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Il processo a Kesselring

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

II.2. I processi ai criminali di tedeschi in Italia: la lettura della stampa

II.2.2. Il processo a Kesselring

L’opinione pubblica italiana seguì con grande interesse il processo contro il feldmaresciallo Kesselring che si tenne dal febbraio al maggio del 1947 a Venezia presso un'altra corte militare britannica. Come ha notato Filippo Focardi, «Kesselring, comandante supremo di tutte le truppe germaniche nella penisola, rappresentava agli occhi degli italiani il maggior responsabile delle tribolazioni patite durante l'occupazione tedesca. […] Non stupisce dunque che del processo si occupassero giornalisti di grande fama»280.

Sul «Corriere d’Informazione» ne scrisse infatti Indro Montanelli, dedicandovi una lunga serie di articoli, mentre su «La Stampa» fu Paolo Monelli, insieme a Edilio Rusconi, a occuparsi del processo. La condanna di Kesselring e dei delitti compiuti dalla sue truppe in Italia è provenuta da tutti i fronti della stampa nazionale: «i giornali italiani formarono un compatto fronte colpevolista, favorevole alla pena capitale come unico castigo adeguato ai misfatti commessi»281. Scriveva infatti Montanelli nel suo primo articolo pubblicato sul processo: «venti mesi di campagna in Italia, con tutto il sangue che li ha irrorati, si chiamano Kesselring»282.

Fra gli articoli più significativi di Montanelli, vi è quello pubblicato per l’apertura del processo, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M.P. Il giornalista «impegnato allora a rivalutare le virtù della vecchia Germania conservatrice, descrisse Kesselring come un generale hitleriano, distinguendolo dalla casta prussiana che, a suo dire, non si era

274 Il “Prosecutor” chiede la condanna degli assassini Mackensen e Maeltzer, «l'Unità», 30 novembre 1946. 275 Von Mackensen e Maeltzer condannati alla fucilazione, «l'Unità», 1 dicembre 1946.

276 Mackensen e Maeltzer condannati a morte, «Corriere della Sera», 1 dicembre 1946. 277 Il plotone d’esecuzione per von Mackensen e Maeltzer, «Avanti!», 1 dicembre 1946. 278 Mackensen e Maeltzer condannati alla fucilazione, «Il Tempo», 1 dicembre 1946.

279 Von Mackensen e Maeltzer condannati alla fucilazione, «La Nuova Stampa», 1 dicembre 1946. 280 Focardi, “La questione della punizione dei criminali di guerra cit., p. 566.

281 Ivi, p. 567.

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macchiata di alcun crimine di guerra»283. Così come nel titolo, anche nel testo dell’articolo Montanelli poneva l’attenzione sull’aspetto dimesso dell’imputato: «ha più l’aria di un precettore stanco che di un generale decaduto. Porta male i suoi abiti logori e sformati. E ha, in mezzo al volto cavo, due occhi notturni: non più di falco, ma di civetta»284. Kesselring non assomigliava dunque al classico generale prussiano, come ci si aspetterebbe: egli era «forse il migliore, il più abile e il più schietto, fra i generali di Hitler, ma niente altro. E lo stupore della folla è ispirato, sia pure inconsciamente, da questa constatazione. I generali di Hitler non somigliano che di lontano, e per sforzata imitazione, ai generali tedeschi di classico modello. Di questi ultimi, nessuno è stato ancora processato, né pare che lo sarà mai»285. Anche il giornalista Edilio Rusconi nota l’aspetto di Kesselring e scrive infatti, a proposito dell’imputato, su «La nuova Stampa»:

Non ha nulla del caratteristico ufficiale tedesco; […] non è un puro sangue del militarismo. È un bavarese, un montanaro, un cattolico; sa sorridere cordialmente e volgarmente; ama il vino. Sono stati questi uomini venuti dal nulla e ambiziosi di un’impossibile aristocrazia, quelli che più hanno lottato, e con tutti i mezzi, per affermare lo Herrenvolk. Ma le qualità sopradette hanno diminuito oggi l’accanimento della nostra popolazione nei suoi riguardi.286

Nonostante le sue azioni criminose, il fatto di non assomigliare a un ufficiale prussiano avrebbe risparmiato a Kesselring il risentimento della popolazione italiana; «eppure […] faceva eseguire condanne a morte, rappresaglie, rastrellamenti, deportazioni. Ma è un tedesco che sorride; e gli italiani dimenticano presto, quando addirittura non gli trovano una giustificazione nel diritto di guerra o almeno nell’obbedienza militare»287. Non è

chiaramente possibile generalizzare sul sentimento nutrito dagli «italiani» nei confronti di Kesselring, ma è interessante notare che il giornalista Rusconi non ritenga legittimo giustificare gli atti di Kesselring nel diritto bellico. A proposito delle rivelazioni che Kesselring poteva fare su alcune azioni delle truppe tedesche in Italia e che – a parere del giornalista - sarebbero state il principale interesse della gente, ha scritto: «adesso può parlare o tacere, può presentarsi umano come in fondo sarebbe stato se il nazismo non lo avesse distolto dalla sua probabile carriera di commerciante di birra o di padrone di un

283 Focardi, “La questione della punizione dei criminali di guerra cit., p. 566.

284 Indro Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M.P., «Corriere d’Informazione», edizione del

pomeriggio, 10-11 febbraio 1947.

285 Indro Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M.P., «Corriere d’Informazione», edizione del

pomeriggio, 10-11 febbraio 1947.

286 Edilio Rusconi, Kesselring dice ‘nein!’ il processo rinviato a lunedì, «La nuova Stampa», 11 febbraio 1947. 287 Ibidem.

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albergo alpino, o può presentarsi più duro dei duri prussiani»288. Questa è un’altra affermazione interessante: Kesselring sarebbe stata una persona umana, un uomo normale e con un lavoro ordinario, se il nazismo non avesse corrotto la sua natura. Il giornalista ha addirittura suggerito che se l’imputato si fosse rivelato umano, facendo delle importanti rivelazioni al processo, avrebbe anche potuto salvarsi dalla sentenza di morte: «egli intravvede la sua sorte. Venezia non è Norimberga. […] Qui una Corte soltanto inglese giudica secondo la legge nata a Norimberga. Kesselring ha dinanzi a sé i suoi immediati superiori in grado: Goering, Keitel, Jodl, tutti morti a Norimberga. Ma forse non dispera»289. La possibilità di salvezza dalla pena di morte per Kesselring non sembra comunque essere un’opzione auspicabile per Rusconi.

Montanelli, invece, pur partendo dalla stessa osservazione fatta da Rusconi sull’aspetto dimesso di Kesselring, non arriva alle stesse conclusioni. Il giornalista del «Corriere» non ha intenzione infatti di presentare l’imputato come un uomo normale, il cui aspetto umano sarebbe stato riconosciuto anche dalla popolazione italiana. Per Montanelli, Kesselring rappresentava un’eccezione nell’esercito poiché egli era uno dei pochissimi ufficiali tedeschi che non appartenevano all’aristocrazia prussiana: «crebbe rapido perché rapido crebbe l’Esercito di Hitler […]. Fu una carriera più faticata che brillante, tirata avanti a furia di caserma, di marce e di campo»290. Il giornalista ha evidenziato la distanza che separava Kesselring dai generali prussiani tramite il confronto fra lui e un generale del vecchio Stato maggiore tedesco: «quando seppe che un soldato della Wehrmacht aveva sfracellato col piede, dinanzi alla madre, un bambino polacco, von Book chiese la fucilazione del colpevole e, non ottenutala, si dimise. Kesselring non fece altrettanto quando seppe che ostaggi innocenti erano stati massacrati dai suoi gregari (sia o non sia stato lui a darne l’ordine, questo lo vedremo dalle risultanze del processo)»291. Il motivo

per cui Montanelli sottolineava l’estraneità dell’imputato alla casta dei generali prussiani è esplicito in questo passaggio dell’articolo:

Il vecchio Stato Maggiore germanico ha tante colpe; ma si fermò dinanzi alla criminalità comune. Ecco perché nessuno dei suoi componenti è mai comparso nelle Corti militari alleate. I generali di Hitler non avevano, a frenarli nel limite del delitto, la tradizione di una casta brutale sì, ma non priva di cavalleria e di controllo. Come non lo

288 Ibidem.

289 Edilio Rusconi, Kesselring dice ‘nein!’ il processo rinviato a lunedì, «La nuova Stampa», 11 febbraio 1947. 290 Ibidem.

291 Indro Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M.P., «Corriere d’Informazione», edizione del

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fu Norimberga, nemmeno Venezia è il processo contro il leggendario, misterioso, sacerdotale Stato Maggiore germanico.292

Il giornalista mette dunque in evidenza che a Venezia, così come a Norimberga, sono stati imputati per crimini di guerra i generali di Hitler, non il corpo dei membri della Wehrmacht. A parere del giornalista, ciò è avvenuto perché la Wehrmacht non avrebbe mai compiuto crimini contro l’umanità ma solamente delitti comuni, a differenza dei generali di Hitler, che sono infatti gli unici a essere stati processati come criminali di guerra. Questa è in realtà un’affermazione molto discutibile. Come vedremo proprio dall’esame del processo a Kesselring nel prossimo capitolo, infatti, «le SS furono effettivamente subordinate alla Wehrmacht nelle operazioni contro i partigiani e contro le popolazioni civili»293. Il sistema di ordini, che integrava i comandi della Wehrmacht con quelli delle SS e che ha originato una vera e propria pianificazione delle stragi contro i civili, come vedremo nel prossimo capitolo, mostra come la questione della responsabilità sia molto più complicata di come l’ha presentata Montanelli.

Sul «Corriere d’informazione» Montanelli proseguì a esprimere un punto di vista molto critico sul processo a Kesselring, mettendo in discussione la sua legittimità. Nell’articolo È

Kesselring norimbergabile?, affermava:

Intorno e sotto al processo Kesselring c’è una piccola guerra. Ad esso sembra non abbiano voluto partecipare gli Americani, i quali non hanno mandato che un osservatore e solo di Inglesi è composto il collegio dei giudici. Latensen ha fatto centro quando ha detto che nemmeno questi ultimi sono molto sicuri nonché del giudizio da dare sull’imputato, neanche della sua giudicabilità come criminale di guerra. […] È da tale dubbio il quale d’altronde fa molto onore alla coscienza di un giudice che sono derivate le “cose senza precedenti” che Latensen ha denunciato, il ritardo frapposto alla investitura del difensore e la fretta con cui poi, presa la decisione, si è proceduto.294

Nei paragrafi precedenti, Montanelli aveva riportato l’opinione di Latensen, secondo il quale «quando il Maresciallo Kesselring era prigioniero a Londra non sapeva nemmeno se sarebbe stato processato come criminale di guerra. Le stesse autorità britanniche nutrivano forti dubbi in proposito»295. Il giornalista aveva inoltre sottolineato come il processo

292 Indro Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M.P., «Corriere d’Informazione», edizione del

pomeriggio, 10-11 febbraio 1947.

293 Battini, Peccati di memoria cit., p. 80.

294 Indro Montanelli, È Kesselring norimbergabile?, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio, 11-

12 febbraio 1947.

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presentasse alcuni lati oscuri, fra i quali il fatto che il generale Keller, che avrebbe dovuto fare da difensore e accusatore, non si fosse presentato e che quindi fosse stato sostituito, con molta fretta, da Latensen, al quale non era stato dato neanche il tempo per dormire ed era stato permesso di vedere il suo difeso solo 12 ore prima del processo. Montanelli dunque sembrava sostenere l’opinione del difensore Latensen, ovvero che al processo fossero avvenute cose senza precedenti. Un’altra affermazione piuttosto ambigua di Montanelli fa pensare a una vicinanza del giornalista alla tesi del difensore di Kesselring: «a Londra sembra che si sia discusso parecchio se Kesselring fosse da trattare alla stregua di Maetzler: molti hanno sostenuto che egli non è, come diceva stamane un Americano, “norimbergabile”». Nonostante Montanelli non abbia specificato chi fossero questi «molti» né cosa intendesse con il termine «norimbergabile», appare comunque evidente che egli intendesse mettere in discussione sia la legittimità del processo a Kesselring sia l’accusa di crimini di guerra fatta a quest’ultimo:

Non è un processo né facile né semplice. Chi, prima di questo, ha visto il processo di Maeltzer, non ha potuto non notare la differenza. La corte che giudicava Maeltzer correva sui binari di un’istruttoria sicura, con elementi accertati fino nei minimi particolari, che già aveva fatto il chiaro sulla responsabilità dell’imputato. La Corte che giudica Kesselring si trova di fronte a vari dubbi, e questi dubbi sono estremamente gravi. Non è nemmeno sicuro che, al processo Kesselring, il vero responsabile sia presente.296

Montanelli si riferiva qui alla morte del maresciallo Cavallero, il cui figlio aveva presentato alla Corte un’istanza affinché quest’ultima chiarisse i fatti sulla morte del padre. Il giornalista però ha subito specificato che «la famiglia dubita[va] della diretta responsabilità di Kesselring nell’accaduto. Forse qualche altra persona, non presente nell’aula, dovrebbe risponderne, mentre a Kesselring si potrebbe imputare solo il fatto di non aver saputo impedire»297. Il giornalista dunque arrivava a dubitare del fatto che Kesselring sia responsabile per i crimini di guerra a lui imputati e sia dunque norimbergabile. Non a caso, concludeva l’articolo con una nota a favore di Latensen: «Sinora ha vinto il primo round. Molti ritengono che vincerà anche l’ultimo»298.

296Indro Montanelli, È Kesselring norimbergabile?, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio, 11-

12 febbraio 1947.

297 Ibidem. 298 Ibidem.

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Qualche giorno dopo, Montanelli è stato ancora più critico verso il processo, pubblicando sul «Corriere» l’articolo titolato “Anche a Venezia i morti ascoltano”299. Egli ha inizialmente presentato l’udienza del 20 febbraio come una seduta decisiva, «una pietra miliare del dibattimento»300, che ha posto l’attenzione sull’elemento principale del processo, definito come «procedurale». Con tale termine, Montanelli intendeva che «l’accusa che viene rivolta a Kesselring non è quella di avere ordinato l’eccidio delle Fosse Ardeatine e le altre rappresaglie che insanguinarono l’Italia, è quella di averle eseguite o fatte eseguire secondo una procedura invece che secondo un’altra»301.

Il processo a Kesselring è stato pensato e architettato dal «regista britannico»302 come un dibattimento scientifico, che deve seguire una «formula da laboratorio»303, dalla quale deve

escludere ogni elemento passionale. A parere del giornalista, non è ciò che ci si aspetterebbe, invece, se il processo fosse gestito da una Corte di giustizia italiana, «che potesse rievocare tutti i morti, tutti i lutti, tutto il sangue, tutte le lacrime, che costò una guerra, la quale in Italia, in un certo senso, porta il nome di colui che siede al banco degli imputati». Il processo a Kesselring, essendo composto da una Corte di giustizia britannica, risulta essere esattamente il contrario del procedimento penale che porterebbe avanti una Corte italiana. Per i giudici inglesi, infatti, «che i Tedeschi abbiano ordinato delle rappresaglie e quanti Italiani siano stati in seguito ad esse accoppati non ha importanza, importante è vedere come questi crimini sono stati eseguiti. Se i morti delle Fosse Ardeatine avessero subito, prima di morire, un processo, sia pure spicciativo; cioè se fossero morti, bene, essi non costituirebbero, secondo gli Inglesi, un capo di accusa». Questa era, secondo Montanelli, una delle più gravi controversie del processo, che derivavano dalla mancanza di una Corte italiana. In realtà, il motivo per cui Montanelli definisce il processo a Kesselring procedurale consiste nel fatto che la Corte britannica doveva stabilire se si fossero verificate le condizioni per legittimare la rappresaglia. Come vedremo nel prossimo capitolo, infatti, la difesa dei criminali tedeschi a questi processi si basava sul preteso diritto che gli imputati avrebbero avuto di procedere per rappresaglia in alcune circostanze. Quando Montanelli critica la Corte britannica perché questa, invece di

299 Indro Montanelli, Anche a Venezia i morti ascoltano, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio,

Milano, 20-21 febbraio 1947.

300 Ibidem.

301Indro Montanelli, Anche a Venezia i morti ascoltano, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio,

Milano, 20-21 febbraio 1947.

302Ibidem. 303Ibidem.

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prendere in considerazione la gravità delle rappresaglie tedesche, indaga come i crimini fossero stati eseguiti, ovvero a quali condizioni fosse stata compiuta la rappresaglia, mette in luce un aspetto effettivamente controverso del processo, ma non tiene in considerazione le difficoltà interpretative che il collegio si trovava ad affrontare di fronte alla questione della rappresaglia, come approfondiremo in seguito. Risulta inoltre non corretta la soluzione al problema offerta da Montanelli, ovvero la sostituzione della Corte britannica con una italiana: i processi a Kappler e a Reder hanno smentito questa ipotesi. I tribunali militari italiani che hanno giudicato Kappler e Reder hanno infatti incontrato le stesse difficoltà nell’affrontare la questione della rappresaglia e si sono mostrati altrettanto «procedurali», poiché la complessità dell’argomento lo richiedeva.

Il giornalista ha preso in considerazione anche le difficoltà formali dell’udienza: una di queste riguarda gli interrogatori fatti a Kesselring, mentre era prigioniero a Londra, dal tenente colonnello Alessandro Scotland, che aveva tradotto in modo molto approssimativo ciò che era stato detto dal generale. Questo fatto rappresenterebbe un’ulteriore prova del fatto «che gli Inglesi, in quel momento, non si erano ancora decisi a considerare Kesselring criminale di guerra. Quando e come sia entrato nella lista, non si sa. E non si sa nemmeno a che titolo venne interrogato»304.

Dopo aver descritto l’entrata in aula di Kappler ed essersi soffermato minuziosamente sull’aspetto da delinquente comune di quest’ultimo, esprimendo tutto il suo disprezzo verso il criminale tedesco - «noi abbiamo deprecato che Lombroso non abbia potuto conoscerlo» afferma Montanelli – il giornalista si è nuovamente concentrato sull’aspetto principale della sua argomentazione:

Il processo è rimasto freddo […] anche durante la sua esposizione (di Kappler, ndr) che ha popolato di morti la sala. I giudici non hanno contato questi morti. Si sono limitati soltanto a farne l’autopsia giuridica per vedere per quanti di essi la morte era stata regolamentare e per quanti era stata irregolare. E qui siamo entrati in una discussione preziosa da necrofori di alta classe, da tecnici raffinati. Riepilogati rapidamente i fatti che condussero […] alle Fosse Ardeatine, si trattava di stabilire se i 333 massacrati erano tutti “Todes würdig” oppure no. Questo “Todes würdig” significa “degno di

304Indro Montanelli, Anche a Venezia i morti ascoltano, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio,

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morte”. Ma, che cosa, a sua volta, significa “degno di morte”? Ecco il punto del processo.305

Sull’interpretazione del termine “degno di morte” la interpretazione tedesca differiva da quella inglese e questa differenza rappresentava uno degli aspetti più critici del processo. Per i tedeschi infatti erano degni di morte i 57 ebrei che si trovavano in carcere, solamente perché erano ebrei, e altri 167 furono considerati “todes wuerdig” semplicemente dal giudizio di Kappler e per questo furono uccisi alle Fosse Ardeatine. Dalla deposizione di Kappler il processo avrebbe dovuto stabilire inoltre se «i “degni di morte” morirono “bene” e con le dovute regole, oppure no, e quanto sia implicato in questi massacri Kesselring»306. Queste considerazioni della Corte hanno portato Montanelli ad affermare aspramente: «ora che scrivo queste cose mi meraviglio io stesso di non aver urlato, di non aver sentito nessuno urlare nella sala. Ma la procedura britannica ci aveva avviluppati tutti e sembrava che si parlasse di morti che fossero morti non da tre anni, ma da tremila anni. Un sacerdote, che mi hanno detto essere l’osservatore privato del Patriarcato del processo, si era addormentato a bocca aperta»307. Nelle conclusioni, il giornalista evidenzia nuovamente l’inadeguatezza delle procedure che la Corte britannica ha utilizzato nonostante si sia trovata di fronte a tanti morti: «Oggi c’è la parola decisiva in proposito. Aspettano di udirla i morti che sono nuovamente di scena, compostamente e silenziosamente seduti nell’emiciclo. […] Le Corti inglese non sono composte né di magistrati né di ufficiali. Sono composte di posteri che giudicano anche i fatti attuali come avvenimenti storici già mummificati dai secoli»308.

Montanelli non ha risparmiato critiche neanche a un altro criminale di guerra, Kappler, che ha rilasciato la sua testimonianza nell’udienza del 21 febbraio del processo a Kesselring. Nell’articolo del «Corriere» titolato Kappler non fu mai bambino309, Montanelli

rappresenta Kappler come una figura che assomiglia più a una macchina che a una persona:

Egli deve essere stato messo al mondo da un uomo e da una donna ma verrebbe fatto di escludere che siano stati quell’uomo un padre e quella donna una madre. […] Kappler

305 Ibidem.

306Indro Montanelli, Anche a Venezia i morti ascoltano, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio,

Milano, 20-21 febbraio 1947.

307Ibidem. 308Ibidem.

309 Indro Montanelli, Kappler non fu mai bambino, «Corriere d’informazione», edizione del pomeriggio, 21-

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nacque già adulto […] e rappresenta l’antica aspirazione teutonica di ridurre l’umano al meccanico. La meccanica non presenta imprevisti. […] E neanche Kappler presenta imprevisti. Gli hanno detto che un Tedesco vale dieci Italiani […] e lui ci crede e continua a crederci. […] La bestialità di quest’uomo è talmente coerente e tetragona che verrebbe quasi fatto di definirla sublime.310

Montanelli non fu chiaramente l’unico giornalista a scrivere del processo a Kesselring sulla stampa italiana. Anche altri giornali italiani, oltre al «Corriere», diedero notizia delle udienze del procedimento con regolarità, soprattutto nelle fasi decisive. Il quotidiano «l’Unità» ha dedicato un articolo all’apertura del processo a Kesselring e già nel sottotitolo sottolineava il fatto che fosse stata la popolazione italiana a subire le violenze del criminale tedesco: «più di 1000 civili italiani vittime del Maresciallo nazista. Due paesi si