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Fabbriche fordiste e non

In sostanza, semplificando al massimo studi che già sono stati condotti su queste realtà, da una parte troviamo la standardizzazio- ne delle produzioni di massa centrate sull’operaio comune, partico- larmente accentuata alla Stice-Zanussi, dall’altra la permanenza di una forte tradizione del mestiere e una presenza significativa dell’o- peraio professionale, in particolare alle Officine Galileo, ben oltre gli operai qualificati91: gli operai specializzati e specializzati provetti

per esempio al Nuovo Pignone erano il 31% nel 1969 e, dopo i primi passaggi di categoria che riconoscevano il mestiere a chi era sot- to-inquadrato fra gli operai qualificati, il 38% nel 1970.

L’isolamento della Stice-Zanussi rispetto agli stili conflittuali e negoziali delle altre grandi fabbriche fiorentine non derivava solo dall’organizzazione del lavoro, che per altro l’accomunava alla Fiat, ma anche dal suo decentramento geografico nella piana a sud-ovest, di là d’Arno, rispetto alla piana a nord-ovest che vedeva in stretta contiguità territoriale, malgrado il diaframma ferroviario, Fiat e Nuovo Pignone fra Novoli e Lippi e le Officine Galileo a Rifredi. Questa prossimità – come ricorda un opera- io Fiat92 – permetteva pur nella diversità di situazioni aziendali

una consuetudine di rapporti e di comunicazione fra i consigli di fabbrica di queste tre grandi aziende, con la possibilità di ap- poggiarsi al ricco tessuto associativo popolare dei quartieri indu- striali della città, che invece non era consentita dalla distanza a Stice-Zanussi, collocata in un luogo molto più rarefatto come Ba- dia a Settimo. Mancava ancora, ad esempio, un ponte per attra- versare l’Arno all’altezza di Scandicci (sarebbe arrivato successi- vamente con l’Indiano nel 1978) e gli unici collegamenti possibili verso nord erano da Firenze o dalle Signe.

91.  Claudio Greppi, Leonardo Rombai, Fabbrica e territorio. Atti di un semina-

rio, Firenze, CLUSF, 1973, pp. 45, 53-54.

La “conflittualità permanente” della fabbrica di Scandicci negli anni 1970 e 1971, mutuata da altri modelli di autonomia del conflitto industriale del nord e in buon parte estranea alle altre imprese fiorentine – soprattutto alle Officine Galileo, più in sintonia con la tradizionale mediazione sindacale esterna –, rese in certa misura la Stice-Zanussi quasi un corpo estraneo rispetto al contesto fiorentino e ne fece una protagonista della battaglia interna alla Fiom, alla Flm e alla Camera del Lavoro. Non a caso il consiglio di fabbrica si proiettò già alla fine del 1970, a compen- sazione, verso una egemonia territoriale del suo comprensorio esterno alla città storica e verso le Signe, attraverso il consiglio di zona, unico caso significativo nella Toscana centro-settentrionale fuori dei distretti industriali93.

Confrontando l’Autunno Caldo di Nuovo Pignone e Fiat a Firenze ho già avuto modo di individuare quasi tipologicamente il differente ruolo svolto dalla fabbrica specializzata, solo taylori- sta, rispetto a quella standardizzata, fordista, nei confronti della città e della sua area: l’una, grazie al fatto di essere capofila del gruppo guida nell’impiantisca di una grande holding naziona- le attiva nel settore energetico su scala internazionale come l’E- ni, proiettava Firenze nel mondo anche sul piano dei contenuti presenti nelle sue piattaforme aziendali; l’altra, segmento locale di una grande multinazionale dell’auto, portava il mondo – il “biennio rosso” globale – a Firenze. A suo modo, malgrado tutto la Stice-Zanussi svolse anch’essa questo ruolo, con un impatto simbolico minore rispetto allo stabilimento dell’azienda torinese. Chiuderei con l’esemplificazione di questa duplicità quale pos- siamo riscontrare all’interno dell’affermazione delle parole d’ordi- ne espresse nei mesi a cavallo del 1969 e del 1970 su ritmi, cotti-

93.  Del consiglio di zona, oltre alla Stice-Zanussi che da sola assommava il 42% degli oltre 3.800 lavoratori rappresentati territorialmente, facevano parte anche altre grandi e medie aziende come Billi (meccanica di precisione), Superpi- la, Sma (sistemi d’arma), ElettroPlast (apparecchiature elettriche), Fonderia delle Cure; L. Falossi, G. Silei, “Qui STICE libera”, cit., pp. 56-66, 86.

mi, salari, qualifiche, gruppi omogenei, delegati, ecc., che furono costitutive dell’esperienza consiliare: questa duplicità, di difficile ricomposizione allora come oggi, fu la forma con cui il mondo esploso con l’Autunno Caldo venne recepito a Firenze e con cui Firenze contribuì a quanto succedeva nel mondo, partendo da due degli elementi più originali, anche a livello internazionale, della vicenda sindacale italiana che va dalla promulgazione dello Sta- tuto dei lavoratori nel 1970 alla tornata contrattuale del 1973-’74. Da una parte la sperimentazione del modello sindacale di preven- zione su ambiente di lavoro, salute e sicurezza; dall’altra la parità normativa operai-impiegati e l’inquadramento unico94.

Su salute e sicurezza Firenze si è mossa abbastanza presto, come abbiamo visto. La Fiat introdusse già nella primavera del 1969 le tensioni innovative, figlie della rottura di legittimità ge- rarchica del modello fordista di organizzazione del lavoro che ve- nivano da Torino, subito seguita all’inizio del 1970 dalla Stice-Za- nussi. Successivamente fu il Nuovo Pignone di Firenze – grazie all’arena protetta delle partecipazioni statali – che dopo un duro confronto iniziato nell’estate del 1970 ottenne risultati di rilievo nazionale, confluiti poi nell’accordo pilota del 1972, che ne faran- no una delle esperienze di punta nel perseguimento del modello sindacale di prevenzione95. Le grandi fabbriche dell’area fiorenti-

na, in particolare quelle della produzione di serie, furono fra quel- le che maggiormente interagirono in Toscana con l’esperienza dei servizi provinciali per la prevenzione sui luoghi di lavoro promos- si nell’ambito della prima regionalizzazione, uno degli elementi che poi sarebbero stati alla base della riforma sanitaria del 197896.

94.  P. Causarano, Verso una nuova costruzione sociale, cit., pp. 151-159.

95.  Gli esempi toscani riportati in una descrizione delle esperienze più in- novative di quegli anni sono solo la Solvay di Rosignano (chimica) e il Nuovo Pi- gnone; Marco Biocca, Pietro Schirripa, Esperienze di lotta contro la nocività in alcune

aziende italiane tra il 1965 e il 1980, Roma, CENSAPI, 1981.

96.  Verso la riforma sanitaria. L’ente locale per la salute in fabbrica, a cura dei Servizi di medicina preventiva-Provincia di Firenze, Bari, De Donato, 1975.

Dall’altra parte, la tradizione del mestiere operaio che carat- terizzava aziende come il Nuovo Pignone e le Officine Galileo giocò un ruolo decisivo – nel contesto delle partecipazioni statali e in collegamento con la siderurgia pubblica – sul piano della parità normativa fra operai e impiegati e nella ricerca di nuove forme dinamiche di classificazione e valorizzazione del lavoro industriale. La Fiat a Firenze era portatrice della strategia tori- nese dei passaggi collettivi di categoria come risoluzione della crisi della classificazione tradizionale secondo un’idea risarcito- ria (salariale) della mobilità professionale per gli operai comuni, perseguita dalla tarda primavera del 1969 fino al 1972. Al Nuovo Pignone – dopo una breve fase di gestione dei passaggi collet- tivi contestuale alla messa in mora del cottimo individuale nel 1969 – ben presto si svilupperà la discussione e l’elaborazione di una strategia di valorizzazione della professionalità (operaia e impiegatizia) all’interno dei cosiddetti “gruppi omogeni” defini- ti su base funzionale, a ricalcare la geografia organizzativa della fabbrica e la collocazione di ruolo dei singoli in essi.

Già nella primavera del 1970 al Nuovo Pignone di Firenze il tema dell’inquadramento unico diventò l’asse strategico, mentre la circolazione di questa idea in altre aziende fiorentine – soprat- tutto quelle standardizzate – continuava ad essere declinata so- stanzialmente con i passaggi collettivi di categoria. Il Nuovo Pi- gnone ottenne l’inquadramento unico operai-impiegati, su sette livelli, all’inizio del 1971; l’accordo del gruppo Italisider arriverà alla fine dell’anno e ambedue costituiranno la base in materia di qualifiche e nuova valorizzazione del lavoro per la piattaforma contrattuale discussa dalla Flm nel 1972 e poi portata con succes- so alla firma dell’accordo nazionale del 197397.

L’“autunno tiepido” delle Officine Galileo viceversa farà sì che questa azienda, storica espressione della leadership dell’avan-

97.  Pietro Causarano, Unire la classe, valorizzare la persona. L’inquadramento

unico operai-impiegati e le 150 ore per il diritto allo studio, in “Italia contemporanea”,

guardia operaia di mestiere, in una fase di instabilità proprieta- ria e di stagnazione produttiva si trovasse di fatto a traino delle esperienze più nuove e originali e soggetta ad una forte, spesso soffocante, tutela politico-sindacale centralizzata che ne condi- zionava l’autonomia, fortemente rivendicata e praticata invece soprattutto al Nuovo Pignone e alla Stice-Zanussi98. Del resto, a

segnare il pluralismo sociologico dell’industria fiorentina su cui ci siamo soffermati, la fabbrica di Rifredi era molto più autocen- trata sulla città delle altre. Nella sua grandezza tecnico-profes- sionale rispondeva più all’immagine artigiana tradizionale del lavoro operaio fiorentino, era più urbana rispetto ai contesti dove la componente pendolare a corto e medio raggio dalla provincia era più consistente e dove le problematiche di conflitto sull’orga- nizzazione del lavoro erano più complesse per via di situazioni maggiormente innovative99.

98.  R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., pp. 174-178.

99.  Un terzo dei lavoratori del Nuovo Pignone per esempio risultava pen- dolare su distanze superiori ai dieci chilometri (il 13% fra dieci e trenta, il 18% oltre i trenta chilometri), dato che era più consistente nelle fabbriche fordiste; C. Greppi, L. Rombai, Fabbrica e territorio, cit., p. 95.