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Ma vi sono taluni, soprattutto vecchi, più ubriaco-

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 169-172)

ELOGIO DELLA FOLLIA

18. Ma vi sono taluni, soprattutto vecchi, più ubriaco-

ni che donnaioli, che individuano il sommo piacere nelle bevute in compagnia. Stabiliscano altri se possa essere lau- to un banchetto in cui manchino le donne. Non c’è dub- bio, però, sul fatto che senza un pizzico di follia nessun banchetto può essere piacevole. Al punto che, se manca chi con una follia autentica o simulata provochi la risata, fanno chiamare qualche buffone – anche a costo di pagar- lo –, o si servono di un simpatico parassita che sia in grado di allontanare dal simposio il silenzio e la tristezza con bat- tute simpatiche, cioè folli. A che fine riempirsi la pancia di

tanti dolciumi, tante leccornie, tante ghiottonerie, se poi anche gli occhi, le orecchie e l’anima tutta non si alimen- tassero di risa, scherzi e arguzie? Pietanze di questo gene- re so cucinarle io sola. Per quanto anche i solenni gesti conviviali, come sorteggiare il re, giocare ai dadi, invitare al brindisi, gareggiare girando intorno a un tavolo, cantare passandosi il mirto, ballare e far pantomime, non sono sta- ti inventati dai Sette Sapienti della Grecia ma da me, per l’edificazione dell’intero genere umano. La natura di que- sti atti, poi, è di giovare, in proporzione alla follia che li ca- ratterizza, alla vita degli uomini; vita che, se fosse triste, non sarebbe giusto chiamare vita. Ma è inevitabile che fi- nisca nella tristezza, se non la si affranca con divertimenti di questo genere dal tedio ad essa connaturato.

19. (a) Ma forse vi sarà chi non apprezza questo tipo

di piaceri e si accontenta dell’affetto e della frequentazio- ne degli amici, sostenendo che l’amicizia sia da antepor- re a tutto, in quanto costituisce un qualcosa di necessario al pari dell’aria, del fuoco e dell’acqua. E inoltre è tanto piacevole che eliminarla significa eliminare il sole; e tan- to nobile – ammesso che questo abbia a che fare con il nostro discorso – che nemmeno i filosofi hanno paura di annoverarla fra i beni più grandi64. Ma se dimostrassi che

anche di un simile bene sono io la prua e la poppa? Non lo dimostrerò col sofisma del coccodrillo, con soriti, di- lemmi cornuti o altre arguzie logiche di questo tipo65, ma

lo farò alla buona e facendovi toccare con mano la cosa. (b) Ditemi, non è forse imparentato con la follia il chiu- dere gli occhi, ingannarsi, essere ciechi, illudersi sul conto

64Erasmo attinge quasi alla lettera questo elogio dell’amicizia da Ci-

cerone: cfr. Sull’amicizia IV,17; XIII,47 e Sui limiti del bene e del male I,20,65).

65Sono forme argomentative di tradizione antica (in particolare stoi-

ca) che Erasmo cita in modo canzonatorio e che già Quintiliano, La for-

dei difetti degli amici, amarne e ammirarne manchevolezze anche evidenti? Cos’altro è se non follia pura il fatto che uno baci il neo di un’amica, a un altro piaccia il polipo [sul naso] di Agna, che il padre apostrofi il figlio strabico con l’appellativo “ammiccante”? Proclamino pure ripetuta- mente che si tratta di follia: [e tuttavia] solo la follia « pro- muove e cementa i legami fra amici ». [Inoltre] – parlo dei mortali – « nessuno di loro nasce privo di difetti e il miglio- re è chi ne abbia di meno »66. Fra quei divini sapientoni vi-

ceversa l’amicizia o non nasce per niente oppure quella che sorge è di una malinconia poco piacevole; e comunque non nasce che con pochissime persone (ho scrupolo, infatti, a di- re “con nessuno”), per il fatto che la maggior parte degli uo- mini non è sana di mente, anzi, non c’è nessuno che, in un modo o nell’altro, non deliri, e uno stretto legame non si crea se non fra simili. Giacché, se fra codesti seriosi perso- naggi nascesse un reciproco affetto, esso non sarebbe per niente stabile e in alcun modo duraturo, soprattutto fra per- sone petulanti e dalla vista più acuta del necessario, capaci di guardare nei vizi degli amici con acume pari a quello di un’aquila o del serpente di Epidauro67; mentre rispetto ai

propri vizi hanno invece gli occhi velati, al punto che non vedono la bisaccia che pende dalle loro spalle! Poiché, dun- que, la Natura degli uomini è tale che non si dà nessuna per- sona esente da grandi difetti, e poiché a questo si devono ag- giungere la grande varietà di personalità e di interessi, i tanti fallimenti, i tanti errori e i tanti casi della vita umana, in che modo potrà durare più di un’ora la piacevolezza dell’amici- zia fra questi Arghi, se non interverrà quella che i Greci chiamano col felice nome di euetheia, che puoi tradurre o con follia o con indole conciliante? Del resto, non è forse

66Gli esempi e le citazioni sono ricavati da Orazio, Satire I,3,38-40;

44-45; 54; 68-69.

67Città dell’Argolide, ove nel VI sec. a.C. fu introdotto il culto di

vero che Cupido, il famoso artefice e padre di ogni legame, è del tutto cieco? E come a lui il brutto pare bello, così ha fatto in modo che fra di voi a ognuno sembri bello ciò che gli è toccato in sorte, che il vecchietto impazzisca per la vec- chietta e che il ragazzino si consumi d’amore per la ragazzi- na. Tutto ciò accade di continuo e se ne ride, e tuttavia sono proprio questi fatti risibili a stringere e rinsaldare i rapporti sociali che risultano gradevoli.

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 169-172)