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La presenza militare in Sardegna e i movimenti di protesta del 1969: il caso di Pratobello

in Umbria prima e dopo l’Autunno caldo: una prospettiva quantitativa

3.  La presenza militare in Sardegna e i movimenti di protesta del 1969: il caso di Pratobello

Il mio intervento ha tentato di esaminare, infine, un altro fe- nomeno tipico del secondo dopoguerra sardo e, a questo pro- posito, il mio studio si è soffermato sul rapporto tra le servitù militari e la realtà isolana, in modo tale da fornire una chiave di lettura sulle ripercussioni della presenza militare nell’Isola e dei conseguenti movimenti di protesta che caratterizzarono le dina- miche sarde nel 196941. La nascita delle servitù militari in Sarde-

39.  Ibidem.

40.  Mele, Natoli (a cura di), Storia della Camera del lavoro di Cagliari, cit., pp. 403-405.

41.  Per una ricostruzione delle vicende delle servitù militari in Sardegna si rimanda ai seguenti contributi: Fernando Codonesu, Servitù militari, modello di svi-

gna è indissolubilmente legata alle vicende del secondo dopo- guerra, in particolar modo al clima di scontro politico, ideologico e militare denominato «Guerra fredda», che vide contrapposti i paesi del blocco occidentale (con a capo gli Usa.) a quelli del blocco orientale (facenti capo all’Urss). Con la fine della seconda guerra mondiale, le potenze vincitrici del conflitto (Stati Uniti ed Unione Sovietica) diedero avvio ad una vera e propria spar- tizione dell’Europa e, alla conseguente divisione del mondo in due sfere d’influenza42. Di fronte a questo scenario, il secondo

dopoguerra fu contrassegnato dalla nascita delle organizzazioni internazionali finalizzate alla costituzione di una vera e propria alleanza militare, al fine di contrastare un’eventuale azione mili- tare dei paesi gravitanti nel blocco ideologico avversario: queste organizzazioni presero il nome di Nato (1949) e Patto di Varsavia (1955)43. All’interno dei paesi fondatori della cosiddetta Organiz-

zazione del Trattato Atlantico del Nord, tra i quali bisogna regi- strare la presenza dell’Italia, si procedette alla realizzazione di infrastrutture militari per fronteggiare un’invasione dei paesi or- bitanti nel blocco sovietico. Secondo gli organismi d’intelligence e la classe politica dell’epoca, la Sardegna possedeva i requisiti ideali per mantenere gli impegni assunti dall’Italia a livello in- ternazionale44.

luppo e sovranità in Sardegna, Cagliari, Cuec, 2013; Guido Floris, Angelo Ledda, Ser- vitù militari in Sardegna: il caso Teulada, Serdiana (Ca), La Collina, 2010; Ugo Dessy, Sardegna. Un’isola per i militari, Padova, Marsilio, 1972; Regione Autonoma della

Sardegna, Conferenza regionale sulle servitù militari in Sardegna, Cagliari, Regione Sardegna, 1981; Lisa Camillo, Una ferita italiana. I veleni e i segreti delle basi Nato

in Sardegna: l’inquinamento radioattivo e l’omertà delle istituzioni, Milano, Ponte alle

Grazie, 2019; Gianfranco Macciotta, Le servitù militari, in Manlio Brigaglia (a cura di) La Sardegna: la cultura popolare, l’economia, l’autonomia, Cagliari, Edizioni della Torre, 1994.

42.  John Lewis Gaddis, La guerra fredda. Cinquant’anni di paura e speranza, Milano, Mondadori, 2008, pp. 26-42.

43.  Giuseppe Galasso, Storia d’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2019, pp. 936-950.

44.  Fernando Codonesu, Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sar-

Il territorio isolano rappresentava un’area periferica rispetto al teatro di un possibile conflitto armato, inoltre, possedeva ampi territori liberi da insediamenti e tre grandi basi di addestramento e sperimentazione. A supporto di tali argomentazioni, gli studi di Ferdinando Codonesu misero in evidenza come la Sardegna sarebbe diventata il luogo ideale per ospitare poligoni di tiro ed esercitazioni e poligoni di sperimentazione. Di fronte a questo scenario, l’isola presentava ampi spazi scarsamente popolati dove sarebbe stato possibile sparare ogni tipo di ordigno ed ef- fettuare nuove sperimentazioni militari, al di là delle possibili ri- percussioni negative sull’ambiente e sulle popolazioni limitrofe. La scarsa densità abitativa della Sardegna, inoltre, cooperava ad evitare qualsiasi preoccupazione relativamente alla decurtazione di porzioni territoriali per soddisfare le «esigenze» di ambito mi- litare e, allo stesso tempo, assicurava una sorta di argine ad ogni forma di dissenso contro le installazioni militari45. Dal punto di

vista prettamente settoriale, invece, la presenza delle installazio- ni militari avrebbe precluso la possibilità di sperimentare model- li di sviluppo alternativi, incidendo negativamente nell’assetto dei territori sottoposti alle servitù militari46.

Nel decennio compreso tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le attività dei poligoni militari furono contrassegnate da un di- spiegamento di varie forze, le quali dispiegarono il meglio della tecnologia e diedero vita a vere e proprie esercitazioni militari (lancio di missili, utilizzo di carri armati, etc.). Di fronte alla pre- senza militare e della loro incidenza in termini politici, economi- ci e sociali, la Sardegna fu contrassegnata da profondo dibattito sul fenomeno delle servitù militari. Nel corso dei decenni suc- cessivi, infatti, l’opinione pubblica stigmatizzò l’operato delle gerarchie militari nazionali ed internazionali, che dal secondo dopoguerra in poi, hanno concentrato buona parte delle proprie

45.  Ibidem.

basi e dei poligoni sul territorio dell’Isola per scopi difensivi. La sottrazione ai sardi di porzioni significative della propria terra che avrebbero potuto dare vita ad iniziative di sviluppo econo- mico e sociale, come sottolineato dagli studi condotti dallo sto- rico Gianni Fresu, in gran parte dei casi è avvenuta in base ad accordi segreti di dubbia validità costituzionale mai ratificati dal Parlamento, e contro essa a nulla valse la lotta organizzata dal PCI tra gli anni Cinquanta e Sessanta e i tentativi di resistenza posti in essere47. Le vicende della presenza militare in Sardegna,

ciononostante, subirono un cambio di rotta nel periodo compre- so tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta. A partire da questa fase, infatti, gli organi di stampa, il dibattito politico e la società isolana si interessò al fenomeno delle servitù militari e, alcuni paesi della Sardegna centrale divennero teatro di una vera e propria mobilitazione popolare. Tutto ebbe inizio a Orgosolo il 27 maggio 1969. Sui muri del paese apparvero dei manifesti recanti la firma della “Brigata Trieste”, i quali annun- ciavano la decisione del Governo italiano, tramite il Ministero della Difesa, di espropriare i pascoli comunali di Pratobello, per installare una servitù militare che prevedeva un poligono di ad- destramento e tiro48. Dai primi di giugno e nel corso delle setti-

mane successive, la popolazione di Pratobello diede vita ad una serie di manifestazioni dimostrativa nei luoghi in cui sono pre- viste le esercitazioni militari, con la finalità di sensibilizzare la classe politica locale e nazionale rispetto all’invasione arbitraria dei territori isolani da parte delle forze armate e al conseguente

47.  Gianni Fresu, La questione militare in Sardegna oggi, in “L’Ernesto”, mag- gio-giugno 2004, 3.

48.  Per una ricostruzione sulle vicende di Pratobello si rimanda ai seguenti contributi: Piero Loi, Pratobello, 1969. Dove tutto ebbe inizio, in “Sardiniapost”, 14 settembre 2014; Orgosolo celebra 50 anni dalla rivolta di Pratobello, in “La Nuova Sardegna”, 1 febbraio 2018; F. Menneas, Sa lota ‘e Pratobello, cit., pp. 36-38; Marco Aresu, Rivelazioni e promesse del ’68, Cagliari, Cuec, 2002, p. 289.

danno che poteva arrecare alle popolazioni49. In questo periodo

di lotte, le comunità locali, il commissario prefettizio di Orgo- solo, la questura di Nuoro, gli stessi militari e le organizzazioni dell’Alleanza Contadini, della Coldiretti e della Cgil cercano di raggiungere un accordo sindacale con le popolazioni locali, ma non si arrivò al raggiungimento di un accordo tra le parti50. Nel

corso degli incontri successivi, le popolazioni locali ribadirono la volontà continuare presidiare i territori e rifiutarono qualsiasi ipotesi legata alla presenza militare sull’area, mentre i sindacati e partiti intensificarono la loro azione a ridosso dell’inizio delle esercitazioni. In seguito alle manifestazioni popolari che caratte- rizzarono il mese di giugno del 1969, le cui vicissitudini ebbero delle ripercussioni anche sul piano legale, venne abbandonata l’ipotesi di realizzare un poligono militare permanente e si com- pose la lunga vertenza di questa piccola realtà della Sardegna centrale51. Le esercitazioni sarebbero andate avanti solo per i due

mesi successivi, in una zona circoscritta, anche se le proteste dell’estate del 1969 assumeranno un certo peso nelle manifesta- zioni di dissenso verso l’ampiamento della presenza militare nel territorio sardo, che sino a quel momento non riuscirono ad ot- tenere un’ampia risonanza nell’opinione pubblica52. Le vicende

di Pratobello e il conseguente movimento di protesta contro le servitù militari avevano contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche legate alla presenza militare e alle relative ripercussioni nello sviluppo socio-economico del terri- torio isolano, dando inizio ad un intenso dibattito che si sarebbe

49.  Pietro Pinna, Scritti politici. Le servitù militari in Sardegna, Oristano, Edi- trice S’Alvure, 1983, p. 22.

50.  Orgosolo: grande lotta popolare contro le esercitazioni, in “L’Unità”, 25 giu- gno 1969.

51.  Conclusa in Pretura la vertenza sul poligono di tiro, in “L’Unione Sarda”, 13 luglio 1969.

protratto nei decenni successivi53. Dal punto di vista delle mani-

festazioni che caratterizzarono il 1969, come abbiamo riscontrato nei seguenti casi di studio, la Sardegna assunse un ruolo di pro- tagonista attivo nelle dinamiche che caratterizzarono la stagione dell’autunno caldo. La significativa adesione di larghi strati della popolazione isolana e dei lavoratori appartenenti al settore in- dustriale, come riportato nei casi esaminati dal seguente studio, sono state contrassegnate da un elevato grado di combattività da parte del mondo sindacale e di sostegno da parte delle comuni- tà locali. Di fronte a questo scenario, le azioni di lotta del 1969 posero l’attenzione sulle problematiche di sviluppo economico, sociale e civile che interessarono le varie realtà della Sardegna, il cui scopo era quello di superare quelli squilibri nati dai processi del secondo dopoguerra e che si manifestarono in tutta la loro drammaticità sul finire degli anni Sessanta. Le lotte che interes- sarono numerose categorie della Sardegna (metalmeccanici, chi- mici, minatori, pubblico impiego, scuola, ecc.) e la significativa adesione alle manifestazioni della popolazione, in questo conte- sto, rappresentano un elemento fondamentale nella ricostruzio- ne della storia dei movimenti di protesta nelle vicende italiane del 1969.

53.  Nel periodo compreso tra gli anni Settanta e Novanta, infatti, il dibattito politico diede vita a delle importanti normative sull’assetto delle servitù militari (leggi 898/1976 e 104/1990) e la Sardegna ospiterà la conferenza regionale sulle servitù militari, che mise a nudo le criticità della presenza militare nell’Isola. Ne- gli ultimi decenni, inoltre, il territorio isolano è stato contrassegnato dalla nascita di forme di associazionismo, tutte accomunate dall’opposizione alla presenza militare in Sardegna. Per una ricostruzione di queste dinamiche si rimanda al seguente materiale documentale: Regione Autonoma della Sardegna, Conferenza

Regionale sulle servitù militari in Sardegna, Regione Sardegna, Cagliari 1981, pp.

2-5; Legge 24 Dicembre 1976, n. 898, Nuova regolamentazione sulle servitù militari (Gazzetta Ufficiale 11 gennaio 1977, n. 8); Legge 104/1990, Modifiche ed integrazio-

ni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898 (Gazzetta Ufficiale 8 maggio 1990 n. 105); L.