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IMPRECISA: IL “LIBERAL-NAZIONALISMO” DEL XIX SECOLO

2. Il liberalismo alla prova dei fatt

A partire dagli anni Venti dell’Ottocento, la questione della nazionalità è in Europa una questione pratica di attualità, al punto che le posizioni si artico- lano in funzione del procedere della conquista coloniale o delle rivendicazioni rivoluzionarie d’indipendenza. Di questa interconnessione tra teoria e azione verranno qui prese come esempio le carriere di Tocqueville e di Beaumont.

Tocqueville, il più celebre dei pensatori dell’universalismo democratico, è anche un uomo politico posto di fronte al problema del nazionalismo nella sua doppia forma storica, la colonizzazione e la rivendicazione di nazionalità.

Questo problema egli lo aveva del resto già trovato nell’eredità familiare: oltre la lontana ascendenza di un Clerel, sodale di Guglielmo il Conquistatore (fatto di cui Tocqueville andava assai fiero), la famiglia di Tocqueville era apparentata al marchese di Montcalm, eroe delle imprese militari francesi ol- treoceano. In America, Tocqueville non avrebbe pertanto mancato di visitare il Canada e la Louisiana, territori perduti dalla Francia nel 176310. È allora che

si riscontra la sua prima riflessione sulla “nazionalità”, nel domandarsi come fosse possibile assicurare la sopravvivenza dei Canadesi francesi, maggioritari per numero ma dominati dagli inglesi, nell’amministrazione così come nell’economia. La soluzione gli appariva la separazione delle “razze”. Attra- verso le pratiche di meticciato «la loro nazionalità sarebbe perduta senza ri- torno; essi vegeterebbero come i Bas-Bretons in Francia. Fortunatamente la

10 Cfr. Voyage en Amérique, cahier alphabétique A, 25 agosto 1831: «J’espère encore que

les Français, en dépit de la conquête, arriveront un jour à former à eux seuls un bel empire dans le Nouveau Monde», Oeuvres, Bibliothèque de la Pléiade, t. 1, Gallimard, Paris, 1991, p. 202.

religione mette un ostacolo ai matrimoni tra le due razze [...].»11. Si può os-

servare come l’elogio dell’assimilazione, che Tocqueville un giorno auspiche- rà per l’Algeria, fosse questione di circostanze...

Anche l’interesse per l’Algeria era per Tocqueville come un affare di fa- miglia. La conquista poteva essere invocata, come in Berryer, ad esempio, a difesa del governo della Restaurazione e Kergorlay, cugino di Tocqueville, si era del resto fatto onore nel 1830, nei primi giorni della conquista.

Tocqueville trovava dunque nella sua eredità familiare una missione, quel- la di restaurare la grandezza della nazionalità francese umiliata. Egli era per- tanto al tempo stesso un teorico della libertà democratica ed un uomo politico al quale il problema della potenza nazionale suscitava apprensione e che af- frontava la questione creata dall’emergere dei nazionalismi. Dal 1837 e fino al 1849 egli non avrebbe cessato di preoccuparsi dell’espansione coloniale in Africa, che per lui rappresentava la grande questione dell’epoca. Si sarebbe recato due volte in Algeria, nel 1841 e nel 1846 e in seguito, nel 1847, sarebbe stato relatore alla Camera sul bilancio delle colonie. Bisogna leggere la sua meticolosa analisi del costo finanziario e umano della colonizzazione, per co- gliere quanto il suo pensiero si nutra di un’indagine sul campo. Colonialista deciso, egli dovette nondimeno riflettere sui pericoli di una politica di espan- sione che suscitava, per reazione, attorno ad Abd El Kader, l’emergere di un nazionalismo mussulmano.

Tocqueville ebbe a confrontarsi anche con l’insorgenza delle rivendicazio- ni nazionali del 1848, nell’Europa orientale e in Italia. Incaricato di un’abortita mediazione francese tra l’Austria e il Piemonte tra l’ottobre e il dicembre del 1848, fu ministro degli Esteri da giugno a ottobre del 1849. In tal veste, in un’Europa in cui i movimenti delle nazionalità avevano già subito una violenta repressione, ebbe a cuore di proteggere i rifugiati ungheresi, te- deschi e poi italiani12, senza per questo avere una pur minima simpatia per «la

chimère de l’unité allemande», che minacciava la potenza francese e della quale egli, del resto, in un primo momento, non aveva compreso la forza di mobilitazione esercitata nei confronti delle masse popolari tedesche13. I re-

11 Ivi, p. 208.

12 Cfr. il mio articolo: Tocqueville et la restauration du pouvoir temporel du pape (juin-

octobre 1849), “Revue Historique”, CCLXXI/1, pp. 109-123.

13 Tocqueville così scrive a Beaumont il 27 agosto 1848: [dalle lettere ricevute dalla Ger-

mania] risulta che «il movimento in favore dell’unità della razza germanica è qualche cosa di molto più forte e più serio di quanto non pensassi. La passione delle popolazioni per questa idea sembra sincera e profonda e i prìncipi sono obbligati a cedervi: non vi è che una parte della Prussia e il suo esercito che vi facciano una abbastanza attiva resistenza. Nulla sarebbe più te- mibile per noi di un simile avvenimento; sono soltanto quegli imbecilli dei nostri agenti diplo-

pubblicani, in Francia così come in Italia, e persino i più moderati tra gli uo- mini del Risorgimento, l’accusarono dunque di trattare «la questione delle na- zionalità» come «poesia politica»14 per denunciarne la sua assoluta incom-

prensione.

Anche Beaumont mette al cuore della sua riflessione e del suo agire la questione nazionale. Il suo grande libro, L’Irlande, descrive «l’invasione del principio democratico in tutte le società moderne»15 e la lotta di questo princi-

pio con l’aristocrazia, «dramma immenso» poiché «sembra che l’aristocrazia inglese sia l’unico campione del privilegio antico contro tutte le potenze dell’uguaglianza moderna». Ma L’Irlande, libro sulla democrazia, è soprattut- to un libro sulla conquista e la dominazione degli inglesi sugli irlandesi.

Dopo lo studio storico della conquista dell’Irlanda, Beaumont passa ad un impegno diretto con lo studio della conquista dell’Algeria, che egli visita due volte. Nel 1842, scrive sulla colonia algerina una lunga serie di articoli, che appaiono sul “Siècle” ed è relatore alla Camera. A quel tempo è sufficiente- mente prossimo a Tocqueville perché il generale Bugeaud attribuisse a quest’ultimo gli articoli del “Siècle”. In realtà, cominciavano ad apparire tra loro due posizioni abbastanza divergenti, tanto che Beaumont, nel 1847, si sa- rebbe candidato – senza successo – contro Tocqueville per l’incarico di relato- re sulla questione africana. Per tutti e due l’Africa rappresentava «une immen- se question» e le loro divergenze riguardavano le modalità, non il principio della colonizzazione. Come rileva Tocqueville in una lettera a Beaumont del 1846: «L’affare capitale è la colonizzazione, o piuttosto il come di essa. Poi- ché tutti ammettono il principio e non c’è dibattito che relativo ai mezzi»16.

I due si ritrovano in seguito, con il loro amico Corcelle, al cuore della tor- menta del 1848-1849. Beaumont è nominato il 7 agosto 1848 ministro pleni- potenziario a Londra. La sua corrispondenza con Tocqueville mostra la loro comune inquietudine davanti alla crescita delle rivendicazioni di nazionalità, sia nei paesi germanici che nella penisola italiana. Già il 16 settembre, Beau- mont sottolinea che la questione non è soltanto quella di sapere se l’Austria concederà o meno delle “istituzioni liberali”:

matici a non avvedersene» (OC, VIII, 2, p. 29: si ricordi che il 18 maggio di quello stesso anno si era riunito il parlamento di Francoforte).

14 «C’est étonnant comme à Paris on connaît peu l’Italie» concludeva Massimo d’Azeglio,

lettera senza data pubblicata da N. Bianchi, Lettere inedite di M. d’Azeglio al marchese E.

d’Azeglio, Roux e Favale, Torino, 1883-1884, pp. 24-25.

15 L’Irlande sociale, politique, religieuse, edizione del 1863, p. 1 (tutte le citazioni rinviano

a questa edizione).

per l’Italia, così come essa è, la questione non è per nulla una questione di libertà ma di indipendenza. Essa si dà scarsa preoccupazione del regime costituzionale, ciò che essa vuole è di non essere austriaca: In verità gli italiani hanno fatto poco per la loro indipendenza nazionale; tuttavia vi sono stati degli sforzi che provano il loro odio nei confronti dello straniero17.

Può sorprendere di vedere Beaumont qui all’apparenza più partecipe nei confronti dell’indipendenza degli italiani di quanto non lo fosse Tocqueville, che trovandosi a Parigi si preoccupava, non senza qualche ragione, del degra- do politico in Francia e che più di Beaumont temeva la crescente influenza dell’Inghilterra e della Russia nel Mediterraneo18. L’elezione di Luigi Napo-

leone Bonaparte mette fine all’ambasciata di Beaumont, che avrebbe lasciato Londra il 19 dicembre 1848. Ma noi ritroveremo i due amici ancora investiti di pubbliche funzioni allorché, nel settembre-ottobre 1849, Tocqueville è mi- nistro e Beaumont ambasciatore a Vienna. A distanza si intrattengono della situazione europea. Liberali, essi si trovano d’accordo nel condannare la poli- tica reazionaria del papa e sulla necessità di proteggere gli italiani venuti a Roma per sostenere la sconfitta Repubblica romana19 o gli ungheresi rifugiati

in Turchia, di cui l’Austria reclamava l’espulsione. L’uno e l’altro ritengono che consegnare i rifugiati all’Austria sia contrario all’onore (per quanto Toc- queville si domandasse: «la pelle di Kossuth vale una guerra generale?»20). La

preoccupazione di difendere i diritti individuali si lega, tuttavia, sempre alla volontà di preservare l’equilibrio europeo e di contrastare l’influenza inglese e russa negli Stretti. Beaumont così riferisce il colloquio con Schwarzenberg, ministro degli Esteri dell’impero d’Austria, a proposito della questione dei ri- fugiati, il 12 ottobre 184921: a Schwanzerberg che vorrebbe che la Francia par-

tecipasse all’annientamento dei rivoluzionari, egli avrebbe risposto:

ho detto al principe: in Francia abbiamo sconfitto l’anarchia e io spero che l’abbiamo soggiogata; ma questo non sarà che a una condizione: ed è che al tempo stesso in cui noi muoveremo alle idee socialiste e comuniste una guerra accanita e implacabile, a- vremo cura di rispettare i princìpi e le idee che la rivoluzione dell’89 ha conquistato e

17 OC, t. VIII, 2, p. 49.

18 Lettera dell’1 dicembre 1848, ibidem, p. 107. La risposta di Beaumont il 2 dicembre (p.

109) mostra che egli era favorevole all’invio dell’esercito a Roma, mentre Tocqueville approva l’invio della flotta con un estremo timore.

19 Cfr. lettera a Corcelle del 20 giugno 1849, OC, XV, 1, p. 276. 20 Lettera del 9 ottobre 1949, OC, VIII, 2, p. 183.

21 Ivi, p. 206. Si veda nello stesso senso la corrispondenza ufficiale con Tocqueville: Be-

aumont è sempre al tempo stesso sollecito del «repos de l’Europe» e del suo «équilibre» ma anche dei princìpi del diritto delle genti, e dei grandi princìpi dell’89 (OC, VIII, 2, pp. 440- 442).

la cui conservazione è tanto cara ai miei concittadini quanto l’anarchia è loro odiosa. Nel novero di questi princìpi e di queste idee sono per l’appunto i princìpi del diritto delle genti e le idee di umanità che proteggono i rifugiati politici. Io non so se mai soccomberemo nella lotta che noi sosteniamo contro gli uomini di disordine e di anar- chia. Ma ciò che so è che se qualche cosa può dar loro la possibilità di riprendere nel nostro paese un qualche predominio, sarebbe la violazione di questi princìpi e di que- ste idee, il cui rispetto è ormai la prima condizione d’ordine in tutti paesi civili.

La dichiarazione su Les droits de l’Homme non impedisce di mirare a una politica di potenza, né di combinare la protezione dei diritti con la colonizza- zione, poiché Beaumont propone a Tocqueville che i rifugiati espulsi dalla Turchia vengano insediati in Algeria22. Quando Beaumont dà le dimissioni, il

14 novembre1849, dopo la caduta di Tocqueville, si può dire che la politica dei diritti dell’uomo condotta da Tocqueville, e da Beaumont a Vienna, era riuscita a evitare una repressione feroce contro i rifugiati e a suscitare i sarca- smi dei ben navigati diplomatici dei regimi autoritari. Tocqueville poteva ben darsi l’aria dello stratega di geopolitica: egli non fu mai altro che uno stratega «all’acqua di rose»23 per Nesselrode in Russia, per il cardinal Antonelli a Ro- ma o per Schwarzenberg a Vienna. Les droits de l’Homme non sono una poli- tica: Tocqueville così come Beaumont e tutto il loro gruppo di amici sembra- no costantemente sopraffatti dall’esplosione delle rivendicazioni nazionali, che essi tentano di pensare nelle categorie esistenti del vecchio equilibrio del- le potenze e del linguaggio dei diritti dell’uomo24.

Bisogna concludere che c’è una politica dei liberali contraddittoria con i princìpi del liberalismo? È preferibile dire che il loro pensiero si costruisce alla prova degli avvenimenti, senza esplicitare sempre le tensioni che lo attra- versano, poiché il desiderio di convincere e le urgenze dell’azione prevalgono in loro sull’esigenza di chiarificazione concettuale. È in nome del valore uni- versale della libertà politica e della comune natura degli uomini, ed anche in modo indissociabile per attaccamento all’equilibrio delle potenze, che Toc- queville e Beaumont si preoccupano del particolarismo delle rivendicazioni nazionali. Ed è al tempo stesso in nome della nazionalità francese e dei pro-

22 Ivi, pp. 224-225.

23 Cfr. Correspondance étrangère, OC, VII, p. 314.

24 Beaumont il 10 ottobre mostra la difficoltà cui è posto di fronte il governo austriaco che

deve tener conto dei nuovi interessi nati dalla rivoluzione ma anche mettere a punto istituzioni federali nuove: «l’esempio della Croazia e di altre nazionalità che hanno richiesto di esistere distinte, a ricompensa dei servizi resi contro l’Ungheria, porta il suo frutto e ogni giorno una nuova nazionalità viene a rivendicare i suoi diritti e a fare intendere le sue esigenze [...]. L’altro giorno era il turno della Slovacchia del nord, formata da piccole popolazioni del nord dell’Ungheria, tra Cracovia e la Bucovina, sotto i Carpati» (OC, VIII, 2, p. 195).

gressi della civiltà che essi sostengono, senza neppure sforzarsi di giustificar- la, l’impresa coloniale. Se le circostanze spiegano alcune posizioni che posso- no apparirci di scarsa coerenza, si possono nondimeno individuare delle co- stanti del loro sistema concettuale che permettono di comprendere le difficoltà da essi provate nel pensare la loro situazione storica.

3. La “fisionomia” delle nazioni: che cos’è un “carattere