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DI GUSTAVE DE BEAUMONT

2. La requisitoria contro l’America

Sempre che la posizione di Beaumont non sia stata gradita. Perché la re- censione di Corcelle, giornalista liberale ed ammiratore della democrazia a- mericana, soggetto su cui si specializza nelle sue cronache per la “Revue des Deux mondes” di Buloz, non è completamente favorevole al libro. Essa si contrappone, in questo senso, alla recensione che lo stesso Corcelle aveva re- datto per la Démocratie en Amérique di Tocqueville un anno prima. Se sotto- scrive la requisitoria di Beaumont contro lo schiavismo e il pregiudizio razzi- sta, le «délirantes inimitiés de la peau», le «implacables hostilités de couleur» che non solo dividono gli Stati Uniti ma minacciano il loro avvenire, il croni- sta manifesta riserve sulla prospettiva troppo critica adottata da Beaumont. Vi figurano formule piuttosto acerbe come la seguente che, senza mirare diretta- mente all’autore di Marie, potrebbe essergli applicata: «[…] nos publicistes se plaisent à remarquer le contraste entre les lois républicaines de cette démocra- tie avec la condition de ses esclaves. Il y a, dans ces récriminations, une par- tialité dont un juste retour sur nous-mêmes et les plus simples notions sur le pays qui nous semble si coupable, devraient nous guérir»15. Ora, le «simples notions» rimandano alla lettura del trattato di Tocqueville, come correttivo dei giudizi negativi che suscita l’America, in particolare in Beaumont. Corcelle ricorda ugualmente la situazione delle Antille francesi dove lo schiavismo sa- rà abolito solo nel 1848 nonostante l’attivismo parlamentare sotto la monar- chia di Luglio e, in nome di questa storia comune vergognosa, si meraviglia delle «sublimes invectives» dei pubblicisti francesi contro gli Stati Uniti.

È il caso del «tableau de mœurs américaines» presentato da Marie, ou

l’esclavage aux Etats-Unis, che compila un’impressionante lista d’accusa a

carico degli Stati Uniti le cui pretese liberali sono messe in discussione fin dal 13 “Journal des savants”, décembre 1839, pp. 705-706.

14 L’esclavage aux États-Unis, 1836, t. 6, 4e série [in rete sul sito Gallica della Bibliothèque

nationale de France].

«prologo». L’inizio del romanzo mette in scena un giovane francese che, nel 1831, ha deciso di andare in America con l’intenzione di stabilirvisi. Nato nel 1806, costituisce il doppio romanzesco di Beaumont, o di Tocqueville, che, come il personaggio, hanno preferito fuggire il groviglio politico successivo alla rivoluzione di Luglio. Il suo periplo è press’a poco lo stesso: come loro in particolare, si spinge a Nord nel “deserto” della natura americana, viaggia sui Grandi Laghi, arriva non lontano da Saginaw, sulle sponde del lago Huron. Approdando sulla riva, scopre una capanna dove vive un «Solitario» malinco- nico, Ludovic, e si confida con lui: «[…] j’aime les institutions de ce pays; elles sont libérales et elles sont généreuses […] chacun y trouve la protection de ses droits»16. Il giovane, evidentemente, ha letto i classici della letteratura

liberale: Voltaire che, nel Dictionnaire philosophique, ammirava la libertà di coscienza stabilita nel Nuovo Mondo, Mme de Staël che lodava «l’esprit de justice et de raison», i «principes de liberté qui font la base du gouvernement des États-Unis», «la tolérance absolue qui existe en Amérique» (Considéra-

tions sur la Révolution française), Chateaubriand che concludeva il suo Voyage en Amérique con una riflessione sull’esempio di libertà dato dagli Sta-

ti Uniti al resto del mondo. La lunga narrazione delle sventure di Ludovic, ve- nendo a incastrarsi nella narrazione principale, apporterà alle «illusions» del nuovo arrivato come a quelle dei liberali europei la più eclatante smentita. Questa seconda narrazione che forma il romanzo vero e proprio illustra in tut- ta evidenza la violenza del pregiudizio che, negli Stati Uniti, paese di “tolle- ranza”, ostracizza la popolazione afro-americana. La discriminazione è così radicale che una donna o un uomo dalla pelle immacolata, Marie e suo fratello Georges, si trovano banditi dalla società dei bianchi perché nelle loro vene scorrono alcune gocce di sangue nero. La tirannia dell’opinione li condanna in ogni luogo degli Stati Uniti, anche al Nord dove, malgrado l’emancipazione, la segregazione sussiste intatta in virtù dei costumi. Quando Ludovic e Marie tentano di convolare a giuste nozze a New York, dove hanno trovato rifugio, una plebe astiosa interrompe la cerimonia e si oppone all’ “amalgama” tra una nera e un bianco, anche se straniero, europeo e molto innamorato17.

La denuncia del pregiudizio razzista costituisce la materia principale della requisitoria di Beaumont, che stabilisce tuttavia altri capi d’accusa. Uno di questi è il destino imposto agli indiani, deportati dalle loro terre, corrotti con l’alcool e con le armi da fuoco, nel romanzo come nell’appendice (la «Note sur l’état ancien et la condition présente des tribus indiennes de l’Amérique du Nord»). Beaumont ricorda che la conquista del continente nordamericano ha

16 Marie…, cit., “Prologue”, p. 14.

17 Per l’episodio, Beaumont si è ispirato alle sommosse del luglio 1834, a New York, contro

avuto come prezzo la rovina di un popolo. Nella storia, il pastore Nelson, pa- dre di Marie e di Georges, si improvvisa mediatore nel conflitto storico che oppose la Georgia ai Cherokee, espropriati dei loro territori dal governo con- tro la decisione della Corte Suprema. Fallisce, è gettato in carcere, ne esce per continuare la sua opera di pacificatore nella regione dei Grandi Laghi dove una parte dei Cherokee si è esiliata, sulle terre di Ottawa. Nonostante gli sfor- zi di Nelson, che predica agli indiani la religione cristiana e promuove la tolle- ranza, gli abitanti di Ottawa, alle prese con la scarsità di cibo, per sopravvive- re massacrano i loro invasori fino all’ultimo. La colpa ricade sui Bianchi, che hanno compromesso gli equilibri ancestrali. Ma se Beaumont simpatizza con la miseria degli indigeni, liquida di sfuggita il mito indiano soprattutto nella versione costruita nella saga dei Natchez. Un capitolo di Marie narra la storia commovente dell’indiana Onéda, sposa di Mantéo che, dopo anni di felice monogamia, tradisce il suo amore sposando una seconda moglie, in ottempe- ranza alle ingiunzioni delle donne della tribù. Onéda si suicida, ulteriore illu- strazione, nella mise en abyme del romanzo sentimentale, delle tragedie indi- viduali cui condannano i costumi e le tradizioni.

La forza costrittiva dei costumi ma anche la tirannia dell’opinione in cui Tocqueville vede uno dei più grandi difetti del sistema democratico – e non americano – sono dunque costantemente messe in evidenza nel romanzo. Esse si esercitano in particolare sul piano culturale, quando si vede Ludovic imma- ginare per un momento di abbracciare la carriera di letterato negli Stati Uniti per condurre con la penna la lotta contro la diseguaglianza delle razze. Il capi- tolo XII di Marie (intitolato «Littérature et Beaux Arts») si presenta allora come una successione di meditazioni poetiche, una sorta di lamento lirico in cui il personaggio compiange l’America come un deserto culturale, le cui sole passioni sono politiche e commerciali. Qui le sue speranze di illustrazione let- teraria non possono incontrare nessuna eco, né trovare un pubblico. Marie, in questo senso, è un’opera del tutto emblematica dell’antiamericanismo estetico che domina le rappresentazioni romantiche degli Stati Uniti nel decennio 1830-1840, in cui l’America viene eretta ad antimodello della civiltà francese o, più in generale, europea, sia che si tratti di insistere sull’opposizione irridu- cibile tra il vecchio e il nuovo mondo, letteralmente invivibile (il giovane viaggiatore, istruito dall’esperienza disastrosa di Ludovic, ritorna tristemente in Francia: «Rendu à sa chère patrie, il ne la quitta jamais», sono le ultime pa- role della parte romanzesca), sia che, facendo leva sul panico, si tratti di teme- re la minaccia che la repubblica dei bottegai fa incombere sull’idea stessa di cultura nella modernità. Il tema della mercificazione del mondo, allora ricor- rente – per cui basta vedere Stendhal, Hugo, più tardi Baudelaire –, con l’America che rischia di divenire il paradigma di una modernità materialista detestabile si ritrova nel romanzo: «L’utilité matérielle: tel est le but vers le-

quel tendent toutes les sociétés modernes»18. Questa angolazione non era

sfuggita a Corcelle, che commentava nella sua recensione: «De même qu’on peut exagérer chez un peuple le mérite de ses institutions, il faut prendre garde, chez un autre, d’attribuer à un trop grand nombre d’individus les hon- neurs de la science, des arts et d’une exquise politesse. Retranchez de la France quelques centaines d’hommes éminents, soit par la puissance inventive de leur esprit continuellement excité, soit par la brillante culture de leurs sen- timents, précieuse aristocratie qui fait les révolutions et les lois bien plus que les usages, n’aurez-vous pas à peu près des Américains du nord?»19. Signifi-

cava forse non darla vinta a Beaumont e a Tocqueville sulle questioni del re- sto necessariamente connesse dei costumi e delle leggi, indipendentemente da cosa dicano l’uno e l’altro all’inizio delle loro opere. Il principio della com- plementarietà tra la Démocratie di Tocqueville e Marie di Beaumont che i di- scorsi introduttivi si sforzano di imporre è smentito, sulla questione della de- mocrazia americana, da una lettura anche cursoria del romanzo, requisitoria contro l’America: «Voilà donc, s’écrie Ludovic, ce peuple libre qui ne saurait se passer d’esclaves! L’Amérique est le sol classique de l’égalité, et nul pays d’Europe ne contient autant de servitude! Maintenant je vous comprends, Américains égoïstes; vous aimez pour vous la liberté; peuple de marchands, vous vendez celle d’autrui!»20.