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Insomma, senza di me, nessun rapporto sociale,

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 172-178)

ELOGIO DELLA FOLLIA

21. Insomma, senza di me, nessun rapporto sociale,

bile. Tanto è vero che il popolo non sopporterebbe a lun- go il suo principe, il servo il suo padrone, l’ancella la sua signora, il discepolo il maestro, l’amico il proprio amico, la moglie il marito, il proprietario l’inquilino, il compa- gno il proprio compagno, il commensale l’altro commen- sale, se volta a volta l’inganno, l’adulazione, la prudente indulgenza e, per così dire, la lusinga del miele della fol- lia non fossero reciproci. So bene che già queste vi sem- brano enormità, ma ne sentirete di più grosse.

22. (a) Ditemi di grazia: potrà mai amare qualcuno chi

odia se stesso? Potrà forse andare d’accordo con qualcun altro chi sia interiormente combattuto? Potrà mai riuscire piacevole a qualcuno chi risulti noioso e molesto a se stes- so? Credo che nessuno lo potrebbe sostenere, a meno che non fosse più folle della stessa Follia. Ma, se si mettesse da parte la follia, nessuno potrebbe più sopportare l’altro: ognuno avrebbe disgusto e ribrezzo di sé e di quanto lo ri- guarda, risultando odioso a se stesso. La Natura, infatti, per molti aspetti più matrigna che madre, ha impresso un tratto negativo nel temperamento dei mortali, soprattutto di quelli un po’ più intelligenti: la scontentezza di sé e l’ammirazione per gli altri. Ragion per cui tutti i beni, le fi- nezze e ogni decoro della vita si corrompono e finiscono per svanire. A che gioverà infatti la bellezza, il più grande dono degli dèi immortali, se viene guastata dall’acidità del carattere? A cosa la gioventù, se viene infettata dal veleno del malumore senile? Infine, come potrai agire in modo conveniente con te stesso o con gli altri nei diversi mo- menti della vita (il decoro in ciò che si fa, infatti, è la cosa più importante in ogni atto, non solo nell’arte), se non ti assisterà Filautía, che davvero è come una sorella per me, tale è il fervore con cui sempre sostiene la mia causa?68.

68Cfr. l’invettiva di Erasmo contro l’amor proprio nel Manuale del

Cosa può essere così folle come l’essere soddisfatti di sé o l’ammirarsi? Ma, d’altra parte, come potrà essere bello, gradevole e nobile ciò che tu fai senza esserne soddisfat- to? Togli alla vita questo condimento e immediatamente l’oratore perderà ardore nel parlare, a nessuno piacerà il musicista con le sue melodie, l’attore verrà fischiato assie- me alla sua recitazione, il poeta verrà deriso assieme alle sue Muse, il pittore sarà disprezzato con la sua arte, farà la fame il medico con i suoi farmaci. Alla fine invece di Ni- reo sembrerai Tersite69, invece di Faone Nestore, invece

di Minerva una scrofa, invece di facondo oratore uno in- capace di parlare, invece che un educato cittadino uno zo- ticone. È necessario, quindi, che ognuno lusinghi se stes- so e che, con una punta di adulazione, a se stesso si raccomandi, prima di poter essere raccomandato ad altri. (b) Infine, poiché la componente più importante del- la felicità consiste nel voler essere ciò che si è, è chiaro che solo la mia Filautía può assicurare per la via più bre- ve che nessuno sia scontento del proprio aspetto, del pro- prio carattere, della propria stirpe, della propria posizio- ne, del proprio stile di vita, della propria patria, al punto che un Irlandese non vorrebbe scambiarsi con un Italia- no, un Trace con un Ateniese, uno Scita con un abitante delle Isole Fortunate. Impareggiabile solerzia della Natu- ra, che in tale varietà ha fatto in modo che tutto stesse sul- lo stesso piano! Dove è stata avara di doni, lì è solita ag- giungere un po’ più di Filautía.

(c) Ma è davvero una follia quella che ho detto: è pro- prio questo il suo dono più grande! Per non parlare poi del fatto che non si può compiere nessuna azione di un qualche rilievo senza il mio stimolo, né sarebbero mai sta- te inventate le nobili arti senza che io ne fossi l’artefice.

69Secondo Omero, Nireo era il più bello (escluso Achille) e Tersite il

23. (a) Non è forse la guerra la fonte e il coronamen-

to di ogni celebrato atto eroico?70. Cosa c’è di più folle,

infatti, dell’affrontare per motivi insignificanti uno scon- tro dal quale entrambe le parti traggono più danno che vantaggio? A proposito dei caduti, poi, non si spende nemmeno una parola, come fossero Megaresi71. Quando

le schiere armate si sono disposte sui rispettivi fronti e le trombe hanno fatto echeggiare il loro rauco suono, chi mai, di grazia, si avvarrà di codesti sapienti che, sfiniti da- gli studi, con un sangue povero e privo di ardore, respi- rano a mala pena? C’è bisogno di persone in carne e ben piazzate, piene di audacia e senza cervello. A meno che qualcuno non preferisca come soldato Demostene che, seguendo il suggerimento di Archiloco, visti i nemici, fuggì abbandonando lo scudo, soldato vile quanto valen- te oratore72.

(b) Ma la prudenza, dicono, in guerra ha una gran- dissima importanza. Ammetto che essa, nel suo valore militare e non filosofico, conti in chi comanda; per il re- sto, un’impresa tanto gloriosa viene compiuta da parassi- ti, ruffiani, briganti, sicari, contadini, imbecilli, debitori, e altri rifiuti di questo tipo, non da filosofi che vegliano alla [luce della] lucerna.

70Appare evidente in questa esaltazione della guerra e dell’ideale

eroico della forza bruta l’ironia ambigua che caratterizza l’Elogio, se si tie- ne conto del dichiarato pacifismo di Erasmo (cfr. il Panegirico di Filippo: ASD, IV/1, [3] 23-93; Adagi, IV/i, n. 3001: La guerra è dolce per coloro che

non la conoscono: ASD, II/7, 11-44; Il lamento della pace: ASD, IV/2, [3],

61-100).

71I Megaresi venivano disprezzati dai Greci come gente di poco conto. 72Il riferimento è all’episodio, riportato da Plutarco nelle Vite, 855A,

secondo cui Demostene in modo vile fuggì dalla battaglia di Cheronea; e all’altro attestato in un epigramma dallo stesso protagonista, Archiloco, che per salvarsi abbandonò il campo di battaglia gettando lo scudo. Ar- chiloco (VII sec. a.C.), poeta greco di Paro, fu autore di liriche e inni. De- mostene (384-322 a.C.), grande oratore greco e figura di primo piano nel- la politica di Atene, sua patria, ha lasciato molte e celebri orazioni: di particolare rilievo il discorso Per la corona (330 a.C.).

24. (a) Quanto inutili siano questi ultimi rispetto a

qualunque situazione pratica, può testimoniarlo lo stesso Socrate73, che è stato indicato dall’oracolo di Apollo74,

con assoluta mancanza di saggezza, come il sapiente per eccellenza75: quando tentò di assolvere a non so quale

pubblico ufficio, dovette ritirarsi in mezzo alle risate ge- nerali. Bisogna dire che questo personaggio non era folle del tutto, in quanto rifiutò il titolo di saggio, attribuendo- lo solo a Dio, e sostenne che il sapiente deve astenersi dal- la politica; anche se avrebbe fatto meglio a insegnare che chiunque desideri essere annoverato fra gli uomini deve tenersi lontano dalla sapienza. Del resto, che cosa, se non la sapienza, lo indusse a bere la cicuta quando venne pro- cessato? Infatti, mentre filosofava sulle nuvole e sulle idee, mentre misurava i piedi delle pulci, mentre ascoltava am- mirato il ronzio delle zanzare, non imparava ciò che ri- guarda la vita di tutti i giorni76. Ma ecco che al maestro in

pericolo di vita viene in soccorso il suo discepolo Platone, difensore così valente che, intimorito dalle urla della folla, a mala pena poté pronunciare una mezza frase77. Cosa di-

73Filosofo ateniese vissuto tra il 469-399 a. C., Socrate fu maestro di

Platone. Denunciato nel 399 per empietà e corruzione dei giovani (forse per il suo insegnamento spregiudicato), subì il processo e la condanna a morte, che eseguì da se stesso bevendo la cicuta. Non scrisse nulla; testi- mone della sua vita e del suo pensiero fu Platone.

74Figlio di Zeus e Latona, Apollo era il dio protettore delle arti. Il suo

culto era fiorente a Delfo e a Mileto.

75Cfr. Platone, Apologia 21d, 36b-d.

76La rappresentazione caricaturale del “pensatoio” socratico è mu-

tuata da Aristofane (cfr. Nuvole). Bisogna dire però, come osserva Petruz- zellis (cfr. Petruzzellis, 54 nota 3), che « nonostante l’ambiguità del di- scorso e le critiche che la Follia non risparmia a Socrate per essere in carattere, traspare tuttavia nella lode della sobria sapienza di Socrate l’am- mirazione di Erasmo che, nelle controversie teologiche, cercò di seguirne lo spirito, evitando eccessi e presunzioni. Più che Luciano il suo vero mo- dello è Socrate ».

77L’episodio si trova nelle Vite e dottrine dei filosofi celebri II, 41, di

re, poi, di Teofrasto?78. Come avrebbe potuto animare i

soldati in guerra, lui che, presentatosi a parlare, ammutolì di colpo come se improvvisamente avesse visto un lupo? Isocrate, a causa della timidezza del suo carattere, non osò neppure aprire bocca. Marco Tullio [Cicerone], padre dell’eloquenza romana, esordiva sempre con un’esitazione veramente indecorosa, balbettando come un bambino79;

balbettio che Fabio [Quintiliano]80interpreta invece co-

me indice di un oratore avveduto e cosciente del pericolo. Ma, dicendo ciò, non ammette esplicitamente che la sa- pienza è d’ostacolo alla soluzione dei problemi pratici? Cosa faranno costoro quando bisognerà prendere effetti- vamente in mano le armi, se muoiono di paura quando si tratta di combattere semplicemente a parole?

(b) E con tutto questo si plaude, a Dio piacendo, alla famosa massima di Platone secondo cui fortunati saranno gli stati se a governarli verranno chiamati i filosofi o se i governanti si daranno alla filosofia81. E invece, se consul-

terai gli storici, troverai viceversa che per uno stato non

78Filosofo peripatetico greco (372-287 a.C.), successe ad Aristotele

nella direzione della scuola. Fu autore di opere filosofiche e scientifiche. Di grande finezza psicologica sono i noti Caratteri umani, in cui ritrae al- cuni tipi di uomini.

79Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), oratore, prosatore, uomo po-

litico e filosofo romano, fu autore di importanti orazioni, di opere retori- che e di scritti filosofici. Di lui ci è rimasto un vasto epistolario. A Cicero- ne Erasmo si è ispirato nella sua formazione retorica e umanistica in generale, come dimostrano le innumerevoli citazioni di scritti ciceroniani presenti nell’Elogio (Discussioni tuscolane, Epistola ad Attico, L’oratore,

Sui limiti del bene e del male, La retorica per Ennio, Lettere ai familiari, Di- spute accademiche, Contro Pisone, Lettere al fratello Quinto, Sulle leggi, Sull’amicizia).

80Marco Fabio Quintiliano (ca. 35-95 d.C.), scrittore latino di origi-

ne spagnola, scrisse il più ampio e organico trattato di retorica dell’anti- chità, La formazione dell’ oratore, che molta fortuna ebbe nel Medioevo e nel Rinascimento. Nei 12 libri dell’opera Quintiliano esamina la forma- zione culturale dell’oratore.

81Platone, Repubblica V,473d; riferimento anche in Educazione del

sono esistiti governanti peggiori di quando il potere è ca- duto nelle mani di un filosofastro o di un letterato. Di ciò, credo, danno testimonianza i due Catoni: uno turbò la tranquillità della repubblica con le sue folli denunce, l’al- tro, nello stesso momento in cui rivendicava con eccesso di sapienza la libertà del popolo romano, la sconvolse dalle fondamenta. Aggiungi a costoro i Bruti, i Cassi, i Gracchi e Cicerone stesso, che non fu per la repubblica romana meno funesto di quanto lo fu Demostene per quella ateniese. Marco Antonio82, poi, ammesso pure che

sia stato un buon imperatore (potrei, infatti, indurvi ad ammettere che sia stato molesto e inviso ai cittadini pro- prio per la nomea di filosofo tanto impegnato), ammesso pure che lo sia stato, di certo fu più funesto per lo Stato lasciando un figlio di tal fatta, di quanto le sia stato pro- pizio con la sua amministrazione. Infatti, questa categoria di uomini che si è dedicata allo studio della filosofia di so- lito risulta, come in tutto il resto, sfortunatissima anche nel mettere al mondo i figli, grazie al fatto, credo, che la Natura, lungimirante, fa in modo che questa calamità che è la filosofia non si diffonda troppo fra i mortali83. Risul-

ta così che Cicerone ebbe un figlio degenere e che il fa- moso filosofo Socrate, come qualcuno ha scritto in modo davvero efficace84, ebbe dei figli più somiglianti alla ma-

dre che al padre, cioè stolti.

Nel documento Erasmo da Rotterdam (pagine 172-178)