I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento
III.2. La stampa italiana e i criminali di guerra
III.2.1. I propositi punitivi e il diritto dell’Italia di giudicare i propri criminali di guerra
Le notizie delle atrocità compiute dalle truppe italiane nei paesi occupati erano giunte in Italia molto presto tramite la stampa clandestina. Nel luglio del 1942 l’«Unità» scriveva: «per ordine di Mussolini le truppe italiane di occupazione in Balcania[sic] hanno accentuato il terrore contro la popolazione, superando in crudeltà gli stessi loro padroni hitleriani. Il generale Robotti e numerosi soldati italiani incendiano case e villaggi, assassinano donne e bambini, violano ragazze, compiono crimini su crimini»497. Il giornale
comunista condannava la «sanguinosa repressione» guidata dal generale Robotti «per conto dei tedeschi» e chiedeva il ritiro delle truppe dalla Jugoslavia, invitando i soldati italiani a non sparare sui «fratelli jugoslavi»498. Anche dopo l’armistizio erano circolate in Italia informazioni sui delitti compiuti dalle truppe italiane, in particolare in Jugoslavia. L'«Italia Libera», organo del Partito d’Azione, fra il gennaio e il maggio del 1944 pubblicò tre articoli sull'occupazione italiana nei territori jugoslavi499. Il giornale azionista condannava l’oppressione italiana in quei territori, iniziata con la politica di denazionalizzazione del fascismo verso le popolazioni slave annesse all'Italia nel primo dopoguerra e poi intensificata durante il conflitto dalla politica di repressione perpetrata contro la guerriglia slovena e croata. Quest’ultima veniva definita una politica bestiale fatta di saccheggi e distruzioni di villaggi, torture, fucilazioni e impiccagioni di ostaggi, deportazioni di popolazioni, i cui responsabili non erano solo i «fascisti massacratori», come venivano definiti, ma anche gli stessi reparti dell’esercito regio.
Sui giornali italiani, le forze antifasciste associarono alla denuncia dell’oppressione italiana nei Balcani la rivendicazione del diritto di giudicare i responsabili di tali atrocità direttamente in Italia. Questa era stata la posizione assunta dall’«Italia Libera», che nello stesso articolo sopra menzionato aveva scritto: «Noi, che non da oggi lottiamo perché gli
497In Balcania divampa l'incendio della lotta per l'indipendenza e la libertà, «L'Unità», 1 luglio 1942. 498Ibidem.
499Lettera da Trieste, «Italia Libera», 20 gennaio 1944; Le foibe istriane, «Italia Libera», 10 maggio 1944;
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sloveni e i croati che vivevano nei nostri confini potessero svilupparsi in piena libertà, rivendichiamo il diritto di mettere sotto accusa tutti i responsabili della tragedia slava - si tratti di squadristi, gerarchi, funzionari o militari di qualsiasi grado -; siamo noi stessi che dovremo giudicare questi criminali di guerra, la cui azione ha fatto altrettanto male all’Italia che alla Jugoslavia»500. Anche il leader socialista Pietro Nenni affermava
sull'«Avanti!» il 17 giugno 1944: «Le nazioni alleate hanno nel loro programma la punizione dei criminali di guerra. […] Noi rivendichiamo per il nostro popolo il diritto di giudicare e di punire con inflessibile severità i nostri criminali di guerra»501. Anche il conte Carlo Sforza, uno dei pochi diplomatici ad essersi dimesso dopo la presa del potere da parte di Mussolini502, in un discorso pubblico, tenuto il 20 agosto 1944 al teatro Eliseo, sostenne la necessità di garantire al popolo ellenico che chiunque avesse compiuto delitti in Grecia sarebbe stato «punito esemplarmente»503.
Le forze antifasciste concordarono su tale rivendicazione, che entrava in conflitto però con l'art. 29 del “lungo armistizio”, dal momento che questo impegnava l'Italia a consegnare agli Alleati i criminali di guerra. Nonostante gli impegni assunti dai governi di “unità nazionali” con le clausole armistiziali, la classe dirigente antifascista continuò a rivendicare il diritto di giudicare in patria i presunti criminali di guerra italiani. Questa pretesa trovò espressione nella dichiarazione di politica estera del 23 maggio 1944 del secondo governo Badoglio, nella quale – come abbiamo già visto - si affermava l'intenzione dell’Italia di «riparare le distruzioni della guerra ed eseguire accurate e rigorose indagini per precisare torti e violenze fasciste e adottare le più severe sanzioni per i colpevoli»504. Queste dichiarazioni da parte delle forze antifasciste furono seguite, dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944, da un tentativo di procedere contro i presunti criminali di guerra italiani. Questo proposito rientrava nell’ambito dei progetti di epurazione delle forze armate condotti dall’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo durante il primo governo Bonomi e fu promosso dai partiti della sinistra antifascista (socialisti, comunisti, azionisti e repubblicani), da parte dei quali vi era senza dubbio «una sincera volontà di procedere contro i criminali di guerra italiani»505. Lo
500Lettera da Lubiana, vedi sopra.
501 Pietro Nenni, Il nefasto 9 settembre, «Avanti!», 17 giugno 1944.
502 Fabio Grassi Orsini, La Diplomazia, in Il regime fascista. Storia e storiografia, a cura di A. Del Boca, M.
Legnani e M. G. Rossi, Bari-Roma, Laterza, 1995, pp. 277-328.
503 Carlo Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Mondadori, Roma, 1944, p. 221. 504 Cit. in Focardi, I mancati processi ai criminali di guerra italiani cit., p. 187.
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storico Focardi ha individuato una fase, tra il luglio-agosto e il novembre 1944, «contraddistinta dalla volontà unitaria delle sinistre di porre sotto accusa crimini e criminali di guerra italiani»506. I giornali delle sinistre intervennero infatti per sostenere il tentativo di condurre a processo i presunti criminali di guerra italiani. L’«Unità» alla fine di agosto 1944 denunciò i crimini commessi in Montenegro dai generali e dagli ufficiali fascisti, pubblicando una serie di fotografie che ritraevano particolari truculenti: i corpi di impiccati e le teste di cadaveri sepolti in una fossa comune507. Nella didascalia di quest’ultima foto si chiedeva «una pronta e radicale epurazione dell’Esercito» per «lavare l’onta»508 di quelle atrocità. Il giornale monarchico «Italia Nuova» replicò
immediatamente, ritenendo inopportuno il discredito gettato sulle forze armate italiane, che erano impegnate nella lotta contro la Germania al fianco degli Alleati509. Sulla stampa
italiana seguirono comunque altri interventi di denuncia dei crimini commessi dalle truppe italiane nei territori occupati all’estero. Particolarmente impegnato in questo senso si mostrò l’«Italia Libera». Il 20 ottobre 1944 il quotidiano pubblicò l’intervista al diplomatico greco Exintaris, in cui si ricordavano le condizioni di miseria economica in Grecia causate dall'occupazione italiana510. L’articolo era corredato da una foto di corpi di bambini greci denutriti e da un commento sulla necessità di distinguere l’«Italia dei patrioti» dall’«Italia dei generali»511, responsabile delle sofferenze del popolo greco. Si
scatenò così una polemica fra questo giornale e quello monarchico «Italia Nuova», che si schierò a difesa dei generali e dei militari italiani. L’«Italia Libera» replicò, condannando con forza i generali italiani per l'uso dei gas asfissianti contro gli abissini, per le impiccagioni e le fucilazioni contro la popolazione greca e jugoslava512. Il giornale si mostrò inoltre soddisfatto dell’arresto di Giuseppe Lombrassa, ex Alto Commissario per la provincia di Lubiana, definito «uno dei tanti che disonorarono il nostro nome in Jugoslavia»513. Questi, insieme ad Emilio Grazioli, al generale Robotti e al questore Messana, era uno dei più diretti responsabili dei massacri compiuti dalle truppe italiane e per questo sarebbe stato giudicato «dal popolo italiano e dal popolo jugoslavo»514.
506Focardi, L'Italia fascista come potenza occupante cit. , p. 159. 507 Cfr. la prima pagina dell’«Unità» del 22 e del 23 agosto 1944. 508 Didascalia della foto pubblicata il 22 agosto 1944 sull’«Unità». 509 Strane campagne, «Italia Nuova», 24 agosto 1944.
510 Martirio ed avvenire del popolo greco, «Italia Libera», 20 ottobre 1944. 511 Ibidem.
512 Le due Italie, «Italia Libera», 27 ottobre 1944.
513 Un criminale di guerra in campo di concentramento,«Italia Libera», 3 novembre 1944. 514 Ibidem.
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Il 16 novembre un fatto di notevole importanza trovò risonanza sulla stampa italiana: l'arresto a Roma del generale Mario Roatta, uno dei personaggi più influenti dei vertici militari dell’Italia fascista,passato al seguito di Badoglio dopo l’armistizio e nominato Capo di Stato maggiore dell'esercito. Roatta era stato inoltre capo del servizio segreto militare (SIM) negli anni precedenti lo scoppio della guerra e per questo l’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti. L’«Italia Libera»515, insieme al giornale demolaburista «Ricostruzione»516,
chiese con forza che Roatta fosse giudicato anche come criminale di guerra per la politica repressiva contro il movimento partigiano jugoslavo e per la sua azione vessatoria nei riguardi della popolazione civile. Anche in questo caso, fu l’«Italia Nuova» a schierarsi a difesa dell’esercito e di Roatta, sottolineando il grande «senso umanitario»517 dei generali
italiani. Il giornale monarchico riteneva necessario difendere l’«onore» nazionale nei confronti di paesi stranieri poco propensi a distinguere fra il popolo italiano e il fascismo, tramite «una specificazione dei fatti che dimostr[asse] come, pur costretti a seguire i tedeschi, fummo sempre – anche quando ciò era estremamente difficile - italiani»518. È interessante notare che il quotidiano faccia propri gli stessi argomenti degli ambienti militari, basati sul supposto carattere umanitario della condotta di guerra delle truppe italiane e sulla netta distinzione tra soldati italiani e tedeschi. Il giorno successivo replicò l'«Italia Libera», rispondendo con particolare asprezza: «Roatta è stato arrestato. L’Italia Nuova accorre in sua difesa. Perché i giornali lo hanno chiamato “criminale di guerra”! Dovrebbe essere a tutti noto il “senso umanitario” dei generali fascisti, “la cortesia, la cavalleria” con la quale questi signori impiccarono e fucilarono patrioti greci e jugoslavi e massacrarono popolazioni inermi. Cattivi italiani siamo se non “difendiamo l'onore” di questi signori»519.
Gli interventi dei giornali delle sinistre non riuscirono nel loro intento, poiché si scontrarono con le resistenze degli ambienti militari, dei partiti moderati antifascisti e del governo britannico. Come ha spiegato Focardi, i progetti di epurazione furono osteggiati anche da alcuni politici del governo Bonomi:
515 Mario Roatta, generale fascista e criminale di guerra, arrestato, «Italia Libera», 17 novembre 1944. 516Criminali di guerra, «Ricostruzione», 17 novembre 1944.
517Tasto falso, «Italia Nuova», 18 novembre 1944. 518 Ibidem.
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La polemica fra i giornali delle sinistre e il quotidiano monarchico di Enzo Selvaggi era solo un aspetto del fondamentale confronto politico che opponeva l'Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, in particolare Carlo Sforza e Mauro Scoccimarro (rispettivamente Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo e Alto Commissario aggiunto per l'epurazione), ad alcuni ministri del governo Bonomi, con in prima fila il liberale Marcello Soleri, ministro del Tesoro e l'ammiraglio Raffaele De Courten, ministro della Marina.520
Questo confronto portò alla crisi del primo governo Bonomi, che rassegnò le dimissioni nel novembre 1944, e si risolse a favore dei due ministri, poiché i due sostenitori dell’epurazione, ovvero Sforza e Scoccimaro, furono sostituiti nel nuovo governo Bonomi. Fu così che nel gennaio 1945 il generale Roatta fu condotto sotto processo presso l’Alta Corte di Giustizia, senza però che fosse giudicato per i crimini commessi dalle sue truppe in territorio jugoslavo. Egli evitò comunque qualsiasi punizione, poiché poco prima della sentenza riuscì a fuggire grazie a «evidenti complicità istituzionali»521. Questa vicenda riconferma ciò che abbiamo notato anche nel paragrafo precedente, ovvero che, per gli ambienti militari e monarchici, la richiesta di porre sotto processo i presunti criminali di guerra in Italia era solo «un abile strumento propagandistico da utilizzare al fine di garantire l’impunità degli accusati, fra cui vi erano appunto esponenti di primo piano delle proprie fila,da Roatta allo stesso maresciallo Badoglio, accusato di crimini delitti di guerra dall’Etiopia»522. I propositi punitivi dei partiti della sinistra furono completamente frenati
dalle resistenze di questi ambienti.