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144 Probabilmente l’opera dottrinale più importante al riguardo continua essendo oggi –nonostante

le numerose modifiche legislative che hanno avuto luogo-, PANUCCIO, V., La natura giuridica delle registrazioni…, Op. cit. Nella dottrina classica spagnola, merita essere distaccato lo studio di GARRIGUES, J., “Valor probatorio de los libros de comercio”, RDM, num. 13, 1948, pp. 45-54. Nel suo studio, Panuccio fa un ripasso sulle considerazioni sulla natura giuridica dei registri contabili che si sono prodotti fino alla promulgazione del C.c. ita. in 1942. Così, originariamente, sulla base degli articoli 1328 e 1329 del C.c. ita abroato e degli articoli 44 e 48 del C. de c. di 1882 (pure abrogato dal C.c. del 1942), si sosteneva una considerazione originaria dei registri contabili come un tipo di confessione stragiudiziale, considerandosi possibile la prova in contrario dei libri di commercio (in similare senso, Hamel, Lagarde, Ripert, Pothier). Nell’anno 1930 s’inizia la polemica nella dottrina italiana sulla base dell’opinione di ASCARELLI, T., “Registrazioni nei libri di commercio e confessione”, Riv. Dir. Proc., 1930, p. 338 e ss.; che consideravano che i registri non sarebbero dichiarazioni al non essere dirette ad una controparte né essere accompagnate dalla volontà d’emettere una dichiarazione. Perciò, per esso non costituiscono dichiarazioni, ma sono semplici fatti (registri) ai quali il nostro sistema, per motivi d’intuitiva efficienza, offre un valore probatorio senza per quello volergli assimilare alla confessione. In quello stesso anno, CARNELUTTI, F., “Documento e testimonianza”, Riv. Dir. Proc., 1930, I, pp. 342-344, concluse che i registri non sono confessioni, ma non per il fatto di non essere dichiarazioni, ma perché non si tratta di dichiarazioni recettizie. Quest’opinione del suo carattere di non-dichiarazione fu dibatta da BIONDI, A., “Registrazione e dichiarazione, Riv. Dir. Proc. Civ., 1931, I, pp. 134-144, il cui affermava la sua natura di confessione giudiziaria, giacché al realizzare i registri contabili, l’imprenditore sa che quello che scrive servirà domani, in caso di lite, al giudice; perciò, l’interlocutore reale sarà il giudice. Ascarelli rifondò la sua tesi sulla base di queste critiche (“Registrazione e dichiarazione”, Riv. Dir. Proc. Civ., 1931, I, pp. 342-354), differenziando i concetti di dichiarare (comunicare agli altri la propria volontà) e registrare (prendere nota di determinati atti o fatti, con indipendenza della volontà di volergli comunicare), affermando che «chi registra non dichiara» (íbid., p. 343) perciò non sarebbero gli allibramenti contabili un atto di carattere recettizio. Per Ascarelli è logico che si possa comunicare il contenuto dei registri, avendo gli stremi propri d’una confessione, ma come il suo oggetto sarebbe lo stesso registro, il valore probatorio di questa confessione sarà il proprio dei registri e non quello delle dichiarazioni. Così, i registri dei libri di commercio conformerebbero manifestazioni di scienza e non dichiarazioni né tanto meno confessioni in senso tecnico. Il dibattito dottrinale si completai con l’apporto di MESSINEO, F., “Valore giuridico del bilancio di società per azioni e delle registrazioni nei libri sociali”, in Studi di Diritto delle Società, Giuffrè, Milano, 1958, 2ª ed., pp. 129-162 (pubblicato previamente nel Foro it., 1938, I, pp. 1427 e ss.), il cui considerava che i registri dei libri sociali sì che hanno un destinatario e, perciò, si tratta di dichiarazioni confessorie extragiudiziarie recettizie. In questo momento, si produce la promulgazione del C.c. ita del 1942, e con quello, la materia passa ad essere ripresa nel contenuto degli articoli 1709 e 1710 il cui contenuto letterario non è stato modificato sino ad oggi, ed ai quali si farà riferimento più avanti in questo studio.

Prima di procedere all’analisi di quale sia la natura giuridica dei libri contabili, si deve fare una considerazione osservata qualche anno fa dalla dottrina145, si tratta del fatto che tradizionalmente si è stata offerta una visione

parziale su quale sia la natura giuridica dei libri contabili, perché questi erano considerati soltanto dalla prospettiva del suo rilievo esterno e, dunque, centrando la sua analisi sulla efficacia probatoria che, in caso di lite, questi possono svolgere. Di fronte a questa visione parziale e riguardante al suo rilievo esterno – processuale- dei libri contabili, una visione interna ci deve fare considerare questi libri come uno strumento di controllo sull’andamento dell’impresa e dell’attività dei suoi dipendenti146. Sebbene, come si può dedurre, entrambe le prospettive non

sono esclusive ma che, giusto al contrario, si devono completare reciprocamente.

Per determinare in modo giustificato quale sia la natura giuridica dei libri di contabilità, si deve realizzare previamente un’analisi delle caratteristiche e le funzioni che definiscono entrambi. Per fare questo, si deve stabilire prima una discriminazione fra i libri contabili tenuti in adempimento della normativa –vale a dire, il libro giornale e il libro degli inventari147, così come quei richiesti dalle Leggi

o disposizioni speciali, secondo la natura e la dimensione dell’impresa- ed i libri potestativi, di tenuta volontaria dal imprenditore. La differenzia fondamentale fra i due è ovvia: mentre i primi sono tenuti per l’imperativo d’una norma legale che li richiede, i secondi rispondono ad una decisione volontaria dell’imprenditore che considera che la tenuta di queste registrazioni è un’attività conveniente per la migliore organizzazione del suo negozio. Questi libri, nonostante trattarsi d’un elemento materiale, non hanno un carattere statico, ma sono il risultato e, allo

145 Così, NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., p. 256, avvertiva che «(…) il discorso sulla natura

giuridica delle registrazioni contabili, per quanto riguarda il loro contenuto, non può essere condotto nell’ottica ristretta della loro efficacia probatoria, con riferimento cioè a quella che è soltanto una delle possibili utilizzazioni di esse». In senso similare, MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Régimen jurídico de la contabilidad…, Op. cit., p. 112.

146 MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Íbid., p. 108.

147 Cifr. art. 25.1 C. de c., art. 2214 C.c. ita. Di fronte a questi, il HGB -§ 238-239-, non determina quali

sono i libri obbligatori che l’imprenditore deva tenere, limitandosi a stabilire come si devono svolgere le registrazioni in quei che si decidano d’utilizzare.

stesso tempo, oggetto d’una attività continuata, com’è il registro, l’analisi e l’espressione dei fatti con rilievo economico che accadono nell’ambito dell’impresa.

a) Valore materiale dei libri di contabilità

Dalla prospettiva materiale, risulta evidente che i libri di contabilità conformino un compendio documentale, sono un insieme di documenti di formazione progressiva nei quali si contengono dati economici sull’impresa. E dentro certi tipi di documenti, non vi è insinuato alcun dubbio, che si tratta di documenti privati, giacché nella sua elaborazione non ha avuto luogo l’intervento di nessuno dei soggetti ai quali la normativa attribuisce la possibilità di creare o intervenire nella creazione di documenti pubblici148. In qualsiasi caso, il fatto di

rilievo al riguardo non è tanto il supporto materiale sul quale si verte l’informazione (libro, foglie mobili, files informatici…), ma le registrazioni – allibramenti- trascritte149 in questi. Saranno precisamente queste registrazioni

quelle che offriranno la configurazione giuridica ai libri, che adotteranno il carattere proprio di quello che contengono150.

Comunque, c’è un complesso numero di caratteri che definiscono ai libri di contabilità come documenti privati. In primo luogo, che si tratta di registri contabili tenuti nel seno dell’impresa, secondo delle regole per la sua registrazione –alle quale si farà riferimento più avanti-, ma che non devono essere firmati dall’imprenditore151. La dottrina stabilisce un certo legame fra la firma dei

148 Non sembra così di rilievo considerare se si tratterebbe semplicemente d’un documento privato

oppure d’un «documento commerciale», categoria che esclusivamente appare utilizzata nella normativa penale per qualificare come specificamente aggravati certi tipi di falsità (cifr. arts. 390 e ss CP esp.).

149 Così, NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., p. 255, afferma che il problema della natura

giuridica affetta non tanto al documento come al «documentato». Su questo aggiunge RACUGNO, G., L’ordinamento contabile…, Op. cit., p. 86, che il documentato «può definirsi come «registrazione contabile» o «dichiarazione contabile», va classificato tra le dichiarazioni di scienza (o di verità) non recettizie».

150 In questo senso PANUCCIO, V., La natura giuridica delle registrazioni…, Op. cit., pp. 56-57. 151 In modo diverso a quanto accade nella dottrina italiana, la dottrina e la giurisprudenza spagnola

negano il fatto che la firma abbia alcun effetto all’ora di considerare la natura giuridica dei documenti contabili, essendo di rilievo soltanto quella contenuta nella decisione di formulazione

documenti contabili e l’assunzione da parte dell’imprenditore delle eventuali responsabilità che si potrebbero derivare dei dati contenuti in essi. I libri di contabilità dovranno essere bollati (almeno in Spagna) dal Registro delle Imprese (Registro Mercantil)152 –sia in anticipo o posteriormente alla chiusura

dell’esercizio economico-, ma nessuna norma richiede che siano firmati dallo stesso imprenditore. Questo ha fatto alla dottrina italiana affermare che questi libri contabili non hanno il carattere di documenti privati153 stricto sensu.

Così, in un primo momento, la dottrina considerò che i libri di commercio presentino il carattere proprio di una confessione extragiudiziaria, ammettendosi nonostante, la prova in contrario. Secondo la tesi dell’Ascarelli154, si deve negare

questa possibilità, giacché questi libri non suppongono una dichiarazione diretta alla controparte ed accompagnata della volontà di trasmettere tale dichiarazione. Approfondendo nei motivi per negare il carattere confessorio dei libri contabili, dobbiamo tenere presente che è possibile, e legalmente riconosciuto, modificare o correggere in qualsiasi momento i libri e le dichiarazioni in loro contenuti, sempre che per ciò s’adempiano i tramiti e le cautele legalmente previsti. Si possono affermare due note al riguardo delle tesi negative di considerare che si tratti di una confessione extragiudiziale: in primo luogo, che le registrazioni contenute nei libri di contabilità non si producono con la volontà di dichiarare, cioè, che si svolgono all’oggetto d’offrire un’informazione in utilità dell’imprenditore stesso sullo stato e l’andamento del suo negozio, con indipendenza che l’adempimento di questi atti comporti la soddisfazione di un dovere legalmente stabilito. In secondo luogo, non si tratta in nessun caso di una dichiarazione di carattere recettizio: l’imprenditore annota nei libri contabili registrazioni all’oggetto di utilizzarle lui stesso come informazione sulla sua impresa, e non con lo scopo di lasciarle al libero accesso dai soggetti esterni. Dunque, le registrazioni contabili, nonostante che possano del bilancio. Così, MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Régimen jurídico de la contabilidad…, Op. cit., p. 113, e la sentenza del TS del 10 giugno 1965.

152 Nel sistema italiano, come si vedrà, gli obblighi di bollatura e vidimazione dei libri contabili sono

stati aboliti dal d.l. n. 357, del 10 giugno 1994.

153 In questo senso NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., pp. 254-255. 154 ASCARELLI, T., “Registrazioni nei libri...”, Op. cit., p. 338 e ss.

assumere rilievo esterno all’impresa, in modo generale non sono destinate a terzi estranei, ma invece, allo stesso imprenditore, anche se sono tenuti al suo deposito o esibizione155. Così, come si ha proposto, al massimo si potrebbe parlare di

«autorecettività»156. Ugualmente, malgrado quanto argomentato in qualche

occasione da certi autori, dobbiamo scartare la tesi che considera che le registrazioni contabili costituiscano un tipo di confessione, perché ciò sarebbe contraddittorio con la possibilità di prova in contrario che ammettono le registrazioni contabili157, così come con la possibilità di correggergli o modificargli

dal suo proprio autore158.

b) Valore dei libri dalla prospettiva processuale generale: funzione probatoria

Dunque, una dichiarazione implicherebbe la volontà di manifestare un’informazione perché questa si renda accessibile ad altri soggetti in concreto. Invece, quello che succede nei libri contabili è un registro, vale a dire il contenuto di manifestazioni su determinati fatti a modo che risultino d’utilità al soggetto che accede normalmente a quei, cioè, l’imprenditore. Sebbene quest’affermazione non ammette un facile oppugnazione, dobbiamo chiederci perché il legislatore attribuisce efficacia giuridica probatoria al contenuto dei libri contabili e se questi sono semplici registri destinati all’imprenditore. La risposta, si deve trovare nelle caratteristiche proprie di quello che si registra. In questo senso, le registrazioni contabili si praticano in interesse dell’imprenditore stesso –unico soggetto sul quale producono effetti, salvo in caso di lite nella quale potrebbero svolgere

155 NIGRO, A., “Le scritture contabili”, Op. cit., p. 257.

156 Facendosi uso del termine impiegato da SIMONETTO, E., “Recensione a Panuccio, La natura

giuridica delle registrazioni contabili”, Riv. Dir. Civ., 1967, I, p. 104.

157 In questo senso, PANUCCIO, V., La natura giuridica…, Op. cit., p. 19.

158 Scarta ugualmente il suo carattere di confessione, MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Régimen jurídico

de la contabilidad…, Op. cit., p. 116. Per il contrario, sempre nella dottrina spagnola, affermava questo carattere nella decada dei quaranta, GARRIGUES, J., “Valor probatorio de los libros…”, Op. cit., p. 46; ugualmente, nel suo Curso…, Op. cit., p. 532.

efficacia probatoria-, la pratica di questi si realizza secondo l’insieme delle norme dettate dalla disciplina della contabilità, che fanno considerare che il suo contenuto non è una semplice opinione, ma una manifestazione di scienza o verità, che presenta anche carattere non recettizio159. Questo significa che i dati contenuti

nella contabilità, avendo seguito un procedimento regolato di elaborazione –IAS, Pianificazioni contabili…- non implicano semplici opinioni del suo autore, ma presentano un carattere altamente oggettivo. Trattarsi di registrazioni di carattere oggettivo non significa che siano sempre esatti, perché la contabilità può essere corretta e modificata a posteriori secondo i meccanismi di salvaguardia arbitrati e sempre che non implichi la distruzione totale dei registri precedenti. Giacché si tratta di un registro nel quale si contengono manifestazioni di scienza o verità e che può svolgere effetti dimostrativi molto utili in casi di lite, il legislatore decide di dotargli d’un valore probatorio superiore al proprio di qualsiasi altro registro e nonostante che le registrazioni contabili siano sprovviste dal carattere di dichiarazione.

Per giunta, si è affermato160 che si tratta di dichiarazioni di scienza di

secondo grado, in quanto riflettono fatti che sono stati costatati nella pratica su un documento. Non possono aggiungere o togliere alla dichiarazione di primo grado alla cui si riferiscono, né rivelare di per se una situazione giuridica preesistente. Queste dichiarazioni di secondo grado, presuppongono l’esistenza e validità d’un

159 Condividiamo, così, l’opinione fondata dall’Ascarelli, e che ancora nell’attualità sembra

maggioritaria. Fra gli autori attuali, RACUGNO, G., L’ordinamento contabile…, Op. cit., p. 86, MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Régimen jurídico de la contabilidad…, Op. cit., pp. 111-123. Dal suo canto, sembra interessante la conclusione alla cui arriva BOCCHINI, E., Scritture contabili, Op. cit., p. 113, affermando che «La natura giuridica delle registrazioni contabili è discussa e discutibile. La dottrina più antica attribuiva alle registrazioni contabili la natura di confessioni stragiudiziali o giudiziali, mentre la dottrina più moderna, pur riconoscendo che confessioni e registrazioni contabili appartengono allo stesso genus di dichiarazioni di verità, distingue, all’interno della categoria, le dichiarazioni confessorie, che sarebbero dichiarazioni libere o spontanee e incontestabili da parte dell’autore, dalle dichiarazioni non confessorie, come le registrazioni contabili, che sarebbero dichiarazioni obbligate di verità suscettibili, però di prova contraria, a contenuto variabile, non sempre contrario all’imprenditore».

Dopo la sua completa analisi arriva alla stessa conclusione PANUCCIO, V., La natura giuridica..., Op. cit., p. 63, stimando che «Le registrazioni contabili sono dichiarazioni, non sono confessioni, sono dichiarazioni di verità, e infine dichiarazioni scritte, cioè documentazioni».

160 PANUCCIO, V., La natura giuridica..., Op. cit., p. 143; RACUGNO, G., L’ordinamento contabile, Op.

atto giuridico separato e diverso, dotato dai suoi propri requisiti di sostanza e di forma (dichiarazione di primo grado) che offre la base di verità e pure di efficacia del fatto contabile (dichiarazione di secondo grado)161. L’efficacia, per tanto, delle

dichiarazioni contabili sarà probatoria –e pensiamo, che non sempre sufficienti per fare prova-, mentre che quella delle dichiarazioni di primo grado hanno forza costitutiva, modificativa o estintiva delle relazioni giuridiche sul piano sostantivo.

In aggiunta, la sua configurazione giuridica deve essere quella di conformare una dichiarazione di scienza o verità di carattere obbligatorio, perché si emettono in adempimento d’una norma, la quale riconosce l’esistenza d’interessi implicati nel contenuto della dichiarazione che oltrepassano quei dell’emittente stesso162. Il carattere di dichiarazione di scienza si estende sia al suo aspetto

materiale (la manifestazione si deve fare), come al riguardo del suo contenuto (deve trattarsi di una dichiarazione verace, secondo i criteri della normativa contabile).

Per continuare l’analisi si deve considerare il valore giuridico che la normativa offre ai libri contabili. Come è ormai stato considerato dalla migliore dottrina decadi fa, ai libri di commercio si deve concedere una forza probatoria sui generis163. Così, nel caso italiano, l’art. 2709 C.c.164 afferma che i libri ad altri

documenti contabili delle imprese obbligate ad iscriversi nel Registro fanno prova contro l’imprenditore165; sul quale aggiunge l’art. 2710, che i libri contabili

161 Così era già considerato da GARRIGUES, J., Curso…, Op. cit., p. 642, il cui considerava che a

differenza del Diritto Romano, nel Diritto moderno gli allibramenti nei libri dei commerciante non hanno da per se sostanza giuridica: accreditano fatti e modifiche di carattere patrimoniale (entrate ed uscite nel patrimonio del commerciante), ma non fatti giuridici direttamente. Oggetto di registrazione non sono mai i contratti, ma le prestazioni patrimoniali derivate dei contratti. Solo per la via della deduzione potremo risalire al contratto causante della prestazione.

162 In questo senso, MARINA GARCÍA-TUÑÓN, A., Íbid., pp. 118-119. 163 GARRIGUES, J., “Valor probatorio de los libros…”, Op. cit., p. 45.

164 Con identica dizione che l’art. 1330 del Code Civil francese: «Les libres des marchands font

preuve contre eux; mais celui qui en veut tirer avantage ne peut les diviser en ce qu’ils contiennent de contraire à sa prétention».

165 Nel diritto spagnolo la regolazione è similare, anche se si riferisce in modo generale ai

vidimati e bollati, quando siano tenuti in modo regolare, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. Di questi due precetti si possono estrarre una serie di conclusioni. In primo luogo, che la norma attribuisce efficacia ai registri contabili contro l’imprenditore –anche quando siano tenuti in modo irregolare, incompleto oppure senza adempiere le esigenze di bollatura e vidimazione-. Questo è dovuto, al nostro parere, al semplice fatto che il legislatore impone all’imprenditore (art. 2214 C.c.) il dovere di tenere corretta ed adeguatamente i libri contabili, in modo tale che questi possano offrire un’immagine vera e fedele sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. Si presume, perciò, che l’imprenditore li tenga adeguatamente e dunque il contenuto registrato in questi libri implica una manifestazione oggettiva (dichiarazione di scienza) sulla situazione reale dell’impresa. In caso d’inesattezza in tali documenti, l’imprenditore non farebbe altro che sopportare le conseguenze del suo inadempimento del dovere generale di tenere una contabilità adeguata. È per quello che l’art. 2709 aggiunge che tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, in modo tale che si considerano i libri contabili come un’unità.

Si potrebbe discutere l’ambito soggettivo di queste due norme. Così, quando i libri di contabilità, con indipendenza di come siano tenuti possono essere utilizzati contro l’imprenditore; mentre i libri vidimati, bollati e regolarmente tenuti possono fare prova delle relazioni fra gli imprenditori. Ci si potrebbe chiedere il perché di questo ambito soggettivo, e se questa seconda norma affetta soltanto ai rapporti fra gli imprenditori oppure anche di qualsiasi altro soggetto con l’imprenditore. Il motivo per il quale i libri contabili soltanto pregiudichino all’imprenditore con indipendenza della regolarità della sua tenuta è, fondamentalmente, che non avrebbe senso favorire a questo del contenuto dei documenti che lui stesso predispone e che, in conseguenza, sarebbero facilmente manipolabili (si continua così il principio generale di cui nessuno può costruire un titolo al suo proprio vantaggio: nemo sibi titulum constituere potest). Questa stessa scritture private unicamente fanno prova contra quello che li ha scritti in tutto quello che consti con chiarezza; ma quello che se ne vuole profittare dovrà accettarli pure nella parte che li pregiudicano.

ragione può avvalersi per considerare che i libri degli imprenditori tenuti regolarmente possono fare prova delle relazioni fra questi, e soltanto –pensiamo- quando entrambi abbiano lo statuto d’imprenditori. La causa è che se entrambi due sono imprenditori, dovranno avere tenuto conto e registro della stessa operazione e con gli stessi caratteri, anche se, ovviamente, di segno opposto, che permettano al