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TOCQUEVILLE, BEAUMONT E LA STESURA DEL SYSTÈME PÉNITENTIAIRE AUX ÉTATS-UNIS

di Adolfo Noto

Alla data del 24 maggio 1835 Cavour annota sul suo diario: «Ho trovato il Senior che passeggiava nel suo giardino con Tocqueville e Beaumont. Discu- tevano la questione del frazionamento della proprietà. Era strano udire il radi- cale inglese sostenere la grande proprietà e il legittimista francese la piccola proprietà. Senior crede che il piccolo proprietario non possa mai raggiungere l’indipendenza e l’agiatezza e che sia per lui preferibile essere stipendiato da un grande proprietario e così non temere la cattiva sorte e il mal tempo. Il si- gnor di Tocqueville ha confutato molto bene questi argomenti con considera- zioni pratiche e teoriche»1.

Cavour, non prendendo parte alla conversazione, limitandosi al solo ruolo di testimone, conclude la nota di quel giorno ricordando di essere ritornato a Londra in compagnia di Tocqueville e Beaumont: «Questo bravo ragazzo [Beaumont] mi ha usato mille cortesie». Aggiungendo subito, a sottolineare per differenza la scarsa carica di simpatia umana di Tocqueville, «il suo amico comincia a rinchiudersi in quella dignitosa riservatezza che così bene si addi- ce ai grandi uomini». Cavour aveva già incontrato Tocqueville e Beaumont la sera precedente a casa del matematico Charles Babbage2, Beaumont in quella

1 C. Benso di Cavour, Diario, a cura di L. Salvatorelli, Rizzoli, Milano-Roma, 1941, p.

192. Sui rapporti dell’economista inglese William Nassau Senior (1790-1864) con Cavour e l’Italia, Cfr. W.N. Senior, L’Italia dopo il 1848. Colloqui con uomini politici e personaggi

eminenti italiani, a c. di A. Omodeo, Laterza, Bari, 1937. Per quanto riguarda i suoi rapporti

con Tocqueville, cfr. Tocqueville, Œuvres complètes (da ora in poi OC), t. VI, v. 2, Galli- mard, Paris, 1991, completamente dedicato alla corrispondenza e alle conversazioni fra Se- nior e il Normanno.

2 Babbage (1791-1871), manterrà fitti rapporti con l’Italia e soprattutto con il Regno di Sar-

degna. Cfr. la sua autobiografia, Ch. Babbage, Passages from the Life of a Philosopher, Lon- gman, & Green, London, 1864 e inoltre L. Bulferetti, I corrispondenti italiani di Charles Bab-

occasione lo aveva colpito: «È un giovane alto e forte che con aria modesta dice cose molto intelligenti»3.

Si tratta di una pagina molto famosa, di una testimonianza più volte ripresa dagli studiosi4, che l’hanno di solito utilizzata per introdurre il pensiero eco-

nomico di Tocqueville5. Ma è anche un franco e immediato raffronto caratte-

riale fra i due amici, già famosi negli ambienti intellettuali frequentati dal gio- vane Cavour. Il quale, ignorato da Tocqueville in quelle due serate, continuerà ad esserlo anche negli scritti, nell’epistolario e nelle testimonianze successivi nei quali mai il Francese mostrerà interesse per l’uomo politico sardo.

In una celebre lettera a Louis de Kergolay del gennaio 1835, Tocqueville aveva descritto i motivi del viaggio in America, specificando che già da dieci anni meditava sui problemi legati allo sviluppo della democrazia6. Il viaggio

in America era stato ideato proprio per chiarirsi le idee su quei temi, mentre i motivi istituzionali della sua trasferta, concertata con il governo francese, era- no finalizzati allo studio delle prigioni americane. Per Tocqueville altri erano i fini studiosi: «Le système pénitentiaire était un prétexte: je l’ai pris comme un passeport qui devait me faire pénétrer partout aux Etats Unis»7. Egli si era ser-

vito dunque di un pretesto, di una «scusa inventata» secondo un’espressione di George Pierson8, che nascondeva un’ambizione intellettuale più vasta, sco-

3 Cavour, Diario, cit., p. 191. Tocqueville e Beaumont diversi, ma sempre uniti come i fla-

coni dell’olio e dell’aceto, per H. Heine, Allemands et Francais, Calmann-Lévy, Paris, 18823,

pp. 313-314.

4 Cfr. S. Drescher, Tocqueville and England, Harvard University Press, Cambridge (Mass.),

1964, pp. 57-61, 123-124; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, v. I, Laterza, Bari, 1969, pp. 544- 547.

5 Cfr. M Tesini, Tocqueville e l’economia politica del suo tempo. Per una introduzione agli

scritti sul pauperismo, in A. de Tocqueville, Il pauperismo, a c. di M. Tesini, Edizioni Lavoro,

Roma, 1998, pp. 11-13.

6 Francois Furet riteneva che la precocità del “sistema” tocquevilliano, trovasse la sua spie-

gazione nel fatto di essere costruito (anche esplicitamente) su basi che sono anche di ordine esistenziale, perché Tocqueville «appartiene al mondo vinto della Rivoluzione francese», cfr. Il

laboratorio della storia, (Paris 1981), Il Saggiatore, Milano, 1985, p. 215. In questo accoglien-

do una suggestione di C. Schmitt, Ex captivitate salus, (Köln 1950), Adelphi, Milano, 1987, pp. 27-35.

7 OC, t. XIII, v. 1, p. 374. Del resto lo riteneva un «prétexte très honorable», cfr. lettera a

Charles Stöffels dell’11 ottobre 1831, cit. in Introduction de l’éditeur, La Démocratie en Amé-

rique, première édition historico-critique revue et augmentée par E. Nolla, Vrin, Paris, 1990, t.

I, p. XXII.

8 G.W. Pierson, Tocqueville and Beaumont in America, Oxford University Press, New

York, 1938, p. 704. Sull’influenza di Beaumont su Tocqueville, cfr. S. Drescher, Tocqueville

po della sua personale missione era tirare fuori un potente affresco della mag- giore repubblica democratica al mondo9.

Da questa ammissione di Tocqueville ne è discesa l’idea di un suo sostan- ziale disinteresse nei confronti della questione penitenziaria, per la quale egli avrebbe sfruttato le doti di lavoratore del “modesto” e “intelligente” amico Gustave de Beaumont, vero autore di tutti gli scritti penitenziari e sostanziale ideatore della linea penitenziarista della coppia di studiosi alle dipendenze del Ministero degli Interni e di quello di Grazia e Giustizia francesi.

Si tratta, perfino, di una tesi avvalorata dallo stesso Beaumont, che nella sua edizione delle opere complete dell’amico Tocqueville, redatte poco dopo la morte, con il consenso della vedova10, non vi ha raccolto testi dedicati al

tema delle prigioni, salvo una unica eccezione, inserita nel volume degli scritti economici e politici11, trattandosi, secondo lui, di una «question tout à la fois

économique et politique»12. Egli specifica che lo scritto è una nota del 1831,

già contenuta nell’opera intitolata du Système pénitentiaire aux Etats-Unis, pubblicata da Tocqueville «et par l’auteur de cette préface». E a questo punto, con molta deferenza verso la memoria dell’amico scomparso e per il suo illu- stre nome, Beaumont mette le cose in modo che non vi siano dubbi sui diversi ruoli ricoperti nella stesura di quel libro che molta fama aveva dato in tutta Europa agli autori:

Je ne fais qu’exprimer ma pensée sincère en déclarant ici qu’à mes yeux ce livre tirait sa plus grande valeur des notes qui y sont jointes. Or, toutes ces notes sont de Toc- queville, qui avait abandonnée à son collaborateur la rédaction du texte. La principale était la note sur les colonies penales qui figure dans l’ouvrage, sous le titre d’Appendice. Il convenait, à tous égardes, de rendre à ce morceau remarquable la pla- ce qui lui appartient dans les œuvres de Tocqueville13.

Les sistème pénitentiaire aux Ètats-Unis et son application en France, era

apparso a firma di Beaumont e Tocqueville, con impressa la data del 1833,

9 «J’irai voir là ce que c’est qu’une grande République», scriveva a Charles Stöffels il 26

agosto 1830, A. de Tocqueville, Lettres choisies. Souvenirs, Quarto Gallimard, Paris, 2003, p. 157.

10 Œuvres complètes d’Alexis de Tocqueville, publiées par Mme de Tocqueville [et G. de

Beaumont], 9 voll., Michel Lévy Frères, Paris, 1864 -1866, da ora in poi OCB.

11 Des Colonies penales, in OCB, t. IX, pp. 196-222. 12 G. de Beaumont, Préface, OCB, t I, p. XXXVI. 13 Ivi, p. XXXVII.

benché circolasse dalla fine del 1832 negli ambienti ufficiali del Ministero degli Interni14.

Solo nel 1984 con la pubblicazione, nell’edizione filologica delle opere complete di Tocqueville, dei suoi scritti penitenziari15, Michelle Perrot, in una

assai bella introduzione, arriverà a scrivere: «Il faut détruire la légende d’un Tocqueville évadé d’une mission assumé par le seul Beaumont: en Amérique, il y à pris une parte égale»16. E le cose erano procedute così, con una divisione

paritetica del lavoro, fino a quando, al ritorno in Francia, non si era giunti al momento della stesura finale del rapporto.

Gli sbalzi di umore di Tocquevillle, dovute alle crisi ciclotimiche cui era soggetto di frequente, legate anche all’impegno estremo profuso nello scrivere la sua opera sulla democrazia americana, producono un allontanamento dal lavoro sui penitenziari, mentre periodicamente l’amico Beaumont tenta di scuoterlo conferendogli incarichi come quello di visitare (nel 1832 in vista della pubblicazione) i bagni penali di Toulon e di Ginevra in primavera. Nell’estate poi i due amici si recano insieme presso alcuni istituti parigini17.

Tocqueville certo non si limita a fare del «turismo penitenziario»18, ma

ha redatto numerose note e rapporti in risposta alle incalzanti domande poste da Beaumont (che, da parte sua, invita l’amico ad uscire dall’intorpidimento in cui versa in quel periodo),19 ha fatto la traduzione della maggior parte dei regolamenti e dei diversi documenti. Soprattutto ha compilato le note alfa- betiche e statistiche che nella terza edizione occupano circa 120 pagine (un terzo del testo intero). Infine ha accuratamente riletto e annotato la stesura operata dall’amico, con soventi inserimenti di queste annotazioni nella reda- zione finale20.

14 Les sistème pénitentiaire aux Ètats-Unis et son application en France, suivi d’un appen-

dice sur les colonies penales et de notes statistiques, par MM. G. de Beaumont et A. de Tocque- ville, H. Fournier, Paris, 1833.

15 A. de Tocqueville, Œuvres completes, t. IV, Écrits sur le système pénitentiaire en France

et à l’étranger, texte établi par M. Perrot, 2 voll., Gallimard, Paris, 1984.

16 M. Perrot, Tocqueville méconnu, OC, t. IV, v. 1, p. 19.

17 Per salvare l’«honneur du système pénitentiaire d’Amérique», scriveva Tocqueville a

Beaumont il 4 aprile del 1832, «J’aurais encore été capable de suivre vos instructions mot à mot, mais, si vous m’abandonnez à moi-même, je suis un homme perdu»: OC, t. VIII, v. 1, p. 109.

18 M. Perrot, Tocqueville méconnu, cit., p. 22.

19 Il 17 maggio 1832 Beaumont scrive a Tocqueville: «Il faut absolument sortir de l’état

d’engourdissement moral dans lequel vous êtes depuis quelques temps, et considérer que les observations que vous allez faire à Toulon sont capitales pour notre travail», OC, t. VIII, v. 1, p. 118.

Insomma, la partecipazione di Tocqueville non fu distratta, se mai sarà Tocqueville a stimolare fra i suoi contemporanei il senso comune che attribui- va la paternità dell’opera quasi per intero a Beaumont, indicandolo in numero- se occasioni come il solo redattore21. Soprattutto quando il ruolo “pubblico” di

Tocqueville sarà maggiore di quello dell’amico, si adopererà per aiutarlo; co- me nel 1841, quando per favorirne l’ingresso nell’Académie des sciences mo- rales et politiques (di cui Tocqueville era membro già dal 1838), scrive una lettera a François-Auguste Mignet (segretario perpetuo dell’Accademia), in cui, rivendicando i titoli del suo sodale, specifica che, per l’opera pubblicata in comune sulle prigioni americane, Beaumont ne è l’estensore, mentre lui si era limitato a fornire le sue osservazioni e qualche nota22.

Certamente, però, non c’è un solo rigo del Système pénitentiaire di cui Tocqueville non abbia condiviso la stesura, nelle varie forme di scrittura o re- visione, e dunque non vi è un solo rigo che non sia condiviso e che non possa essere attribuito alla paternità di entrambi. E dunque il Système pénitentiaire non può essere considerata, dal punto di vista concettuale, l’opera del solo Beaumont, ma è bensì frutto del lavoro e dell’ingegno di entrambi, con un’inevitabile influenza della più forte personalità intellettuale del Normanno. Il quale del resto pur vantando con signorile spirito di comunanza il ruolo preminente del compagno nella stesura, rivendicherà sempre a sé il contenuto dell’intera opera. E in questo modo la penseranno gli intellettuali europei che lo eleggeranno a punto di riferimento internazionale e daranno vita sino al 1848 a un serrato dibattito sulla questione delle carceri23.

Dal 1838 l’impegno penitenziario di Tocqueville nel promuovere le inizia- tive pubbliche sulla questione è molto cresciuto. Dapprima da accademico, nel 1839 da deputato, nel 1840 e poi nel 1843-44 come relatore in parlamento di un progetto di legge sulla riforma penitenziaria di cui farà un suo personale cavallo di battaglia24, nel fuoco di un dibattito appassionato in cui l’uscita del

libro aveva infiammato gli animi, producendo divisioni fra gli assertori di una linea filantropica, espressa massimamente da Charles Lucas (ispettore genera- le delle prigioni al tempo della partenza per l’America dei due amici – 21 «Je dis à qui veut l’entendre […] que vous êtes l’auteur du Système penitentiaire (chose

du reste vrai)», scrive Tocqueville a Beaumont il 18 gennaio 1838: OC, t. VIII, v 1, p. 279.

22 Lettera del 26 giugno 1841, riportata in M. Perrot, Tocqueville méconnu, cit., p. 23. 23 Sulle origini dell’idea penitenziaria e sulla sua diffusione in Europa, cfr. M. Foucault,

Surveiller et punir. Naissance de la prison (Paris, 1975), tr. it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976; M. Ignatieff, A Just Measure of Pain: Penitentiaries in the Industrial Revolution, 1780–1850, Macmillan, London, 1978, tr. it., Le origini del peniten- ziario, Mondadori, Milano, 1982; G. Neppi Modona, Carcere e società civile, in Storia d’Italia,

II Documenti, vol. V, Einaudi, Torino, 1983, pp. 1903-1998.

referente superiore25 – e idolo polemico di tutti i loro interventi), fondata sul

miglioramento delle condizioni e la difesa dei diritti del detenuto con una cer- ta trascuratezza circa l’organizzazione delle carceri, e gli assertori con Toc- queville e Beaumont di una riforma che garantisse principalmente la società dalla devianza criminale. Scontro che si concentrerà principalmente nella op- posizione fra i due sistemi visionati in America e codificati proprio dai due giovani magistrati francesi: il Silent sistem di Auburn e il Solitary confinement di Cherry Hill a Filadelfia.

Gli intellettuali e i filantropi della prima metà del secolo, concentravano la loro attenzione sulle modalità pratiche di esecuzione della pena e giudicavano che per garantire ai detenuti condizioni materiali di vita più dignitose, ma allo stesso tempo abbastanza severe da mantenere alla pena valore punitivo, fosse necessario modificare le discipline di conduzione degli istituti: essi ritenevano perciò che l’indispensabile componente intimidatoria della pena non andasse più riposta in un trattamento brutalmente afflittivo, ma in severe e precise re- gole di vita, che valessero a svolgere funzioni di punizione, ma anche di cor- rezione dei delinquenti26.

Dal tentativo di conciliare questi due obiettivi conflittuali nascevano elabo- rati modelli di organizzazione della vita carceraria, che individuavano nella costrizione al lavoro e nell’isolamento i loro cardini fondamentali ed attribui- vano ad essi valore di emenda e deterrenza insieme. Le nuove teorie si diffe- renziavano però nella scelta delle modalità di applicazione dei due princìpi, cristallizzandosi sostanzialmente in due sistemi, elaborati e sperimentati negli Stati Uniti: l’uno detto filadelfiano o pensilvanico, proponeva il solitary con-

finement, vale a dire la segregazione continua dei detenuti di giorno come di

notte all’interno di singole celle, costruite in modo da consentire la soddisfa- zione dei bisogni primari e l’attività lavorativa senza alcuna interruzione dell’isolamento. L’altro, conosciuto come auburniano (dalla prigione di Au- burn nello stato di New York) o silent system, optava invece per la separazio- ne solo notturna dei detenuti in cellette individuali e per la riunione durante il

25 Lucas (1803-1889), nominato nel 1830 ispettore generale delle prigioni del regno, in

questo ruolo interloquiva con Beaumont e Tocqueville. Cfr. Lettre de M. CH. Lucas à MM. G.

de Beaumont et A. de Tocqueville (mars 1831), OC, t. IV, v. 1, pp. 453-561. Fra le opere di Lu-

cas cfr. Ch. Lucas,Du système pénal et du système repressif en general, de la peine de mort en particulier, Charles-Bechet, Paris, 1827; e Appendice à la théorie de l'emprisonnement, ou Ré- ponse aux écoles opposantes en général, et à l'école pensylvanienne en particulier; suivi de Quelques mots sur la réforme des prisons de la France, Bourgogne et Martinet, Paris, 1838.

giorno in grandi laboratori per lo svolgimento del lavoro in comune, da effet- tuarsi nel silenzio più assoluto27.

Le due regole di internamento derivavano la loro completezza e la loro praticabilità dal fatto che non erano nate come astratte teorizzazioni, ma erano andate sviluppandosi e definendosi attraverso successive applicazioni a con- crete realtà carcerarie; e pur fondandosi sull’impiego di meccanismi relativa- mente semplici, il lavoro e il principio di separazione tra i reclusi, che non e- rano elementi del tutto estranei alle realtà repressive europee, venivano appli- cate però molto rigidamente all’interno di perfetti schemi disciplinari, archi- tettonici e normativi, per cui possedevano i caratteri di moderne tecniche di condizionamento dei comportamenti, in grado di reprimere e trasformare la personalità dei reclusi, come pure di sfruttarne a fondo la capacità produttiva a beneficio dell’amministrazione carceraria. Esse sembravano quindi rispondere compiutamente alle molteplici esigenze della penalità europea preoccupata di sostituire all’afflittività dei vecchi sistemi espiativi modalità detentive più a- deguate allo spirito umanitario contemporaneo, ma altrettanto deterrenti, per porre un freno all’aumento dei tassi europei di criminalità e recidività28.

In occasione della visita alla prigione di Poissy, il 26 settembre del 1830, quando con Beaumont preparava la relazione per la loro richiesta di missione negli Stati Uniti, Tocqueville non viene tanto colpito dalle condizioni materia- li, giudicate tutto sommato miti, quanto dalla promiscuità, dalla trasandatezza, dall’assemblearismo, si potrebbe dire, dei detenuti, riuniti tutti insieme nello spettacolo giudicato disgustoso delle gozzoviglie domenicali. E una guardia carceraria che fa da guida ai due magistrati esclama affranta: «C’est la philan- tropie de Paris qui nous tue»29. E contro questo modello di prigione allegra si scaglia tutta la relazione, in cui si denuncia «cette fausse philantropie» che, a darle retta farebbe delle prigioni un piacevole luogo di soggiorno; gli uomini che la società respinge devono trovare nella carcerazione pene severe, adegua- te, anche se non ripugnanti; l’obiettivo sarà quello di costruire un sistema pe- nitenziario che renda i detenuti migliori senza mitigare la loro sorte30.

In America i due magistrati francesi avevano sperimentato metodiche nuo- ve che diventeranno proprie di ogni ricerca sul campo: ad esempio il questio- 27 Sui due modelli cfr. G. Rusche e O. Kirchheimer, Punishement and Social Structure,

New York, 1939, tr. it., Pena e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1978.

28 M.R. Weisser, Criminalità e repressione nell’Europa moderna, Il Mulino, Bologna,

1989, pp. 131 ss.; J.-G. Petit, La colonizzazione penale nel sistema penitenziario francese, in

Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento, a c. di M. Da Passano, Carocci, Roma, 2004,

pp. 47-49.

29 OC, t. IV, v. 1, p. 456. 30 Ivi, p. 54.

nario ad ausilio dell’intervista. Infatti la testimonianza diretta, orale, sul cam- po appunto, costituirà la parte essenziale del loro lavoro, nei dieci giorni tra- scorsi a Sing Sing, negli altrettanti passati ad Auburn, negli otto alla casa di correzione giovanile di New York. Approfittando della totale disponibilità delle autorità competenti che aprirono loro ogni porta31. Essi, all’inizio, non

avevano ufficialmente preso posizione su quale dei sistemi carcerari visionato fosse il migliore. Noi sappiamo che per tutti gli anni a venire il dibattito in Europa sarà basato quasi esclusivamente sulla scelta fra il modello espresso dalla prigione di Filadelfia (Pennsylvania) o quello di Auburn (New York)32,

proprio grazie agli elementi che la loro inchiesta aveva acquisito33. Tocquevil-

le era rimasto colpito dagli effetti, comunque, raggiunti grazie alla durezza nell’applicazione, in entrambi i casi, come gli veniva dimostrato dal sentire le affermazioni della maggioranza dei carcerati intervistati, tesi a interiorizzare la loro punizione grazie alla lettura della Bibbia. Alexis vedeva in questo la forza del consenso che cementava la società americana. La prigione diventa un osservatorio del funzionamento globale della democrazia, dove all’esempio della più ampia libertà nella società, corrisponde, nelle prigioni dello stesso paese, lo spettacolo del dispotismo più completo34. L’organizzazione delle carceri che si apre ai loro occhi è nel complesso effi- cace, con un bassa percentuale di recidivi, soprattutto per il modo in cui la pe- na viene applicata, per il rigore e la capacità di coloro i quali sono addetti nel- le carceri alla sorveglianza e a far rispettare gli obblighi dei detenuti.

Dunque inizialmente i due magistrati (e novelli penitenziaristi) francesi non esprimono le loro preferenze, pur se il radicalismo di Filadelfia ha sedotto Tocqueville, ma per timore di avventurarsi su un terreno minato, considerando

31 Il frutto di quell’immane lavoro apparirà per la maggior parte in Du système pénitentiaire

aux États-Unis et de son application en France, suivi d’un appendice sur les colonies pénales