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G ENERE LETTERARIO , STRUTTURA E CONTENUT

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 56-72)

Per comprendere il senso e le finalità dell’Elogio non è irrilevante capire inoltre quali siano i modelli a cui il suo autore si è ispirato nello scegliere questa forma letteraria e quale sia in definitiva la precisa natura di essa. Ciò per- mette di cogliere anche la peculiarità dello scritto in mez- zo a tutta una letteratura per così dire “leggera” e “scher- zosa”, non rara nella classicità greca e latina, e ritornata di moda nell’umanesino del Quattro/Cinquecento.

Nell’aprire il discorso a lode di se stessa, Follia situa il suo intervento oratorio – definendone quindi indiretta- mente la natura letteraria – nella scia di quelle opere ab- bastanza diffuse nell’antichità classica, che hanno « intes- suto le lodi di Busiride, di Falaride, della febbre quartana,

29Vedi Elogio 53 d. Nel 1522 Erasmo sembrò essersi convinto che la

frattura tra il riformatore di Wittenberg e Roma fosse ormai insanabile. Perciò è probabile che, volendo ribadire la sua distanza dalle posizioni della riforma luterana sul tema del rapporto grazia-opere, correggesse concretamente il testo in Elogio 53 d: « Ripetutamente gli Apostoli insi- stono sulla grazia, ma non operano mai la distinzione che indichi la diffe- renza fra la grazia gratuita e la grazia gratificante », aggiungendo nel 1522 l’espressione dal chiaro sapore antiluterano: « Esortano alle opere buone, senza distinguere però l’opera operante e l’opera operata ».

delle mosche, della calvizie e di altre calamità di questo ge- nere »31; di scritti, cioè, che appartengono al genere lette-

rario dell’“encomio paradossale”, in cui per l’appunto vengono lodati in maniera assurda e incredibile personag- gi e cose che, con tutta evidenza, non lo meritano, e la cui struttura oratoria per altro gode di maggiore libertà rispet- to alle altre forme più rigorosamente logiche dell’eloquen- za. In un certo senso Erasmo è tra i primi umanisti a rivita- lizzare questa forma letteraria, caduta in disuso nel Medioevo, adattandola in maniera originale alla situazione culturale del suo tempo32. Da altre indicazioni interne

all’Elogio emerge inoltre come la struttura concreta del- l’arringa di Follia si ispiri, in ultima analisi, al modello del- l’oratoria di Quintiliano33, mentre per quanto riguarda le

argomentazioni e gli assunti essa attinge continuamente ad autori greci e latini quali Virgilio, Omero, Orazio, Plinio e altri, ma specialmente Platone, Aristofane e Luciano34.

Rispetto, però, all’encomio paradossale della letteratu- ra classica – che anche in Aristofane o in Luciano trova a

31Elogio 3 b. 32Cfr. Miller, 16-17.

33A Quintiliano si collega, ad esempio, l’ironia di base dell’Elogio e

l’interesse sincero di Erasmo verso la capacità della vera retorica a pro- muovere il cristianesimo autentico. Sul rapporto con Quintiliano e il ge- nere letterario dell’“encomio paradossale” cfr. J. Chomarat, L’“Eloge de la

Folie” et Quintilien, in Information littéraire 2 (1972) 77-82; Th.C. Bur-

gess, Epideictic Literature, Chicago 1902, 157-166.

34Da Platone Erasmo mutua tra l’altro il mito della caverna (anche se

la Follia, nell’utilizzarne l’immagine, sostiene un modo di pensare diame- tralmente opposto a quello del filosofo greco), il tema dei Sileni di Alci- biade, la distinzione dei due generi di amore/pazzia; da Aristofane prende l’idea di una Follia che loda se stessa; da Luciano di Samosata attinge non soltanto lo sguardo panoramico sulle piccolezze e miserie umane, ma an- che la vivacità della Follia, la mordacità della sua denuncia dell’ipocrisia, della superstizione, dell’inganno, l’andamento gioioso dell’ironia. Di que- st’ultimo scrittore satirico greco Erasmo è entusiasta ammiratore e tradu- ce, già prima del 1506, assieme ad altre opere: Il Dialogo degli dei e Il Dia-

logo dei morti. Probabilmente nel corso di queste traduzioni matura in lui

volte la forma propria di Follia che loda se stessa – Erasmo introduce un elemento di novità, che rende in fondo il di- scorso più intricato, enigmatico, persino “ambiguo”, ma forse proprio per questo anche più brioso e avvincente: il fatto cioè che Follia sia a un tempo autrice e soggetto della propria orazione encomiastica35e che l’ironia neghi e af-

fermi se stessa contemporaneamente. Ciò porta a una “am- biguità” di linguaggio e di immagine di Follia36, che il let-

tore deve tenere sempre presente e sciogliere con cautela – come esorta lo stesso Listrius-Erasmo in più punti del suo Commentario – e la cui origine può essere individuata nel- la fusione, realizzata nell’Elogio, della duplice e contrap- posta interpretazione medievale del folle, peccatore irre- sponsabile da un lato e trionfatore sulla supposta saggezza del mondo dall’altro37; una interpretazione ambivalente

molto presente nella letteratura e nella società del ’50038e

plasticamente resa dalla figura allora di moda del folle di corte (spesso una figura femminile)39, ma anche dall’al-

trettanto diffusa “festa dei folli” con le sue liturgie dissa-

35Fa osservare a questo proposito W. Kaiser (cfr. The Praisers of Fol-

ly, Cambridge [Mass.] 1963, 36) che il genitivo Laus Stultitiae è a un tem-

po soggettivo e oggettivo. Sul tema della “ambiguità” e delle contraddi- zioni presenti nell’Elogio in relazione al concetto di folle-follia si veda, oltre a Kaiser (The Praisers, 35-50, 51-62), B. Könneker, Wesen und Wand-

lung der Narrenidee im Zeitalter des Humanismus: Brant-Murner-Erasmus,

Wiesbaden 1966, 255-260 e S. Dresden, Sagesse et folie d’après Érasme, in

Colloquia Erasmiana Turonensia, Paris 1972, I, 285-299.

36Se Follia elogia la follia, essa rimbalza su se stessa in modo che non

è più chiaro quando il sì diventa no e viceversa (vedi un esempio di tale “ambiguità” in Elogio 12).

37Sulla permanenza di questo e di altri elementi medievali nell’opera

di Erasmo cfr. Cl. Miller, Some Medieval Elements and Structural Unity in

Erasmus’ “The Praise of Folly”, in RQ 27 (1974) 499-511.

38Cfr. E. Welsford, The Fool: His Social and Literary History, London

1931, 35-40. Sulla combinazione della duplice rappresentazione del folle nell’Elogio, cfr. B. Swain, Fools and Folly during the Middle Ages and the

Renaissance, New York 1932, 135-156.

cratorie e i sermoni canzonatori40. Tale ispirazione di fon-

do spiega pure il tono e il carattere fortemente satirico e per certi versi amaramente ironico delle dichiarazioni fol- li/sagge che vengono messe in bocca a Follia.

In definitiva – come Erasmo stesso precisa, difenden- dosi dalle accuse dei suoi avversari – l’Elogio vuole essere un gioco letterario41, da prendere quindi con leggerezza e

non come un testo di teologia in senso stretto, il cui scopo però è ludico e serio a un tempo: con il linguaggio libero, paradossale, ironico e brioso del buffone/folle o di Follia in persona si vuol dire la verità (anche quando questa fa ma- le!) su vizi, follie e incoerenze della gente di ogni ceto e sta- to sociale ed ecclesiastico, e indicare altresì il senso più profondo della vita cristiana, affinché ciascuno torni a mo- dellarsi sulla forma primigenia della philosophia Christi. Una satira, quindi, – come è stata definita42– dotta e reli-

giosa, allegra e drammaticamente amara nello stesso tempo, impietosa e “ambigua” se si vuole, finalizzata però – come il Manuale e lo stesso opuscolo L’educazione del principe43

40Miller richiama l’attenzione anche su altre interessanti forme di

“festa dei folli”, a cui Erasmo si sarebbe ispirato nella sua satira perché a lui più familiari: il carnevale olandese, i Fastnachspiele tedeschi, e soprat- tutto la sottie e il sermon joyeux delle sociétés joyeuses francesi, molto fre- quenti in Francia negli anni nei quali Erasmo studiava a Parigi (1495- 1499), in cui buffoni/folli in costume (col berretto del folle, le orecchie d’asino e lo scettro del folle) facevano divertire gli ascoltatori, mescolando e scambiando dei non-sense con la farsa, col discorso morale, per dimo- strare che tutti, dal sovrano all’infimo dei sudditi, si è soggetti alla follia (cfr. Miller, 23-24).

41Erasmo lo chiama « facezia », « scherzo »: vedi Lettera dedicatoria b. 42Sulla natura satirica dell’Elogio, ispirata più a Orazio che a Giove-

nale (come Erasmo stesso dichiara nella Lettera dedicatoria), e i suoi limiti cfr. Carena, XVI-XVII. È da Orazio e dal suo detto « dire la verità riden- do » che Erasmo mutua la duplice natura dell’Elogio, di essere cioè uno scritto per divertire e per correggere, dicendo la verità.

43Contestando nella lettera di fine maggio 1515 gli addebiti mossigli da

Dorp nel settembre 1514, Erasmo precisa in modo inequivocabile: « Nel- l’Elogio della Follia non ho mirato a nient’altro che non fosse già stato lo

alla rigenerazione della societas christiana; un’opera e un in- tento per certi versi in linea con molti altri scritti satirici e burleschi e con una predicazione riformatrice allora in vo- ga, in cui veniva utilizzata la maschera di Follia, dandole vo- ce, oppure usata l’ironia pungente per stigmatizzare vizi e malcostume nel tentativo di elevare moralmente gli uomini. Basti pensare al Narrenschiff (la nave dei folli) di Sebastian Brant44, alle caustiche satire di Gerhard Geldenhauer45, al-

scopo, anche se per una strada diversa, delle altre mie fatiche letterarie: nel

Manuale ho semplicemente descritto il modello della vita cristiana; nell’o-

puscolo Sull’educazione del principe, offro chiare istruzioni sui mezzi con i quali è bene che un principe venga istruito; nel Panegirico, sotto il pretesto della lode, faccio indirettamente la stessa cosa che apertamente ho fatto nel- l’Educazione del principe. Nell’Elogio della Follia, poi, viene trattato esatta- mente il medesimo argomento, che è stato esposto nel Manuale, ma ricor- rendo al genere faceto. Ho voluto dare moniti, non essere mordace; fare il bene, non danneggiare; contribuire a formare la moralità degli uomini, non a ostacolarla »: vedi più avanti, Appendice II e.

44Il Narrenschiff (1494) era in effetti una composizione poetica, nella

quale Brant metteva alla berlina le pazzie e i vizi del suo tempo. Non le pazzie nel significato più comune del termine, ma anche i crimini e i vizi, considerati secondo la mentalità medievale come delle follie. Per cui, ac- canto ai pazzi veri e propri, nel Narrenschiff appaiono usurai, giocatori d’azzardo, adulteri. Brant dedicò un capitolo a ogni particolare forma di follia (112 in tutto). Nel c. 99, Il declino della fede, l’autore, che qui riveste i panni del folle, lamenta la devastazione a cui è sottoposta la fede cristia- na a causa delle eresie e dei Turchi, la scomparsa della fede cristiana in Asia, in Oriente e in Africa, ecc. Il poema ebbe un enorme successo in Germania: furono pubblicate molte edizioni in brevissimo tempo. Tradot- to in latino da Jacob Locher nel 1497, ebbe una diffusione ancora più grande. Sebastian Brant era nato a Strasburgo nel 1457. Aveva frequenta- to i primi studi di filosofia e di giurisprudenza a Basilea e nel 1489 era di- ventato dottore in utroque jure. Fu autore di molti poemi in latino e in te- desco, nei quali esponeva i suoi ideali religiosi e civili. Dopo l’elezione di Massimiliano a imperatore, sostenne l’idea di una restaurazione del Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca. Nel 1494 pubblicò il poema Nar-

renschiff che lo rese famoso. Di fronte all’esplodere del movimento lute-

rano mantenne una totale indifferenza. Morì a Strasburgo nel 1521.

45Gerhard Geldenhauer nacque nel 1482 ca. e morì nel 1542. Umani-

sta, originario di Nimega, perciò chiamato Noviomagus, nel 1515 fu nomi- nato cappellano del principe Carlo (il futuro Carlo V) e successivamente se- gretario di Filippo di Borgogna. Nel 1517 divenne segretario del vescovo di

la sferzante predicazione di Johann Geiler von Kaysersberg46

o anche allo scherzo letterario delle Lettere degli uomini oscuri (1514-1517)47.

Come il titolo stesso mostra, l’Encomion Moriae o Stulticiae laus è un discorso encomiastico che Follia, per- sonificata in una donna vestita da folle-buffone, fa di se stessa davanti a un pubblico, che in qualche modo rap- presenta tutta l’umanità, in una sorta di cerimonia inizia- tica al suo “culto” (alla fine gli ascoltatori vengono chia- mati « illustrissimi iniziati alla Follia »)48.

Utrecht. Dopo un breve periodo di permanenza a Wittenberg, nel 1525 ca. passò alla riforma protestante e nel 1527 si sposò. Dal 1532 sino alla morte insegnò storia e teologia a Marburgo. Compose otto Satire, che furono edi- te nel 1515 per i tipi di Thierry a cura di Dorp (che ne scrisse una prefazio- ne elogiativa) col titolo Gerardi Noviomagi Satire VIII a Martino Dorpio ap-

probatae ad verae religionis cultores. Oltre alle Satire Geldenhauer scrisse il De Batavorum insula (1520) e una Institutio scholae cristianae (1534).

46Il predicatore di Strasburgo Johann Geiler von Kaysersberg utilizzava

volentieri il poema allegorico della “Nave dei folli” di Brant nei suoi sermoni. Era nato a Shaffhausen nel 1445. Studente e docente di filosofia all’università di Friburgo i. B. e ordinato sacerdote nel 1470, ottenne il dottorato in teolo- gia (1475) all’università di Basilea. Divenuto predicatore a Strasburgo (1478), predicò nel rozzo dialetto popolare, con un linguaggio crudo e umoristico. Criticò in maniera aspra e senza peli sulla lingua le autorità ecclesiastiche, stigmatizzando i loro vizi, in particolare la secolarizzazione e la immoralità del clero e dei monaci. Riformatore della Chiesa, amico di Sebastian Brant, uma- nista colto e predicatore ascoltato, morì a Strasburgo nel 1510.

47Questo scritto – per un certo tempo attribuito erroneamente allo stes-

so Erasmo ma scritto invece da Ulrich von Hutten e dai suoi amici – attacca- va in maniera canzonatoria Pfefferkorn e gli altri avversari dell’ebraista tede- sco Johannes Reuchlin. Apparse anonime in una prima serie nel 1515 e in una seconda nel 1517, e redatte in un latino rozzo e burlesco, le finte Episto-

lae si rivolgevano a uno dei teologi di Colonia. In esse i suoi allievi e amici si

lagnavano di essere stati presi in giro e minacciavano vendetta, evidenziando in tal modo la loro natura canzonatoria. Cfr. Augustijn, Erasmo, 152.

48In Elogio 68 b. Per la struttura e le articolazioni dell’Elogio cfr.

W.A. Rebhorn, The Metamorphoses of Moria: Structure and Meaning in the

“Praise of Folly”, PMLA 89 (1974) 463-476; R. Sylvester, The Problem of Unity in the “Praise of Folly”, in English Literary Renaissance 6 (1976) 125-

139; D.G. Watson, Erasmus’ ”Praise of Folly” and the Spirit of Carnival, RQ 32 (1979) 333-353.

Follia si presenta subito (cc. 1-6) come benefattrice dell’umanità – al solo farsi avanti per prendere la parola, la sua presenza ha provocato allegria e buon umore tra gli ascoltatori – e pertanto assolutamente degna di lode. Lo- de, però, che nessuno mai per somma ingratitudine le ha tributato; ragion per cui si vede costretta a tessersi da so- la il meritato panegirico con spontaneità e verità.

Seguendo i canoni della teoria retorica classica, Follia apre con un Proemio (cc. 7-10), in cui spiega il proprio nome, genealogia, lignaggio, natali, educazione, e presen- ta la schiera di parenti e assistenti che abitualmente l’ac- compagnano e con lei collaborano: Filautía (amor pro- prio)49, Kolakía (adulazione), Lete (oblio), Misoponía

(pigrizia), Edoné (piacere), Ánoia (irriflessione), Trufé (mollezza), Como (allegria), Ipno (letargo).

Passa poi a dimostrare, in una prima parte abbastanza lunga (cc. 11-47), che a lei si deve tutto quanto esiste nel mondo. La vita stessa e i suoi beni sono doni di Follia. È lei che prolunga la giovinezza e rende sopportabile la vec- chiaia (cc. 13-14), che fa attraenti le donne (c. 17), rallegra i conviti (c. 18), rinsalda le amicizie (c. 19), concilia i matri- moni (c. 20), rafforza l’autostima. A lei si devono la gloria della guerra (c. 23), la vita comune, l’impegno civile (c. 24), lo stato, l’arte, alcune professioni scientifiche (c. 28). For- se che la saggezza dei filosofi – chiede (ironicamente) Follia – ha mai procurato benessere? Non è forse vero che, viceversa, ha ostacolato l’affermazione di sé? Chi può ne- gare che i più felici fra gli uomini siano proprio i folli/stol-

49Il personaggio di Filautía torna spesso nel discorso di Follia e gio-

ca un ruolo importante per la stessa comprensione dell’Elogio. Il termine greco ha molti significati: amore di se stesso, amor proprio, egoismo, va- nità egocentrica, presunzione egoistica, ecc. Qui abbiamo preferito ren- derlo con “amor proprio” perché ci sembra esprima meglio quell’accezio- ne moderatamente negativa sottintesa da Erasmo dietro l’ambiguità del discorso encomiastico di Follia. “Egoismo”, poi, suonerebbe troppo ne- gativamente marcato sul piano morale.

ti, dal momento che soltanto loro sono liberi da ogni pau- ra creata dalla cultura, dal pudore, dal timore della morte? Dopo aver distinto la pazzia violenta e tragica, che porta gli uomini alla rovina, da quella che invece arreca tanti be- nefici all’umanità e che a lei fa capo, mostra in una sezione più palesemente satirica (cc. 39-47) diverse forme di pazzia (ironicamente) desiderabili: quella dei mariti ingenui, dei cacciatori fanatici, dei costruttori incauti, degli alchimisti fissati, dei giocatori accaniti (c. 39); ma altresì dei supersti- ziosi creduloni (cc. 40-41), perché Follia presiede anche al- la stessa pratica religiosa, influenzando la credenza mira- colistica della gente (su cui speculano poi i predicatori e i preti), il devozionismo verso i santi, rassicurante ma con- trario a ogni buon senso, il mercimonio delle indulgenze. In definitiva, conclude Follia, l’animo umano è fatto in mo- do tale da essere soggiogato più dalla finzione che dalla ve- rità (c. 45 a) e più dall’apparenza che dalla realtà.

Il discorso satirico, ormai introdotto, prosegue in tutta la seconda parte dell’Elogio (cc. 48-60)50, mettendo in ridi-

colo i diversi ceti e gruppi sociali, tutti fedeli adoratori di Follia senza eccezione alcuna. Così dall’alto del suo “olim- po” e al di sopra della mischia, esibisce tra il divertito e il canzonatorio le innumerevoli forme di follia della gente co- mune (c. 48), soffermandosi però a descrivere in modo par- ticolare quelle proprie dei rappresentanti della cultura e del potere, secolare e religioso: comincia con i grammatici pre- suntuosi e pignoli (c. 49), i poeti adulatori e bizzarri, i reto- ri propugnatori e teorizzatori della risata, gli scrittori pla- giari e impostori (c. 50); passa poi ai giuristi boriosi e

50Che il discorso si sia trasformato ormai da encomio in satira lo am-

mette la stessa Follia alla fine di questa seconda parte, quando decide di non proseguire nel passare sotto esame la vita dei pontefici e dei sacerdo- ti: «…perché qualcuno non abbia l’impressione che sto componendo una satira anziché pronunciare il mio encomio, e affinché nessuno pensi che biasimo i principi onesti, mentre lodo i disonesti »: Elogio 60 c.

imbroglioni, ai dialettici e ai sofisti chiacchieroni, litigiosi e ostinati (c. 51), ai filosofi della natura (cosmologi e astro- logi) ignoranti, pasticcioni e ciarlatani (c. 52); prosegue quindi con i sovrani incoscienti e amanti unicamente del proprio benessere e divertimento (c. 55), i cortigiani vana- gloriosi e ruffiani (c. 56). Ai teologi (c. 53), ai monaci (c. 54) e alla gerarchia ecclesiastica (cc. 57-60) Follia dedica la par- te più appassionata, a tratti veemente, della sua arringa sati- rica e ironica, lasciando intravedere di aver ceduto il posto di spettatrice distaccata a Erasmo, che mal sopportava in- vece la situazione della teologia e della Chiesa.

I teologi (c. 53) – sottolinea con amarezza – non rico- noscerebbero mai il loro debito a Follia, altezzosi e su- perbi come sono; eppure da lei hanno ricevuto tanti be- nefici, a cominciare dalla Filautía (l’amor proprio) che li rende felici nonostante siano assolutamente indegni del nome che portano e inidonei alla funzione che svolgono. Fanno teologia, infatti, a loro uso e consumo, occupan- dosi di questioni assolutamente astruse, ridicole e futili e spiegando i misteri della fede seguendo il capriccio: i lo- ro assunti morali e le sottigliezze di scuola sono talmente assurdi che persino gli apostoli sarebbero risultati (para- dossalmente) ignoranti davanti alle scuole di teologia; né dalle loro distinzioni teologiche si sarebbero salvati Cri- sto e gli apostoli. Inoltre, ignorano completamente il Vangelo e quando ricorrono alla Scrittura ne manipolano il senso come loro aggrada, senza farsi alcuno scrupolo, ma al contrario sentendosi le colonne portanti della Chie- sa e i suoi salvatori. Esigono che le posizioni teologiche da loro sostenute siano legge per tutti e diventano censo- ri intransigenti di quanti non le condividono, pretenden- do che siano queste a formare il vero cristiano e non la Scrittura, i Padri e gli stessi grandi teologi medievali co- me Tommaso d’Aquino. Nel parlare e nello scrivere sono privi di una pur minima finezza letteraria: aborrono la grammatica e la considerano incompatibile con l’inter-

pretazione della parola di Dio. Ciononostante si conside- rano grandi teologi e sono gelosissimi dei loro appellativi onorifici, che pretendono tassativamente dalla gente.

Dei monaci (c. 54) – un’altra categoria assieme ai teo- logi debitrice a Follia di quello stato di felicità incosciente che permette loro di reggere le contraddizioni di una falsa e indegna vita monastica – Follia (= Erasmo) stigmatizza il fanatismo, l’ignoranza, il devozionismo farisaico. Costoro identificano il massimo della pietà con l’essere totalmente analfabeti, per cui sono tanto ignoranti da non capire nep- pure una parola di quello che cantano in coro. Sono spor- chi, stolti, rozzi e impudenti, e nondimeno ritengono di es- sere copie fedeli degli apostoli. Si preoccupano in modo

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 56-72)