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L’ ESEGESI FILOLOGICA PER UNA RIFORMA DELLA TEOLOGIA Se dunque, come si è accennato più sopra, la philo-

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 39-43)

sophia Christi, che costituisce la quintessenza della fede e della vita cristiana, va cercata nel Vangelo, perché è nella sacra pagina che si trova la storia di Cristo, allora – arguisce Erasmo – è indispensabile e vitale, per il cristiano e per la Chiesa, non soltanto acquisire familiarità con il testo bibli-

23Queste tematiche sono oggetto dell’Elogio, anche qui in un lin-

guaggio ironico, scherzoso e paradossale, e della Educazione del principe

cristiano (cfr. ASD, IV/1, 95-219).

24È vero anche, come osserva Vercruysse (cfr. L’umanesimo, 367), che

è lo stesso spirito cristocentrico a spingere Erasmo verso un deciso pacifi- smo. Nel Lamento della Pace egli afferma: « Chiunque annuncia Cristo, annuncia la pace; chiunque predica la guerra, predica colui che in estremo è differente da Cristo » (ASD, IV/2, 70; tr. it. Il lamento della Pace, Torino 1967, 44).

co, ma saperlo leggere e interpretare correttamente, utiliz- zando tutte le acquisizioni della filologia umanistica e la stessa cultura delle bonae litterae; in altri termini occorre superare quella teologia scolastica dominante che dalla Scrittura invece si è allontanata o ne ha manipolato il sen- so e che è divenuta incomprensibile e arzigogolata. In so- stanza, per poter progredire in questo cammino di avvici- namento alla philosophia Christi è necessario accostarsi al testo biblico con competenza esegetica e linguistica25e ri-

posizionare la teologia nell’alveo della Scrittura, dei Padri e delle sorgenti del cristianesimo, secondo l’invito umani- stico: tornare alle fonti.

Ora, tutto questo è possibile, oltre che doveroso, per- ché nella prospettiva erasmiana la cultura classica (bonae litterae) e la Bibbia-teologia (sacrae litterae) non sono af- fatto in contrasto o estranee, ma viceversa si richiamano reciprocamente in una collaborazione armoniosa e pre- ziosa in vista della riforma della vita cristiana e della Chiesa. La ragione di fondo di tale affinità tra bonae litte- rae e sacrae litterae è che Dio ha messo nei classici antichi una disposizione sul piano morale e intellettuale alla pie- na rivelazione di Cristo. Perciò l’ideale di Erasmo come esegeta26, che è poi lo scopo della docta pietas a cui ogni

cristiano è chiamato, altro non è se non quello di « assor- bire contemporaneamente Cristo e le belle lettere »27, di

mettere d’accordo il “testo” (le bonae litterae, cioè l’ele- ganza latina, la filologia, la retorica, la grammatica, tutte opposte alla barbarie scolastica) con la teologia e di ri- portare così ultimamente il mondo al cristianesimo vero, espresso nella Scrittura, e alla pietà autentica28.

25Cfr. Metodo della vera teologia e Il manuale. 26Cfr. Paraclesi e Metodo della vera teologia.

27L’educazione del principe cristiano (ASD, IV/1, 188,); ma si veda an-

che Lettera a Volz (Allen, III, 362; Enchiridion ed. de Nardo, 1).

Proprio perché convinto, come del resto tutto l’uma- nesimo biblico, che l’antichità classica è una preparazione intellettuale e morale della dottrina cristiana29, Erasmo de-

sidera non soltanto ricollocare Cristo al centro degli studi umanistici, ma altresì mettere a disposizione della scienza biblica e della teologia il metodo filologico sviluppato nel- l’umanesimo, proponendo una conciliazione tra le bonae litterae e le sacrae litterae e il superamento dell’abisso che era venuto a crearsi tra umanesimo e teologia, tra cultura e cristianesimo. Perciò rinnovare la teologia significa per lui rivitalizzare contemporaneamente l’antico, ritornare alle fonti bibliche e patristiche, dove è possibile bere immedia- tamente alla sorgente del cristianesimo30. E per fare que-

sto, occorre che i teologi conoscano le tre lingue bibliche (l’ebraico, il greco e il latino), la grammatica, la retorica e il modo di parlare. Ciò non vuol dire, però, che per la lettu- ra “cristiana” della sacra pagina sia sufficiente la sola ese- gesi filologicamente e letterariamente avvertita; occorre ac- compagnarla con l’interpretazione spirituale o per meglio dire allegorica31. In altri termini lo studio delle lingue deve

orientarsi alla comprensione (allegoria) del mistero, in quanto l’allegoria appartiene alla storia e alla dottrina di Cristo. Si capisce allora come la critica di Erasmo, a volte aspra e ironica, non sia rivolta al metodo dell’interpreta- zione spirituale per rifiutarlo, ma all’interpretazione spiri- tuale arbitraria e stravagante di molti teologi del tempo.

29Cfr. Paraclesi (LB, V, 141F).

30Come osserva a ragione Augustijn (cfr. Erasmo, 143-144), il meto-

do filologico nella sua applicazione per Erasmo va ben oltre il concetto di una scienza sussidiaria puramente tecnica: il ritorno alle fonti, parola d’or- dine degli umanisti, diventa anche ritorno alla viva acqua di sorgente, alla pura parola celeste, e un ritorno all’antica teologia. L’ideale per Erasmo è lo stesso di quello dei Padri: la cultura predichi la gloria di Cristo. « Qui è l’origine degli studi della Patristica che riempirono una gran parte della vi- ta di Erasmo ».

31Un’ampia difesa dell’interpretazione spirituale e allegorica si trova

Del resto la distinzione tra il senso spirituale e quello lette- rale corrisponde al profondo contrasto tra spirito e carne che nella visione erasmiana domina l’uomo e il mondo; una distinzione ermeneutica di “carne” e “spirito” che, leggendo le sue opere, appare concretamente come la gui- da di fondo di tutta la sua esegesi32.

All’introduzione del metodo esegetico-filologico-let- terario nell’interpretazione della Bibbia Erasmo collega anche il rinnovamento profondo della teologia e in ulti- ma analisi della stessa vita cristiana33. Egli è convinto che

la teologia costituisca un’unità, ma che tale unità si sia in- franta nel tempo, con il risultato, disastroso per il cristia- nesimo, che esegesi biblica, teologia sistematica e lettera- tura devozionale hanno finito per non integrarsi e che il metodo teologico ha subito un imbarbarimento progres- sivo. Lo prova il fatto, a suo giudizio, che mentre la teo- logia patristica rimaneva profondamente agganciata alla Scrittura, la scolastica, viceversa, pone questioni comple- tamente estranee alla parola di Dio, oltre che assurde34.

Spesso Erasmo rileva con amarezza35come i teologi si-

stematici e gli scolastici si occupino di questioni sofistica- te, ma oziose e inutili per l’esistenza e la pietà, e come fac- ciano un uso gravemente scorretto della lingua. Perciò, oltre a raccomandare la conoscenza delle lingue originali dei testi biblici, denuncia l’insufficienza della dialettica in teologia e biasima con severità l’eccesso e l’inutilità delle quaestiones, cui lo studio della teologia gli sembra aver ceduto. Egli critica inoltre la letteratura devozionale

32Cfr. Augustijn, Erasmo, 135.

33Erasmo descrive il suo concetto di teologia nel Metodo della vera

teologia del 1519, un’opera scritta dopo che egli ha partecipato alla crea-

zione del Collegio trilingue di Lovanio (fondato nel 1517, iniziò i corsi nel 1518).

34Erasmo non disprezza Pietro Lombardo, Tommaso d’Aquino, ma

un certo scolasticismo deteriore.

e le prediche del suo tempo, perché proprio sotto il pro- filo metodologico e dei contenuti lasciano molto a desi- derare36. In buona sostanza « il vero teologo », scrive Era-

smo nella Paraclesi, « è colui che insegna il disprezzo per i beni materiali non con astrusi sillogismi, ma con il cuo- re, con il volto, con lo sguardo, con la sua stessa vita »37,

così come la teologia autentica è quella della docta pietas, che non si ferma alla filologia o all’estetica, ancorché ne- cessarie, ma passa alla contemplazione, e in definitiva quella che è a un tempo letteraria e filologica da un lato e teologale e profetica dall’altro38.

4. L’ORIGINALITÀ DEL CONTRIBUTO ERASMIANO:

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 39-43)