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I diversi stili del conflitto industriale fiorentino

La grande varietà delle tipologie degli stabilimenti al centro del conflitto consente di avanzare l’ipotesi che la stessa memoria dei protagonisti non sia omogenea perché non omogeneo è stato l’Autunno Caldo fiorentino, per il quale non è possibile nessuna

74.  Id., “Lavorare fa male alla salute”. Organizzazione del lavoro e salute nella

contrattazione aziendale al Nuovo Pignone di Firenze (1969-1972), in “Rassegna di

Medicina dei lavoratori”, 1995, 28, 38, pp. 106-116, e 39, pp. 101-111.

75.  Id., Verso una nuova costruzione sociale del lavoro a Firenze: Nuovo Pignone e

FIAT fra anni Sessanta e Settanta, in L. Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini,

cit., p. 153.

76.  Il salario, mediamente più basso di altre grandi fabbriche fiorentine a differenza del passato, sarebbe rimasta la nota dolente per la Galileo negli anni ’70; R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., p. 177.

77.  Ogni metalmeccanico fiorentino scioperò nel 1969 204 ore, i chimici 182 ore ciascuno. Fra ottobre 1969 e gennaio 1970 furono denunciati 166 lavoratori, fra cui 9 dirigenti sindacali; L. Baldini, Il “68” fiorentino, cit., pp. 39, 41.

simbolica reductio ad unum come talvolta è accaduto – forzandone la lettura – nei canonici luoghi del 1969, da Torino a Milano-Sesto S.Giovanni, da Genova a Porto Marghera. Il pluralismo di espe- rienze e di condizioni strutturali descritto fin qui trova conferma anche nelle interviste condotte agli inizi degli anni Duemila da Gigi Falossi e Giovanni Contini fra i metalmeccanici fiorentini, già richiamate. Anzi – se guardiamo la visione retrospettiva dei delegati operai della Fiat di Novoli – neppure in questo caso, il più rappresentativo su scala nazionale del conflitto industria- le, la reductio ad unum delle vicende del gruppo ha funzionato: rispetto all’esperienza torinese, nessuna legittimazione incon- dizionata viene dai fiorentini, che invece esaltano le specificità locali fino al trauma dei “35 giorni” del 198078. Fin dal 1967 alla

Fiat di Firenze vi erano state rimostranze contro l’egemonia au- toreferenziale torinese nell’organizzazione nazionale del coordi- namento sindacale del gruppo79.

È un altro elemento su cui riflettere di fronte alla dissolven- za dell’Autunno Caldo nella memoria cittadina. Non essendoci come protagonista un solo luogo centrale, ma tutto un territorio, articolato e disperso e per di più in mutamento, non c’è stata una simbologia unitaria in cui riconoscersi retrospettivamente. Questo non vuol dire negare che nei protagonisti – lavoratrici e lavoratori, delegati, sindacalisti – la rottura della fine degli anni ’60 non costituisca un nucleo comune di memoria consapevole rispetto alla forza dirompente di rottura insita in quel passaggio storico. Ma questa comune memoria, spesso anche a carattere generazionale80, si nutre di una trasversalità di esperienze che

sono proprie della classe operaia fiorentina, ma che però non può

78.  L. Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini, cit., pp. 210-211, 213-214.

79.  P. Causarano, Verso una nuova costruzione sociale, cit., p. 148.

80.  Anche qui, volendo si possono riscontrare le “due generazioni” di cui parla Francesca Socrate a proposito del ’68 studentesco, che si colorano pure delle differenze professionali e di statuto presenti nella classe operaia fiorentina: Fran- cesca Socrate, Sessantotto. Due generazioni, Roma-Bari, Laterza, 2018.

nascondere le differenze e talvolta pure i contrasti di valutazione e interpretazione del carattere e delle prospettive di quelle lotte. In altri termini gli stili conflittuali furono diversi, le posture di movimento e sindacali non sempre furono comuni, ancorché alla fine fossero convergenti non solo da un punto di vista esisten- ziale ma anche collettivo, attraverso obbiettivi sintetizzati dal sindacato unitario e in particolare dalla Flm che anche a Firenze, come a livello nazionale, per molti versi costituì il cuore strategi- co del «decennio operaio»81.

Quando arriva l’Autunno Caldo, la Toscana centro-setten- trionale stava già modificando il suo volto, i distretti industriali e l’articolazione dei sistemi economici locali cominciavano ad imporsi, creando un pluralismo sociale e un policentrismo ter- ritoriale che da Firenze si faticava a cogliere pienamente, per di più all’interno di un processo di ristrutturazione incipiente le cui conseguenze si sarebbero viste all’inizio degli anni ‘80. Inol- tre l’assetto societario di molte medie e grandi aziende storiche fiorentine soprattutto metalmeccaniche, fra anni ’50 e ’60 e poi ancora nei ’70, vide da una parte diminuire il carattere endoge- no dell’imprenditorialità, con l’acquisizione da parte di grandi gruppi nazionali (Eni per Nuovo Pignone, Montedison e infine Efim per Officine Galileo, Zanussi per Stice, Efim per Sma), e dal- la altra slittare dal settore privato a quello pubblico alcune di esse e quindi ad un ambito negoziale e contrattuale relativamente “protetto” (Intersind e Asap) rispetto a quello confindustriale82.

Sulle radici locali si innestò cioè una dinamica nazionale, che in molti casi vincolava i margini di azione sindacale e l’autonomia operaia a livello cittadino e provinciale.

81.  FLM Firenze, Fabbrica e territorio. Tre anni di iniziative della FLM di Firen-

ze, attraverso analisi, dibattiti, documenti (1976-1978), Firenze, Coop. Edit. 1° mag-

gio-Uff. sindac. FLM, 1979. In generale, Nino De Amicis, La difficile utopia del pos-

sibile. L’esperienza della Federazione lavoratori metalmeccanici nel «decennio operaio» (1968-1984), Roma, Ediesse, 2010.

82.  Patrizia Zagnoli, Le ristrutturazioni nelle imprese metalmeccaniche in Tosca-

D’altra parte attraverso questo canale arrivarono diretta- mente a Firenze le suggestioni e gli orientamenti più generali e attraverso di essi si inocularono immediatamente quelle parole d’ordine innovative che fra 1969 e 1970 erano state elaborate nei centri industriali trainanti del nord. Tuttavia – se guardiamo al- cuni passaggi caratterizzanti i contenuti del conflitto industriale e gli obbiettivi della contrattazione decentrata che anche a Firen- ze si affermarono fra 1969 e 1970 insieme alle nuove rappresen- tanze consiliari – riscontriamo la stessa dinamica di autonomia che le lotte operaie in quella manciata di mesi acquisirono e mo- strarono a livello nazionale, insieme alla capacità di risposta del sindacalismo, non indolore per i suoi equilibri interni.

La crisi dell’istituto delle commissioni interne, generalizza- ta, è evidente anche a Firenze a fine anni ‘60, come emerge da un’indagine della Fiom nazionale. Ad una crescente sindacaliz- zazione nel settore metalmeccanico, pur in presenza di una con- trazione dell’occupazione per la congiuntura negativa, non cor- rispose un adeguato risultato elettorale della federazione nelle elezioni dei rappresentanti83. Né le sezioni sindacali costituirono

davvero un’alternativa, salvo eccezioni. Nel 1969, la partecipa- zione al rinnovo dei loro direttivi raggiunse il minimo storico, portando di fatto alla loro estinzione e assorbimento di lì a poco nell’esperienza consiliare84. Ma i consigli di fabbrica fiorentini,

affermatisi fra 1969 e 1970 nelle principali aziende al posto delle commissioni interne, non erano tutti eguali, non avevano tutti la stessa impostazione, né tutti arrivarono nello stesso momento85.

83.  La sindacalizzazione dei metalmeccanici Fiom, che era entrata in crisi negli anni ’50, dalla metà degli anni ’60 e fino alla fine del decennio successivo fu in costante e poi vertiginosa crescita anche a Firenze. Analogamente le iscrizioni complessive della Camera del Lavoro; dati in appendice a L. Falossi (a cura di),

Metalmeccanici fiorentini, cit., pp. 413-418, 425.

84.  P. Causarano, La professionalità contesa, cit., pp. 152-156.

85.  Nel 1970 risultano costituiti e riconosciuti 13 consigli di fabbrica: Offi- cine Galileo, Nuovo Pignone, Saivo a Firenze, Marchino (cemento) a Settimello, Italcementi, Del Vivo e Vicano (vetrerie e piastrelle) a Pontassieve, Sacci (cemen-

Alla Fiat, alla Stice-Zanussi e al Nuovo Pignone il superamento della commissione interna comportò un ricambio generaziona- le (e professionale) nei rappresentanti e una trasformazione di senso nella rappresentanza e nella partecipazione assembleare, più o meno traumatici. Le Officine Galileo, che pure già nel 1970 avevano costituito il consiglio di fabbrica, di fatto videro solo una sua istituzione formale e una transizione sostanziale dalla vecchia commissione interna al nuovo organo, che sarebbe stata superata solo con il rinnovo del 197286.

Già in questo passaggio si vede il diverso rapporto di queste grandi aziende con il sindacato e i suoi modelli organizzativi. Le Officine Galileo (nei primi anni ’70 circa 1.800 addetti) sono in perfetta simbiosi con la politica tradizionale della sinistra fio- rentina (e del Pci in particolare). Le vicende della fabbrica a lun- go hanno scandito l’agenda politica locale, dai suoi ranghi sono pure usciti elementi di spicco dei gruppi dirigenti sia del sinda- cato sia dei partiti di massa, come Maurizio Vigiani (Dc) e Gian- franco Bartolini (Pci)87. Se esiste una cinghia di trasmissione a Fi-

renze fra politica locale, sindacato e fabbrica, le Officine Galileo lo sono state e lo sono state nei due sensi, perché questa azienda fino alla fine degli anni ’60 per molti aspetti fu il metro su cui misurare il rapporto con la classe operaia, il suo termometro. Ma questo filtro non faceva vedere pienamente quanto accadeva nel- tificio) a Greve in Chianti, Fornace Laterizi alle Sieci, Bagni (ceramiche) a La- stra a Signa (A. Dadà, L’unità sindacale nelle lotte e nell’organizzazione, cit., p. 253). Contestualmente il consiglio dei delegati della Stice-Zanussi si mosse nell’otti- ca di costituire un consiglio di zona (che poi sarà quello della Statale 67, piena- mente operativo dal 1972, l’unico dell’area fiorentina insieme ad un tentativo all’Osmannoro), iniziativa in grado di aggregare tutto il territorio industriale e artigianale fra Scandicci e le Signe, a sud-ovest dell’Arno; L. Falossi, G. Silei, “Qui

STICE libera”, cit., pp. 83-86.

86.  R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., pp. 149-154.

87.  Paolo Ranfagni (a cura di), Gianfranco Bartolini, un uomo del popolo alla

guida della Regione, Firenze, Regione Toscana, 2012; Francesco Butini, Il senatore operaio. Maurizio Vigiani e il suo tempo, da operaio delle Officine Galileo a senatore della Repubblica, Pisa, Pacini, 2013.

le altre fabbriche e comprimeva le forme di mobilitazione nuove nell’azienda. Emblematico non a caso sarà il rapporto complesso e assai più controverso che il Nuovo Pignone (nei primi anni ’70 circa 2.300 addetti, compresa la direzione generale del gruppo) avrà in quei mesi con il sindacato federale e confederale, pur avendo anch’esso un rapporto speciale con la città e pur essendo una delle punte di diamante dell’innovazione produttiva e or- ganizzativa dell’area, sostenuta e promossa dalla politica locale. Questa distanza a maggior ragione si riscontra con Fiat e Stice-Zanussi (rispettivamente quasi 1.200 e circa 1.700 addetti all’inizio del decennio ’70)88. Qui siamo di fronte alle uniche due

espressioni della presenza, scarsa ma esemplare, di un’industria tipicamente fordista nell’area. Lo stabilimento Fiat di Novoli, progettato secondo le indicazioni di quanto si stava sperimen- tando in grande alla Mirafiori di Torino a cavallo della guerra, già alla fine degli anni ’40 vedeva una composizione della for- za lavoro fortemente sbilanciata verso gli operai comuni (oltre il 60% e nessun apprendista)89. La Stice, dal momento del suo

inserimento in Zanussi nel 1967, avrebbe visto una rapida e pro- fondissima conversione fordista – analoga a tutti gli altri stabili- menti assorbiti dal gruppo in quegli anni – tanto che gli operai comuni in linea, al 1971, sarebbero stati il 61% delle maestranze, mentre al Nuovo Pignone fra 1969 e 1970 erano soltanto il 25%90.

88.  Tabella tratta dal documento conclusivo del Coordinamento nazionale Fiat –

Dicembre 1971: occupati per stabilimento, numero R.S.A., monte ore di permessi sinda- cali, riprodotta in http://www.mirafiori-accordielotte.org/; L. Falossi, G. Silei, “Qui STICE libera”, cit., p. 89.

89.  Al Pignone gli operai specializzati e qualificati rappresentavano invece il 54% e alle Officine Galileo il 55%: P. Causarano, La professionalità contesa, cit., p. 121.

90.  L. Falossi, G. Silei, “Qui STICE libera”, cit., p. 88; P. Causarano, La profes-