene considerato per le sue potenzialità innovative e di apprendimento.787
L’insieme degli elementi proposti finora sembrano orientare verso un rapporto teoria – pratica maggiormente articolato, nell’ambito del quale interverrebbero diversi tipi di conoscenza e si ammetterebbe la possibilità di connettere, attraverso la formulazione di ‘ipotesi esplicative’, concetti anche molto distanti tra loro.788 La conoscenza inespressa, inoltre, sembrerebbe render conto della circolarità del processo conoscitivo: infatti, poiché gli elementi da cui ci si volge per cogliere l’entità comprensiva, risultano modificati dall’atto di conoscenza inespressa, lo stesso sapere dovrebbe risultarne arricchito. Si delinea, in questo modo, uno scenario più articolato in
Una riflessione per certi aspetti analoga viene proposta da Taylor e White: secondo le autrici “dalla teoria scaturisce la ‘cornice’ del nostro quadro osservativo”, essa consente di vedere e, al tempo stesso, delimita, circoscrive ciò che si osserva. Ne deriva, per Taylor e White, la necessità di una consapevolezza dei riferimenti teorici e degli eventuali “effetti indesiderati” derivanti dalla loro assunzione. C. Taylor, S. White, La pratica riflessiva nelle professioni di aiuto, in F. Folgheraiter (a cura di), Servizio sociale
postmoderno…, cit., pag. 186.
785 E. Neve, cit., pag. 71. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia…, cit., pag. 374. Entrambi gli autori richiamano anche la possibile fallacia di questa ‘intuizione’ e l’eventualità che la stessa produca un’attribuzione o un’induzione del bisogno.
786 L’espressione, che Morin utilizza con riferimento all’abduzione di Peirce, viene usata da Dal Pra con riferimento alla conoscenza tacita. M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, cit., pag. 54.
787 A. Sicora, Errore e apprendimento…, cit.
788 Riprendendo il pensiero di Peirce, Eco sottolinea come il ragionamento ipotetico consista sostanzialmente nel “trovare qualcosa che, se è vero, o se è sostenibile, rende ragione di un altro qualcosa”. Tale sarebbe, secondo l’autore, il senso da attribuire al concetto di abduzione di Peirce, U. Eco, Sugli specchi e altri saggi. Il segno, la rappresentazione, l’illusione, l’immagine, Bompiani, Milano, 1985, pagg. 321-2.
cui gli interrogativi sulle modalità con cui le teorie vengono applicate nella pratica si rivolgono direttamente alla dimensione operativa per cogliere ciò che gli operatori esplicitano a partire da atti di conoscenza inespressa.789