• Non ci sono risultati.

La posizione degli Alleati

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

II.1. Il clima politico nell’Italia dell’immediato dopoguerra

II.1.1. La posizione degli Alleati

Nella primavera del 1944 le autorità britanniche e americane iniziarono a prendere in considerazione per la prima volta i crimini di guerra commessi dalle truppe tedesche contro la popolazione civile italiana. Il 15 marzo, su proposta dell’ambasciata britannica, la United Nations War Crimes Commission di Londra, che aveva il compito di indagare sui crimini di guerra compiuti dalle truppe tedesche nei paesi alleati, estese la propria competenza anche all’Italia. Ciò fu possibile in ragione dello status di cobelligeranza ricoperto dall’Italia dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del governo di Badoglio il 13 ottobre 1943. La posizione dell’Italia però era complicata dallo status di paese nemico che aveva ricoperto fino all’armistizio dell’8 settembre. La United Nations War Crimes Commision delegò quindi il caso italiano a una sottocommissione, la War Crimes Commission for Italy. L’Italia avrebbe potuto collaborare quindi con gli Alleati per l’investigazione sui crimini di guerra compiuti contro la propria popolazione, ma non avrebbe potuto essere parte a pieno titolo della commissione, poiché in tal caso si sarebbe trovata a giudicare anche i crimini commessi dagli italiani stessi nei paesi occupati dall’Asse.223

Dal maggio del 1945 la War Crimes Commision for Italy iniziò a collaborare con la Commissione centrale per i crimini di guerra del governo italiano, presieduta dal sottosegretario Aldobrando Medici-Tornaquinci. La celebrazione dei processi fu comunque riservata alle Corti di giustizia militari inglesi, per «ragioni di giustizia e di convenienza»224. Gli Alleati si mostrarono infatti molto scettici riguardo alla possibilità di concedere agli italiani il compito di processare i criminali di guerra nazisti accusati di stragi contro le popolazioni italiane. Dal punto di vista degli Alleati, la collaborazione con gli italiani si sarebbe limitata alle indagini. A conferma di ciò, Michele Battini cita il

223 Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza, Roma, 2003, pp. 53 e ss. 224 Michele Battini, Sul processo Kesselring e dintorni, in Luca Baldissara, Paolo Pezzino (a cura di), Giudicare

e punire. I processi per crimini di guerra tra diritto e politca, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2005, p.

74

resoconto delle stragi di civili inviato dal comandante supremo alleato del teatro bellico del Mediterraneo, nel quale si escludeva l’ipotesi che i processi potessero essere di pertinenza italiana poiché ci sarebbe stato il rischio che gli accusati non ricevessero un giusto processo, a causa delle difficoltà legali legate alla questione della responsabilità. Sarebbero perciò stati i tribunali inglesi a svolgere i processi. L’interesse dei britannici in questi processi – proseguiva il resoconto - dipendeva inoltre dal fatto che essi avevano favorito l’azione partigiana che aveva scatenato le rappresaglie.

Come sottolinea Battini, in realtà, i britannici si rifiutavano di consegnare gli indiziati agli italiani perché volevano assicurarsi il giudizio sui due casi più importanti. Gli Alleati progettavano infatti di istruire due grandi processi, uno per il massacro delle Fosse Ardeatine e l’altro per i comandanti responsabili della pianificazione della campagna di rappresaglie in Italia. Quest’ultimo avrebbe dovuto rappresentare una seconda Norimberga. Il progetto di istituire un grande processo per la pianificazione della campagna di stragi di civili in Italia venne però presto abbandonato dagli Alleati. L’attenzione si concentrò solamente sul trasferimento alle autorità italiane della documentazione d’inchiesta sui cosiddetti «criminali di guerra minori» che spettava all’Italia giudicare. Vi fu una vera e propria svolta nell’atteggiamento degli Alleati relativo ai progetti giudiziari, sul quale incisero motivazioni politiche e strategiche. Per spiegare la causa di questa svolta, fondamentale per gli sviluppi dei processi in Italia, Battini ritiene cruciale la lettera con cui il colonnello Cunning, sostituto del presidente del Tribunale supremo, chiedeva nell’aprile 1946 un’opinione al procuratore generale riguardo alla condotta da tenere con gli ufficiali di rango inferiore e i militari tedeschi coinvolti nelle rappresaglie, che erano stati individuati dalle indagini:

È risaputo che gli Alleati stanno limitando le loro attività alla punizione degli ufficiali tedeschi di grado superiore responsabili degli ordini in base ai quali tali accadimenti si sono verificati. Le autorità italiane e la popolazione di molte regioni tuttavia ambiscono con forza a che i pesci piccoli, in molti casi uomini particolarmente brutali e di sadiche tendenze, non restino impuniti qualora le loro colpe siano state accertate e loro stessi individuati. Fino ad ora gli esiti delle indagini della Special Investigation Branch non sono stati rivelati alle autorità italiane. Ritenete che sia giunto il momento di comunicare tali esiti agli italiani, in modo che essi possano portare a giudizio il maggior numero possibile di tedeschi che noi non siamo interessati a perseguire per conto nostro? […] Non vi è al momento alcun dubbio che un’ampia percentuale della popolazione italiana sia ostile a simili processi per crimini di guerra, in quanto

75

coinvolgono anche cittadini italiani e, dal momento che gli italiani hanno sofferto in modo tanto infame per mano dei tedeschi, si presume debbano passare molti mesi prima che i generali siano portati in giudizio. Ritenete che adottare tale linea di condotta possa essere una cosa positiva per il morale degli italiani?225

La preoccupazione per gli effetti che un grande processo ai criminali di guerra nazisti avrebbe avuto sul morale e sull’opinione pubblica italiane fu dunque determinante per il cambiamento delle intenzioni degli Alleati. Dalla prospettiva, ancora realizzabile nel giugno 1946, di una Norimberga italiana, le autorità angloamericane passarono nel febbraio 1947 all’istituzione del processo a Kesselring. Questo rappresentò la fine del progetto di un unico grande processo a tutti i comandanti militari responsabili della pianificazione delle stragi. Un altro documento - già citato -, la lettera del Comandante supremo alleato del Mediterraneo centrale inviata al sottosegretario di Stato alla guerra nell’aprile 1946, contiene un altro elemento significativo: «Dal momento che uno dei principali obiettivi di questo processo è, presumibilmente, quello di favorire i rapporti anglo-italiani grazie all’effetto che esso avrà sulla pubblica opinione in Italia, si ritiene opportuno che venga richiesto, attraverso canali diplomatici, il parere del governo se esso debba essere tenuto a Roma, a Milano o in altra città»226.

L’intento che guidava gli Alleati nel progetto di perseguire i criminali di guerra nazisti consisteva pertanto nel «favorire i rapporti anglo-italiani» tramite le ripercussioni positive che tale evento avrebbe avuto sull’opinione pubblica in Italia. I motivi per cui le autorità britanniche si preoccupavano dei rapporti diplomatici con l’Italia e degli sviluppi dell’opinione pubblica italiana risalgono alla primavera 1946. Due eventi di quel periodo ebbero un peso notevole sulle decisioni degli Alleati in fatto di processi: uno di questi furono le elezioni amministrative dell’aprile 1946, i cui risultati non piacquero alle autorità britanniche. Le elezioni amministrative delinearono infatti uno scenario in cui le sinistre, in particolare i socialisti e i comunisti, avrebbero avuto un peso politico notevole, insieme alla Democrazia cristiana, nelle elezioni per la Costituente del giugno 1946. Queste previsioni furono infatti confermate dai risultati: nelle elezioni, la Democrazia cristiana ottenne il 35,2 per cento dei voti, ma le forze di sinistre (socialisti e comunisti) arrivavano al 39,7 per cento dei voti. Gli inglesi speravano invece in una vittoria dei partiti moderati di orientamento liberale e cattolico, per poter continuare a esercitare il controllo sulla situazione politica italiana. L’altro evento che deluse le aspettative dei britannici fu la

225 Battini, Peccati di memoria cit., pp. 60-61. 226 Ivi, p.62.

76

vittoria della Repubblica al referendum istituzionale sulla forma di Stato dello stesso 2 giugno. Il clima politico italiano del 1946 era dunque fonte di preoccupazione per le autorità inglesi e ciò portò alla svolta nella politica giudiziaria dei britannici. Come ricorda Battini, «da quel momento in poi [questa] fu volta ad evitare ogni scelta che potesse favorire anche indirettamente una mobilitazione di massa, che avrebbe giocato a tutto vantaggio dello schieramento politico più radicale. Si volle impedire la strumentalizzazione delle emozioni suscitate dal processo e legate al ricordo recentissimo dell’occupazione, della guerra partigiana e del terrore nazista»227.

La questione del processo ai criminali di guerra nazisti fu inoltre complicata da altre ragioni che sono da ricondurre all’autunno 1945. A causa della doppia posizione ricoperta dall’Italia durante la guerra, sia di paese nemico che di paese cobelligerante, il problema dei criminali di guerra riguardava anche quelli italiani. Il governo inglese aveva infatti richiesto l’arresto e la consegna dei militari italiani imputati di crimini di guerra commessi contro le popolazioni dei paesi occupati dall’Italia o i militari degli eserciti alleati. Anche la Jugoslavia aveva avanzato richieste in questa direzione: aveva ufficialmente domandato la consegna del generale Mario Roatta e di altri militari italiani imputati di crimini compiuti durante l’occupazione nei Balcani. Allo stesso tempo, l’ambasciatore italiano a Londra, il conte Carandini, aveva richiesto tramite una istanza ufficiale che fosse concesso al governo italiano il diritto di processare i militari nazisti imputati di crimini di guerra contro la popolazione civile italiana. Le autorità italiane iniziarono così a temere il cosiddetto «effetto boomerang». L’insistenza per processare i criminali di guerra nazisti avrebbe potuto provocare delle conseguenze pericolose per l’Italia, creando le condizioni per un processo ai presunti criminali di guerra italiani da parte degli Alleati. Nel peggiore dei casi, un processo ai criminali tedeschi avrebbe potuto rappresentare un precedente per il governo jugoslavo da rivendicare nei confronti delle autorità italiane.

Altre considerazioni da parte delle autorità britanniche contribuirono alla rinuncia al processo unico. Il colonnello Cunning, responsabile delle indagini in Italia, temeva di «eccitare la popolazione civile italiana e creare gravi problemi di ordine pubblico sia agli Alleati che al governo italiano»228. Il processo sarebbe divenuto «a matter of policy»229. La divisione dei compiti fra le Corti di assise italiane, incaricate dei processi ai collaboratori

227 Battini, Peccati di memoria cit., p. 63 228 Ivi, p. 64

77

fascisti, e il Tribunale militare inglese, incaricato di quello ai comandanti nazisti, avrebbe stabilito un confronto fra i due tipi di giustizia. Le perplessità delle autorità britanniche erano riconducibili al fatto che esse temevano che i processi italiani potessero giudicare in modo sommario gli imputati. Un ulteriore problema scoppiato fra gli Alleati contribuì alla rinuncia al processo: il dissenso fra sovietici e angloamericani riguardo al diritto di ciascuno Stato a giudicare i militari nazisti imputati di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel proprio territorio. I sovietici sostenevano questo diritto, mentre gli Alleati propendevano per l’unificazione delle norme, rinviando tutti gli imputati alla United Nations War Crimes Commission.

Per tutti questi motivi, la Norimberga italiana non ebbe luogo. Si dette avvio solamente alla celebrazione di pochi e distinti processi, «occultando di fatto gli elementi di prova più importanti emersi dall’inchiesta, la scoperta del meccanismo del terrore e della serie sistematica di ordini emanati da Kesselring e trasmessi e duplicati da parte dei comandanti di corpo d’armata, di armata e di divisione»230. Tali elementi di prova dimostravano infatti

che «quegli ordini costituivano “la prova evidente di una politica” – così aveva scritto il colonnello V.A. Isham – guidata dal criterio delle “rappresaglie collettive condotte senza il rispetto della distinzione tra colpevoli e innocenti”»231. A causa della mancata Norimberga

italiana, non furono processati i maggiori responsabili militari del sistema di occupazione. Venne compromessa così la conoscenza stessa della sistematicità di quei massacri, come ha sottolineato Battini: «la svolta della politica giudiziaria degli Alleati ebbe conseguenze drastiche sulla stessa possibilità di conoscere l’esatta natura e le cause della guerra condotta dal sistema di occupazione contro le popolazioni civili. L’indagine sul meccanismo del terrore fu abbandonata e la vicenda venne riduttivamente personalizzata attorno al maresciallo Kesselring»232. E ancora: «con l’abolizione del grande processo, la questione si spostò dal terreno oggettivo e funzionale del “meccanismo terroristico” all’accertamento delle predisposizioni culturali, delle intenzioni soggettive e delle responsabilità oggettive di Kesselring»233.

230 Battini, op. cit., p. 65-66.

231 Ivi, p. 66. 232 Ivi, pp. 66-67. 233 Ivi, p. 12.

78