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Un discorso sull’inquadramento unico

vimento operaio

3.  Un discorso sull’inquadramento unico

A proposito di “belle storie”, l’autorappresentazione dei mi- litanti della Fiom di Bergamo si caratterizza per una peculiare percezione riguardante la battaglia per l’introduzione dell’in- quadramento unico22.

Inserito nel contratto dei metalmeccanici del 1973, l’inqua- dramento unico era, in estrema sintesi, la punta avanzata di una battaglia per la valorizzazione del lavoro individuale – e, dun- que, per la sua soggettivizzazione – all’interno di un sistema di categorizzazione delle mansioni che garantisse quanto più pos- sibile il rispetto del principio di uguaglianza senza pregiudicare i percorsi, auspicabilmente collettivi, di mobilità professionale orizzontale e verticale23. Si trattava, in altre e più semplici parole,

di un argine concreto alla proliferazione di forme di premialità individuale, spesso erogate ai lavoratori che si distinguevano per fedeltà all’azienda. Spostare sul piano della contrattazione de- centrata un ragionamento sulle modalità di classificazione delle attività all’interno di un luogo di lavoro era una conquista le cui ricadute risultavano incalcolabili: si rompeva lo schema di di- stribuzione del salario precedentemente gestito soltanto dall’a- zienda, tanto che si creava una situazione a tratti contraddittoria. L’inquadramento unico, secondo i dirigenti della Fiom berga- masca, era “controverso perché alla fine trovavi soluzioni che in realtà doveva trovare l’azienda”24. Addirittura, la battaglia per

22.  Sull’inquadramento unico si suggerisce la lettura di P. Causarano, Unire

la classe, cit., pp. 224-246. La vicenda bergamasca è già stata trattata in R. Villa, Percorsi di classe, cit., pp. 147-161.

23.  Per i sindacati, era lo “strumento per attuare un mutamento dei rapporti sociali e gerarchici fissati dalle classificazioni: la professionalità andava valutata non in base alle caratteristiche delle mansioni ma delle potenzialità del lavorato- re” (S. Musso, Storia del lavoro, cit., p. 197).

24.  Intervista a Giorgio Faccardi, ex funzionario e segretario della Fiom di Bergamo, raccolta da Eugenia Valtulina e chi scrive il 26 maggio 2016 presso la Bib. “DV” Cgil BG.

l’inquadramento unico e le successive discussioni interne alle aziende per concordare i criteri di classificazione e i passaggi di categoria vengono considerate come «un grande risveglio dopo anni di buio»25. Di fatto, i delegati e i funzionari della Fiom di

Bergamo sentono, forse per la prima volta, di realizzare nella pratica quotidiana il diritto costituzionalmente sancito a colla- borare alla gestione delle aziende26. Ed ecco allora che un primo

grande sconfinamento oltre le rigidità della gerarchia – in questo caso la gerarchia delle direzioni aziendali e di chi le rappresenta- va nei reparti – si verifica nei singoli stabilimenti, a partire dalle grandi fabbriche per coinvolgere poi quelle più periferiche27.

L’entusiasmo, ed è in questo che l’esperienza bergamasca si distingue da quella più diffusamente distribuita sul territorio na- zionale, si trasforma poi in orgogliosa rivendicazione della pro- pria rilevanza quando si ricostruiscono le radici della battaglia per l’inquadramento unico. L’evoluzione dei rapporti interni alla Dalmine, infatti, trovò proprio nel 1969 uno dei suoi snodi più si- gnificativi, nonché un’anticipazione dell’inquadramento unico: nei vari stabilimenti dell’azienda, le avanguardie sindacali pro- posero e fecero approvare una linea rivendicativa basata sulla richiesta della “paga unica”, ovvero la revisione delle gerarchie professionali con aumenti di salario “uguali per tutti” e “passag- gi in massa di qualifica”28. Era, nella logica di allora, un modo

per superare le diverse modalità di classificazione delle mansio- ni (dalla job evaluation alle paghe di posto, che lasciavano ampi margini di discrezionalità all’azienda nell’identificare i lavorato- ri da “premiare”) e si trasformò presto, almeno nel ricordo dei

25.  Intervista ad Aldo Valle, ex delegato della Fiom di Bergamo alla acciaie- ria Rumi di Montello, raccolta dallo scrivente il 3 giugno 2016 presso la sede della Cgil di Trescore Balneario.

26.  Art. 46 della Costituzione della Repubblica italiana.

27.  Informazioni su alcuni stabilimenti della provincia profonda si trovano in R. Villa, Percorsi di classe, cit.

delegati dalminesi, nel prodromo dell’inquadramento unico29.

È una convinzione che, a posteriori, rinforza anch’essa il senso di appartenenza all’organizzazione sindacale e che, aggiornata al dibattito pubblico contemporaneo, mette in evidenza la mo- dernità delle politiche di fine anni Sessanta e, nel caso specifico, del 1969:

non tutti sanno, soprattutto quelli che non amano molto i ragiona- menti della Fiom, che il merito, all’interno delle fabbriche metalmec- caniche, l’ha inventato la Fiom, perché è la Fiom che ha inventato e ha proposto che un lavoratore doveva essere retribuito sulla base della professionalità che aveva30.

Proseguendo nel percorso di individuazione di alcune parole ricorrenti che possono orientare la riflessione su questi temi, i due poli rappresentati dal “merito” e dall’“egualitarismo” non possono essere trascurati.

Il dibattito sull’inquadramento unico e sulla linea egualitaria è infatti rimasto acceso fino a oltre la metà degli anni Settanta. In un’autocritica all’applicazione dell’inquadramento unico del 1973 si denunciava che al livellamento dei salari all’interno delle categorie non aveva fatto seguito una riduzione delle sperequa- zioni tra categorie31. Per qualcuno, però, il perseguimento della

“paga unica” e, poi, l’avvento dell’inquadramento unico si sono rivelati una scelta sbagliata che ha affossato la professionalità32.

Per altri ancora, invece, è stata “un’esigenza necessaria dei la-

29.  Cfr. M.G. Meriggi, Gli operai della Dalmine e il loro sindacato, cit., p. 69.

30.  Intervista a Martino Signori, ex delegato alla Dalmine ed ex segretario della Fiom di Bergamo, raccolta dallo scrivente il 22 agosto 2016 presso la Bib. “DV” Cgil BG.

31.  Analisi sull’inquadramento unico alla Dalmine e proposte per l’applicazione, maggio 1973, in Fondo Edoardo Bano, carte sparse, in fase di riordino, in AB- DV-Cgil BG.

32.  Valga per tutte l’intervista a S. Milani, cit. Si tratta di una tesi che pare confermare anche F. Ricciardi, Lavoro, conflitto, istituzioni, cit.

voratori di rovesciare l’unilateralità padronale”33 o anche una

“discriminante di fondo” essenziale per “tener viva la tensione, combattere le gerarchie, costruire solidarietà e potere di massa”34.

Ampliando il raggio di analisi, il dibattito bergamasco pare riflettersi anche negli scritti di chi studia il movimento operaio: se c’è chi scorge nel 1969 operaio una forma di populismo basato appunto su un egualitarismo senza sfumature35, c’è anche chi,

come Riccardo Terzi, vede in questa fase il momento in cui si è espressa “la vocazione del sindacato” ed è stato possibile perce- pire “il suo approccio al tema della democrazia”36. Lungi dall’as-

sumere tinte populiste, per Terzi il “modello democratico” dei Consigli – e dunque le politiche che ne sono discese – “è stata la grande forza di quella stagione, perché si stabiliva una tota- le osmosi tra movimento e organizzazione, e la decisione non veniva dall’alto, o dall’esterno, ma dentro una comune pratica collettiva”37.

Di questa vocazione e di questo cambio di paradigma nell’in- terpretazione del ruolo del sindacato sembrano pienamente con- sapevoli molti tra coloro che chiesero la “paga unica” fornendo un modello per l’inquadramento unico.

Prima di passare a trattare il tema di un ulteriore sconfina- mento, quello oltre il “maschile” come unica categoria concet- tuale attraverso la quale concepire e vivere il lavoro, vale la pena

33.  Lo scrive l’ex segretario generale della Fiom Claudio Sabattini nell’in- troduzione al libro di F. Ricciardi, cit., p. 12.

34.  Intervista a Franco Petenzi, in Manuela Cartosio, Quando alla Dalmine

scoprimmo che era giusto ribellarsi. L’itinerario di Franco Petenzi, in “Autunno op-

eraio”, supplemento bimestrale del “Manifesto”, 12 dicembre 1989, 293, p. 38. Petenzi è stato delegato della Fiom alla Dalmine di Costa Volpino.

35.  Angela Perulli, Il populismo come fonte di identità collettiva. Riflessioni sul

movimento sindacale italiano, in “Stato e mercato”, 2003, 68, 278-284.

36.  Riccardo Terzi, La democrazia nel sindacato, in Francesco Mores, Eugenia Valtulina (a cura di), Sindacato, politica, autonomia. Per Riccardo Terzi, Prefazione di Salvatore Veca, Roma, Ediesse, 2016, p. 169.

chiudere la riflessione proposta in questo paragrafo con un’ulti- ma annotazione terminologica: nel dimostrare la consapevolezza del valore degli obiettivi fissati nell’azione sindacale a livello di fabbrica, i testimoni tendono a legare la conquista di una forma di controllo sul salario a un passo nella direzione della difesa del- la tutela della salute e dell’ambiente di lavoro: la parola nuova che cristallizza questo passaggio è “nocività”. Anche in questo caso l’aiuto arrivò da una iniziativa della Fiom a livello nazio- nale, ripresa dall’esperienza della V Lega di Mirafiori. Nel 1969 venne infatti pubblicato il manuale L’ambiente di lavoro, un va- demecum che costituiva un vero e proprio modello di controllo della nocività38. Il tema, nonostante quell’etica del lavoro a cui si

è già alluso in precedenza, faceva capolino anche nella documen- tazione sindacale della federazione bergamasca. In un volantino della segreteria provinciale della Filtea, il sindacato dei lavorato- ri tessili e dell’abbigliamento, si legge che «la difesa della salute non può essere scambiata con qualche lira in più»39. Parole che

sarebbero diventate uno slogan delle battaglie di tutte le federa- zioni negli anni immediatamente successivi al 1969, foriero dun- que anche di questa trasformazione nella concezione del ruolo del sindacato, non più limitato a una poco efficace contrattazione di secondo livello.

La manodopera della Zopfi, azienda a cui si fa riferimento nel volantino e i cui stabilimenti erano situati in città e a Ranica, era

38.  Cfr., a titolo esemplificativo, Francesco Carnevale, Alberto Baldasseroni,

Per il controllo dell’ambiente di lavoro: una prospettiva storica, in Giancarlo Pelucchi,

Antonio Pizzinato (a cura di), La fabbrica e la salute. Lotte operaie e contrattazione a

partire da Sesto San Giovanni nei 100 anni della Cgil, Roma, Ediesse, 2006, pp. 47-59.

39.  Segreteria provinciale della Filtea, Lavoratrici lavoratori della Zopfi, 3 no- vembre 1969, in Archivio Filtea Cgil Bergamo, fald. «III / 2 Gioachino Zopfi Spa – Filatura e Tessitura di cotone, Ranica, poi Gioachino Zopfi Spa, Ranica [1954- 1987]», fasc. 2, conservato presso ABDV-Cgil BG. Nel volantino, redatto in occa- sione delle lotte per il rinnovo del contratto nazionale, si denuncia il probabile aggravamento delle condizioni di lavoro delle operaie del reparto tessitura, in cui la direzione aziendale intendeva aumentare l’assegnazione – rifiutata dalle lavoratrici – da 32 a 40 telai.

prevalentemente femminile. Ed è del lavoro delle donne, del loro ruolo nel sindacato, che ci si occupa nel paragrafo che segue, al quale ci si propone di attribuire il valore di parziale conclusione.