L’IRLANDE DI GUSTAVE DE BEAUMONT ED I TIMORI IN MATERIA DI CORRUZIONE
2. Il problema della corruzione
Gli storici del pensiero politico francese nel XIX secolo non hanno presta- to la dovuta attenzione a come i liberali, quali appunto i doctrinaires, abbiano visto nella corruzione morale un problema critico nel processo di costituzione di un regime liberal-moderato. Royer-Collard e François Guizot erano partico- larmente preoccupati di questo problema, che nelle loro riflessioni sulla so- vranità popolare e sulla democrazia veniva trattato come una questione di fondamentale importanza. E tuttavia, il loro pensiero sulla corruzione viene sorvolato, eclissato da una narrativa che pone l’accento su una sorta di petu- lanza critica da parte di Guizot. Pierre Rosanvallon ha osservato che il pensie- ro di Guizot si traduceva in un «plat individualisme moralisateur»24. Lucien
Jaume e Claude Lefort hanno formulato analoghi giudizi25. Di certo queste os-
23 Ch. Taylor, A Secular Age, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 2007, p. 8
(tr.it. L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009).
24 P. Rosanvallon, Le moment Guizot, Gallimard, Paris, 1985, p. 304.
25 C. Lefort, ‘Introduction’ a F. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition dans
l’état actuel de la France, Belin, Paris, 1988, p. 9. L’introduzione di Lefort è stata ripubblicata
con il titolo ‘Guizot: le libéralisme polémique’, in C. Lefort, Ecrire à l’épreuve du politique, Calmann-Lévy, Paris, 1992. Nella sua brillante analisi del liberalismo del XIX secolo, Lucien Jaume sostiene che il liberalismo di Guizot è un tentativo di «assoggettare l’individuo a un
esprit de corps che lo disciplini»; egli sottolinea che quando Guizot fa riferimento a Rousseau
«è al fine di mostrare come egli accordi troppo all’individuo, vale a dire all’arbitrarietà del ca- priccio individuale»: L. Jaume, L’individu effacé ou le paradoxe du libéralisme français, Fa-
servazioni risultano accreditate dai contemporanei di Guizot e dai suoi stessi alleati politici di lunga data, come Charles de Rémusat e Prosper de Barante: da essi egli veniva giudicato altezzoso, intellettualmente e culturalmente arro- gante26.
L’insistenza della storiografia dei nostri giorni sullo spirito elitario di Gui- zot è il risultato dell’attrattiva esercitata dallo specifico contributo offerto da Guizot e dai dottrinari al pensiero politico, tale da alterare radicalmente il mo- do in cui la sovranità politica sarebbe stata percepita. I doctrinaires rigettaro- no idee consolidate relative al fatto che il potere sovrano potesse essere incar- nato in modo compiuto e senza alcun pericolo, o nel corpo del monarca o nel- la volontà del popolo. Per Royer Collard e Guizot, queste concezioni di so- vranità erano basate sul giudizio soggettivo. Oltre un secolo di storia francese aveva dimostrato quanto fallimentari fossero il giudizio soggettivo dei monar- chi e del popolo. Nella prospettiva dei doctrinaires, gli anni che comprende- vano la rivoluzione francese, il direttorio e l’impero erano stati contraddistinti da divisione sociale e politica, conflitti intestini e governi dispotici. La perdita dei diritti e la violazione delle libertà erano la prova più evidente che il fatto di radicare la sovranità nel giudizio soggettivo non costituiva adeguata salva- guardia sia nei confronti dei diritti che della preservazione delle libertà. Que- sto giudizio, come si vedrà di seguito, era unito a una preoccupazione per la corruzione e la frammentazione dell’io, che impediva ai cittadini di acquisire l’apertura agli altri necessaria per una deliberazione razionale. A un mondo abitato da individui corrotti e frammentati, facevano difetto le basi per un mu- tuo riconoscimento ed un’azione di reciprocità. Ne conseguiva come un tale mondo fosse caratterizzato da divisioni e fazioni.
La soluzione dei dottrinari al problema della sovranità basata sul giudizio soggettivo era quella di ri-pensare l’origine del potere sovrano. I doctrinaires agirono in tal senso radicando la sovranità nel principio oggettivo della ragio- ne. Come Guizot affermava nel suo trattato politico incompiuto Principes de
philosophie politique, scritto tra il 1821 e il 1823, «le pouvoir puise son droit
dans sa légitimité morale, dans sa conformité avec les lois éternelles de la
raison»27. Concezioni della sovranità radicate sia in una tradizione dinastica
yard, Paris, 1997, p. 11 e p. 127. Si veda anche S. Maza, The Myth of the French Bourgeoisie:
An Essay on the Social Imaginary, 1750-1850, Harvard University Press, Cambridge (Mass.),
2003, and J. Goldstein, The Post-Revolutionary Self, cit. pp. 188-189. Cfr. anche R.-R. Chase, Jr., The Influence of Psychology on Guizot and Orleanist Policies, “French History”, 3, 2, 1989, pp. 191-192.
26 S. Maza, The Myth of the French Bourgeoisie, cit. p. 168.
27 F. Guizot, Philosophie politique in Histoire de la civilisation en Europe, a cura di P. Ro-
che nella volontà del popolo, mancavano di legittimità, perché erano suscetti- bili di errore, nella misura in cui esse si discostavano dalle “leggi eterne della ragione”. Come Guizot avrebbe argomentato in una serie di capitoli consacrati a una dettagliata critica delle opere di Hobbes, Rousseau e Destutt de Tracy, «nulle souveraineté humaine n’est inaliénable en principe parce qu’en fait la légitimité morale peut lui manquer»28. Ma se la sovranità degli uomini era
soggetta ad errore, in che modo poteva essere determinata la sovranità delle leggi eterne della Ragione? La risposta risiedeva nell’idea neo-platonica del
pouvoir capacitaire, che combinava l’attitudine a riconoscere ciò che è razio-
nale con la capacità di agire secondo ragione29. Il risultato era quello che Gui-
zot definiva «le gouvernement des esprits».
Gli storici del pensiero politico hanno giustamente considerato tale idea con sospetto. Un governo dei saggi conduce ineluttabilmente ad un «ristretto principio di auto-riconoscimento» in cui un particolare gruppo finisce per pro- clamare se stesso come guardiano della Ragione30. L’elisione tra la “capacità
razionale” e la prospettiva morale borghese fu condotta a compimento al mo- mento in cui i doctrinaires pervennero al potere: quando Charles de Rémusat ebbe con ampia eco a dichiarare «Noi siamo il governo della borghesia»31, la connessione tra la capacità e la classe risultò completa. Ed è su queste basi che poggiano ancor oggi le obiezioni rivolte a Guizot e ai dottrinari.
Ma i doctrinaires, dal canto loro, ritenevano che i rischi dell’abuso di ca- pacità fossero sostanzialmente minori rispetto alle calamità generate dalle concezioni della sovranità di derivazione dinastica o popolare. Essi ritenevano che si potesse avere fiducia nelle loro facoltà di giudizio; avevano stabilito una concezione della sovranità fondata su un principio obiettivo di ragione, e perciò eludevano i problemi filosofici del giudizio soggettivo, della volontà, delle cause e della volizione che erano aspetti delle dottrine sensazioniste as- sai in voga nella Francia del XVII e XVIII secolo. La diminuzione dei rischi era lungi dall’essere soddisfacente per i dottrinari. Essi perseguivano la cer- tezza in relazione a un elemento critico della capacità razionale: l’attitudine a riconoscere ciò che è razionale. A questo fine essi intendevano la società co- me un oggetto di analisi. I loro sforzi culminavano in una teorizzazione del
28 Ibidem.
29 P. Rosanvallon, La démocratie inachevée: histoire de la souveraineté du peuple en
France, Gallimard, Paris, 2000, p. 114; tr. it.: Il popolo introvabile. Storia della rappresentanza democratica in Francia, Il Mulino, Bologna, 2005.
30 Ibidem.
31 Ch. de Rémusat, discorso del 13 marzo 1834, Archives parlementaires, 2e série,
sociale. Conseguenza critica di ciò era il modo in cui i doctrinaires pervenne- ro a concepire la democrazia.
Per essi la democrazia venne ad essere associata meno a una forma di go- verno che a una forma di società: Royer-Collard nel 1822 espresse questa idea quando sostenne che la democrazia era una condizione sociale (état social) la quale, per usare i suoi stessi termini, «a voulu changer l’état intérieur de la so- ciété, et elle l’a changé»32.
Royer-Collard e gli altri doctrinaires, tra i quali Guizot, hanno rivoluzio- nato il pensiero politico con il porre in rilievo la forma sociale della democra- zia. Questo sviluppo è stato da alcuni storici del pensiero politico considerato in maniera pertinente come un vero e proprio cambiamento paradigmatico33.
Ciò che da parte loro si è tuttavia trascurato di osservare, è stato che i Dottri- nari hanno anche mantenuto una comprensione politica del termine. La novità di vedere la democrazia in termini sociali o, secondo la loro stessa espressio- ne, la sua forma interna, ha fatto ombra al suo significato politico, o forma e- sterna. Essi condividevano con altri liberali e conservatori una concezione ne- gativa della democrazia politica funzionale al ripudio dell’idea di sovranità popolare e alla rievocazione dei suoi eccessi durante il Terrore34. Guizot, co- me già si è avuto occasione di notare, si basava su una ormai tradizionale ri- costruzione della vicenda democratica, ampiamente utilizzata dai moralisti scozzesi del XVIII secolo. Essa caratterizzava la democrazia nell’antica e ter- rificante immagine di stasis, ovvero di collasso sociale. Nel momento in cui si fosse consentito alle passioni della populace di assumere un incontrastato dominio, le istituzioni politiche della nazione avrebbero ricevuto il marchio dello spirito fazioso. La divisione nell’organizzazione del governo si trovava dunque rispecchiata nella società35. La società frantumata veniva ad essere in guerra con se stessa; una guerra da Guizot descritta come «une de ces guerres intérieures qui ébranlent la société jusque dans ses fondements»36. Posta in tal
modo in contrapposizione con se stessa, la società aveva perduto la sua forma: nell’ineguagliata espressione di Royer-Collard, essa si era disgregata sino a divenire “polvere”.
32 P.-P. Royer-Collard, discorso alla Camera dei deputati del 22 gennaio 1822, Archives
parlementaires, 2e série, XXXIV, p. 133.
33 Si veda, ad esempio, il saggio introduttivo di Marcel Gauchet L’unification de la science
historique’, in Philosophie des sciences historiques: le moment romantique, Paris, Seuil, 2002.
34 P. Rosanvallon, La démocratie inachevée, cit.., p. 117.
35 Di tale situazione, Guizot descrive un quadro terrificante nella sua Histoire de la révolu-
tion d’Angleterre depuis l’avènement de Charles Ier jusqu’à sa mort, I, 4° ed., Paris, Victor
Masson, 1850, p. 39.
36 F. Guizot, Des moyens de gouvernement et d’opposition dans l’état actuel de la France,
Una dimensione critica del pensiero dottrinario sulla democrazia, era rap- presentato dall’accento posto su ciò che Royer-Collard aveva definito come “l’état intérieur de la société” (l’idea aveva le sue origini nelle discussioni sull’io, centrali negli scritti fisiologici di Xavier Bichat e Vicq d’Azyr). Am- pie e approfondite discussioni attorno all’io e alla sua vita interiore potevano essere udite nei circoli dottrinari a partire dal 181437. In tale contesto i doctri-
naires avevano stabilito un nesso causale tra vita interiore dell’io e vita inte-
riore della società. Guizot aveva illustrato tale connessione in numerosi tra i suoi primi lavori, inclusi i Principes de philosophie politique e la Storia delle
origini del governo rappresentativo in Europa38. Il filosofo dottrinario Phili-
bert Damiron aveva in termini espliciti evidenziato tale nesso nella parte in- troduttiva del suo Essai sur l’histoire de la philosophie en France au dix-
neuvième siècle, del 1828, in cui veniva da lui posta in relazione la psicologia
e l’intelletto umani con la forma di una società e le sue istituzioni politiche39.
Nel forgiare il legame tra la vita interiore dell’io e quella della società, i dot- trinari ponevano la psicologia morale al centro della loro concezione della so- vranità politica: essi riformulavano, in un modo radicalmente nuovo, l’idea di virtù senza mai peraltro fare ricorso al termine stesso.
Royer-Collard mostrava come un assetto sociale democratico avesse con- sentito l’emergere di un nuovo pensiero filosofico, apparso per la prima volta nell’opera di Descartes e culminato negli scritti dei filosofi sensisti, Locke e Condillac. Il dubbio radicale e il radicale relativismo, da Royer-Collard ascrit- to a tali scuole filosofiche, costituivano il preludio al radicalismo politico e allo spirito di fazione, che egli riteneva fosse in Francia culminato nel Terrore. La trasformazione dell’assetto sociale aveva dunque un diretto rapporto con il pensiero filosofico e le percezioni dell’io, così come le relazioni dell’io con l’altro, avevano, in termini di reciprocità, un’incidenza sull’assetto sociale stesso.
Nel dare seguito a tale linea di argomentazione, Damiron sosteneva che l’io, da lui definito come ‘una forza attiva’, «se sent dans le présent, se sou- vient de s’être sentie dans le passé, elle a mémoire d'elle même comme elle en a conscience; ce qu’elle soit être en ce moment, elle se rappelle l’avoir été»40.
37 Per ulteriori elementi al riguardo, cfr. J.-P. Cotten, La Redécouverte de Reid par Royer-
Collard état des sources et des interprétations, in Philosophie française et philosophie écos- saise, 1750-1850, a cura di E. & M. Malherbe, Vrin, Paris, 2007, pp. 53-74.
38 Cfr. in modo particolare la lezione decima della parte seconda.
39 P. Damiron, Essai sur l’histoire de la philosophie en France au dix-neuvième siècle, Pon-
thieu et compagnie, Paris, 1828, in particolare pp. ii e x-xi.
40 P. Damiron, Essai sur l’histoire de la philosophie en France..., cit., p. 421. Anche Théo-
Ma il materialismo del XVII secolo e il sensismo del XVIII secolo avevano creato le condizioni per il turbamento e la divisione dell’io. Essi offuscavano la sua attitudine a ricordare con chiarezza; distorcevano e rendevano opaca la sua consapevolezza di sé. A giudizio di Damiron, ne risultava un individuo né pacificato con se stesso né contraddistinto da una profondità intellettuale e psicologica, ridotto all’esclusiva preoccupazione di ottenere, per usare le pa- role di Damiron “oggetti materiali e fisici”, perpetuamente inquieto e osses- sionato dall’ottenere beni tangibili.
Per il fatto di avere nulla più che «il materialismo come il fine della mora- lità»41, a tale individuo facevano difetto la sicurezza di sé e la pace interiore.
Soggetto ad un’agitazione senza sosta, della quale risultava conseguenza uno stato di grave indebolimento dei nervi, esso diveniva sempre meno disposto ad ogni sentimento di ricettività e tutti i vincoli connettivi interni ad una so- cietà, risultavano così minacciati. La trasformazione delle idee filosofiche, del pensiero stesso, costituiva dunque la premessa di quella frattura sociale vista in tale prospettiva come dato caratterizzante la democrazia.
Damiron e gli altri dottrinari erano persuasi di essere stati testimoni in Francia di una sorta di impoverimento spirituale, tra la Rivoluzione e l’Impe- ro. Il loro biasimo per la riduzione dell’uomo a mera sensazione aveva molte affinità con le riflessioni esistenziali di filosofi come Schopenauer il cui Mon-
do come volontà e come rappresentazione (1818) esprimeva un simile giudi-
zio sulla povertà spirituale dell’epoca.
La desolante valutazione della loro epoca da parte dei dottrinari non aveva tuttavia in alcun modo i caratteri di assolutezza della misantropia di Schope- nauer. Essi avevano in sé il sentimento ottimistico che la provvidenza avesse destinato l’uomo al progresso, che, come diceva Guizot, «la mano di Dio pre- siedesse ai destini dell’uomo»42. A suo giudizio «la permanente unione e il
progressivo sviluppo dell'umanità» costituivano la sua “grandezza”. La traiet- toria dell’umanità era, testualmente, il “cammino” dell’uomo «in direzione della sovranità [della ragione] in questo mondo, e dell’immortalità al di là di esso»43. E tuttavia, al medesimo tempo, Guizot e gli altri dottrinari credevano
che tale processo potesse essere arrestato. La democrazia recava in sé una tale minaccia. La democrazia era quell’«idea fatale» che nel sostenere il principio politico della sovranità popolare, rivelava un «errore d’orgoglio». Un tale er- rore, secondo Guizot, «tende a distruggere sia l’ordine morale che quello poli-
una “pura attività” Cfr. J. Goldstein, The Post-Revolutionary Self: Politics and Psyche in Fran-
ce, 1750-1850, cit., p. 189.
41 P. Damiron, Essai sur l’histoire de la philosophie en France…, cit., p. xii. 42 F. Guizot, Democracy in France, London, John Murray, 1849, p. 30. 43 Ivi, p. 29.
tico; rende più debole il governo delle comunità non meno che il governo del- l’uomo interiore»44. La democrazia «incessantemente eccita[va] e fomenta[va]
la guerra sociale»45.
Nel maggio del 1814, Guizot aveva segnalato questo pericolo in un saggio destinato a Luigi XVIII e intitolato De l’esprit public en France en 1814. In tale scritto egli esaminava la relazione tra la condizione sociale della demo- crazia e la sua forma degenerata, la guerra sociale. L’argomentazione di Gui- zot era esattamente quella degli antichi che vedevano la guerra sociale della democrazia, o stasis, risolversi in un regime tirannico. La «guerra sociale» in Francia aveva avuto come esito una «falsa e tirannica unità» che rimaneva fondamentalmente democratica. La calma apparente che simulava il regno di Napoleone era meramente illusoria, essa era «un fruit de l’égoïsme» in cui a «toutes les passions personnelles» era consentita una piena licenza. I francesi ostentavano una «totale assenza di generosità nei loro sentimenti» da cui con- seguiva un precipitoso restringimento degli orizzonti di idee46. Gli effetti cor-
ruttori della democrazia e della filosofia ad essa soggiacente, il sensismo, si erano pienamente realizzati nei venticinque anni trascorsi a partire dal 1789. Situazione che così Damiron descriveva: «Al sensualismo corrisponde, sotto il direttorio e l’impero, la scarsa fede nei confronti delle cose morali, la corru- zione delle coscienze o la loro bassa servilità, la condotta brutale del potere, il materialismo delle arti e il disdegno della religione»47.
Nella valutazione dei dottrinari la condizione sociale della democrazia re- cava in sé il germe della restrizione dell’intelletto, del collasso della società e della brutalizzazione psicologica dell’uomo. Lo spirito di conquista e di usur- pazione faceva per loro tutt’uno con le più gravi apprensioni circa il futuro della società e la vita dell’uomo. Il Primo Impero, il primo moderno e demo- cratico impero della Francia, minacciava una nuova brutalità e abbassamento dello spirito umano, poiché la sua forza corruttrice procedeva fino ai luoghi più intimamente vitali della società francese, così come alla più intima vita dell’uomo: fino all’essenza dell’animo umano.
Ed era proprio questa profonda ansietà in rapporto alla democrazia, ad in- formare le riflessioni di Beaumont sulla forma e le condizioni dell’impero. L’Irlande ne fu un’importante espressione.
44 Ivi, p. 8. 45 Ivi, p. 3.
46 F. Guizot, De l’état de l’esprit public en France en 1814, A[rchives] N[ationales] 42 AP
28, p. 1.