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ESPERIENZE DI CURA NELL’AMBITO NAZIONALE

Nell’ultimo decennio, pur in assenza di un riconoscimento ufficiale, numerose ASL nelle Regioni italiane, soprattutto al Nord, si sono attivate nel cercare di fornire una risposta, spesso coadiuvate anche da associazioni private.

All’interno della ricerca sulla letteratura nazionale non sono stati rilevati studi indicizzati e con valutazione di ef- ficacia rispetto ai trattamenti per gioco d’azzardo patologi- co. La maggior parte dei lavori fa riferimento alla letteratu- ra internazionale. Ci sono tuttavia diverse ricerche utili ad analizzare l’offerta presente sul territorio italiano rispetto a tale problematica, anche se la presente trattazione non può sicuramente definirsi esaustiva di tutte le esperienze trattamentali.

Serpelloni (2013) individua, a tal proposito, diverse pro- blematiche all’interno della situazione nazionale: dall’e- terogenità degli interventi terapeutico-riabilitativi nonché degli strumenti utilizzati per la valutazione diagnostica, dei trattamenti e della valutazione dell’esito, all’assenza di linee di indirizzo, protocolli e coordinamento nazionale per poter attivare efficaci ed efficienti interventi di cura e riabilitazione.

L’offerta di trattamento, tuttavia, si è sicuramente svilup- pata molto negli ultimi anni, parallelamente all’aumentare delle richieste di aiuto, con il coinvolgimento sia del servi- zio pubblico che di realtà diversificate del privato sociale, residenziale e non, che sono state probabilmente le prime ad interessarsi alla problematica.

Questo interessamento è stato verosimilmente motivato da richieste cliniche più che istituzionali e i Servizi si sono trovati a dover rispondere ad una nuova domanda organiz- zando autonomamente delle risposte, in gran parte utiliz- zando l’importante esperienza maturata nel campo della dipendenza da sostanze. La trasposizione e l’adattamento d’interventi precipuamente rivolti alle dipendenze nel trat- tamento del gioco d’azzardo patologico sembra aver segui- to un percorso inizialmente “automatico”, legato cioè all’i- niziativa degli stessi operatori sociosanitari che, sulla base della loro esperienza nel campo delle dipendenze patolo- giche, si sono trovati ad affrontare la patologia del gioco d’azzardo. Solo successivamente, si è fatta strada l’esigenza di sottoporre a verifica empirica di ciò che sembrava “auto- maticamente” funzionare (Conte et al. 2012).

Tuttavia tale offerta non risulta omogenea sul territorio italiano (Picone 2010) e la configurazione attuale dell’ erogazione di trattamento per GAP è estremamente fram- mentaria, per lo più lasciata all’iniziativa dei singoli Servizi e Dipartimenti, prevalentemente dell’area della patologia delle dipendenze (CCM 2012).

I dati che emergono nell’ambito dello studio “L’Italia che gioca” evidenziano che tra i Servizi pubblici che hanno par- tecipato all’indagine, il 70% circa è organizzato per acco- gliere domande di trattamento legate al GAP. Nel 2007 ri- sultavano in trattamento 1259 persone, la metà delle quali per una problematica pura di GAP, il rimanente in condi- zioni di comorbilità, vale a dire in associazione con altre problematiche psichiatriche di vario tipo (disturbi d’ansia, del’umore, di personalità, ecc.).

Per quanto riguarda le tipologie di trattamento, la maggior parte degli interventi riguardavano l’ascolto, il counsel- ling e la psicoterapia individuale, seguiti dal trattamento farmacologico, mentre risultavano poco superiori al 50% quelli riferiti a counselling telefonico, psicoterapia di cop- pia e interventi di tipo psicoeducativo.

Rispetto invece alla rete dei servizi privati, si è evidenziata una maggior densità assistenziale nelle regioni del Nord e, tra i trattamenti erogati, l’ascolto risulta essere il trat- tamento più comune, seguito da interventi di counselling effettuati all’interno della struttura. Si attestano intorno al 40% i trattamenti di psicoterapia di gruppo e psicoeduca- tivi, mentre risultavano al 30% gli interventi psicoterapici individuali e di coppia, il trattamento farmacologico, quello familiare e quelli eseguiti nei gruppi di auto mutuo aiuto (CCM 2012).

Secondo la ricognizione effettuata da FeDerSerd nel 2012, solo quattro regioni hanno disciplinato la materia con atti deliberativi di formalizzazione di compiti e funzioni, in tutte le altre sono state alcune singole aziende sanitarie a prendere provvedimenti formali, ma nelle assoluta mag- gioranza dei casi l’iniziativa è stata demandata ai direttori di dipartimento e ai capi servizio, che hanno eventualmen- te provveduto alla riorganizzazione delle risorse.

Secondo tale indagine si stimano circa 6.000 persone in trattamento nell’anno 2011 presso i servizi pubblici. L’in- dagine effettuata dal dipartimento Politiche Antidroga re- lativa ai soggetti trattati presso i Dipartimenti delle Dipen- denza ha invece rilevato nello stesso anno 4544 soggetti (Serpelloni 2013).

In mancanza di riferimenti normativi generali, l’offerta di trattamento è eterogenea, organizzata con modalità diverse e distribuita in modo non uniforme sul territorio nazionale. Solo alcuni Servizi sarebbero in grado di predisporre uno spazio e un tempo di trattamento specifico per i soggetti con patologia da gioco, ma la maggior parte non è in condi- zioni di differenziare l’offerta di cura in procedure separate dal resto dei pazienti.

FeDerSerd si è attivata per creare una rete di cura sul terri- torio nazionale (Giocaresponsabile)197 e ha censito nel 2012 la presenza di 197 Ser.D. attivi nel trattamento del GAP. L’a- nalisi delle strutture ha permesso di evidenziare come in al- cune regioni la quasi totalità dei Ser.D. ha ambulatori e uni- tà di offerta per la cura del gioco patologico, mentre in altre l’offerta appare carente rispetto alla richiesta. La maggior parte di tali servizi funziona in regime gratuito. Sono inol- tre state censite 123 strutture del privato sociale (o liberi professionisti) attive nel trattamento del gioco patologico. Il tipo di prestazioni fornite comprende counselling, test di valutazione diagnostica, sostegno/supporto psicologi- co, sostegno/supporto familiare, psicoterapia di coppia, assistenza/consulenza medica con eventuale trattamento farmacologico, assistenza sociale, sostegno educativo, as- sistenza/consulenza legale con valutazione della situazione debitoria, inserimento in CT, invio a gruppi di autoaiuto. Nell’indagine sulle modalità di accoglienza in Piemonte (Angelino et al. 2012) si evidenzia l’assenza di linee guida diffuse e condivise, tuttavia le modalità di intervento, per via del comune substrato in cui nascono (i Servizi per le tos- sicodipendenze) sono sostanzialmente uniformi.

In tale lavoro sono state indagate le modalità dei Ser.D. piemontesi rispetto a composizione delle equipe multidi- sciplinari, la durata della fase di accoglienza, le tipologie di interventi offerti e le indicazioni rispetto alla tipologia del trattamento del sintomo.

Si è evidenziato che nella maggior parte dei casi il persona- le delle equipe che si occupano di GAP è formano da pro- fessionisti dei Servizi per le dipendenze, con un impegno orario limitato o su richiesta. L’impegno maggiore è a carico di operatori di area psicosociale (educatore, assistente so- ciale e psicologo), con coinvolgimento della figura medica in eventuale seconda battuta.

Rispetto ai trattamenti proposti, i servizi propongono, dopo la fase di assessment che mediamente prevede tre collo- qui, percorsi psicoterapici (individuale, di coppia o di grup-

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po), accanto a eventuale trattamento psicofarmacologico o inserimento residenziale. È inoltre problematizzata l’im- portanza di un coinvolgimento precoce della famiglia, che spesso, versando in una situazione economica deficitaria, è sin dall’inizio portatrice attiva di una richiesta di aiuto. Per quanto riguarda le realtà residenziali sono presenti di- verse strutture, alcune specificamente ed esclusivamente dedicate al gioco o dipendenze senza sostanze, ed altre, con una storia nel trattamento della dipendenza da sostan- ze o alcol, che hanno saputo adattare o riadattare il proprio sapere e le proprie caratteristiche anche al trattamento del gioco patologico.

Guerreschi (2003) propone un programma multimodale di trattamento, che integra diversi tipi di intevento, sia di tipo psicoeducativo-motivazionale che psicoterapici indi- viduali, di coppia e di gruppo, nonché psicofarmacologici, sulla base di un programma terapeutico mutuato da Lesier e Blume e adattato alla realtà italiano. Agli interventi più propriamente clinici si aggiungono interventi di tutorag- gio e di consulenza legale rispetto alla situazione debitoria eventualmente in essere.

La comunità Orthos propone un intervento residenziale breve con un programma intensivo fondato su un quadro di riferimento di tipo psicoterapico a orientamento gestal- tico-umanistico. I destinatari del programma devono tutta- via essere in grado di sostenere tale tipo di proposta e di conseguenza le situazioni più invalidanti dal punto di vista psicopatologico (dipendenze multiple o disturbi importanti di personalità) e psicosociale non sono eligibili a tale tipo di trattamento (Zerbetto 2010).

Il programma di Villa Soranzo prevede una particolare at- tenzione per il trattamento con pazienti con problematiche di Gioco Patologico, e si basa sull’associazione di gruppi specifici e l’esplorazione dei vissuti personali a livello indi- viduale, che permetterebbe una ristrutturazione cognitiva funzionale, uno sviluppo dell’autostima e l’elaborazione di un progetto di vita maggiormente aderente alla realtà. Elementi evidenziati come prognosticamente sfavorevoli risultano essere la presenza di comorbilità psichiatrica gra- ve, il deterioramento sociale gravissimo, comportamenti antisociali gravi, problemi organici che richiedano un inter- vento specifico o procedimenti giudiziari in atto (Cibin et al. 2012).

Conte (2012), presentando un modello di trattamento te- rapeutico-riabilitativo di gruppo rivolto a persone affette da gioco d’azzardo patologico all’interno di una struttura di tipo semi-residenziale, ha effettuato una prima analisi di efficacia. Tale modello, dopo la fase di assessment dia- gnostico, prevede come primo step l’inserimento in un gruppo terapeutico-riabilitativo omogeneo, il cui obiet- tivo consiste nel raggiungimento e nel mantenimento dell’astensione dal gioco e successivamente un secondo intervento di gruppo finalizzato a potenziare le Life Skills,

l’autoregolazione emotiva e la consapevolezza dei propri pensieri, azioni e motivazioni attraverso l’insegnamento della mindfulness.

Tale modello integra approcci mutuati dal modello dei GA con elementi del colloquio motivazionale del modello transteoretico di cambiamento di Prochaska e Di Clemente (1982), nonché modalità di tipo psicoeducativo e didattico. I risultati dello studio, a prescindere dai limiti legati all’as- senza di un gruppo di controllo, evidenziano un migliora- mento sia sul sintomo che sulla situazione psicopatologica globale del campione.

De Luca (2007) propone un modello basato su interventi psicoterapeutici di gruppo di lunga durata, sviluppatosi a partire da una cornice teorica di tipo sistemico-relaziona- le e che prevede la partecipazione del nucleo familiare piuttosto che del singolo giocatore e che otterrebbe una buona ritenzione in trattamento e, nel 90% del campione analizzato, il mantenimento dell’astinenza completa dal gioco.

Nella realtà italiana risulta inoltre importante il contributo della realtà dei gruppi di autoaiuto, e, ad esempio Carangiu (2012), evidenzia come l’invio a gruppi di autoauto dopo un percorso psicoteratico limitato nel tempo, abbia avuto risultati preliminari incoraggianti.

Inoltre, gli interventi psicoeducativi e motivazionali sono parte del sistema di cura, anche in virtù di un rapporto co- sti efficacia favorevole. Tale tipo di interventi nasce dalla necessità di fornire strumenti utili all’aggancio del giocato- re patologico fornendo le prime informazioni utili alla com- prensione del problema, i meccanismi sottostanti, le pos- sibilità di cura, aumentando i livelli motivazionali e quindi la possibilità di passare ad una fase più prettamente tera- peutica. Tali tipi di interventi sono spesso allargati al con- testo familiare. La psicoeducazione è facilmente accettata, in quanto rappresenta una proposta di lavoro centrata sul problema con obiettivi chiari e che non costringe la per- sona a mettersi in gioco ad altri livelli, fornendo contem- poraneamente una serie di informazioni e rappresentando un efficace strumento di aggancio relazionale (Capelli et al. 2006).

Esistono diversi manuali di tipo psicoeducativo utilizzabili nell’ambito terapeutico, ad esempio il “Quaderno di auto osservazione sui comportamenti di gioco d’azzardo” di Ca- pitanucci (2004), il manuale “Vincere il gioco d’azzardo” (Bellio et al. 2010) o il recente manuale di autoaiuto pub- blicato dal Dipartimento politiche Antidroga “Gambling” di Serpelloni (2014).