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Ma sarebbe poca cosa che a me si dovesse il seme

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 158-166)

ELOGIO DELLA FOLLIA

12. Ma sarebbe poca cosa che a me si dovesse il seme

e la fonte della vita, se non riuscissi a dimostrare che tut- to ciò che la vita ha di bello sia anch’esso un mio dono. Potrebbe forse essere chiamata vita quella cui venisse tol- to il piacere? Avete applaudito31. Sapevo bene che nessu-

no di voi era così saggio, anzi così folle, no, saggio, da es- sere di questo parere. D’altra parte, neppure codesti Stoici disprezzano il piacere, e tuttavia si danno un gran da fare a nasconderlo e a condannarlo davanti alla gente con mille ingiurie, col chiaro intento di goderne di più lo- ro stessi dopo averne dissuaso gli altri. Ma mi dicano, per Giove, quale aspetto della vita non è triste, privo di alle- gria, eleganza, sapore e serenità, se non vi si aggiunge il piacere, condimento della follia? Ne potrebbe dare una testimonianza credibile il famoso ma mai sufficientemen- te lodato Sofocle, di cui ci è pervenuto uno splendido elogio a me rivolto: « Dolcissima è la vita quando si è as-

30La polemica antimonastica di Erasmo, che più avanti al c. 54 tro-

verà una forma più compiuta, emerge anche dall’annotazione di Listrius:

« Quelli che un tempo presso gli Ebrei erano i figli dei profeti, e che presso i Greci e gli Indi [erano] i filosofi, tra i cristiani sembrano essere i monaci »

(LB, IV, 412). A proposito del collegamento stoici-monaci D’Ascia (cfr. D’Ascia, 73 nota 67) fa osservare: « Accostamento molto significativo per comprendere la polemica antistoica nella cultura umanistica da Lorenzo Valla ad Erasmo. La versione popolare dello stoicismo, intinta di cinismo e che si esprimeva in forme di predicazione itinerante si accosta al mona- chesimo contemporaneo (e in particolare agli ordini mendicanti) come estraniazione dalla vita sociale e dai suoi valori. Secondo questa immagine polemica, monaci e stoici sono incapaci di inserirsi in una equilibrata con- vivenza civile, tollerante e rispettosa delle differenze ».

31L’ironia sarcastica di Erasmo nei confronti degli stolti che esaltano

i piaceri come unica ragione di vita è precisata da Listrius: « Accenna alla

convinzione massimamente degli stolti, che senza tutti questi comuni piace- ri la vita non va desiderata » (LB, IV, 412).

solutamente privi di senno »32. Ma voglio esaminare la

questione in tutti i suoi particolari.

13. (a) Prima di tutto, c’è qualcuno che ignora che la

prima età dell’uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e la più gradevole? Cos’è mai quel qualcosa che, presente nei bambini, ci induce a baciarli, abbracciarli e accarez- zarli (al punto che anche il nemico reca loro un aiuto), se non l’incanto della mancanza di senno? Incanto che la Natura, previdente, ha volutamente conferito ai neonati, perché possano alleviare le fatiche dei loro educatori e catturare l’attenzione di chi li protegge servendosi del piacere, per così dire, come ricompensa. Quanto poi al- l’adolescenza, che succede all’infanzia: come risulta a tutti gradita, con quale candore tutti la favoriscono, con quale fervore la sostengono e premurosamente le tendo- no una mano! Ma, di grazia, da dove proviene la grade- volezza della gioventù? Da dove, se non da me? È per mio beneficio che i giovani non sono affatto saggi e, di conseguenza, sempre di buon umore. Mentirei, se non dicessi che appena sono diventati più adulti e con l’espe- rienza e l’educazione cominciano ad acquistare un po’ di saggezza virile, lo splendore della loro bellezza sfiorisce, il loro entusiasmo langue, la loro attrattiva si inaridisce e scema il loro vigore. E, quanto più si allontanano da me tanto meno vivono, fino a che non sopraggiunge la gra- vosa e molesta vecchiaia, invisa non solo agli altri ma an- che a se stessa. Nessun mortale sarebbe in grado di sop- portarla se io, impietosita da tanta sofferenza, non intervenissi propizia e, proprio come sono soliti fare gli dèi della poesia che soccorrono con una qualche meta- morfosi chi si trovi in grave pericolo, allo stesso modo an- ch’io non ringiovanissi, quando è possibile, chi si trova

32Sofocle, Aiace, 554. Sofocle (496-406 a. C.), poeta tragico greco,

con un piede nella fossa? È per questo che il popolo li chiama a buon diritto rimbambiti33.

(b) Se poi a qualcuno interessa conoscere le modalità della trasformazione, non glielo nasconderò. [Gli anzia- ni] li porto davanti alla fonte della mia compagna Lete – che sgorga nelle Isole Fortunate, mentre negli Inferi ne scorre solo un piccolo rigagnolo –, affinché, non appena si siano lì a lungo abbeverati all’acqua dell’oblio, ringio- vaniscano al dissolversi dei loro affanni. Ma costoro or- mai delirano, si dice, non sono più in sé! Certo, ma pro- prio questo significa rimbambire. L’essere bambini è forse altra cosa rispetto al delirare o all’essere fuori di sé? Non è proprio il fatto che sia priva di saggezza, ciò che piace di più di quell’età? Chi infatti non odierebbe ed esecrerebbe come una mostruosità un bambino dotato di adulta saggezza? Si attaglia a ciò il trito proverbio popo- lare: “odio il bambino di precoce saggezza”34. Chi poi

sopporterebbe di avere rapporti con un vecchio che unis- se a una tale esperienza pari fermezza e pari lucidità?

(c) Così, grazie a me, il vecchio delira. E tuttavia que- sto mio caro pazzerello, intanto, è libero dagli affanni da cui il saggio è tormentato. È un compagno di bevute non privo di spirito. Non avverte il tedio della vita che, inve- ce, l’età più vigorosa a stento può sopportare. A volte, co- me il vecchio di Plauto35, torna alle tre famose letterine

(come sarebbe infelice, se capisse!)36. Frattanto, grazie a

me, è felice, simpatico agli amici, allegro in compagnia. D’altra parte, anche in Omero, dalla bocca di Nestore37

scorre un parlare più dolce del miele (a differenza di

33Cioè “ritornati bambini”.

34Tratto dal senario di Menandro, citato in Apuleio, Apologia, 85. 35Poeta e commediografo latino del III secolo a.C.

36Sono le lettere AMO, come dice Plauto ne Il mercante, 304: « Oggi

ho iniziato ad andare alla scuola elementare, Lisimaco: conosco già tre let- tere - Quali sono queste tre lettere? - A M O».

quello di Achille che risulta alquanto aspro) e, sempre in Omero, i vecchi che siedono assieme sulle mura parlano con parole fiorite38. E, da questo punto di vista, supera-

no anche i limiti dell’infanzia, età piacevole certamente, ma priva di parola, cioè mancante del principale piacere della vita: l’allegra conversazione. Aggiungete a questo anche il fatto che i vecchi hanno un fortissimo trasporto per i bambini e che i bambini li ricambiano di una pari gioia, “giacché sempre il dio spinge il simile verso il simi- le”39. In che cosa poi differiscono, oltre al fatto che il vec-

chio è più rugoso e conta più anni? Per il resto, il bianco dei capelli, la bocca priva di denti, la corporatura ridotta, il desiderio di latte, la balbuzie, la garrulità, la mancanza di senno, di memoria e di riflessività, tutto, insomma, coincide. E quanto più si avvicinano alla vecchiaia, tanto più tornano a somigliare a dei bambini, fino al momento in cui, con l’incoscienza tipica dell’infanzia, abbandona- no la vita senza accusarne il tedio e senza avere coscienza della morte.

14. (a) A questo punto venga pure avanti chi vuole e

paragoni il beneficio da me assicurato con le metamorfo- si operate dagli altri dèi. Non è il caso di ricordare cosa essi facciano quando sono irati; [parlo] invece di quelli verso cui sono particolarmente propizi: li trasformano in albero, in uccello, in cicala o addirittura in serpente, qua- si che il morire non consistesse proprio nel diventare al- tro. Io, invece, restituisco quel medesimo uomo al perio- do della sua vita che, da ogni punto di vista, è il più felice. Se poi i mortali si astenessero del tutto da ogni rapporto con la saggezza e conducessero la vita in continuo con- tatto con me, non vi sarebbe vecchiaia alcuna, ma go- drebbero felici di un’eterna giovinezza.

38Cfr. Omero, Iliade, I,223 e 249; III,149-152. 39Proverbio tratto da Omero, Odissea, XVII,218.

(b) Forse non vi rendete conto che quegli uomini se- riosi che si dedicano agli studi filosofici o ad attività gra- vose e impegnative, prima ancora di essere giovani, in ge- nere sono già diventati vecchi, proprio a causa delle preoccupazioni e dell’ossessivo e teso agitarsi del loro pensiero, che logora lo spirito e la linfa vitale? Di contro i miei giullari sono grassottelli, lucenti e con la pelle ben curata, dei veri e propri porcelli di Acarnania40, come si

suol dire; e sono destinati a non avvertire in alcun modo la molestia della vecchiaia, a meno che, come può succe- dere, non vengano contagiati dai saggi. La vita non con- sente mai una completa felicità41.

(c) Si aggiunge a questo la testimonianza attendibile del proverbio popolare secondo cui la Follia è la sola condizione capace di trattenere la gioventù, altrimenti fuggevolissima, e di tener lontana la gravosa vecchiaia. Cosicché non è senza una ragione che si è fatto l’elogio del detto popolare dei Brabantini, secondo cui, mentre agli altri uomini la vecchiaia porta consiglio, a loro l’in- vecchiare porta una progressiva mancanza di senno. E non c’è popolo che sia più festoso di questo nella vita quotidiana e che senta di meno la tristezza della vec- chiaia. Confinano con costoro, geograficamente come nelle abitudini, i miei Olandesi – perché, infatti, non do- vrei chiamarli “miei”, visto che si interessano a me con ardore tale da meritarsi un soprannome [di folli] di cui non si vergognano per niente e di cui si vantano, anzi, con orgoglio?

(d) E ora vadano pure gli stoltissimi mortali a cercare le Medee, le Circi42, le Veneri, le Aurore e non so quale

40Regione della Grecia occidentale.

41Riecheggiamento di Orazio, Odi II,16,27-28; Epistole I,4,15-16. 42Secondo la mitologia greca Medea spinse le figlie di Pelia a fare a pez-

zi il proprio padre nell’illusione di ridargli la giovinezza. Anche Circe, trasfor- mando i compagni di Ulisse in porcelli, diede loro un aspetto più giovane.

fonte con cui restituiscano loro la gioventù, dimentichi del fatto che io sola, secondo la mia natura, sono in grado di farlo. È mio quel succo miracoloso grazie al quale la fi- glia di Memnone prolungò la giovinezza del suo avo Tito- ne43. Sono io la Venere per il cui favore il famoso Faone

ringiovanì al punto da essere amato con tanto ardore da Saffo44. Mie sono le erbe, se ve ne sono, miei gli incantesi-

mi, mio quel fonte che non solo risuscita la gioventù or- mai sfiorita, ma, cosa ancora più desiderabile, la conserva per sempre. Se poi tutti sottoscrivete l’affermazione se- condo cui niente è meglio della giovinezza e niente più de- testabile della vecchiaia, credo vi rendiate ben conto del debito che avete nei confronti di colei che custodisce per voi un bene simile tenendo lontano un simile male.

15. (a) Ma perché continuare a parlare dei mortali?

Perlustrate tutto il cielo e oltraggi pure il mio nome chiun- que riesca a trovare uno solo tra gli dèi che non sia del tut- to sgradevole e spregevole senza essere raccomandato dal- la mia potenza divina. Infatti, perché Bacco è l’eterno giovincello dai capelli fluenti? Chiaramente perché, dis- sennato e ubriaco, passa la vita fra banchetti, balli, canti, giochi e non ha nessun tipo di rapporto con Pallade. È tan- to lontano insomma dal pretendere di essere considerato saggio da compiacersi di un culto intessuto di scherzi e sberleffi. E neppure si adonta del proverbio che gli attri- buisce il soprannome di stolto e che dice: “più pazzo di Morico”45. Gli hanno cambiato il nome in Morico perché,

43Su Titone Follia ricorda in modo confuso: Memnone non ebbe una

figlia; fu invece sua madre Aurora che riuscì ad avere il prolungamento della vita, ma non la giovinezza di suo marito Titone. Più precisa invece è la citazione di Luciano, Dialogo dei morti IX,2, secondo cui Venere otten- ne per Faone, battelliere di Lesbo che l’aveva traghettata da Chio gratui- tamente, che “tornasse giovane, bello e amabile”.

44Secondo la leggenda la poetessa Saffo si innamorò di Faone (il bat-

telliere favorito da Venere) e, vistasi rifiutata, si gettò in mare.

nella loro insolenza, i contadini avevano preso l’abitudine di cospargere di mosto e fichi appena colti la sua statua che, in posizione seduta, sta davanti alle porte del tempio. Quali strali non gli scaglia contro, poi, la commedia anti- ca?46. O dio dissennato, dicono, e degno di nascere da una

coscia!47. Ma chi non preferirebbe essere questo dio fatuo

e dissennato, eternamente allegro e giovane, che a tutti as- sicura sempre il piacere del gioco, piuttosto che il potente Giove dal pensiero contorto, temuto da tutti, oppure Pan, che fa invecchiare ogni cosa col terrore che incute; o anche Vulcano, coperto di scintille e sempre sudicio della fuliggi- ne della fucina, o la stessa Pallade, terribile per la sua Gor- gone e la sua lancia e con lo sguardo sempre torvo? Perché Cupido è l’eterno giovinetto? Per quale ragione, se non perché è un giocherellone e non fa né pensa mai niente di sensato? Perché la bellezza dell’aurea Venere splende di un’eterna primavera? Chiaramente perché è mia parente, motivo per cui reca in volto il colore di mio padre ed è det- ta da Omero “l’aurea Afrodite”. E poi ride di continuo, se vogliamo credere ai poeti o ai loro emuli, gli scultori. A quale divinità più che a Flora, madre di tutti i piaceri, i Ro- mani hanno mai reso un culto più devoto?48. Se poi qual-

cuno indagasse con più attenzione la vita di queste tristi di- vinità sui testi di Omero e degli altri poeti, scoprirebbe che tutto rigurgita di follia. Che importa, poi, ricordare le im- prese degli altri dèi, quando conoscete bene gli amori e i divertimenti dello stesso Giove saettante e sapete che l’au-

46Aristofane nelle Rane fa subire a Dioniso oltraggi e bastonate. 47Bacco era il Dioniso dei Greci, dio della vite, che col suo corteo di Sa-

tiri e di Ninfe si aggirava sulla terra, diffondendo la coltura della vite e l’uso del vino. Era figlio della tebana Semele; ma, essendo la madre morta prima del parto, Zeus rinchiuse il piccolo nella sua coscia sino al termine dei nove mesi (cfr. Ovidio, Metamorfosi III,310-312). Bacco era stato soprannomina- to anche Morico per la ragione che Erasmo ricorda nell’Elogio.

48Dei Floralia, riti lascivi in onore di Flora, divinità romana dell’ef-

stera Diana, dimentica del sesso, non fa altro che andare a caccia, e intanto si consuma d’amore per Endimione?49

(b) Ma preferirei che gli dèi ascoltassero le loro male- fatte da Momo50, dal quale un tempo se le sentivano can-

tare piuttosto spesso. Di recente, però, lo hanno precipi- tato sulla terra assieme con Ate [= errore]51, irati per il

fatto che, dall’alto della sua saggezza, strepitava in modo intempestivo contro la felicità degli dèi. E nessun morta- le si degna di offrire ospitalità all’esule, come, d’altronde, egli non ha nessuna possibilità di trovare alloggio presso le corti principesche, dove l’ospite d’onore è Kolakía, che va d’accordo con Momo come l’agnello con i lupi. Cac- ciatolo, gli dèi folleggiano con molta più piacevole licen- ziosità, davvero spassandosela, come dice Omero52, man-

cando, è chiaro, qualsivoglia censore. Quali scherzi non offre, infatti, il Priapo di legno di fico?53. A quali giochi

non provvede Mercurio, con i suoi furti e i suoi trucchi? Perfino Vulcano ha preso l’abitudine di fare il buffone nei banchetti degli dèi e di far ridere i compagni di bevu- ta ora zoppicando, ora con motteggi e lazzi54. Allo stesso

modo si comporta Sileno55, quel vecchio dongiovanni,

49Endimione, mitico pastore, fu amato da Selene, la luna, che lo fece

dormire di un sonno eterno per preservarlo dalla vecchiaia; ogni notte Se- lene andava a contemplarlo nella sua grotta.

50Divinità ironica e irridente, Momo non sa fare altro che criticare e

prendere in giro gli altri dèi (cfr. Luciano, Il concilio degli dei).

51Figlia di Zeus, Ate era una divinità funesta che ottenebrava il sen-

no degli uomini, inducendoli all’errore.

52Cfr. Iliade VI,138 e Odissea IV,805; V,122.

53Priapo era il dio greco della fertilità dei campi, le cui immagini di

legno si ponevano specialmente nei giardini e nelle vigne. Era venerato so- prattutto a Lampsaco.

54Cfr. Omero, Iliade I,570-600.

55Maestro e pedagogo di Bacco, il dio Sileno veniva rappresentato

come un vecchio grasso e calvo, sempre ubriaco. In Elogio 29 c Erasmo accenna al paragone istituito da Alcibiade, nel dialogo di Platone il Sim-

posio, tra Socrate e i Sileni, e al contrasto tra apparenza e verità, fra ester-

che di solito balla il cordace, ma che assieme a Polifemo balla il “tretanelò”56, mentre le Ninfe danzano a piedi

nudi. I Satiri dal corpo per metà caprino recitano le Atel- lane57. Pan fa ridere tutti con una stupidissima canzonet-

ta, che gli dèi preferiscono al canto delle Muse, soprat- tutto quando incominciano ormai a essere ubriachi di nettare. Perché dovrei a questo punto ricordare cosa fac- ciano gli dèi in un banchetto dopo aver abbondantemen- te bevuto? Per Ercole, sono azioni così dissennate, che io stessa, a volte, non posso trattenermi dal ridere. Ma in questi casi è meglio ricordarsi di Arpocrate58, perché non

succeda che qualche dio di Corico ci ascolti mentre nar- riamo fatti che nemmeno Momo ha potuto rivelare senza pagarne poi le conseguenze.

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 158-166)