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Come si è ormai precisato, il legislatore entra nella regolazione della tenuta della contabilità dell’imprenditore solo in quei casi in cui esiste un interesse esterno alla propria impresa di disporre dei dati ordinati e reali sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria di questa. Da questo s’evince che, in via di principio, la contabilità presuppone un insieme di compiti che un diligente gestore svolge in modo regolare, allo scopo di disporre d’informazione adeguata sull’andamento dei suoi affari e poter adottare decisioni al riguardo. Poiché l’impresa è un ente sociale ed economico212, quest’informazione svolge interesse

per un complesso di soggetti che vanno al di là dal semplice proprietario

212 Sociale, in quanto che si relaziona costantemente con altri soggetti –fornitori, clienti, potenziali

investitori…- con i quali non realizza solo ed esclusivamente transazioni economiche, ma anche di flussi informativi. Economico perché il contesto nel quale svolge la maggior parte della sua attività e che, al tempo stesso, giustifica la sua esistenza, è il mercato.

dell’impresa. Questi terzi, sebbene abbiano il loro interesse incentrato su certi aspetti concreti della situazione dell’impresa –fondamentalmente la redditività di questa e la sua operatività nel mercato-, hanno bisogno invece di una certa garanzia che l’informazione che glieli offre sia vera e sia riferita alla situazione reale dell’impresa. Con la finalità di garantire che l’informazione che si mette a disposizione di questi interessati sia vera e affidabile, l’ordinamento dispone le norme del diritto contabile.

La struttura della relazione, nonostante, non sarà sempre questa. In funzione della dimensione relativa delle parti contrattanti, i contrappesi della relazione si potranno modificare. In questo modo, nella conclusione di contratti nei quali l’impresa sia un soggetto che occupa una posizione di dominio nel mercato sul futuro creditore, questo disporrà soltanto –in modo generale- dell’informazione contabile somministrata pubblicamente dall’impresa per valutare la solvenza di questa. Al contrario, non risulta strano, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie impresa, che queste concludano negozi con entità che occupano una posizione di dominio rispetto a queste (banche, grandi fornitori, entità assicuratrici…), che approfitteranno di questa posizione di vantaggio per assicurare meglio la loro posizione nella relazione contrattuale (adjusting creditors). Normalmente, questi esigeranno delle garanzie addizionali per la conclusione dei loro contratti o porteranno a termine, in modo privato, uno studio della situazione di solvenza dell’impresa con la quale contrattano allo scopo di garantire che il loro credito potrà essere soddisfatto.

Ma i fondamenti ultimi dell’imposizione del dovere vanno al di là da questo fine informativo. L’impresa è soggetta alla registrazione della sua attività e del patrimonio per il fatto di supporre un’organizzazione: un’organizzazione di elementi collegati ed ordinati per l’adempimento di un fine –patrimonio imprenditoriale: azienda-; ed un’organizzazione delle potenzialità produttive di questi elementi e di altri ottenuti attraverso relazioni contrattuali –risorse

finanziare, capitale umano, formazione…- per il raggiungimento dei migliori risultati nello sviluppo della sua attività213.

a) Il fattore della complessità dell’impresa

Questo sembra di essere l’orientamento del legislatore –almeno di quello italiano, giacché lo spagnolo non segnala niente al riguardo- nella sua delimitazione del soggetto di contabilità. La tenuta contabile è sottoposta alle disposizioni imperative della normativa quando l’organizzazione imprenditoriale implica una certa complessità. L’esonero dal dovere al piccolo imprenditore individuale, agli artigiani ed all’imprenditore agricolo deriva dal fatto che questi soggetti non presentano una struttura d’entità tale –né nella sua configurazione stessa né nel rilievo delle sue relazioni economiche- che richieda l’adempimento di determinate formalità del dovere che, al contrario, sì potrebbero comportare un obbligo relativamente gravoso214. La logica di costi-benefici può essere quella che

giustifica l’esenzione. Questi soggetti svolgono un’attività economica di ripercussioni limitate. Sottoporli all’adempimento minuzioso dell’insieme delle prescrizioni della normativa contabili –nella loro configurazione più complessa- imporrebbe loro un carico per il cui adempimento dovrebbero investire delle risorse –in termini di tempo, sforzo e preparazione- che, probabilmente, eccederebbero i benefici che dall’adempimento deriverebbero. I soggetti che hanno rapporti con questo tipo d’imprenditori condividono con questi rapporti economici di scarsa quantità e si vedono garantiti, allo stesso modo, dal patrimonio personale dell’imprenditore in caso che questi non possa soddisfare gli obblighi assunti con quei contratti –si pensi che si tratta sempre di singoli imprenditori-.

213 Su questo particolare sono interessanti le riflessioni di SCARPA, D., “Organizzazione societaria

come sistema informativo e riflessi sull’agire amministrativo”, Giur. Comm., Num. 37, 2010, pp. 73- 92, il cui postula tre rilevanti funzioni che il sistema informativo delle società di capitali deve svolgere (p. 75): lo sviluppo della struttura organizzativa della società; lo sviluppo dei processi decisionali e l’attuazione regolare della società nel mercato.

214 Come abbiamo osservato, la normativa spagnola non riconosce nessuna eccezione per i piccoli

imprenditori, cosa che è dovuta a che il contenuto legale assegnato al dovere di contabilità è minimo e che, per rudimentale che sia l’impresa, sarà difficile concepirne una di dimensioni così piccole in cui non ci siano necessari questi libri, DUQUE DOMÍNGUEZ, J.F., voz “Libros de comercio”, Op. cit., p. 515.

Invece tenere una contabilità secondo tutte le prescrizioni che la normativa gli impone, implicherebbe prestare un’attenzione eccessiva a fatti diversi dallo svolgimento della sua attività, e ciò non solo sarebbe impegnativo sul piano dell’investimento ma anche, ugualmente, gli sottrarrebbe risorse –soprattutto capitale umano- di cui ha bisogno per lo svolgimento della sua attività principale.

Di conseguenza, si può considerare che sono due i criteri che stanno sotto l’imposizione del dovere di contabilità: la difesa di un interesse informativo e la complessità dell’organizzazione imprenditoriale. Perché all’imprenditore interessi l’adempimento di una serie di formalità che gli permettano disporre di un’informazione adeguata ed aggiornata del valore degli elementi che esso investe nella sua attività e dei risultati che ottiene è necessario che queste siano sufficientemente complesse. Allo stesso tempo, per stimare necessaria una regolazione positiva che, in modo imperativo, imponga l’adempimento di questo dovere, si richiede che nella conoscenza di questi dati siano implicati altri interessi, i quali eccedono quei dello stesso imprenditore. In caso contrario non ci sarebbe nessuna ragione per imporre il dovere, giacché l’unico pregiudicato dalla mancanza d’informazione sarebbe l’obbligato alla sua tenuta.

In certi casi, il legislatore presume l’esistenza di un’organizzazione di entità sufficiente, indipendentemente dalla dimensione e delle implicazioni dell’impresa in concreto. Questo avviene quando l’imprenditore utilizza determinate forme giuridiche per lo svolgimento della sua attività. È il caso della costituzione di una società commerciale per lo svolgimento di un’attività. Le società commerciali, per regola, hanno un’organizzazione sufficientemente complessa –sia nella struttura come nei loro rapporti (o, più concretamente, nella potenzialità di entrambe)- per imporgli l’adempimento del dovere indipendentemente della loro entità reale215.

Penso che in caso di attività organizzata attraverso le strutture proprie di una società, ogni imprenditore –e pure gli agricoli, allevatori o artigiani- dovrà dare

215 In questo caso, «l’obbligo della tenuta delle scritture contabili prescinde dall’elemento

dimensionale della società, non essendo queste in nessun caso considerate piccoli imprenditori (art. 1 l. fall.)», RACUGNO, G., L’ordinamento contabile..., Op. cit., p. 57.

adempimento estenso ai suoi obblighi contabili e, nel caso italiano, saràugualmente esposto alle procedure fallimentari. Dunque, l’ambito dell’esenzione riguarderebbe esclusivamente lo sviluppo di certe attività del singolo imprenditore.

b) Il concetto contabile d’imprenditore e l’esclusione del piccolo imprenditore

La questione dell’esenzione dal dovere di contabilità del piccolo imprenditore non era chiara nel Codice di Commercio italiano di 1865, come ugualmente, non è evidente per la dottrina spagnola attuale216. Entrambi i Codici di

commercio condividono dizione. Così, il Codice italiano, come faceva l’abrogato Código spagnolo di 1829 e la redazione originaria dell’attuale, stabiliva che l’imprenditore deve tenere una serie di libri. Dopo la riforma del 1989, il legislatore spagnolo considerò opportuna la modernizzazione terminologica sostituendo l’antico commerciante con l’attuale “imprenditore”217. Ma comunque,

216 In senso simile, il primo Código de comercio spagnolo di 1829 stabiliva nel suo articolo 32 che

«ogni commerciante» sarà obbligato a tenere conto e ragione delle sue operazioni in tre libri come minimo. Ci troviamo ormai dal 1829 con un’attribuzione generica ed ampia del dovere di registro contabile, da far risultare questo dovere –in modo più o meno simile a quanto accade attualmente- imposto ad ogni commerciante. Questa espressione è logica conseguenza dell’attribuzione che l’articolo 21 del Código di Sáinz de Andino faceva a «tutti quei che professano il commercio» di un insieme d’obblighi che componevano un primitivo statuto giuridico del commerciante. La tappa successiva nella legislazione commerciale generale spagnola s’aprirà con la povera redazione dell’articolo 33 della versione originaria del Código de comercio di 1885, la quale si limitava ad enumerare i libri obbligatori, senza menzionare nemmeno il dovere di tenuta, né imporlo a nessun soggetto concreto. L’attribuzione soggettiva della tenuta di quei libri si faceva soltanto in modo indiretto, attraverso gli articoli successivi che offrivano diverse opzioni per la tenuta dei libri dei commercianti come soggetti di questo dovere –relative ai diversi sistemi contabili nell’articolo 34, relative alla tenuta propria manu o attraverso dei collaboratori nell’articolo 35-. La modifica della redazione di questo precetto non avrà luogo fino alla promulgazione della legge del 24 luglio 1973, di riforma dei Titoli II e III del Libro primo del Código de comercio, a partire della quale si offre una dizione logica ed articolata del precetto stabilendosi che «ogni commerciante dovrà avere una contabilità ordinata ed adeguata alla sua attività commerciale» («todo comerciante deberá llevar una contabilidad ordenada y adecuada a su actividad mercantil»). In questa evoluzione, e fino alla grande riforma della materia in 1989 sembra che l’attribuzione soggettiva del dovere non esprima praticamente nessuna modifica, nonostante il miglioramento della tecnica legislativa.

217 Prima della grande riforma del Diritto societario spagnolo in 1989, si era ormai considerata la

necessità d’un certo adeguamento terminologico del ordine contabile stabilito nel Código de comercio –vid. DE LA CUESTA RUTE, J.M., “La contabilidad en el Código...”, Op. cit., p. 333-. Così, nelle discussioni sul Progetto di Legge di Riforma del 1973 si discuteva l’opportunità d’includere nella soggettivazione del dovere l’espressione «commerciante o imprenditore commerciale». Nonostante quest’opzione non abbia avuto successo nel documento definitivo, si era seminata ormai l’idea della necessità di modificazione del termine impiegato dal Codice ottocentesco, adattandolo alle

la situazione era la stessa: s’impone il dovere ad ogni imprenditore senza stabilire nessuna eccezione in funzione della sua dimensione. Come si è considerato218,

questo tenore originava, nella prospettiva del Codice italiano di 1865, una situazione di confusione, in parte similare alla presente nella giurisprudenza dogmatica spagnola attuale219.

In questa mancanza di precisione della normativa contabile spagnola nel indicare i soggetti che devono osservare le sue prescrizioni si è vista una mancanza necessità di un secolo XX che iniziava a vedere la sua fine. E questo nonostante il rifiuto iniziale della dottrina spagnola della terminologia d’impresa ed imprenditore, che risultava estranea alle trattazioni classiche spagnole –situazione ben diversa dall’esistente in Italia-. Come considerato da BIGIAVI, W., La piccola impresa, Giuffrè, Milano, 1947, pp. 5 e ss., la regolazione dell’impresa nel C. c. italiano, si fondò in concetti procedenti dell’ambito economico, concetti che, nonostante ciò, non dovrebbero essere spostati in modo automatico al sistema giuridico giacché l’economia e la pratica offrono due definizioni d’impresa che sembrano non coincidere. In questo modo, «il piccolo imprenditore, il quale svolge un’attività contemplata nell’art. 2195, è un piccolo imprenditore che svolge attività commerciale; ma non è un imprenditore commerciale in senso tecnico. Infatti, l’imprenditore commerciale in senso tecnico è quello cui si applica lo statuto speciale. Dato che questo statuto non si applica al piccolo imprenditore che svolga attività commerciale, ne viene che egli non è un imprenditore commerciale in senso tecnico» (p. 34).

Si è considerato che la proposta d’incorporazione del termine imprenditore nell’ordinamento spagnolo nel 1973 fu rifiutata in sede parlamentare, sostanzialmente sulla base dell’argomento che ciò presupporrebbe dare ingresso nel Código ad un sistema –si diceva- al quale non era ispirato: il Diritto commerciale come Diritto dell’impresa, BLANCO CAMPAÑA, J., Régimen Jurídico de la Contabilidad de los Empresarios, Lucentum, Madrid, 1980, p. 154, nt. 3. Finalmente, le connotazioni economiche finirono con l’imporsi e la riforma di 1989 soccombe alla necessità di un miglioramento lessicale, introducendo l’imprenditore come soggetto del dovere di contabilità. Nonostante questo, non mancarono proposte di ammende della Legge di Riforma del 1989 che propugnavano che le disposizioni del Código de Comercio facessero riferimento «ai commercianti e agli imprenditori individuali», per così evitare una pretesa “insicurezza giuridica” che l’introduzione del nuovo termine poteva creare. Così, la modifica proposta da Euskadiko Ezquerra (ammenda nº 229, p. 127). Vid. al riguardo, VICENT CHULIÁ, Las cuentas anuales…, Op. cit., p. 17. Così, il dovere generico passava ad occupare l’articolo 25 di un Código con cambi nella numerazione ed a presentare questo precetto la dizione attuale, stabilendosi l’imperativo che ogni imprenditore dovrà tenere una contabilità ordinata, adeguata all’attività della sua Impresa. Nonostante ciò, la prima volta che si fece uso nel Diritto spagnolo della terminologia impresa/imprenditore ebbe luogo decenni prima con il Reglamento del Registro Mercantil approvato dal Decreto del 14 dicembre 1956. Comunque, condividiamo l’opinione di EIZAGUIRRE BERMEJO, J.M., Derecho Mercantil, Civitas, Madrid, 1999, p. 111, la nuova nozione d’imprenditore introdotta non aggiunge niente alla preesistente di commerciante.

218 NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., p. 219.

219 Vid. in questo senso VICENT CHULIÁ, F., Las cuentas anuales…, Op. cit., pp. 51 e ss, che considera

che la normativa contabile commerciale è applicabile, in via di principio, solo ai commercianti o imprenditori commerciali individuali ed alle società commerciali, considerando che il cambio di termine che s’introduce con la riforma del 1989 non costituì un cambio nella composizione soggettiva del dovere, in modo diverso da quanto sostengono altri autori che, secondo quanto afferma Vicent, leggono il nuovo termine “imprenditore” nel senso di termine capace di estendere il dovere pubblico di contabilità ad ogni soggetto che opera con autonomia nel mercato.

di «scienza della legislazione», nel senso d’implicare un difetto di concezione e non solo di tecnica legislativa220. Si critica di quest’articolo 25 del Código de comercio

che semplicemente alluda ad ogni imprenditore senza fare nessun riferimento al carattere o all’attività commerciale di questo –come infatti si fa nei diritti italiano, francese e tedesco-. Ugualmente, oltre a questa mancanza di precisione sullo esercizio dell’attività commerciale, non si stabilisce nessuna esclusione espressa dei soggetti di dimensioni ridotte né di quelli che svolgono un certo tipo d’attività221. Nella mia opinione, il dibattito è stato costruito più in termini

concettuali che sulla base delle conseguenze222. Considero che, invece, le deduzioni

si dovrebbero fondare sulla base delle conseguenze concrete che possono derivare dall’imposizione o meno del dovere a certi soggetti.

220 VICENT CHULIÁ, F., “El Derecho Contable Mercantil”, Op. cit., p. 53. Nonostante ciò, come afferma

RACUGNO, G., L’ordinamento contabile..., Op. cit., p. 61, «Il collegamento tra impresa e obbligo della tenuta delle scritture non è così da ricollegarsi soltanto alla qualità di imprenditore commerciale del soggetto che esercita l’attività, bensì anche alla sussistenza di un minimum di organizzazione dell’impresa, al di sotto della quale (scilicet piccolo imprenditore) questo non è più reputato necessario».

221 Con ragione, questa situazione diede luogo a che il professore Girón considerò che il cambio

normativo del 1989 ha sì una grande ripercussione, giacchè suppone una deviazione dei principi e le regole contabili d’indole generale della quarta Direttiva, perché la generalità di questa si riferiva alle norme particolari delle società di capitali, e quello che si è fatto nel Diritto spagnolo è prendere questa generalità e convertirla attraverso il suo passaggio al C. de c., nel suo Titolo III del Libro I, alla sua applicabilità non solamente alle società di capitali ma ad ogni classe d’imprenditori. È questa una generalizzazione che non proviene dalla Direttiva e da altre fonti di Diritto comparato (GIRÓN TENA, J., “Las cuentas anuales…”, Op. cit., pp. 17-18). Così, dalla considerazione dell’uguaglianza dei concetti, la riforma suppose l’attribuzione ad ogni imprenditore di norme che, secondo la Direttiva, erano esclusivamente orientate alle società di capitali.

222 Così, mentre che una parte considerevole della dottrina pensa che il dovere riguarda ogni

imprenditore, secondo il tenore letterale dell’art. 25, un settore minore, di cui fa parte il professore VICENT, considera che si deve continuare con la visione di «commerciante» mantenuta sulla base del testo del Código de comercio anteriore alla riforma del 1989. L’opinione estensiva la troviamo, fa gli altri, in GIRÓN TENA, J., “Las cuentas anuales…”, Op. cit., pp. 18-19; MORÁN BOVIO, D., “La contabilidad de los empresarios”, Op. cit., p. 150, o più chiaramente, in ROJO FERNÁNDEZ-RÍO, A., “La contabilidad…”, Op. cit., p. 139, il quale afferma che si tratta di un dovere legale che non conosce eccezioni. Qualunque siano le dimensioni dell’impresa e qualunque sia il settore economico nel quale si svolga l’attività imprenditoriale.

Il dibattito si incentra nella discussione dottrinale sulla possibilità di un imprenditore non commerciale. La questione non ammette semplice soluzione. Tradizionalmente si considera che un soggetto svolge un’attività commerciale quando la sua attività consiste nella realizzazione di «atti di commercio» nel senso dell’art. 2 C. de c. Nonostante ciò, situazioni empiriche ci allontanano da questa deduzione, perché determinati soggetti saranno imprenditori commerciali per il semplice fatto della loro forma –tipicamente SPA, SRL-, al di là dalle implicazioni che possano derivare della loro attività.

In primo luogo, la necessità. La dovuta contabilizzazione di elementi patrimoniali e risultati dell’attività solo sono precisi a partir da una determinata complessità. La tradizionale definizione d’imprenditore come il soggetto che, avendo capacità, svolge un’attività economica in modo professionale, impiegando per quello mezzi propri ed assumendo i rischi della sua attività223, è un concetto

ampio. Nonostante ciò, dentro l’imposizione generica di doveri è difficile ricomprendere i piccoli imprenditori, perché questi sono sprovvisti delle minime strutture organizzative che giustificano l’imposizione224. È per questo che si è

differenziato l’imprenditore commerciale o empresario mercantil225

223 Mentre che nel diritto italiano l’art. 2082 C.c. definisce all’imprenditore come quello che esercita

professionalmente un’attività economica organizzata per la produzione o l’intercambio di beni o servizi; il diritto spagnolo si mostra meno concettuale nell’art. 1 C. de c., determinando che saranno commercianti, quelli che, avendo capacità legale per esercitare il commercio, si dedicano ad esso in modo abituale, così come le compagnie commerciali o industriali che si costituiscano secondo il Código. Non molto distante da queste concezioni è l’articolo L121-1 del Code de Commerce francese il quale afferma che sono commercianti quelli che esercitano fatti di commercio facendo di quello la loro professione abituale –rimandando agli artt. L-110-1 a 110-4 per l’enunciazione di cosa si reputa per atti di commercio-. Il diritto tedesco, invece, collega il concetto d’imprenditore alla titolarità dell’impresa. Così, il §1 HGB determina che agli effetti del Codice è commerciante quello che gestisce un’impresa, considerandosi come tale qualsiasi stabilimento commerciale, salvo quella che, per ragioni delle sue classi o delle sue dimensioni, non richieda di uno stabilimento organizzato secondo criteri commerciali. Risulta interessante, nonostante sia diverso negli ordinamenti latini, la connessione che realizza l’ordinamento tedesco del concetto d’imprenditore come soggetto titolare di un’organizzazione, cioè, dell’impresa. Questa visione organicistica serve, sulla base dei nostri ragionamenti, per sostenere la necessità di contabilità come elemento di strutturazione dell’organizzazione dell’impresa.

224 «Nella piccola impresa, l’organizzazione (in senso statico) è accessoria rispetto all’attività

personale (mestiere, professione) dell’imprenditore, è strumento di esercizio di tale attività, potendo, secondo taluni, addirittura mancare», NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., p. 289. La necessità d’organizzazione, dunque, è quello che ha considerato parte della dottrina come criterio di delimitazione fra i soggetti obbligati e quelli che sono esenti dal dovere di contabilità, giacché