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L E CRITICHE DI M AARTEN VAN D ORP ,

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 75-90)

LA RISPOSTA DIERASMO E L’INTERVENTO DIMORO Se nei primi tre anni dalla sua comparsa l’Elogio non ebbe problemi di sorta e anzi raggiunse un enorme suc- cesso, accresciutosi nel tempo, a partire dal 1514-1515 cominciò a essere fatto oggetto di una critica sempre più aspra, specialmente da parte di teologi e intellettuali le- gati ad ambienti conservatori.

a. - Il primo ad attaccarlo fu il giovane teologo di Lo- vanio, Maarten van Dorp12. Scrivendo a Erasmo nel set-

11Vedi Lettera dedicatoria e.

12Maarten Bartholomeus van Dorp era nato a Naaldwijk nei Paesi

Bassi, intorno al 1485. Nipote di Jakob Hoeck e amico di Wessel Gansfort di Groeningen (Olanda) aveva studiato al Collegium Lilii di Lovanio. Qui fu anche professore di latino dal 1504 (fece rappresentare in latino ai suoi allievi le commedie di Plauto La pentola e Il soldato fanfarone) e di filosofia dal 1508. Nel 1514 entrò a far parte del Consiglio dell’Università, e dopo aver ottenuto il dottorato in teologia nel 1515, ne divenne professore di teo- logia. Fu anche presidente (1515-1519) del Collegio dello Spirito Santo. Per pochi mesi nel 1523 fu rettore dell’università lovaniense. Più volte si schierò dalla parte dei suoi colleghi teologi di Lovanio contro gli attacchi di Era- smo, con il quale tuttavia mantenne sempre rapporti corretti. Morì il 31 maggio 1525. Tra le opere di Dorp ricordiamo: Oratio in laudem Aristote-

lis; Oratio de laudibus sigillatim cujusque disciplinarum ac amenessimi Lova- nii, Academiaeque Lovaniensis; Oratio in praelectionem epistularum divi Pauli (apprezzata da Erasmo). Su Dorp cfr. H. de Vocht, Gerard Morinck’s Life of Maarten van Dorp, in Id., Monumenta Humanistica Lovaniensia,

Louvain 1934, 123-250 (con ampia bibliografia ancorché datata [701-723]); H. Heilen, Maarten van Dorp (1485-1525), in Moreana 97 (1988) 67-71.

tembre 151413, gli manifestò apprezzamento per il suo la-

voro filologico di revisione del testo delle Lettere di Gi- rolamo e nello stesso tempo viva preoccupazione per l’al- tro suo progetto di emendare anche il testo del Nuovo Testamento e fornirlo di un imponente apparato di Ad- notationes; ma soprattutto – ed era il motivo reale della lettera – gli espresse forti riserve sull’opera satirica data alle stampe14.

A suo giudizio, essa si era rivelata un disastro, avendo provocato grandissimo turbamento e un’ondata di prote- sta e di odio persino fra gli stessi ammiratori di Erasmo. Certo – ammetteva Dorp – « non sono mancate […] per- sone che hanno premurosamente giustificato la tua ope- ra » e tuttavia « coloro che l’hanno approvata in tutte le sue parti, sono stati davvero pochissimi »15.

In effetti l’Elogio gli appariva uno scritto del tutto sconveniente a causa dei duri attacchi rivolti contro i teo- logi: ammesso che dica la verità – chiedeva il giovane teo- logo –, perché usare un linguaggio così irritante? Perché infamare con parole tanto astiose l’ordine dei teologi, verso cui invece la gente dovrebbe nutrire sempre senti-

Contro l’Elogio Dorp scrisse a Erasmo due lettere: la prima nel settembre 1514 (cfr. Allen, II, [n. 304], 11-16; vedi più avanti Appendice I), pubblica- ta però soltanto nell’ottobre 1515, e la seconda il 27 agosto 1515 (cfr. Allen, II, [n. 347], 126-136; vedi Appendice III), in risposta all’autodifesa di Era- smo (scritta quest’ultima in forma più breve nel maggio-giugno 1515, fu pubblicata da Froben ampliata e riveduta nell’agosto 1515; cfr. Allen, II, [n. 337], 91-114; vedi Appendice II).

13Vedi Appendice I. Su questa lettera vedi relativa nota 1 con biblio-

grafia.

14Vale la pena ricordare che il testo dell’Elogio a cui Dorp faceva ri-

ferimento in questo primo intervento era quello più breve edito nel 1512- 1513, in cui non erano state ancora inserite le aggiunte ai cc. 53 (sui teolo- gi), 54 (sui monaci), 63-65 (relativi alle giustificazioni scritturistiche dell’assunto che la parola di Dio offre una visione positiva della follia), ap- parse nell’edizione di Strasburgo del novembre 1514, e in cui mancava il

Commentario di Listrius.

menti di rispetto? Non è forse vero – ammoniva – che « le arguzie scabrose, anche nel caso siano intrise di verità, la- sciano un amaro ricordo di sé » e l’amaro in bocca a chi legge?16. In più gli sembrava un’opera assolutamente

inaccettabile e biasimevole anche sotto il profilo più spe- cificamente teologico, perché osava presentare Cristo co- me un folle e definire la vita beata nell’eternità come una forma di follia, ricorrendo a un linguaggio irriverente e inadeguato, oltre che insopportabile per le « pie orec- chie » e scandaloso per le anime deboli17.

Dorp concludeva il suo sfogo amaro, ricordando a Erasmo, convinto di addurre un argomento più convin- cente perché diretto a toccare la corda dell’orgoglio dello studioso, che l’opuscolo « maledetto » e « infausto » aveva già provocato danni alla sua persona e gli aveva fatto per- dere stima e fama non solo fra i colti, che non apprezza- vano le sue stoccate irridenti, ma anche e soprattutto fra la gente semplice. E pertanto lo esortava a riconquistare il ri- spetto dei lettori e riparare il danno causato, facendo una opportuna rettifica con la pubblicazione di uno scritto di segno opposto, un Elogio della Saggezza18.

b. - La risposta di Erasmo non si fece attendere: a fi- ne maggio 1515 scrisse al giovane teologo di Lovanio una lunga e articolata autodifesa19, in cui affrontò i singoli ad-

debiti, sviluppando in sostanza le argomentazioni apolo- getiche già esposte nella Lettera dedicatoria a Moro.

Anzitutto confessava di essere rammaricato per aver dato alle stampe un testo, quale l’Elogio, che non soltan-

16Vedi Appendice I c. 17Vedi Appendice I b. 18Vedi Appendice I c.

19Vedi Appendice II. A partire dal 1516 la risposta di Erasmo venne

stampata sempre come introduzione all’Elogio. Sulla risposta autodifensi- va di Erasmo a Dorp, vedi relativa nota 1 con bibliografia.

to gli aveva procurato l’invidia di alcuni, ma era diventa- to altresì motivo di polemiche e causa di offese, in con- trasto con le sue intenzioni; lui che invece in tutte le ope- re si era sempre prefisso lo scopo di rendersi utile agli altri e di fare del bene, o almeno di non danneggiare nes- suno20. In realtà, ricordava a Dorp, il suo intento (e quin-

di il senso e la chiave interpretativa dello scritto) nel redi- gere l’Elogio, era stato il medesimo di tanti altri suoi scritti, educare cioè gli uomini a essere buoni cristiani, buoni principi, buoni sovrani, buoni teologi, buoni eccle- siastici; così come gli argomenti che aveva voluto trattare erano gli stessi affrontati nel Manuale, pur utilizzando questa volta un linguaggio diverso e un genere letterario brioso e ironico21. In sostanza, con questo nuovo opu-

scolo si era proposto di correggere i difetti degli uomini attraverso lo scherzo e l’allegria, secondo l’antica massi- ma: dire la verità, mettere a nudo i difetti e correggerli, ri- dendo22. Del resto era persuaso che fosse più facile intro-

durre la verità attraverso la burla arguta, allo stesso modo che la medicina amara veniva presa più volentieri se zuc- cherata. E ciò in linea con la prassi degli antichi, che si erano serviti delle favole per proporre precetti validissimi (Cristo stesso aveva utilizzato le parabole per rendere più attraente la verità evangelica), ma anche con la ben nota e diffusa usanza dei buffoni di corte, introdotti nei palaz- zi reali proprio col compito di svelare e correggere i di- fetti dei sovrani attraverso la satira anche pungente23. In

concreto, confidava a Dorp, « vedevo quanto la genera- lità degli esseri umani, di ogni classe sociale, fosse rovina- ta da modi di pensare semplicemente folli, e in me c’era

20Vedi Appendice II b, g, n. 21Vedi Appendice II e.

22Cfr. Orazio, Satire II,1,24-25: ridendo castigat mores. Vedi Appen-

dice II e.

più il desiderio che la speranza di porvi un rimedio. Mi sembrava, quindi, di aver trovato in questa forma espres- siva il modo per insinuarmi, per così dire, di nascosto ne- gli animi delicati e curarli in modo anche piacevole »24.

D’altra parte scrivere contro qualcuno, argomentava, non era in se stesso riprovevole, dal momento che nella tradizione letteraria antica e moderna non c’era stato qua- si nessun autore importante (da Omero ad Aristotele, a Demostene, a Cicerone, a Girolamo, a Petrarca, a Valla, a Poliziano) che non avesse redatto un’opera contro qual- cuno. Personalmente egli aveva sempre evitato con cura di utilizzare gli scritti per dare libero sfogo ai suoi senti- menti di indignazione e di irritazione o per denigrare e di- sonorare qualcuno (persona o nazione), non usando toni oltraggiosi e non facendo nomi; era per altro convinto che nessun nemico fosse tale per sempre e che ripagare l’in- giuria con l’ingiuria non fosse affatto cristiano25.

Respingeva perciò come assolutamente infondato l’addebito fattogli da Dorp che la sua opera fosse caustica e oltraggiosa: a ben vedere, ribadiva Erasmo, l’Elogio, nel biasimare scherzosamente i difetti della gente, non aveva additato nessuno per nome e si era limitato a prendere in giro i fatti più ridicoli, senza mettere a nudo gli intimi re- cessi della corruzione e delle oscenità degli uomini. E quindi, se qualcuno si è sentito colpito personalmente, si- gnifica che ha la coda di paglia, svelando così di avere quei difetti26.

Lo stesso attacco all’ordine dei teologi, che tanto in- dignava il giovane professore di Lovanio, aveva una sua spiegazione e giustificazione27. Anzitutto – precisava

Erasmo – personalmente non aveva mai smesso di nutri-

24Appendice II f. 25Vedi Appendice II c-d. 26Vedi Appendice II h-k. 27Vedi Appendice II l.

re grande stima per la vera teologia e per i teologi auten- tici. Lo provava il fatto che, girovagando per l’Europa, nessun teologo serio si era mai mostrato ostile e aggressi- vo nei suoi confronti o lo aveva contestato28. L’Elogio,

poi, non era il primo scritto che deplorava la corruzione e l’indegnità dei teologi, esistendo un’ampia letteratura che li metteva alla berlina anche con asprezza. E ancora: il suo scritto satirico si era limitato a canzonare le astru- sità e le stupidità di tante dispute “teologiche” oziose e vuote, senza offendere questa o quella singola persona. Per altro, era abbastanza palese che un gran numero di questo nuovo genere di teologi non soltanto ignorava il greco e il latino e usava un linguaggio barbaro, ma erano talmente presi dalle loro insulse controversie da non aver mai tempo per leggere le sacre Scritture, alimentando il legittimo dubbio se « [avessero o meno] ancora il sapore puro e autentico di Cristo »; ed era altrettanto sotto gli occhi di tutti che la “nuova teologia” aveva elaborato una visione così intricata della realtà « [da disperare] sulla possibilità di richiamare il mondo all’autentico cristiane- simo »29. Ci si doveva augurare, pertanto, che anche at-

traverso la satira scherzosa dell’Elogio « i colpevoli di questo crimine fossero sempre meno numerosi »30.

Per Erasmo, dunque, era del tutto arbitrario l’adde- bito di mordacità fatto da Dorp, dal momento che nello scritto non c’era nulla di osceno, di disonorevole, di sedi- zioso o che potesse in qualche modo risultare offensivo e sarcastico. Gli stessi attacchi contro il culto dei santi non intendevano delegittimare affatto la sostanza di tale pra- tica religiosa, ma stigmatizzarne soltanto le degenerazio- ni superstiziose31.

28Vedi Appendice II n. 29Appendice II o. 30Appendice II n. 31Vedi Appendice II p.

Parimenti infondata giudicava anche l’accusa di em- pietà (in realtà Dorp aveva parlato di linguaggio inadeguato e irriverente), venuta fuori, a suo giudizio, unicamente dalla malvagità di quanti estrapolano le parole dal loro contesto per fraintenderle32. A ben vedere – precisava – la forma di

follia che l’Elogio ravvisava in Cristo e negli Apostoli, altro non era che quella forma di debolezza attribuibile alle pas- sioni umane, a cui anche loro in quanto uomini erano sog- getti; così come definire l’esperienza beatificante dei beati una certa forma di follia era soltanto un modo accattivante per descrivere l’esperienza mistica (l’estasi degli innamora- ti), anticipatrice della felicità dei beati33. Per altro, tacciare il

linguaggio dell’Elogio come offensivo per la sensibilità della gente semplice, significava ignorare che anche Paolo, Giro- lamo, Tommaso d’Aquino hanno usato espressioni che, se estrapolate dal loro contesto, potrebbero essere di scandalo. E non solo questi capziosi censori, ribadiva Erasmo, hanno frainteso le parole, staccandole dal loro contesto, ma hanno ignorato del tutto l’estrema cautela e la cura scrupolosa con cui nell’Elogio si era cercato di mitigare i concetti e di scegliere le parole più moderate; anzi, al fine di prevenire possibili fraintendimenti, si era esortato il let- tore a distinguere la sostanza di ciò che veniva detto dalle parole con cui lo si esprimeva34. Costoro hanno dimenti-

32« Nella sua La formazione dell’oratore, Quintiliano segnala e insegna

questa astuzia: per presentare le nostre argomentazioni nel modo più van- taggioso possibile, cerca di sostenerle con conferme e aggiungi qualche pa- rola che mitighi, addolcisca o, altrimenti, sia di sostegno alla causa; vicever- sa, per quanto riguarda le affermazioni degli avversari bisogna citarle con le parole più odiose che ci siano, dopo averle spogliate di tutte le sfumature. Costoro hanno appreso quest’arte non dagli insegnamenti di Quintiliano ma dalla loro malignità. Ed è per questo che spesso si verifica che testi che piacerebbero molto se venissero citati come sono stati scritti, citati in una forma diversa offendono profondamente »: Appendice II q.

33Vedi Appendice II r.

34« Prima di tutto, mi servo del proverbio con cui dico che la Follia

cato altresì che l’Elogio non era un testo di teologia e che il genere letterario ludico non poteva essere sottoposto al- l’analisi severa dei teologi35. Le intenzioni dell’Elogio,

precisava, non sono state mai quelle di ledere la pietà, neppure per scherzo, con l’uso di parole empie. E quindi se si volevano cogliere le reali intenzioni dello scritto nel- la loro positività era necessario essere dei lettori onesti e non, come loro, calunniatori malevoli e ignoranti, smanio- si di trovare il pelo nell’uovo per incolpare ingiustamente. Di fronte a siffatti lettori prevenuti e cavillosi – replicava a Dorp – non era possibile scrivere nulla che potesse essere immune da attacchi e calunnie, perché « chi cerca solo espressioni calunniose, alla fine, le trova »36. È stata que-

sta loro malafede che li ha portati a togliere dei passi dal loro contesto per condannarli come “scandalosi”, “irrive- renti”, “dissonanti”, “empi”, “in odore di eresia” (passi che non si trovavano affatto nell’Elogio)37; di conseguen-

za era assolutamente inutile, contrariamente a quanto sug- geriva Dorp, scrivere come riparazione un Elogio della Saggezza: la loro invidia e il loro odio non sarebbero ces- sati, ma al contrario sarebbero cresciuti38.

Erasmo concludeva confermando il suo rincresci- mento espresso già all’inizio per aver fatto pubblicare

argomento così sacro. In secondo luogo, non uso i termini “follia” e “dissen- natezza” genericamente, ma parlo di “una forma di follia e dissennatezza”, perché si capisca che intendo parlare di una follia virtuosa e di una dissenna- tezza felice secondo la distinzione che introduco subito dopo. Non contento di ciò, aggiungo “una”, affinché sia chiaro che il mio parlare è figurato e non letterale. Non ancora soddisfatto, cerco di evitare ogni offesa che possa esse- re generata dal suono delle parole e suggerisco di prestare attenzione a ciò che si dice, più che alle parole con cui lo si dice: lo faccio subito, proprio nel- la premessa… »: Appendice II t. Erasmo aveva esortato il lettore a tenere pre- sente questa distinzione già nella Lettera dedicatoria a Moro.

35Vedi Appendice II v. 36Appendice II w. 37Vedi Appendice II x. 38Vedi Appendice II aa.

l’Elogio (aveva agito in modo sconsiderato, anche se a convincerlo erano state le pressioni di alcuni amici ingle- si entusiasti dell’opera) e riconoscendo a proposito del- l’accusa di empietà di linguaggio nel trattare le realtà del- la fede che il ricorso alla maschera della Follia era stata effettivamente una scelta superficiale e imprudente; que- st’unico sbaglio però, ribatteva a Dorp, non poteva pre- giudicare il valore di tanti suoi scritti39.

c. - A questa autodifesa replicò il giovane teologo di Lovanio con una seconda lettera del 27 agosto 151540,

nella quale riprese il tema della delegittimazione dei teo- logi41: la sua missiva fu una difesa ancor più convinta e

argomentata della teologia e del metodo teologico tradi- zionali degli scolastici contro gli attacchi che il filologo e grammatico Erasmo aveva sferrato loro in forma sarcasti- ca nell’Elogio e in una maniera più ragionata proprio nel- la risposta sopra esaminata42. Nonostante i chiarimenti

39Vedi Appendice II g.

40Vedi Appendice III. Sulla contro-risposta di Dorp a Erasmo vedi re-

lativa nota 1 con bibliografia.

41Lasciò cadere invece l’accusa di empietà e bestemmia, assieme al

biasimo espresso nella sua precedente lettera per il linguaggio irritante e per lo scandalo dei deboli conseguente all’uso di concetti come folle e fol- lia per definire le realtà spirituali (Cristo, vita eterna, ecc.); indizio questo che i chiarimenti di Erasmo l’avevano convinto?

42Dorp era persuaso che Erasmo sbagliasse sia nell’attaccare i teolo-

gi, che invece « [era] importantissimo [che] non [venissero] lesi nella pro- pria autorità » (Appendice III b), sia nel demolire la cosiddetta “nuova” teologia delle scuole palesemente insensibile se non proprio ostile alle let- tere e alla cultura classiche, in particolare alla lingua greca. A lui ribatteva: nulla impedisce a uno che ignora il greco di capire le sacre Scritture che sono scritte in latino; sono stati forse “pestilenziali”, come li definiva Era- smo, teologi santi come Tommaso, Bonaventura, Ugo di San Vittore, ecc.? (Appendice III e). Perciò Dorp respingeva con forza la proposta riforma- trice avanzata dall’umanista olandese (una teologia cioè fondata sulla grammatica e sulla conoscenza del greco per capire meglio la Scrittura) e difendeva la Vulgata e la sua autorità assoluta nella Chiesa contro la pre- sunta maggiore fedeltà dei codici greci rispetto ai latini, sbandierata da

forniti in quest’ultima apologia, le sue perplessità nei confronti dell’opuscolo satirico erano rimaste tutte; né tanto meno si erano diradate, dopo aver saputo dal suo stesso autore43che moltissimi vescovi lo avevano valuta-

to positivamente: egli ribatteva polemicamente che i ve- scovi di quel tempo erano palesemente immorali, igno- ranti e indegni dell’alto incarico che occupavano44.

d. - Nel dibattito intervenne lo stesso Tommaso Mo- ro45: scrisse a Dorp una lunghissima lettera (quasi un

Erasmo (Appendice III h-i). A suo giudizio tale idea di teologia rischiava di riproporre l’errore dell’ussita Girolamo di Praga, che aveva demonizzato ingiustamente le università teologiche, subendo per questo la condanna del concilio di Costanza (Appendice III g). Dorp faceva valere viceversa la tradizionale formazione dialettica e aristotelica dei teologi delle università contro i fautori della grammatica e il rimprovero che agli scolastici Erasmo aveva rivolto, di perdersi cioè in mille discussioni astruse e inutili a danno della lettura della Bibbia (Appendice III k-l).

43Vedi Appendice II k-m.

44« Ti meravigli del fatto che il tuo Elogio della Follia abbia suscitato

tante reazioni, sebbene piaccia non solo a moltissimi teologi, ma anche a moltissimi vescovi. Mi stupisco molto, Erasmo, che in questa situazione tu tenga in maggior conto il giudizio dei vescovi piuttosto che quello dei teolo- gi, soprattutto perché conosci la vita, i costumi e non so se dire l’erudizione o l’ignoranza dei vescovi dei nostri giorni: è vero che alcuni di loro sono de- gni di una posizione tanto onorevole, ma è anche sorprendente l’esiguità del numero soprattutto di coloro che siano all’altezza di ciò che dice san Paolo quando scrive a Timoteo sui doveri di un vescovo »: Appendice III b.

45Nato a Londra nel 1478, Thomas More compì gli studi umanistici e

giuridici, diventando un cultore raffinato di entrambi gli ambiti disciplinari e ricoprendo prestigiose cariche nelle università inglesi. Svolse mansioni po- litiche di grande rilievo, fino a essere nominato tesoriere dello Scacchiere. Fu inoltre incaricato di diverse ambascerie. Al tempo di quella nelle Fiandre risale la lunga lettera a Dorp di cui ci stiamo occupando. Nel 1529 ricevette da Enrico VIII il grado e le insegne di Cancelliere del Regno ma, in seguito al divorzio di Enrico da Caterina d’Aragona e alle sue nuove nozze con An- na Bolena, si dimise nel 1532 per ritirarsi a vita privata. Essendosi rifiutato

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 75-90)