• Non ci sono risultati.

Gustave de Beaumont e la nascita della politica irlandese

COSTITUZIONALE IN IRLANDA (1800-2000)

1. Gustave de Beaumont e la nascita della politica irlandese

Gustave de Beaumont nel suo classico L’Irlande sociale, politique et reli-

gieuse, pubblicato in Francia nel 1839, ci offre un’appassionata e partecipe

descrizione, basata sulla propria testimonianza oculare, di un’isola impoverita, popolata da otto milioni di abitanti, alla vigilia di una catastrofica carestia che avrebbe ucciso oltre un milione di persone e un altro ne avrebbe spinto in esi- lio nell’altra isola britannica e in America, e che avrebbe avuto come succes- sivo risultato la creazione di una società assai differente, in un’isola che attor- no al 1900 avrebbe contato quattro milioni di abitanti.

Questa catastrofe era stata prevista e la crisi demografica in Irlanda era già in atto ormai da lungo tempo. La popolazione dell’isola era raddoppiata da quattro a otto milioni tra il 1800 e il 1840 e tale incremento demografico comportava il fatto che un numero sempre più numeroso di contadini, ridotti al livello di sussistenza, competesse furiosamente per sempre più ristretti ap- pezzamenti di terreno coltivato a patate, la cui disponibilità generale non po- teva essere aumentata. Un’altra infausta tendenza consisteva nel fatto che gli incrementi di popolazione erano più rilevanti in quelle parti occidentali dell’i- sola ove la terra era meno fertile, piuttosto che nelle vaste e floride pianure dell’Irlanda orientale e meridionale: terre quest’ultime che avrebbero potuto nutrire più volte la popolazione dell’intero paese.

L’Irlanda di primo Ottocento era paralizzata da un’atroce ed interminabile lotta tra una classe contadina sull’orlo della morte per fame ed una classe di proprietari terrieri privilegiata e incompetente, separata dal resto della popola- zione per religione, maniere e lingua.

Beaumont colse immediatamente il ruolo cruciale giocato da un leader poli- tico nell’insegnare ai contadini irlandesi l’arte e la tecnica dell’organizzazione politica negli anni antecedenti la carestia. Egli pose l’accento sul fatto che attra- verso la dominazione coloniale inglese, all’Irlanda erano stati dati, paradossal- mente, tutti gli strumenti di cui aveva bisogno per liberare se stessa dall’op- pressione coloniale. Daniel O’Connell, il futuro leader irlandese, aveva fin da giovane afferrato quel fatto e nel corso di trent’anni, dal 1815 al 1845, aveva strappato concessioni da una tutt’altro che ben disposta classe di proprietari per mezzo di una letale (e tipicamente irlandese) brillante miscela di agitazio- ni di massa, princìpi politici liberali ed argomentazioni costituzionali.

Beaumont ammirava il popolare Dan, re dei mendicanti (King of the Beg-

gars), e capo carismatico di un un’emergente democrazia irlandese. L’azione

politica piuttosto che la ribellione violenta sarebbe stata la chiave, così argo- mentava O’Connell, per la riparazione dei numerosi torti che erano stati inflit- ti al popolo irlandese da un governo, quello di Londra, distante e indifferente, in modo congiunto ad un’aristocrazia terriera arrogante ed incapace, che risie- deva invece sul suolo irlandese, aliena sia per fede che per nazionalità alla va- sta massa della popolazione cattolica. Beaumont scrive nel 1839 che O’Connell aveva creato nel 1823 una grande associazione, ciò che noi oggi definiremmo come un partito politico di massa, mobilitando milioni di conta- dini poveri all’interno di un’organizzazione gigantesca, finanziata dai penny della povera gente.

Il movimento dell’associazione è quello di tutta l’Irlanda; ma questa grande opera del- la nazione ha suoi specifici agenti, ed essa ne possiede uno così eminente e celebrato che non posso ignorarlo: intendo dire O’Connell. Se l’associazione guida l’Irlanda, O’Connell governa l’associazione. O’Connell esercita una così straordinaria influenza sul suo paese, e sulla stessa Inghilterra, che non parlare di lui significherebbe trascura- re qualcosa che è più di un uomo, ed è quasi un principio […]. I grandi uomini, nella nostra epoca, diventano ogni giorno più rari, non perché venga realizzato un numero minore di imprese rispetto ai tempi passati, ma perché qualsiasi grande azione oggi compiuta è realizzata dal popolo, è opera non di un solo uomo ma di molti: in propor- zione, siccome molti agenti contribuiscono all’opera, la gloria di ogni agente indivi- duale è diminuita […]. L’Irlanda con tutte le sue immense miserie, il contrasto tra lus- so e indigenza, con le sue vaste masse animate da uniformi passioni, era forse il terre- no meglio predisposto ad alimentare la gloria di un singolo uomo.

E così proseguiva Beaumont:

Non è il potere di O’Connell il più straordinario che si possa concepire? Ecco un uo- mo che esercita una sorta di dittatura su una popolazione di sette milioni, che quasi da solo dirige gli affari della sua nazione e dà consigli che vengono obbediti come fosse- ro ordini: e quest’uomo non è mai stato investito di alcuna autorità civile o di alcun

potere militare. Non so se nella storia delle nazioni si possa trovare anche un solo e- sempio di un tale destino. Si considerino, da Cesare a Napoleone, gli uomini che han- no dominato le nazioni con il loro genio o con la loro virtù: quanti se ne troveranno che per stabilire il loro potere, non fossero già da prima in possesso della maestà di una funzione civile o della gloria delle armi? Sarebbe pervenuto sino a noi il nome di Washington se il grand’uomo non fosse stato un uomo di guerra prima che un legisla- tore? Che cosa sarebbe stato Mirabeau senza la tribuna dell’Assemblea costituente; o Burke, Pitt e Fox, senza il loro seggio nel parlamento britannico? È ben vero che O’Connell è membro del parlamento britannico, ma il suo grande potere risale a un tempo in cui egli non lo era – esso data dalla famosa elezione [della contea] di Clare [nel 1826]; non è il parlamento che gli ha conferito la forza; è in virtù della sua forza che egli siede in parlamento.

In O’Connell, Beaumont vedeva il predecessore della figura assolutamente moderna di leader politico il cui potere deriva, più che dal suo status di solda- to o di aristocratico, dal suo rapporto con il popolo. Egli sarebbe stato l’inventore di un genere di politica democratica e demagogica che ha domina- to l’Occidente moderno negli ultimi due secoli. Il suo partito politico, fondato nel 1823 come un’organizzazione di tesserati sulla basi di un’appartenenza di massa, era in anticipo di un anno sulla fondazione a Old Hickory del Partito Democratico di Jackson negli Stati Uniti. L’ormai anziano Beaumont nella prefazione a una nuova edizione de L’Irlande, apparsa nel 1863, un quarto di secolo dopo la prima edizione, rendeva a O’Connell un elogio postumo che si sarebbe rivelato profetico:

[Nel mio libro del 1839] ho dimostrato che queste riforme vennero attuate non soltan- to attraverso l’adozione di nuovi princìpi di governo, ma anche per iniziativa di un uomo che era egli stesso la prima istituzione politica del suo paese, un uomo che l’Ir- landa ha perduto ma certamente non dimenticato. Gli irlandesi si ricordano ancora di O’Connell, un uomo che è stato grande nel corso dell’intera sua vita, e che è destinato a divenire ancora più grande dopo la sua morte.

2. Il Liberatore

Daniel O’Connell discendeva da un ceppo originariamente gaelico degli abitanti dell’Irlanda, gaelici e celti nella cultura medievale, che avevano go- vernato l’Irlanda prima che le ondate di invasori vichinghi, normanni ed in- glesi dilagassero sull’isola tra il IX e il XVII secolo. La sua famiglia apparte- neva alla piccola aristocrazia terriera e commerciante, di religione cattolica, della contea del Kerry nell’estrema parte sud-occidentale dell’Irlanda (un im- pressionante paesaggio di isole e di grandi penisole che si protendono nel tempestoso Atlantico del nord), una zona non abbastanza ricca da attrarre l’a- vidità dei conquistatori del XVII secolo. Nel tardo XVIII secolo, il gaelico e i

modi di vita gaelici erano ancora più o meno intatti in quella regione, uno de- gli ultimi grandi bastioni della lingua gaelica, o irlandese, miniera linguistica per la poesia, il folklore, la memoria collettiva e l’epica.

Ad O’Connell i contadini irlandesi guardavano come ad un essere quasi sovrumano per il suo acume, la conoscenza delle lingue irlandese, inglese, francese e latina, la sua comprensione del diritto inglese ed una, all’apparenza soprannaturale, abilità di volgere contro l’oppressore inglese le sue stesse leggi.

O’Connell era nato nel Kerry nel 1775; visse tanto a lungo da vedere, nella sua contristata vecchiaia, il disastro della carestia degli anni 1845-47. Nove mesi prima della sua nascita, nel corso di un temporale, un fulmine aveva col- pito la casa ancestrale situata nella parte meridionale del Kerry, e si narrava che ciò fosse avvenuto al momento stesso del suo concepimento. Era così o- pinione comune che fosse il dio celtico della luce di nome Lú Lamhfhada (Louie dalle lunghe braccia, in una possibile traduzione) ad essere l’autentico padre. Nella mente del contadino irlandese egli era dunque visto come un fi- glio della luce, un eroe solare, nonostante, in verità, fosse un uomo estrema- mente moderno.

Come suggerisce il fantasioso aneddoto, la figura di O’Connell domina una parte notevole del folklore irlandese. Egli è rappresentato, ad esempio, come dotato del potere di recarsi in volo a ipnotizzare la regina Vittoria. Ed inoltre, come si addice ad ogni autentico eroe solare, egli era irresistibile alle donne. Solamente una città in Irlanda ebbe a rifiutargli una donna per la notte ed essa è eternamente oggetto di disonore per tale rifiuto ipocrita ed avaro. Secondo una battuta popolare, e rivelatrice di un fondo di ammirazione, se si gettava un bastone nel cortile di una scuola o all’interno di un orfanotrofio si poteva star certi di colpire uno dei piccoli bastardi di O’Connell. In un raccon- to gaelico in versi, un tempo noto ovunque in Irlanda e persino nelle isole oc- cidentali della Scozia, egli è invitato a cena da diversi altolocati personaggi inglesi che lo odiano per la sua intelligenza. Gli viene offerta una coppa di vi- no, naturalmente avvelenata. Fortuna vuole che la serva sia irlandese e che nella lingua natale sussurri all’amato Dan:

“A Dhónail Uí Chonail, an tuiginn tú Ghaeilge?” “Tuigim, a chailín, is a maireann dem’ ghaoilte!” “Tá nimh so chupán a marófaidh na céadta!” “Maith ‘ghut a chailín, beidh tusa go hEirinn liom!” “Daniel O’Connell, il gaelico intendi?”

“Certo, fanciulla, io e tutti miei parenti” “Veleno è nella coppa da ucciderne a migliaia” “Ti son grato: l’Irlanda tu rivedrai con me”

E via che parte per l’Irlanda a cavallo, la fanciulla avanti a lui sulla sella. È certo che O’Connell crebbe totalmente bilingue, ma favorì la graduale sostituzione della lingua irlandese con l’inglese. La sua educazione superiore la ricevette in Francia, nell’antica università di Douai e a Saint-Omer, e la dif- fidenza che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita nei confronti della politi- ca rivoluzionaria derivava in lui dalla lettura degli enciclopedisti e dall’essere stato testimone delle brutalità della Rivoluzione francese. Di ritorno in Irlan- da, egli avrebbe contribuito a sopprimere gli equivalenti irlandesi dei radicali francesi, in occasione della fallita rivoluzione irlandese del 1798. Divenuto in seguito avvocato, ebbe un inizio di carriera difficile, in quanto cattolico che tentava di fare pratica giuridica in un paese dove l’esercizio delle professione legale era nella quasi totalità protestante ed anti-cattolico. E tuttavia, riuscì a raccogliere attorno a sé alleati di entrambe le religioni così come di nessuna, e presto acquisì notorietà per il suo ingegno e per la sua abilità di parola.

O’Connell viveva in un paese che mancava di qualsiasi tradizione di go- verno democratico, o anche solo semi-democratico. Una delle più grandi tra- gedie dello sviluppo politico irlandese consisteva nella debolezza, forse unica nell’Europa nord-occidentale, di una forte tradizione civica, interiorizzata dal- l’insieme della popolazione. Questo era un effetto a lungo termine dell’inse- diamento protestante inaugurato nell’ultimo decennio del XVII secolo, il cui esito sarebbe stato la subordinazione della vasta maggioranza cattolica della popolazione ad una élite protestante e il complessivo trasferimento della terra d’Irlanda dalla prima alla seconda. In termini molto vicini alla realtà, i succes- sivi due secoli possono essere visti come il teatro di una lunga e faticosa lotta per rovesciare quell’assetto, sia attraverso l’agitazione politica pacifica, sia attraverso la lotta armata. In Irlanda la politica divenne una parola a cinque lettere: TERRA.

Dopo il 1690, in larga parte a causa del peso schiacciante del potere ingle- se nel forzato riassetto economico, sociale e politico dell’Irlanda, la vita poli- tica interna divenne pressoché inesistente. Come altri parlamenti in Europa, il parlamento di Dublino rimase un organo non rappresentativo della popolazio- ne. Ma Londra non permise neppure di governare il paese nell’interesse della minoranza che possedeva la terra e le industrie irlandesi. Le maggioranze par- lamentari vennero sistematicamente comprate da Londra e soltanto una mino- ranza all’opposizione asseriva di rappresentare gli autentici interessi del popo- lo stesso.

È noto come alla gran massa del popolo irlandese venisse negata una vita politica. Ma la straordinaria realizzazione di O’Connell come maestro politico del suo popolo, fu tale da incidere in modo permanente sulla cultura politica della nazione: egli creò una tradizione di organizzazione e manipolazione po-

litica tale da rendere gli irlandesi forse i più esperti in politica - il che non vuol dire i più politicamente illuminati - in Europa.

Questa tradizione avrebbe riguardato non soltanto la politica delle isole britanniche, ma anche gli Stati Uniti. A seguito della carestia e delle grandi correnti migratorie in America, attivisti politici irlandesi assunsero il governo della maggior parte delle grandi città americane durante gli anni della rivolu- zione industriale in America, e il loro potere sarebbe durato fino agli anni Ses- santa del Novecento e alla fine del partito democratico di Roosevelt.

O’Connell aveva trovato un paese contraddistinto, a livello locale, da una politica cospirativa e di difesa di interessi locali ostile nei confronti degli e- stranei e del governo. Piccole società segrete di carattere rurale avevano dife- so un codice agrario contro i proprietari terrieri, gli outsiders ma anche le une contro le altre.

Ai tentativi di sgombero venne opposta resistenza in armi e l’ironico esito di questa resistenza sarebbe stato il costante aumento di una popolazione di poveri che sarebbe sfociato nella catastrofe del 1845-47.

Il mondo sommerso dei contadini e dei braccianti dell’Irlanda del XVIII secolo era andato evolvendosi in direzione di una cultura politica localistica, che enfatizzava la solidarietà collettiva, l’imposizione di tradizioni popolari del luogo in materia di affitti sui terreni, matrimoni, successioni, sostegni al clero e rapporti con i proprietari terrieri, poche migliaia dei quali possedevano l’intera isola. L’Irlanda, è bene ricordarlo, è in grandezza la seconda isola in Europa e contiene più di quindici milioni di acri, l’equivalente di otto milioni di ettari di terra assai fertile. Una sotterranea tradizione di resistenza violenta (Whiteboyism) al potere era la principale rivale di O’Connell per la conquista dei cuori e delle menti della massa della popolazione. Il suo successo nel gua- dagnarsi quei cuori e quelle menti, non fu mai completo. Una minoritaria tra- dizione di sostenitori dell’insurrezione è sempre esistita a sfidare le rivendica- zioni di legittimità e il diritto alla leadership e al governo da parte dei fautori dei mezzi costituzionali. Ai nostri giorni, questa tradizione minoritaria è prin- cipalmente rappresentata dall’Irish Republican Army (IRA).

Una parte della popolazione irlandese stava tuttavia in disparte rispetto a questa complessiva evoluzione: si trattava del Nord-est dell’isola, principal- mente protestante e di insediamento scozzese, dove una vasta e vigorosamente sviluppatasi colonia aveva prosperato nel XVIII secolo e tenacemente resistito al crescente sentimento separatista della maggior parte degli irlandesi.

O’Connell morì nel 1847, dopo avere ottenuto l’emancipazione dei cattoli- ci per una limitata élite e dopo avere stabilito un’alleanza con ambienti pro- gressisti inglesi, che avevano assunto la forma dell’emergente Partito liberale inglese.

Egli diede inizio allo smantellamento del controllo aristocratico sul gover- no locale ma morì prima di poterlo veramente minare. La sua autentica vitto- ria fu comunque quella di aver mostrato agli irlandesi che le istituzioni rap- presentative e le leggi anglosassoni erano armi effettive, che potevano essere impugnate dal debole contro il forte, con qualche speranza di successo. Que- sto era un risultato di fondamentale importanza. L’insidia stava tuttavia nel fatto che il debole doveva allearsi con i suoi pari in vaste aggregazioni e crea- re un’opprimente solidarietà collettiva. Mentre questo collettivismo irlandese costituiva un’arma comunitaria efficace, esso agiva però anche in senso con- trario allo spirito d’iniziativa individuale, promuoveva il conformismo, offriva opportunità ai demagoghi, disincentivava la libertà di parola.