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Il processo a Maeltzer e von Mackensen

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

II.2. I processi ai criminali di tedeschi in Italia: la lettura della stampa

II.2.1. Il processo a Maeltzer e von Mackensen

Il primo grande processo in Italia contro criminali di guerra tedeschi si tenne a Roma, presso un tribunale militare inglese, fra il 18 e il 30 novembre 1946 e gli imputati erano Kurt Maeltzer e Eberhard von Mackensen. Il processo fu seguito con attenzione dalla stampa nazionale, che non espresse mai alcun dubbio sulla colpevolezza degli imputati. In occasione dell’apertura del processo, «La nuova Stampa» titolò: Le belve delle Fosse

Ardeatine dinanzi al Tribunale Alleato240. La notizia apparve sulle prime pagine di molti giornali italiani, ma fu proprio «La Stampa» ad essere, secondo Jaochim Staron, «il più

238 Filippo Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la fine del secondo

conflitto mondiale in Quellen und Forschungen aus italienischen Bibliotheken und Archiven, 80/2000, pp.

560 e ss.

239 Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra cit., p. 574.

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duro fra tutti»241, proprio per l’uso del termine «belve». L’articolo, oltre a mostrare toni piuttosto accesi, ha anche approfondito la notizia della prima udienza in modo piuttosto accurato. Ha descritto, sinteticamente, tutti i passaggi che portarono alla strage: l’attentato di via Rasella, i contatti fra Maeltzer e Mackensen e quelli fra quest’ultimo e Kappler, l’ordine di Mackensen di eseguire il massacro e prendere gli ostaggi fra coloro in stato di arresto, la lista delle persone da giustiziare fatta da Kappler, che decise anche gli esecutori e il luogo del massacro e infine l’esecuzione della strage.

I giornali italiani criticarono la tesi difensiva che attribuiva a Hitler la responsabilità di aver dato l’ordine della rappresaglia e a Kappler quella di averlo eseguito in modo contrario al diritto di guerra. La difesa sosteneva inoltre che Kappler aveva ingannato gli imputati, dicendo loro di disporre di un numero sufficiente di condannati a morte. Come scrisse il «Corriere della Sera», la tattica difensiva degli accusati seguì una direttrice uniforme: «gettare tutto il peso su Hitler e le fedelissime SS, accusando Kappler di doppiezza e di crudeltà. Egli, von Mackensen, voleva che fossero fucilati gli Italiani già condannati a morire per infrazione alle leggi di guerra germaniche; Kappler, invece, giocando sull'ambigua frase che parlava di “candidati alla morte”, gettò nel carnaio quanti gli capitarono fra le mani e quanti i fascisti ebbero a consegnargli»242. L’«Unità» usò toni molto sarcastici e risentiti nei confronti della tattica difensiva e dell’avvocato difensore, a proposito del quale si scriveva:

un compito ingrato, il suo, di fronte all’enormità del delitto che si giudica. La sua linea di difesa è molto prudente: cercare di scaricare su altri la responsabilità del massacro. Dapprima un larvato attacco ai patrioti italiani: il comando germanico era stato troppo “blando” verso di loro […]. Ci volevano delle punizioni più forti – centinaia di fucilazioni, sevizie, prigione sono poca cosa! – e, dopo via Rasella, lo stesso Hitler (tirare in ballo i morti è uno dei punti forti di simili difese) ordinò di fucilare italiani nella misura di venti a uno […]. Invece quegli agnellini di Kesselring […], di Maltzer e di von Mackensen […] preferirono una piccola rappresaglia nella misura di dieci a uno, ammessa – assicura il difensore – dalle leggi internazionali. Von Mackensen poi si preoccupò – pieno di premure com’era – che fossero uccisi dei patrioti già condannati a morte – naturalmente dai “legittimi” tribunali nazifascisti […]. E se non ci fossero nell’aula i parenti delle vittime vestiti a lutto, se non ci fosse nel ricordo di tutti l’orrida presenza della strage inumana, verrebbe quasi da sorridere a sentire tali ridicole

241 Joachim Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto. Storia e memoria di due stragi tedesche, il Mulino,

Bologna, 2007, p. 121.

242 Von Mackensen tenta di addossare a Kappler la responsabilità del massacro delle Ardeatine, «Corriere

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argomentazioni che non riescono a nascondere neppure un particolare della colpevolezza degli imputati e di tutti i loro complici, da Dollmann a Kappler a Kesselring che oggi qui non si giudicano.243

Anche riguardo alla deposizione di von Mackensen, il giornale comunista non risparmiò le critiche: «la sua deposizione è frammentaria, priva di logica. Si vanta di aver salvato Roma, dichiarandola città aperta […]. Dice che avrebbe potuto far difendere Roma casa per casa, ma non chiarisce che, se questo non fu fatto, la sola causa fu la rapida avanzata delle Armate alleate»244. Il quotidiano «l’Unità» non fu comunque l’unico a usare toni duri: anche i commenti degli altri giornali alle deposizioni dei due imputati furono aspramente risentiti. Secondo il «Corriere», i generali tedeschi avevano sostenuto, con «inaudito cinismo»245, la legittimità della rappresaglia. Maeltzer e von Mackensen vantarono anche di aver tenuto un atteggiamento benevolo verso la popolazione italiana e ciò li portò a incontrare le critiche di molti dei giornali italiani. Su «La nuova Stampa» si notava sarcasticamente che Maeltzer «si diffonde[va] a parlare del bene che egli a[veva] sempre inteso fare alla popolazione romana»246 e sull’«Avanti!» si metteva in luce che von Mackensen aveva addirittura portato «le prove della sua generosità verso il nemico, generosità di cui egli usò – manco a dirlo – contravvenendo ai precisi ordini di Hitler»247. Von Mackensen arrivò ad affermare che la misura di uno a dieci sarebbe stata un provvedimento «non per terrorizzare la popolazione, ma per pacificare l’ambiente»248.

Un interesse particolare fu suscitato dalle testimonianze di Kappler e di Kesselring. Il «Corriere» definì il primo «lo spietato tecnico del massacro delle Fosse Ardeatine»249 e,

commentando la sua ricostruzione della strage, parlò di «mostruoso cinismo»250 del gerarca

nazista, come si leggeva anche nel sottotitolo. L’opinione pubblica fu colpita dalla minuziosa descrizione delle modalità dell’eccidio fatta da Kappler «con la sua voce fredda, opaca e ossessionante»251: «gli ostaggi vennero portati con le mani legate dietro la schiena,

243 Il criminale Von Mackensen si vanta di aver ‘salvato’ Roma, «l’Unità», 23 novembre 1946.

244 Ibidem.

245La rappresaglia non fu eccessiva per il comandante della XIV armata, «Corriere della Sera», 23 novembre

1946.

246 Il gen. Maeltzer piagnucola, «La Nuova Stampa», 27 settembre 1946. 247 La colpa è di Hitler, «Avanti!», 23 novembre 1946.

248 Von Mackensen tenta di addossare a Kappler la responsabilità del massacro delle Ardeatine, «Corriere

della Sera», 24 novembre 1946.

249 Kappler compilò la lista dei 335 martiri delle Fosse Ardeatine, «Corriere della Sera», 20 novembre 1946. 250 Maeltzer e von Mackensen alla sbarra per il massacro delle Fosse Ardeatine, «Corriere della Sera» , 19

novembre 1946.

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a gruppi di cinque, nella grotta. Furono fatti inginocchiare e ad ognuno un SS sparava un colpo alla nuca. Io stesso volli prendere personalmente parte a due o tre esecuzioni»252. Il particolare che più toccò l’opinione pubblica fu comunque il racconto di questo episodio da parte di Kappler: «trovai un mio ufficiale che non aveva il coraggio di compiere quanto gli era stato comandato; amichevolmente e cameratescamente allora lo convinsi a portare dentro il suo gruppo…»253. Il fatto sconcertante è che egli abbia narrato l’episodio come se sentisse di aver fatto il giusto, dando egli stesso l’esempio a uno dei suoi uomini che esitava a sparare sulle vittime. Anche «La nuova Stampa» metteva in luce il «particolare raccapricciante che dice tutta la ferocia di Kappler»254.255

Momenti di tensione furono vissuti durante la deposizione di Kesselring, che fu investito dagli insulti dei parenti delle vittime presenti in aula, sui quali la stampa non mancò di porre l’attenzione: «dal pubblico grida di “Assassino!” e “A morte!” si levano contro di lui»256 si scriveva su «La Stampa». Ne parlò anche il «Corriere»: «il pubblico […],

provocato dal contegno altezzoso di Kesselring, non ha potuto trattenersi dall’esprimere il proprio risentimento e le parole “assassino”, “alla forca” sono state scagliate con veemenza contro il testimonio che si è fermato, si è voltato per un attimo verso la piccola folla, atteggiando il volto ad una impercettibile smorfia di disprezzo»257. Un altro episodio di tensione è stato suscitato dalle testimonianze di due ex collaborazionisti, il commissario Raffaele Alianello, che era ufficiale di collegamento con le polizie estere nel 1936 e quindi anche con la polizia germanica, e Bruno Spampanato, che era direttore de «Il Messaggero» durante il periodo repubblichino. Alcuni familiari delle vittime hanno scatenato un tumulto in aula: «hanno gridato, rivolti agli imputati “A morte, a morte!”, “Assassini!”, “è inutile perdere tanto tempo, impiccateli subito!”»258. Altri parenti, «eccitatissimi»259, hanno

provato ad aggredire i testimoni italiani, che hanno potuto lasciare l’aula incolumi solo grazie all’intervento della polizia italiana e alleata.

252Maeltzer e von Mackensen alla sbarra per il massacro delle Fosse Ardeatine, «Corriere della Sera» , 19

novembre 1946.

253Ibidem.

254Le belve delle Fosse Ardeatine dinanzi al Tribunale Alleato, «La Nuova Stampa», 19 novembre 1946. 255 Della testimonianza del gerarca nazista si parlò anche sull’«Avanti!», che il 19 novembre 1946 pubblicò

l’articolo Kappler descrive la strage da lui ferocemente eseguita. Ne scrisse anche «l’Unità», che, a differenza degli altri giornali, non pose nel titolo l’attenzione sui soggetti responsabili del massacro, bensì sulla strage: Uno dei più gravi crimini orditi contro l’umanità.

256 Kesselring alla sbarra, «La Nuova Stampa», 26.11.1946.

257 La deposizione di Kesselring al processo delle Ardeatine, «Corriere della Sera», 26.11.1946. 1946. Cfr.

anche Depone Kesselring.”A morte!” grida il pubblico, «Avanti!», 26 novembre 1946.

258Noi tedeschi fucilavamo, i fascisti seppellivano,«La nuova stampa», 20 novembre 1946. 259 Ibidem.

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Come era avvenuto per il processo di Norimberga, anche per quello contro Maeltzer e von Mackensen la stampa ha dimostrato la stessa necessità di fornire un quadro ricco di dettagli fisici e comportamentali degli accusati nazisti. Gli imputati sono stati descritti fisicamente con cura. All’apertura del processo, il «Nuovo Corriere della Sera» presentò gli accusati come «due diversissimi tipi di tedeschi»260. Ha poi descritto fisicamente il colonnello von Mackensen dettagliatamente: «pallido, con labbra sottili, capelli bianchi, molta alterigia, monoloco all’occhio, appare - anche se in veste borghese - il tipico ufficiale prussiano»261.

Maeltzer invece era «assai più magro di quando era il “padrone di Roma”» e, a differenza del prussiano von Mackensen, aveva «l’aspetto un po’ campagnolo»262. L’articolo si è

soffermato inoltre su alcuni particolari del comportamento dell’imputato, che «straluna gli occhi cercando di darsi un contegno indifferente» e «succhia spesso la matita»263: il

giornalista voleva mostrare così i segni del nervosismo latente di Maeltzer. Quando però è passato a presentare il prosecutor R.C. Halse, il giornalista si è concentrato su alcuni dettagli fisici di altro tipo («alto, energico, con baffi biondi arricciati») e ha specificato che il colonnello ha parlato «dall’alto del suo banco»264. Al prosecutor sono attribuiti aggettivi

connotati positivamente, come il termine «energico», mentre la ripetizione nella stessa frase del termine «alto», associato al colonnello, sembra far riferimento, implicitamente, alla sua levatura morale. Quando, invece, in aula è stato chiamato a testimoniare Kappler, i toni sono cambiati nuovamente e l’ufficiale tedesco viene descritto «compassato e freddo», mentre rispondeva «con la sua voce fredda, opaca, ossessionante»265 dimostrando la sua solita «calma glaciale»266.

Sulla stampa è stato dato ampio spazio anche a importanti questioni giuridiche e a passaggi significativi dell’udienza. Sul «Corriere» si è discusso della questione della rappresaglia, riportando il discorso pronunciato dal prosecutor Halse in aula. Quest’ultimo ha specificato infatti che la rappresaglia possa essere ammessa solo in alcune condizioni, ovvero nel caso in cui essa sia preceduta da un’indagine, avvenga nello stesso luogo dell’offesa a cui si reagisce e sia moderata. Essa deve essere rivolta inoltre contro persone

260Maeltzer e Mackensen alla sbarra per il massacro delle Fosse Ardeatine, «Corriere della Sera», 19

novembre 1946.

261 Maeltzer e Mackensen alla sbarra per il massacro delle Fosse Ardeatine, «Corriere della Sera», 19

novembre 1946.

262 Ibidem. 263 Ibidem. 264 Ibidem. 265 Ibidem.

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collegate in qualche modo con gli attentatori: Halse ha dichiarato infatti che, se Maeltzer avesse deciso di far saltare in aria le case di via Rasella, egli stesso sarebbe stato «l’ultimo a dichiararlo colpevole»267. La strage delle Fosse Ardeatine, però, non avendo rispettato tali condizioni, non doveva essere eseguita e perciò Halse ha accusato von Mackensen di aver trasmesso un ordine da Berlino «immorale»268. L’ordine di Hitler di uccidere trecentoventi ostaggi era già di per sé contrario alle norme del diritto internazionale, a parere del colonnello. Secondo lo storico Joachim Staron, il prosecutor riteneva che «nessun innocente, nemmeno se espressamente preso in ostaggio, dovesse essere passato per le armi per rappresaglia»269. Anche su «La stampa» si discusse della questione della rappresaglia, che però sulle pagine di questo giornale fu risolta con un altro tipo di argomentazione. La rappresaglia delle Fosse Ardeatine «fu commessa unicamente allo scopo di terrorizzare la popolazione italiana»270 ed era punibile perciò, perché «c’e[ra] un

preciso articolo nel codice penale tedesco che vieta[va] ad un soldato di eseguire un ordine palesemente illegale»271 e rappresentava inoltre un reato che era già stato considerato a

Norimberga un grave crimine contro l’umanità. Anche lo storico Staron ha notato che per il pubblico accusatore «era del tutto privo di significato il fatto che gli imputati avessero ricevuto un ordine da Hitler, dal momento che non solo secondo il diritto inglese ma anche secondo quello tedesco l’esecuzione di un ordine palesemente illegale era da considerarsi un crimine»272. Sono emerse dunque sulla stampa italiana importanti questioni giuridiche discusse durante il processo, che hanno creato anche sulle pagine dei giornali un interessante dibattito.

La conclusione del processo, con la condanna a morte mediante fucilazione dei due imputati, fu accolta da tutti i giornali con soddisfazione. «Il Popolo» scrisse: «La condanna a morte dei due generali tedeschi ristabilisce in parte l’offesa profonda all'umanità ed al diritto arrecata il 24 marzo del '44 con la bestiale condanna delle Ardeatine»273. L’«Unità», che il giorno precedente la sentenza aveva scritto: «tutto il popolo italiano attende oggi dal Tribunale britannico che gli sia resa giustizia di tutti i sacrifici che ha sofferto sotto la sanguinosa occupazione nazista nell'interesse supremo della libertà della Patria e di tutte le

267Maeltzer e Mackensen alla sbarra per il massacro delle Fosse Ardeatine, «Nuovo Corriere della Sera», 19

novembre 1946.

268 Ibidem.

269 Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto cit., p.123.

270 Le belve delle Fosse Ardeatine dinanzi al Tribunale Alleato, «La Nuova Stampa», 19 novembre 1946. 271 Ibidem.

272 Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto cit., p.123.

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Nazioni Unite»274, si mostrò soddisfatta del fatto che era stata finalmente «resa giustizia»275. Secondo il «Corriere della Sera», «il grande dramma dell'eccidio si concludeva nell'unico modo possibile»276. Sull’«Avanti!» si dichiarò: «Pagano, infine, i boia nazisti dell’Italia»277. Per «Il Tempo» i 335 delle Fosse Ardeatine erano stati

«vendicati»278. «L’ora della giustizia e[ra] arrivata»279 anche per «La Stampa».