L’IRLANDE DI GUSTAVE DE BEAUMONT ED I TIMORI IN MATERIA DI CORRUZIONE
1. La critica dei doctrinaires alla democrazia
Gli aristocratici liberali francesi nei primi decenni del XIX secolo aderiro- no ampiamente ad una certa versione di questa quadruplice critica della de- mocrazia9. La sua adozione permise ai liberali moderati come i doctrinaires di
fornire una cornice narrativa che potesse esplicare l’esperienza francese di ri- voluzione, di terrore e di usurpazione politica. Inoltre avrebbe loro prestato una struttura analitica in grado di definire i contorni dei futuri sviluppi storici, 6 Due recenti ma assai diversi esempi in questo senso sono: L. Jaume, Tocqueville: les
sources aristocratiques de la liberté, Fayard, Paris, 2008 e J. Elster, Alexis de Tocqueville. The First Social Scientist, Cambridge University Press, Cambridge, 2009.
7 Come questa antica critica della democrazia abbia influenzato il modo in cui Tocqueville
ha analizzato la democrazia, richiede un'ulteriore indagine; ed è quanto mi propongo di intra- prendere altrove.
8 Su come questa critica classica venne integrata nell'opera dei filosofi del XVIII secolo, si
veda R. Bourke, Enlightenment, Revolution and Democracy, “Constellations”, vol. 15, no. 1, 2008, pp. 10-32
9 Per maggiori elementi sulle risposte istituzionali del liberalismo aristocratico allo sviluppo
dell'eguaglianza delle condizioni, cfr. A. De Dijn, Aristocratic liberalism in post-revolutionary
France, “The Historical Journal”, 48, 2005, pp. 661-681, e della stessa autrice, French Political Thought from Montesquieu to Tocqueville: Liberty in a Levelled Society?, Cambridge
University Press, Cambridge, 2008. È curioso come Dijn manchi di indagare come gli aristo- cratici liberali si siano confrontati alla questione della critica classica della democrazia: licenza, instabilità politica e collasso della democrazia in tirannia.
conferendo in tal modo ad essi una narrativa storico-profetica. Al fine di ren- dere tale narrativa intellettualmente condivisibile dai loro contemporanei, i liberali doctrinaires come Pierre Paul Royer-Collard, François Guizot, Theo- dore Jouffroy e Philibert Damiron dovettero ancorare questi pensieri a consi- derazioni sulla moralità, la psicologia, la storia e la politica. Le riflessioni dei dottrinari su tali importanti questioni avrebbero improntato le riflessioni di Tocqueville e Beaumont sulla corruzione morale, la democrazia e l’impero.
La mia tesi si pone in termini critici rispetto alla recente messa in dubbio, da parte di Lucien Jaume, del debito di Beaumont e di Tocqueville nei con- fronti dei doctrinaires. Jaume, nella sua biografia intellettuale di Tocqueville, afferma che quest’ultimo avrebbe ripudiato molte delle idee dei doctrinaires e si sarebbe impegnato in quella che egli definisce una «segreta polemica» con Guizot10. È certamente vero che dopo la rivoluzione del 1830 Tocqueville at-
taccò i doctrinaires, e Guizot in particolare. Per usare le sue stesse parole, li avrebbe condannati per aver «amputato i princìpi originari delle libertà civi- li»11. E tuttavia, è tutt’altro che chiaro se la condanna di Guizot da parte di
Tocqueville coincidesse con una rottura totale nei confronti delle idee dei dot- trinari, specialmente di quelle relative alla democrazia. Non è neppur chiaro se Beaumont avesse abbandonato il quadro analitico da essi elaborato: dati oggettivi suggeriscono altrimenti12. Anche se Jaume ha ragione nell’affermare che ci fu una chiara rottura con Guizot, non ne segue necessariamente che Tocqueville o Beaumont rigettassero la critica della democrazia dei dottrinari nella sua interezza. E questo perché l’orizzonte di analisi che essa offriva era talmente persuasivo e caratterizzato da una interpretazione degli eventi storici di così grande efficacia, da essere adottato quasi universalmente, sia dai libe- rali che dai legittimisti.
Le considerazioni di Beaumont e di Tocqueville sull’impero dovrebbero dunque essere viste alla luce della critica alla democrazia dei doctrinaires: in particolare gli argomenti sottesi all’affermazione che l’intrinseca instabilità della democrazia porta inevitabilmente alla tirannide. Il 18 Brumaio veniva correntemente interpretato nei circoli liberali e legittimisti come l’esito dispo- tico di un periodo di instabilità. Questa fu certamente la valutazione che Gui-
10 L. Jaume, Tocqueville, cit., p.23.
11 Tocqueville a Beaumont, 4 aprile 1832, in A. de Tocqueville Oeuvres complètes, VIII, i,
Gallimard, Paris, 1967, p. 113.
12 Esiste una vasta letteratura su questo tema. Si vedano ad esempio, A. Craiutu, Liberalism
under Siege: The Political Thought of the French Doctrinaires, Lexington Books, Lanham
(Maryland), 2003; M. Richter, Tocqueville and Guizot on democracy: from a type of society to
a political regime, “History of European Ideas”, 30, 2004, pp. 61-82; A. de Dijn, French Politi- cal Thought from Montesquieu to Tocqueville: liberty in a Levelled Society?, cit.
zot diede di tale vicenda. Già nel 1814 egli era arrivato alla conclusione che la distruzione inflitta alla nazione francese dalla Rivoluzione e dal Terrore era stata talmente vasta che, a conferma di quanto l’antico modo di guardare alla democrazia dimostrava, il popolo ardentemente «riponeva tutte le sue speran- ze nell’unico uomo che avesse successo nel rendere dipendenti da sé soltanto, la salvezza e gli interessi di tutti»13. La relativa tranquillità del regno dispotico
di Bonaparte imposto alla Francia fu, in ultima analisi, illusoria perché era la conseguenza della caratteristica essenziale propria alla sovranità popolare: l’arbitrarietà14. Guizot era persuaso che la tirannia emergente da una sovranità
popolare non mitigata, fosse il prodotto stesso di tale sovranità: ed era in essa che andava a cercare la propria legittimità15. Egli riteneva che questo tipo di
dispotismo, che faceva appello al sentimento popolare, ai desideri più bassi ed egoisti degli individui, corrompesse e impoverisse lo spirito umano16. Esso era
antitetico a tutto ciò che di elevato esistesse in una civiltà, e il tipo di impero che ne scaturiva andava nel senso della disumanizzazione, sia del conquistato- re che del conquistato.
Le riflessioni dei dottrinari sulla democrazia e sull’impero democratico presero la forma di un’esplorazione profonda della relazione tra filosofia, psi- cologia e acquisizioni materiali. Questo portò in primo piano alla loro atten- zione la questione della corruzione morale.
Il pensiero di Beaumont sull’impero, in particolare sulle questioni razziali, è rivelatore di quanto anch’egli temesse una forma di corruzione tipica delle società democratiche moderne17. La corruzione che egli associava ad un mo- dello di impero democratico, rappresentava un pericolo sia per la metropole che per le colonie. Questa forma di corruzione, riteneva Beaumont, era la cau- sa prima dell’allentarsi dei vincoli naturali dell’umanità, pervasivi, per quanto debolmente avvertiti, in tutte le società democratiche. Essa alterava in forme 13 F. Guizot, De l’Etat de l’Esprit public en France en 1814, A[rchives] N[ationales]
42/AP/28, p. 2. A ciò può aggiungersi il commento di Guizot che «Il regno di Bonaparte era stato la continuazione Rivoluzione e non un trionfo sulla Rivoluzione», ivi, p. 5
14 Ivi, p. 2.
15 Alcune tra le più chiare affermazioni di questa convinzione si possono trovare nella set-
tima lezione della parte prima e nella decima lezione della parte seconda in The History of the
Origins of Representative Government in Europe, (Notes and Introduction by A. Craiutu), Li-
berty Fund, Indianapolis, 2002, in particolare le pp. 60-61 & pp. 290-291.
16 F. Guizot, De l’Etat de l’Esprit public en France en 1814, pp. 7-8. Esempi analoghi di ta-
li affermazioni possono essere rinvenute in numerosi tra i primi scritti di Guizot. Si veda, ad esempio, il suo articolo recensivo Politique spéciale in “Archives philosophique, politiques et littéraires”, Tome I, Fournier, Paris, 1817, pp. 11-12.
17 G. de Beaumont Marie ou l’esclavage aux États-Unis: Tableau de moeurs américaines,
4° ed., Charles Gosselin, Paris, 1840. Cfr. in particolare ‘Sur la condition sociale et politique des nègres esclaves et des gens de couleur affranchies’.
sostanziali il modo di un popolo di vederne un altro18. E ciò avveniva come
risultato di condizioni che causavano la fratturazione dell’io, una frammenta- zione accompagnata dalla discesa dell’io in uno stato di instabilità e snerva- mento, caratteristica delle democrazie. L’io instabile e frammentato era carat- terizzato da impotenza e mancanza di pienezza19. Era da temersi che questo io
diviso si ritirasse in uno spazio ancora più angusto e, nella sua stessa prospet- tiva, più assediato 20. Tocqueville avrebbe descritto la manifestazione sociale
di questo ripiegamento nella sua trattazione dell’individualismo21. Il coloniali-
smo rendeva questo fenomeno più sinistro. Il rischio era che la brutale coerci- zione e l’alienazione dell’io frammentato dei colonizzati agissero non soltanto sulla società dei colonizzati ma anche su quella dei colonizzatori. Come si ve- drà, Beaumont avrebbe utilizzato la stessa idea nelle sue considerazioni sull’Irlanda: idea che risultava centrale nelle pagine dedicate alla religione e all’associazione, così come in relazione al sorgere di forme di tirannide demo- cratica, punto focale del presente articolo.
Il fenomeno dell’individualismo veniva considerato sia dal punto di vista filosofico che psicologico. I doctrinaires, in particolare Royer-Collard e Gui- zot, e filosofi come Maine de Biran e Victor Cousin avevano, nelle prime due decadi del XIX secolo, dedicato una particolare attenzione a questo proble- ma22. La preoccupazione, così com’era espressa in tale contesto, riguardava la
18 Cfr. H. Mitchell, America After Tocqueville: Democracy Against Difference, Cambridge
University Press, Cambridge, 2002, in particolare i capitoli 4, 6 e 7.
19 Per una più ampia analisi dei problemi relativi all’identità, cfr. Ch. Taylor, Sources of the
Self: The Making of the Modern Identity, Harvard University Press, Cambridge (M.A.), 1989;
tr. it: Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna, Feltrinelli, Milano 1993; J. Gold- stein, The Post-Revolutionary Self: Politics and Psyche in France, 1750-1850, Harvard Univer- sity Press, Cambridge (M.A.), 2005; J. Siegel, The Idea of the Self: Thought and Experience in
Western Europe Since the Seventeenth Century, Cambridge University Press, Cambridge, 2005.
20 L’analisi di questo fenomeno da parte di Tocqueville e dei dottrinari riecheggia impor-
tanti elementi della riflessione di Hannah Arendt sull’espansione dell’indifferenza (in La condi-
zione umana e La vita della mente). Le apprensioni dei primi circa la tendenza della democra-
zia ad erodere le condizioni del mutuo riconoscimento e della reciprocità umana, conseguenze tutte del ripiegamento dell’io in uno spazio sempre più ristretto e tormentato, prefigura, per numerosi rilevanti aspetti, la deplorazione da parte di H. Arendt del restringimento degli oriz- zonti di pensiero e della perdita di un mondo umano comune.
21 A. de Tocqueville, Democracy in America, II, Doubleday, New York, 1969, p. 506. 22 Su Maine de Biran cfr.: A. Antoine, Maine de Biran, sujet et politique, P.U.F., Paris,
1990; F. Azouvi, Maine de Biran, la science de l’homme, Vrin, Paris, 1995; B. Baertschi,
L’Ontologie de Maine de Biran , Éditions universitaires, Fribourg, 1982; A. Davarieux, Maine de Biran, l’individualité persévérante, J. Millon, Grenoble, 2004; H. Gouhier, Les conversions de Maine de Biran, Vrin, Paris, 1947. La letteratura relativa a Cousin è vasta, cfr. J. Simon, Victor Cousin, Hachette, Paris, 1887 e più recentemente, ad esempio, P. Vermeren, Victor Cou- sin, le jeu de la philosophie et de l’état, l’Harmattan, Paris, 1995.
perdita di una psicologia morale coesiva e i connessi problemi relativi alla so- vranità politica. Il “sé fratturato” era incapace di trascendenza. Ad esso faceva difetto ciò che Charles Taylor avrebbe descritto come «un feeling di ricettivi- tà»23. La sua natura scissa e l’insicurezza che ne derivava, lo rendevano timo-
roso nei confronti di ciò che non era di quotidiana esperienza e spaventato, persino ostile, nei confronti di ciò che era interamente altro.
Attraverso l’analisi delle perplessità dei liberali sul problema della corru- zione morale dell’individuo, siamo in grado di ottenere un’immagine più arti- colata e più ricca di sfumature delle minacce rivolte agli stati democratici libe- rali, e in particolare a quelli impegnati in un’azione di empire-building.
L’Irlande di Beaumont costituisce un testo esemplare della preoccupazio- ne di come tali minacce frustrassero le aspirazioni dei liberali francesi all’edi- ficazione di un impero che, per il fatto di essere esente dalla brutalità e dagli effetti corrosivi della disumanizzazione, mantenesse la promessa provviden- ziale di elevare genti “arcaiche” a un piano superiore di dignità e di saggezza umane.