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Il motivo, inoltre, che mi ha spinto a presentarmi in

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 148-152)

ELOGIO DELLA FOLLIA

2. Il motivo, inoltre, che mi ha spinto a presentarmi in

questa insolita veste [di buffone], lo saprete presto, pur- ché non vi sia di peso porgere ascolto alle mie parole, non certo come quando ascoltate i predicatori4, ma come ave-

te l’abitudine di fare con i ciarlatani in piazza, con i buffoni e i giullari, e come un tempo fece il nostro caro Mida nel prestare ascolto a Pan5. Infatti, mi è venuta vo-

glia di vestire un po’ con voi i panni del sofista: non come

3L’antro di Trofonio era presso Lebadia in Beozia. Nei Dialoghi dei

morti Luciano dice che quanti entravano in questa spelonca per consulta-

re i suoi oracoli ne uscivano colpiti da una invincibile tristezza.

4La frecciata ironica di Erasmo viene giustificata da Listrius sulla ba-

se di una esperienza a suo giudizio incontestabile: « Più avanti [nella de- clamazione] [l’autore] critica la massa di quelle persone, che nelle chiese

ascoltano sonnacchiosi o addormentati i predicatori, molti addirittura non ascoltano nemmeno, mentre prestano ascolto in modo straordinario ai ciar- latani e ai buffoni. La verità di questo fatto potrà testimoniarla chi conosce l’Italia, specialmente Roma e Venezia » (LB, IV, 406). Il richiamo all’Italia

(Roma e Venezia) potrebbe essere un indizio della paternità erasmiana al- meno di parte del commento di Listrius: infatti, quando scrive l’Elogio, Erasmo proviene dall’Italia, dove è rimasto dal 1505 al 1509.

5Secondo la mitologia greca il re Mida, chiamato a fare da arbitro in

una gara di canto tra Apollo (suonatore di lira) e Pan (suonatore di flau- to), diede la preferenza a quest’ultimo, attirandosi le ire del primo che per castigo gli allungò le orecchie. Pan era un dio silvestre, raffigurato con i piedi di capro, la coda e il naso camuso. Con le sue apparizioni improvvi- se spaventava i passanti.

quei sofisti che al giorno d’oggi inculcano nella testa dei ragazzi certe inquietanti raffinatezze e che insegnano loro a usare una caparbietà nelle risse retoriche peggio di don- ne pettegole. Imiterò invece quegli antichi che, per evita- re l’appellativo infamante di saggi, preferirono essere chiamati sofisti6. Loro occupazione era celebrare con en-

comi le gesta di dèi ed eroi. Ascolterete dunque un elo- gio, non di Ercole o di Solone7, ma il mio elogio: l’elogio

della Follia.

3. (a) Per certo, non tengo in nessun conto quei sa-

pientoni che vanno blaterando che il lodare se stessi sia il massimo della dissennatezza e della tracotanza. Ammes- so pure che sia folle, devono almeno riconoscere che mi si addice. Cosa c’è, infatti, di più coerente del fatto che la Follia in persona componga il proprio panegirico e canti le proprie lodi? Chi, infatti, potrebbe descrivermi meglio di me stessa? A meno che non vi sia qualcuno che mi co- nosca meglio di quanto mi conosca io stessa! Del resto giudico questo [mio] atteggiamento molto più modesto di quello che di solito assume la massa dei potenti e dei sapienti che, con un senso distorto del pudore, sono soli-

6Alle risse verbali dei moderni sofisti Erasmo oppone le esercitazio-

ni retoriche (encomi, elogi, difese, ecc.) dei sofisti antichi. Chiarisce bene la scelta polemica di Erasmo D’Ascia (cfr. D’Ascia, 61 nota 35) quando so- stiene: « La Follia dichiara qui l’appartenenza del proprio discorso a un genere, l’oratoria “epidittica”, che era stato inaugurato dai sofisti greci del V sec. a.C. Erasmo può così contrapporre una sofistica positiva, che fa uso consapevolmente dello stimolo intellettuale del paradosso, e una sofistica negativa, che unisce il vuoto formalismo alla pretesa di scientificità, domi- nante nelle scuole. La denuncia del carattere sofistico della logica formale tardo-scolastica (soprattutto per le sue ripercussioni sull’insegnamento elementare della grammatica) è motivo polemico ricorrente in campo umanistico. Per Erasmo cfr. in particolare Sulla necessità di educare i bam-

bini subito e in modo liberale, ASD, I/2, p. 77; Sul metodo dello studio,

ASD I/2, p. 118 ».

7Solone, poeta elegiaco e uomo politico ateniese del II sec. a.C., era

ti corrompere un retore adulatore8o un poeta verboso e

pagarlo apposta per sentirlo cantare le loro lodi, cioè nient’altro che menzogne. E tuttavia quel campione di modestia drizza le penne come un pavone e solleva la cre- sta, mentre lo sfacciato adulatore equipara agli dèi un uo- mo di nessun valore, lo propone come modello assoluto di virtù – pur sapendolo lontano mille miglia da quel mo- dello –, veste la cornacchia con penne altrui, fa diventare bianco l’Etiope9 e, infine, di una mosca fa un elefante.

Insomma, seguo quel notissimo proverbio popolare se- condo il quale fa bene a lodare se stesso chi non ha nes- sun altro che lo lodi.

(b) Mi meraviglio comunque dell’ingratitudine dei mortali o, per così dire, della loro indolenza: nonostante tutti mi venerino con fervore e sentano compiaciuti gli ef- fetti della mia azione benefica: non c’è stato mai nessuno, in tanti secoli, che abbia cantato le lodi della Follia con parole di gratitudine, mentre non è mancato chi, con elo- gi preziosamente limati e con gran spreco di olio e sonno, abbia intessuto le lodi di Busiride, di Falaride10, della

febbre quartana, delle mosche, della calvizie e di altre ca-

8A sostegno dell’attacco canzonatorio di Erasmo nei confronti della

tendenza auto-incensatoria dei potenti stolti Listrius chiosa: « Se qualcuno

ascolta questi solenni discorsi che si tengono pubblicamente davanti ai pon- tefici romani, ai re, ai principi, è sorprendente [vedere] con quale aria co- storo hanno il coraggio di essere adulati e quelli di ascoltare lodi tanto stupi- de. Non c’è dubbio che queste cose danno fastidio ai principi assennati »

(LB, IV, 406-407).

9Listrius ribadisce il carattere menzognero del discorso adulatorio ed

evidenzia viceversa indirettamente la sincerità dell’Elogio, annotando a proposito del proverbio “Imbianca l’Etiope”: « Si tratta di un proverbio su

una cosa impossibile. In verità [l’autore] qui lo ha piegato elegantemente nel senso che colui che è nero nei fatti, cioè nei misfatti, viene lodato come per- sona pura, ed è dipinto diversamente da quello che in realtà è » (LB, IV, 407).

10Tiranno di Agrigento, vissuto nel VI secolo a.C., e noto per la sua

crudeltà: fece costruire un bue di bronzo che, infuocato, doveva servire a torturare i condannati. Costoro venivano messi dentro e morivano tra atroci sofferenze; i loro lamenti rassomigliavano a muggiti.

lamità di questo genere. Da me sentirete invece un di- scorso estemporaneo e poco rifinito, ma tanto più vero.

4. (a) Non vorrei, però, che lo giudicaste scritto con il

proposito di far mostra di genialità, come fa, in genere, la massa degli oratori. Costoro, come sapete, quando pro- nunciano un discorso elaborato durante trent’anni e che risulta magari scritto da qualcun altro, spergiurano di averlo scritto quasi per gioco in tre giorni o di averlo ad- dirittura dettato. A me, invece, è sempre piaciuto moltis- simo dire tutto ciò che mi salta in mente.

(b) Nessuno, perciò, si aspetti da me che, come fanno questi retori da strapazzo, descriva me stessa con una de- finizione o, men che meno, che mi analizzi ricorrendo a suddivisioni. Entrambe le cose, infatti, portano male, sia circoscrivere con una definizione colei il cui influsso divi- no ha un simile raggio di azione, sia operare distinzioni al- l’interno di colei nel cui culto converge in modo unico ogni genere di cose. Del resto, a che pro rappresentarmi con una definizione, che sarebbe come un’ombra e un’im- magine del mio essere, dal momento che mi potete vede- re con i vostri occhi in carne e ossa, davanti a voi?

5. (a) Sono infatti, come vedete, quell’autentica di-

spensatrice di beni, che i Latini chiamano Stulticia, i Gre- ci Moría.

(b) Ma che bisogno c’era di dirlo, quasi che il volto e la fronte, come si suol dire, non bastassero a rendere manife- sto chi io sia, o come se chi pretendesse che io sia Minerva o Sapienza, non potesse essere subito smentito da un sem- plice sguardo, specchio assolutamente fedele dell’animo, anche senza bisogno di aggiungere una parola? In me non c’è posto per il trucco, né è mia abitudine simulare in vol- to una cosa e custodirne un’altra nel cuore. Sono a tal pun- to riconoscibile, che non possono tenermi nascosta nem- meno coloro che, con tutte le forze, rivendicano per sé la maschera e il titolo della Saggezza, e che se ne vanno in gi-

ro come scimmie ammantate di porpora e come asini ve- stiti della pelle del leone. Infatti, per quanto cerchino in ogni modo di fingere, da qualche parte le orecchie fuorie- scono e tradiscono Mida. Ingrata, per Ercole, è anche quella genìa d’uomini che, pur stando in tutto e per tutto dalla mia parte, si vergogna tuttavia in pubblico del mio nome, al punto da scagliarlo genericamente sugli altri co- me fosse un pesante insulto. Non sarà dunque a buon di- ritto che li chiameremo “morò-sofi”, dato che costoro, quando vogliono apparire come dei saggi e dei Talete11, so-

no in realtà “completamente pazzi”?12

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 148-152)