nell’edizione parigina del 1512 per correggere gli errori e colmare le lacune presenti nel testo dell’Elogio stampato da Gourmont e Petit l’anno prima. Ma non fu l’unica volta. La sua opera di revisione fu costante sino alle ulti- me variazioni dell’edizione pubblicata a Basilea presso Girolamo Froben e Nicola Bischoff nel 1532 (quattro an- ni prima della morte)12, rivelando in ciò una nota carat-
teristica della sua personalità di studioso: la scrupolosità nella formulazione del testo, che lo portava a ritornare più volte sulle proprie opere per rielaborarle, curarne nuove edizioni, accrescerne il testo e apportarvi ogni vol- ta delle variazioni.
Variazioni particolarmente rilevanti, anche per capire come lo stesso Erasmo interpretasse il suo scritto, furono quelle operate nell’edizione di Strasburgo di Matthias
11Cfr. Miller, 15.
12Miller individua almeno sette stadi diversi negli interventi aggiun-
Schürer, del novembre 1514. La nuova pubblicazione, ol- tre a restituire l’integrità del testo originario (come reci- tava il frontespizio), presentava migliorie e ampliamenti considerevoli, volutamente introdotti dallo stesso autore13.
In sostanza furono inseriti quattro nuovi lunghi brani nei capitoli relativi ai teologi (c. 53), ai monaci (c. 54) e alla prova scritturistica con aggiunta e commento in quest’ul- timo caso di nuovi passi biblici a maggior sostegno delle asserzioni finali dell’opera (cc. 63-65).
A proposito dei teologi, contro cui già nell’edizione più breve del 1511-1512 aveva polemizzato pesantemente14,
Erasmo entrava ora in modo più esteso nel concreto univer- so linguistico e concettuale degli scolastici per attaccare l’as- surdità dei loro assunti morali e le arzigogolate sottigliezze di scuola, portando al paradosso tali astrusità e supponenza (davanti alle scuole di teologia – scriveva – persino gli apo- stoli sarebbero risultati ignoranti; i teologi scolastici hanno avuto l’ardire di correggere lo stesso san Paolo; dalle loro distinzioni teologiche non si sarebbero salvati neppure Cri- sto e gli apostoli). Inoltre, affrontava specificatamente il me- rito di alcune questioni allora dibattute dai maestri di teolo- gia, quali l’interpretazione di Ebrei 11,1 e di 1 Corinti 13 sulla carità, la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, la pre- servazione di Maria dal peccato originale, la consegna delle chiavi a Pietro, la teologia del battesimo, la venerazione (adorazione) delle immagini: tutte questioni centrali nella teologia delle università, ma che a suo parere gli apostoli non avevano mai trattato, meno che mai ricorrendo al sofi- sticato armamentario argomentativo degli scolastici15.
13È sostanzialmente questo il testo che noi oggi conosciamo e usiamo
attraverso le successive edizioni di Froben, in particolare quella della fine del 1516, in cui vengono introdotte alcune piccole correzioni e un ultimo lungo brano.
14Vedi Elogio 53 a-b e g-h. Per una presentazione dei contenuti di
questo c. 53 vedi più avanti Introduzione, III,3.
Sui monaci, poi, alla critica già espressa nel testo del 1511-151216, Erasmo aggiungeva un duro attacco alla
mal riposta fiducia dei religiosi nella pratica dei precetti monastici, all’insulsaggine e all’astrusità della loro predi- cazione e al fatto che i monaci fossero scrupolosissimi nell’osservare tante sciocche cerimonie ed esteriorità, ma non si curassero affatto dell’unico comandamento su cui avrebbero dovuto rendere conto nell’ultimo giorno da- vanti al tribunale di Cristo, e cioè la carità17. Biasimava
altresì il modo istrionesco di predicare dei Frati Mendi- canti, fatto di gesti scomposti e di urla, e i contenuti di siffatta predicazione, intessuta di cabala e di astruserie, ma non preoccupata di spiegare i santi misteri della fede (la Trinità, la cristologia, eccetera)18.
L’aggiunta più consistente19riguardava la prova scrit-
turistica, che Erasmo ora sviluppava meglio per rendere più convincenti e fondate le tesi, per certi versi sconcer-
16Vedi Elogio 54 a-c. Per una presentazione dei contenuti di questo
capitolo vedi più avanti, Introduzione, III,3.
17Concretamente Erasmo inseriva una descrizione tragicomica del
giudizio finale, a cui i monaci delle innumerevoli comunità religiose si sa- rebbero dovuti sottoporre.
18Il nuovo brano introdotto è in Elogio 54 d-i. Erasmo raccontava l’e-
pisodio, di cui era stato testimone, di quel frate scozzese che voleva spie- gare il nome di Gesù, ricorrendo alla cabala.
19Il lungo passo inserito è in Elogio 63 c – 65 b. Erasmo inframmezzò
l’ampia argomentazione scritturistica con accenni alla polemica esegetica tra teologi e grecisti sulla corretta interpretazione di alcuni passi biblici, quali 2Cor 11,23, Lc 22,35-36, Ab 3,7 e Tt 3,10. Nell’edizione del 1511- 1512 – il cui testo si riduceva praticamente all’attuale c. 65 (di fatto l’ag- giunta lo ampliava di due capitoli: cc. 63 e 64) – Erasmo si era concentra- to unicamente sui passi paolini che predicano la follia “positiva” del cristiano e persino la “follia di Dio”, più saggia della sapienza degli uomi- ni, e la “follia della croce”; e su Cristo “folle” che manda in rovina i gran- di e i sapienti di questo mondo. La sua conclusione era: la stessa Scrittura prova che tutti i mortali sono stolti e che Cristo stesso per venire incontro all’uomo e per curarlo si è fatto stolto, ha vissuto la “follia della croce”, ha voluto che i suoi apostoli fossero dei rozzi e degli stolti. Per tutto questo vedi Elogio 63-65.
tanti, dell’ultima parte dell’opera, quali ad esempio che tutti gli uomini, cristiani compresi, sono sotto il dominio della follia e non della sapienza, che tra gli uomini la fol- lia è superiore alla sapienza, che il folle ha un animo sem- plice, che in ultima analisi (ed è l’argomento del c. 66) la religione cristiana sotto alcuni aspetti ha i caratteri propri di una certa forma di follia, che la follia ottiene da Dio persino il perdono degli errori20.
Si trattò, come è facile notare, di ampliamenti rile- vanti, che resero più caustica la trattazione delle temati- che religiose e ribadirono con chiarezza la “dimensione religiosa” dell’Elogio21. Ma come spiegare un tale decisi-
vo intervento? Con molta probabilità l’esigenza di evi- denziare maggiormente le tematiche ecclesiastiche e reli- giose scaturì dalle particolari circostanze in cui Erasmo venne a trovarsi proprio nel 1514: durante il viaggio dal- l’Inghilterra a Basilea (estate 1514) in varie città come Magonza, Strasburgo, Schlettstadt fu acclamato e accolto dagli umanisti tedeschi (Jakob Wimpfeling, Jakob Sturm, Beato Renano e Ulrico di Hutten) come l’“orgoglio della Germania” e per la prima volta assaporò la fama procu- ratagli in tutta Europa da scritti come il Manuale, gli Ada- gi e lo stesso Elogio22. In quel trionfo, che lo consacrava
all’apice dell’Europa colta, Erasmo vide una sorta di in- vestitura ufficiale da parte degli esponenti più autorevoli dell’umanesimo riformatore europeo a intervenire per una rigenerazione della cultura teologica e per una rifor- ma della Chiesa e della società.
Ora, questo taglio per così dire di “satira riformatrice e moralizzatrice” della vita religiosa ed ecclesiale che l’Elo- gio acquisì in maniera più evidente con le aggiunte del
20Vedi Elogio 66 a-f. 21Cfr. Miller, 31. 22Cfr. Miller, 32.
1514, provocò nei tradizionalisti, specialmente monaci e teologi, un’ostilità crescente verso quello scritto pungente e il suo autore23; ostilità che ben presto doveva sfociare in
attacchi personali, fraintendimenti strumentali e capziosi e persino accuse di eterodossia, già in parte previsti e pre- ventivamente neutralizzati dallo stesso Erasmo nella Let- tera dedicatoria a Moro24. Per fronteggiare, quindi, gli
assalti di gente che, soprattutto dopo le caustiche stigma- tizzazioni e l’insistita proposizione – accentuate nel 1514 – di un cristianesimo quale forma di follia, si mostrava pre- giudizialmente sempre più chiusa alla giusta comprensio- ne dell’Elogio, cercandovi soltanto cavilli e pretesti per stravolgerne il senso e condannarlo, egli avvertì la necessità di fare aggiungere nell’edizione basileese di Froben del marzo 151525il Commentario di Listrius26, quasi a gettare
23A questo proposito Miller fa osservare opportunamente che « gli at-
tacchi sempre più pungenti contro i teologi e i monaci nell’edizione Schürer del novembre 1514 possono aver contribuito alla controversia scoppiata in- torno all’Elogio nel 1515 » (cfr. Miller, 31). Anche se non si può negare che già il testo del 1511-1512 era sufficientemente mordace nei confronti dei teologi (vedi Elogio 53) e che fu a partire da esso che prese l’avvio la recri- minazione di Dorp nella lettera a Erasmo del settembre 1514.
24Per l’esposizione delle argomentazioni sviluppate da Erasmo vedi
questa Introduzione, IV,1.
25Tale edizione, in cui il Commentario era preceduto da una Prefa-
zione indirizzata a Johannes Paludanus (Jean Dasmarez), maestro di Li-
strius all’università di Lovanio, venne diffusa sia separatamente sia all’in- terno di una raccolta che comprendeva anche lo Scherzo sulla morte
dell’imperatore Claudio di Seneca e la Lode della calvizie di Sinesio. Il te-
sto dell’Elogio riprendeva sostanzialmente quello ampliato dell’edizione Schürer (cfr. Carena, XXIX). Nello stesso anno 1515 uscirono anche le prime due edizioni italiane, entrambe a Venezia: in aprile presso Giovan- ni Tacuino de Tridino e in agosto presso Aldo Manuzio il Vecchio e André d’Asola suo suocero. Nell’edizione manuziana il testo dell’Elogio era già accompagnato dal Commentario di Listrius (cfr. M.P. Gilmore, “Apolo-
giae”: Erasmus’s Defenses of Folly, in R.L. De Molen [ed.], Essay on the Works of Erasmus, New Haven - London 1978, 111-123, qui 112).
26Gerard Lijster (lat. Listrius) – che nel 1514-1515 si trovava a Basilea
e apparteneva alla cerchia dei più intimi amici di Erasmo ed era apprezzato come esperto non soltanto in medicina, ma anche in latino, greco ed ebraico
acqua sul fuoco, smorzando le asprezze del testo accre- sciuto, chiarendo i reali intendimenti dell’autore ed elimi- nando per quanto possibile ogni appiglio per malevoli fraintendimenti. Scopo delle annotazioni listriane non era, quindi, solamente quello di offrire integrazioni sul piano filologico e di illustrare e indicare le fonti, ma molto spes- so di attenuare la mordacità della follia, circoscrivere le cri- tiche ai teologi, ai monaci, ai potenti secolari ed ecclesiasti- ci, ridurre e contenere l’apparente delegittimazione di tanti aspetti della devozione e della dottrina ecclesiastica; in definitiva di aiutare il lettore a leggere correttamente lo scherzo letterario, ridimensionando affermazioni che a una prima lettura potevano apparire eterodosse e inaccet- tabili. In altri termini, il Commentario doveva servire a di- fendere l’Elogio e il suo autore; e perciò in esso il lettore veniva messo in guardia, con ammonizioni e precisazioni continue, dal mescolare le idee espresse nel testo con ere- sie, bestemmie ed esagerazioni, e dall’estrapolare le parole della Follia dal loro contesto.
– nacque a Rhenen, a metà strada circa tra Utrecht e Harlem. Frequentò i primi studi a Deventer alla scuola di A. Hegius. Nel 1505 a Lovanio fu al- lievo del Paludanus; successivamente studiò anche a Colonia. Nel 1514 si specializzò in medicina a Basilea e a Parigi, e a Pavia conseguì il titolo di dot- tore il 18 aprile dello stesso anno. Presso l’editore Froben lavorò alla corre- zione dell’edizione degli Adagi di Erasmo, pubblicati nel 1515. Sempre a Basilea e nello stesso periodo curò per l’edizione frobeniana del 1515 del- l’Elogio un Commento al testo, in parte scritto anche da Erasmo. Dal 1516 al 1522 diresse la scuola di Zwolle, fondata dai Fratelli della Vita Comune, dove cercò di far progredire l’educazione e gli studi, nonostante la vigorosa opposizione dei tradizionalisti. Qui insegnò anche latino, greco ed ebraico. Nel 1520 ebbe uno scambio epistolare con Lutero, mostrando una certa simpatia verso le posizioni del riformatore. Per questi suoi rapporti nel 1522 dovette lasciare Zwolle e trasferirsi ad Amersfoort, dove diresse la locale scuola di latino. Con Erasmo rimase sempre in contatto e ne difese l’opera esegetica Novum Instrumentum quando questa fu attaccata da Stunica, Lee, e altri. Su Listrius e il suo Commentario, oltre a Miller, 34-36, cfr. anche le brevi annotazioni di Correspondance, II, 531, J.A. Gavin - Th. Walsh, The
“Praise of Folly” in Context: The Commentary of Girardus Listrius, in RQ 24
(1971) 193-209 e J. A. Gavin, The Commentary of Girardus Listrius on Eras-
Ora, Erasmo non si limitò a insistere perché le annota- zioni venissero stampate assieme all’Elogio, ma contribuì personalmente in maniera non marginale – pur lasciando che alla fine fosse Listrius a firmarle – alla stesura di parte di esse, come rivelò molti anni dopo a Martin Bucer in una lettera del 2 marzo 153227. Una circostanza questa che, se
da un lato rende molto difficile l’esatta individuazione del- le note autenticamente erasmiane da quelle attribuibili a Listrius28, dall’altro però evidenzia indubbiamente il ruo-
lo fondamentale che ad esse attribuiva lo stesso Erasmo per una corretta interpretazione dell’opera; motivo per cui abbiamo deciso di inserire alcune di esse nella traduzione che qui offriamo al lettore italiano.
Un ulteriore e significativo momento di revisione del- l’Elogio fu quello dell’edizione frobeniana del 1522. Ri- tornando sul testo ampliato nel 1514, Erasmo vi apportò alcune piccolissime correzioni, due delle quali di partico- lare importanza, l’una in riferimento alla questione di Lu-
27« Circa le annotazioni all’Elogio… Si era convenuto con Listrius di
aggiungere delle note al testo. Poiché però prometteva soltanto e il tempo urgeva, per avviarlo cominciai a redigere io stesso alcune annotazioni che lui avrebbe dovuto sviluppare poi in maniera più estesa. Non lasciandosi smuovere neppure in questo modo e dal momento che la tipografia ri- chiedeva con urgenza il testo, mi sono sentito costretto a proseguire io le note fino a che lui vi pose mano. Poiché dunque l’opera in parte è sua, e d’altro canto essendomi reso conto che il giovane ambiva ad averne il van- to per emergere più facilmente, sarebbe stato forse gentile deluderlo e at- tribuirmi tutto, mentre una buona parte era opera sua? »: Erasmo, Lettera
a M. Bucer del 2 marzo 1532, Allen, IX, [n. 2615], 449.
28Miller propone alcuni criteri di individuazione dell’autore delle
note: le annotazioni che presentano una conoscenza dettagliata di testi classici della teologia come le Sentenze di Pietro Lombardo e il Decreto di Graziano o che relazionano su personali esperienze inglesi vanno at- tribuite a Erasmo, che ha studiato teologia a Parigi ed è stato in Inghil- terra. Le note invece che presentano una conoscenza precisa di medicina possono essere state scritte da Listrius, che ha studiato medicina. Inoltre, con molta probabilità sono di Erasmo quelle relative alle aggiunte al te- sto posteriori al 1515, quando Listrius lasciò Basilea per Zwolle (cfr. Mil- ler, 34-35).
tero29e l’altra relativa al paradosso della follia cristiana. In
quest’ultimo caso egli volle inserire nella frase del capito- lo 66 « la religione cristiana ha un qualche rapporto con una forma di follia » – un’affermazione che era stata frain- tesa e gli aveva procurato l’accusa di bestemmia – il ter- mine aliqua (una “certa”, una “particolare” forma di fol- lia) per precisare meglio il suo pensiero al riguardo, e cioè che si trattava di una forma sui generis di follia, da non equiparare alla comune pazzia degli uomini30.