IMPRECISA: IL “LIBERAL-NAZIONALISMO” DEL XIX SECOLO
3. La “fisionomia” delle nazioni: che cos’è un “carattere nazionale”?
Tocqueville, Beaumont, Stuart Mill e più tardi Lord Acton combinano una concezione genealogica della nazione, definita dalla sua origine, con una con- cezione volontarista, che fonda la nazione sui diritti e i doveri reciproci, e su alcuni valori comuni. La nazione è al tempo stesso una comunità storica e un’entità costituzionale.
Il sistema esplicativo di Tocqueville dà un largo spazio alla concezione genealogica della nazione, definita da un carattere nazionale, una lingua e dei costumi ereditati da una storia comune.
La prima Démocratie dimostra, nel 1835, l’importanza del «punto di par- tenza» nell’esperienza americana25. I primi coloni sono uniti da una lingua
comune, una religione comune – il puritanesimo – ed una cultura politica de- mocratica. Da questo punto di partenza risulta un «carattere nazionale», vale a dire «dei pregiudizi, delle abitudini, delle passioni dominanti»26 o, dice Toc-
queville, «des habitudes du coeur» e «des habitudes de l’esprit»: insomma «una fisionomia distinta» caratterizzata dall’instabilità e dalla fiducia nell’avvenire. Una ventina di anni più tardi, nel 1856, L’Ancien Régime et la
Révolution studia con gli stessi metodi la “fisionomia” dei francesi. La nazio-
ne francese è una comunità storica che molti credono predestinata alla servitù e che Tocqueville raffigura, al contrario, come imprevedibile:
quando io considero questa nazione in se stessa la trovo più straordinaria di tutti gli avvenimenti della sua storia. Mai ne è apparsa una sulla terra che fosse così piena di contrasti e così estrema in ciascuno dei suoi atti, più condotta da delle sensazioni e meno da princìpi, sempre peggiore o migliore nel suo agire di quanto non ci si atten- desse, talvolta al di sotto del livello comune dell’umanità, talvolta alquanto al di so- pra; un popolo talmente inalterabile nei suoi principali istinti che lo si riconosce anco- ra nei ritratti che sono stati fatti di lui due o tremila anni fa, e al tempo stesso talmente
25 Su questi temi cfr. il mio articolo Nations et nationalisme in Tocqueville et l’esprit de la
démocratie, a cura di L. Guellec, Sciences-po les presses, Paris, 2005, pp. 337-356.
26 DA, volume 1, parte 1, capitolo 1. Cfr. nei Carnets de voyage, “Caractère National des
mobile nei suoi pensieri di ogni giorno e nei suoi gusti che esso finisce per divenire uno spettacolo inatteso a se stesso [...] indocile per temperamento, e tuttavia in grado di adattarsi meglio al dominio arbitrario e persino violento di un principe che al go- verno regolare e libero dei principali cittadini [...] mai così libero che si debba dispe- rare di asservirlo, né così asservito che non possa ancora spezzare il suo giogo27.
Bella pagina, che costituisce la perorazione dell’opera, ma che manifesta in Tocqueville più la volontà di suscitare un sussulto di energia e il bisogno di sperare che non un’attitudine da etnologo, poiché questo carattere nazionale che consiste nell’essere imprevedibile ha un’esistenza incerta. A margine del- la sua copia di lavoro, Tocqueville annota: «la raffigurazione di un popolo è sempre un’immagine vaga e indistinta quando la si vuole fare nell’insieme. Vi regna sempre più pretesa che verità. Brano ad effetto. Una concezione al gusto falso del tempo».
Del riferimento alla nazione come comunità storica, Tocqueville conserva la forza contestatrice che ad essa avevano dato i filosofi del XVIII secolo: l’appello alla nazione storica come mezzo per legittimare la resistenza al De- spota. E va infine osservato che la nazione non ispira a Tocqueville l’effusione sentimentale che essa suscita in alcuni dei suoi contemporanei ro- mantici.
Il “carattere nazionale”, sebbene Tocqueville ricorra al termine medico di “fisionomia”, non risulta dunque – o risulta solo in misura scarsa – da un de- terminismo etnico. I caratteri nazionali sono acquisiti, più che innati, e pertan- to essi sono modificabili da buone istituzioni, che possono formare dei costu- mi liberi. Nulla di più detestabile per Tocqueville che l’idea di una inegua- glianza definitiva tra i popoli o le razze, idea a quel tempo sostenuta da Gobi- neau:
Che ciascuno dei differenti popoli presenti, attraverso la sua storia, aspetti propri, ciò che negli individui si chiama il naturale, questo è, credo, incontestabile. Ma che que- sto naturale sia talmente invincibile che le generazioni che si succedono siano fatal- mente incatenate, attraverso la razza, a certi sentimenti, idee, leggi, a un certo stato di civiltà, ecco ciò che non è mai stato provato, che mille fatti smentiscono e che non può essere sostenuto se non nell’interesse di tutti coloro che, per scopi diversi, vo- gliono opprimere o comprimere la specie umana28.
Se dunque Tocqueville sembra talvolta riconnettersi all’idea sostenuta nel XVIII secolo da Mably e da Boulainvilliers, che la monarchia si è costituita
27 Oeuvres, Pléiade, t. 3, p. 230 e s. (libro III, cap. VIII).
distruggendo le antiche libertà della nazione, egli si rifiuta di fare della libertà una questione di origine e della nazione etnica la fonte del Diritto.
Beaumont adotta ne L’Irlande un’attitudine simile: volendo mostrare la «complicazione infinita degli elementi di cui si compone l’assetto sociale e politico dell’Irlanda» (p. 7), egli comincia con lo studiare, come Tocqueville, il “punto di partenza”. La narrazione inizia nel 1169 attraverso il racconto dell’urto tra «due popoli separati»: gli irlandesi «nazione invasa» e gli invaso- ri normanni e sassoni. La seconda epoca (1535-1690) mostra lo «spirito na- zionale» degli irlandesi, che si modifica con lo sviluppo dell’«odio» contro gli inglesi e il protestantesimo, odio che risulta dalla violazione dei diritti degli irlandesi. La terza epoca (1688-1775) indica il fallimento della separazione delle nazioni e il fallimento della politica di persecuzione; la quarta epoca (1776-1829) racconta l’emergere presso gli irlandesi di uno spirito di resisten- za, ispirato dagli esempi americano e francese.
Da tutto questo risulta propriamente un «carattere nazionale irlandese», certo poco lusinghiero (e spesso comparato al carattere francese del XIX seco- lo): è dalla razza che deriva il fatto che l’inglese sia avveduto e l’irlandese pi- gro, ubriacone? No, si tratta di un risultato della Storia: «l’Irlanda ha subìto il regime del dispotismo, è inevitabile che l’Irlanda sia corrotta; il dispotismo è stato di lunga durata, la corruzione non può essere che immensa» (p. 337). L’analisi di Beaumont prefigura fino nel dettaglio quella di Tocqueville ne
L’Ancien Régime et la Révolution: «da dove viene che la parrocchia d’Irlanda,
così simile in teoria, sia nei fatti così differente da quella d’Inghilterra?» (p. 294). La risposta è che in Irlanda la cattiva aristocrazia inglese centralizza a tal punto il potere che la parrocchia irlandese è «languissante et inerte» (p. 295). Tocqueville paragonerà in termini simili la township americana e la par- rocchia francese d’Ancien Régime.
Risulta evidente che per Beaumont o Tocqueville come, lo si vedrà, per Stuart Mill, il carattere nazionale non è questione di fisiologia, ma di storia. L’affermazione è al tempo stesso politica e fondata su una antropologia cri- stiana: «Respingo come empia, scrive Beaumont, una dottrina che fa dipende- re dalla sorte della nascita il delitto e la virtù. Io non crederò mai che una na- zione tutta intera sia fatalmente, e per il solo destino della sua origine, incate- nata al vizio; mai penserò che il Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine ab- bia creato un popolo sprovvisto della facoltà di essere onesto e giusto» (p. 336).
La vicinanza di “Tocmont” con il loro amico Stuart Mill è qui notevole, e fa comprendere a qual punto il riferimento al “carattere nazionale” sia un di- scorso comune. Nelle Considerazioni sul governo rappresentativo del 1861, Stuart Mill si interroga sull’origine del “sentimento di nazionalità”:
Esso è qualche volta l’effetto dell’identità di razza e di stirpe; spesso sono la comunità di linguaggio e la comunità di religione che contribuiscono a farlo nascere, così come i limiti geografici. Ma la causa più frequente di tutte è l’identità di antecedenti politi- ci, il possesso di una storia nazionale e di conseguenza la comunione dei ricordi, l’orgoglio e l’umiliazione, il piacere e il rimpianto collettivi che si raccordano ad ac- cadimenti del passato (pp. 337-338).
La nazionalità si definisce dunque attraverso la condivisione di un “carat- tere nazionale”, che non è fisiologico o etnico: senza peraltro che, anche su questo punto, Stuart Mill assuma posizioni argomentate e sempre chiare. La condanna è, in effetti, in primo luogo morale:
Di tutti i mezzi volgari per dispensarsi dallo studio delle influenze sociali e morali sull’animo umano, il più volgare è quello di attribuire le differenze di comportamento e di carattere a differenze naturali e indistruttibili. Quale razza non sarebbe indolente e noncurante quando le cose sono fissate in tal maniera che essa non ha nulla da gua- dagnare ad essere previdente e laboriosa?29
La comparazione tra francesi e irlandesi a questo punto si impone:
Dal momento in cui una parte dell’umanità si configura in un determinato modo, qua- le esso sia, si suppone in essa una tendenza naturale, anche quando la conoscenza più elementare delle circostanze in cui è stata posta indica chiaramente le cause che ne hanno fatto ciò che noi la vediamo essere. Se un fittavolo irlandese senza contratto di affitto, in ritardo nel pagamento dei suoi canoni non è diligente al lavoro, si ritiene da alcuni che gli irlandesi siano naturalmente fannulloni. Poiché in Francia le costituzio- ni possono essere rovesciate quando le autorità nominate per farle rispettare volgono le loro armi contro di esse, c’è chi pensa che i francesi non siano fatti per un governo libero30.