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Il processo a Kappler

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

II.2. I processi ai criminali di tedeschi in Italia: la lettura della stampa

II.2.3. Il processo a Kappler

Sulla stampa nazionale il processo contro Herbert Kappler e i suoi collaboratori, che si tenne a Roma dal 3 maggio al 20 luglio 1948, fu l’unico procedimento giudiziario presso un tribunale militare italiano che attirò l’attenzione dell’opinione pubblica. Filippo Focardi ha sottolineato che «come già era successo in occasione dei processi contro Maeltzer, von Mackensen e Kesselring, anche su Kappler […] si riversò il profondo risentimento del paese. Boia, feroce criminale, massacratore, belva [sic] furono gli appellativi con cui tutti i giornali si rivolsero all'accusato, ricorrendo ad un lessico già ampiamente utilizzato»343. Ne sono un esempio i titoli di alcuni degli articoli del «Corriere», dell’«Avanti!» e de «l’Unità»: Il massacratore delle Ardeatine trema per la minaccia di una donna344;Kappler

340Kesselring, Maeltzer e Machenden non saranno fucilati, «Avanti!», 5 luglio 1947. 341Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia cit., p. 568. 342Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia cit., p. 568. 343Ivi, p. 573.

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il freddo carnefice delle Ardeatine compare il 3 maggio dinanzi al tribunale militare345;e Il

boia Kappler condannato all’ergastolo346.

Nella prima udienza del processo, i familiari delle vittime presenti in aula non hanno risparmiato invettive e imprecazioni contro gli imputati, come è stato notato sul «Corriere»: «”Schwein und Hund”: per tre volte le due parole “porco e cane” sono uscite, senza troppo strepito, dalle labbra di un vecchio signore […]. Si seppe più tardi che era il padre del capitano dei carabinieri Fontana, decorato di medaglia d’oro, caduto, fra gli altri, nella cava ardeatina»347. Un’altra invettiva è venuta dalla voce di una donna che ha minacciato Kappler: «”Vorrei strapparti quegli occhi che hanno visto quanto fu fatto a mio padre e mio fratello”. E, agitando le mani, come se davvero dovesse slanciarsi, da un momento all’altro, contro l’accusato, per mettere in atto la minaccia, la donna in gramaglie si è sporta oltre la balaustra»348. Su «l’Unità» la notizia della prima udienza del processo è

stata data tramite una foto del volto, privo di emozioni, dell’imputato, corredata dalla didascalia: «Kappler è rimasto impassibile; alle grida dei familiari delle vittime ha risposto con un sorriso sprezzante; le sue orecchie ricordavano quelle più strazianti di centinaia di massacrati. Il suo volto è diventato rosso una sola volta. Quando un vecchio vestito a lutto gli ha detto: Cane porco!»349. Il risentimento dell’opinione pubblica italiana verso Kappler prende voce dunque anche tramite le invettive dei familiari delle vittime, episodio messo in risalto infatti da molti giornali italiani350. Su «La Stampa» si è fatto riferimento anche al «clamoroso incidente»351 in cui il parlamentare Bencinvenga, durante la deposizione, a una domanda dell’avvocato difensore Taddei «è insorto gridando “come non si vergognasse di difendere simili persone”. La frase ha dato origine a un vero e proprio incidente: da una parte la folla che applaudiva al teste e urlava contro Kappler e contro i difensori; dall’altra gli avvocati che chiedevano che il teste rettificasse»352.

345 Kappler il freddo carnefice delle Ardeatine compare il 3 maggio dinanzi al tribunale militare, «Avanti!»,

29 aprile 1948.

346 Il boia Kappler condannato all’ergastolo, «l’Unità», 21 luglio 1948.

347Il massacratore delle Ardeatine trema per la minaccia di una donna, «Corriere», 4 maggio 1948. 348Ibidem.

349’Fucilatelo!’ gridano i parenti dei 335 martiri, «L’Unità», 4 maggio 1948.

350 Cfr. anche: Kappler e compagni di fronte al tribunale di Roma, «La Stampa», 4 maggio 1948. Si scriveva:

«Invettive ed imprecazioni contro i criminali tedeschi sono partite dal gruppo delle madri e delle vedove in gramaglie […]. Il padre della medaglia d’oro tenente Fontana […] ha lanciato in tedesco una sanguinosa ingiuria all’indirizzo di Kappler».

351 Clamoroso incidente, «La Stampa», 6 luglio 1948. 352Ibidem.

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Kappler è raffigurato come la figura tipica dell’ufficiale nazista: «impeccabile nelle forme esteriori ma capace di fredda e inaudita crudeltà, insensibile al dolore altrui, anzi intimamente sadico e perverso»353. Sul «Corriere» l’imputato è stato descritto infatti come una figura complessa: «un poliziotto stratega di alta classe cui peraltro l’intelligenza, la sensibilità e la capacità professionale non furono sufficienti a infrenare la ferocia, la brutalità e il cinismo propri della sua razza»354. È interessante notare come a Kappler siano attribuite doti di intelligenza e di competenza professionale e allo stesso tempo quella caratteristica di intima crudeltà appartenente al popolo tedesco, che prevale sul resto. È questa una descrizione che già abbiamo trovato per gli altri criminali nazisti e che stereotipizza sia gli imputati sia la cosiddetta «razza germanica».

Oltre al palese sentimento di ostilità verso gli imputati, sulla stampa nazionale sono emerse anche alcune importanti questioni affrontate nel procedimento giudiziario. Sul «Corriere» è stato sottolineato che «due grosse questioni giuridiche dovranno, tra l’altro, essere risolte durante il processo […]. La prima riguarda il diritto o meno che gli imputati hanno di essere assistiti, oltre che dagli avvocati italiani, da un “coadiutore” di nazionalità germanica. […] Il secondo e più grave problema sarà quello di stabilire un giusto dosaggio fra il codice penale militare e il codice penale ordinario, al momento della sentenza»355. L’articolo ha continuato specificando che dalla risoluzione della seconda questione dipendeva l’eventualità di comminare a Kappler la pena capitale, poiché le imputazioni a costui riguardavano entrambi i codici: per quanto riguardava la prima questione, invece, i difensori di Kappler avevano rivendicato, appellandosi alla Convenzione di Ginevra, il diritto dell’imputato di essere assistito da un connazionale, ottenendo così dal Tribunale un breve rinvio. È interessante notare che questi passaggi del processo, pur affrontando questioni di diritto, emergano sulla stampa generalista, poiché non è scontato che essa mostri tale interesse.

L’opinione pubblica italiana è stata colpita dalle testimonianze del processo, che sono state riportate sulla stampa nazionale mettendo in evidenza alcuni stralci significativi di esse. Per quanto riguarda il reato di estorsione aggravata compiuto da Kappler per costringere gli appartenenti della comunità ebraica di Roma a consegnargli entro 36 ore 50 chili di oro, il «Corriere» ha pubblicato infatti un articolo sulla testimonianza di Ugo Foà, presidente

353 Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra

mondiale, Editori Laterza, Roma – Bari, 2013, p. 156.

354Kappler: il primo criminale tedesco giudicato da un Tribunale militare italiano, «Corriere», 1 maggio 1948. 355Cento familiari dei martiri presenziano al processo Kappler, «Corriere», 4 maggio 1948.

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della comunità romana all’epoca dell’occupazione tedesca. Egli ha raccontato l’episodio del cosiddetto “sacrificio di guerra” a cui gli ebrei romani furono sottoposti e del rastrellamento, che essi subirono nonostante la consegna della somma, da parte dei nazisti: «il giorno dopo l’offerta dell’oro vennero i Tedeschi nel Tempio maggiore e si appropriarono due milioni e ottocentomila lire; […] il 16 ottobre cominciarono le spietate razzie: quattrocento donne, delle quali è tornata una sola, furono deportate e duecento bambini, dei quali nessuno tornò, furono strappati dalle case»356. Una delle testimonianze che hanno avuto maggior effetto sull’opinione pubblica è stata quella del 19 giugno del professor Attilio Ascarelli, che era stato incaricato alla riesumazione delle salme delle Cave Ardeatine. I dettagli della testimonianza, riportati nell’articolo del «Corriere», sono particolarmente crudi:

Le cataste dei cadaveri raggiungevano i settanta centimetri di altezza. I cadaveri apparivano per la maggior parte con il viso rivolto contro il terreno o piegati di fianco. L’aspetto di codeste cataste di morti era terrificante. […] Nessuno fu rimosso e tutti giacquero nel punto in cui furono uccisi, dal che è facile arguire che ogni vittima fu fatta salire sul mucchio dei precedenti fucilati: i bossoli del mitra furono, infatti, rinvenuti fra uno strato e l’altro dei cadaveri. Del resto se le salme fossero state spostate non sarebbero state trovate dopo sei mesi con le ginocchia ancora flesse, giacché tutti sanno che la rigidità cadaverica sopraggiunge un’ora e mezzo dalla morte.357

Quest’ultima affermazione trova conferma anche nella testimonianza di Antonio Carella, medico legale che collaborò con Ascarelli, le cui parole sono pubblicate di nuovo sul «Corriere»: «non è ammissibile quanto affermano gli imputati, che cioè i corpi furono ammucchiati dopo l’esecuzione. C’è invece da supporre che perfino i militari tedeschi per sparare salirono sui corpi di quelli già uccisi»358. La scelta di narrare queste parti del processo è significativa perché dimostra, ancora una volta, la volontà da parte della stampa di mettere in luce le atrocità compiute dai criminali nazisti e la ferocia con cui essi le hanno portate a termine.

La stampa nazionale ebbe invece un atteggiamento diverso riguardo alla questione della pena da infliggere a Kappler. Le sinistre chiesero la pena di morte e protestarono quando l’8 luglio il Pubblico Ministero chiese la condanna all’ergastolo, mentre i giornali moderati e conservatori si mostrarono soddisfatti della pena inflitta a Kappler. Già all’apertura del

356Nonostante il ‘sacrificio di guerra’ oltre duemila Ebrei furono deportati, «Corriere», 12 giugno 1948. 357Come furono scoperte e rinvenute le salme dei 335 martiri fucilati, «Corriere», 17 giugno 1948 358Piramide della morte alle Ardeatine, «Corriere», 18 giugno 1948.

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processo «l’Unità» aveva titolato «“Fucilatelo!”»359 e ha poi protestato contro la richiesta del Pubblico Ministero, che, si specifica, «è stata accolta dal più glaciale silenzio interrotto subito dai commossi singhiozzi dei familiari delle vittime»360. Il giornale comunista ha criticato aspramente la spiegazione fornita dal P.M., il colonnello Vittorio Veutro, secondo il quale l’ergastolo era la massima pena che era possibile applicare dal momento che la Costituzione repubblicana aveva abolito la pena di morte, definendola un «cavillo giuridico»361. Il giornalista proseguiva: «in questo modo anche per il massacratore dei 335 è stata trovata una scappatoia. In questo modo non si è resa giustizia né ai martiri, né all’opinione pubblica»362. Anche le parole del colonnello Veutro pronunciate durante la

requisitoria a proposito di Kappler vengono riportate: «non è un soldato, ma un SS, cioè un volontario dell’assassinio e del colpo alla nuca. Quale pericolo potevano rappresentare per l’esercito un quattordicenne, due quindicenni e tanti vecchi? No, Kappler non è un soldato, ma un infanticida»363. La condanna di Kappler è evidente sulle pagine del giornalista comunista, che come detto richiese per l’imputato la pena di morte, mentre ciò non vale per i giornali moderati e conservatori. Il giornalista de «La Nuova Stampa», dopo aver descritto l’atmosfera di attesa per la sentenza presente nell’aula e il nervosismo appena accennato dell’imputato, scrisse riguardo al pubblico in aula: «cominciò ad arrivare, questa volta più calmo e più tranquillo, quasi che sentisse come una serena giustizia fosse sufficiente a vendicare le trecento e più vittime giacenti ancora in quelle cave che videro il loro sacrificio»364. È interessante notare come l’opinione per cui la pena comminata dal tribunale italiano rappresentasse una «serena giustizia» e che l’ergastolo fosse dunque sufficiente, venga attribuita al pubblico, mentre – se si legge il resoconto de «l’Unità»- è da credere che appartenesse non tanto alle persone presenti in aula, quanto al giornalista dell’articolo e in generale alla posizione assunta dal giornale sulla sentenza del processo. Questo si fa evidente anche nella frase conclusiva dell’articolo, che ribadisce: «Giustizia, la più serena era stata fatta»365. Sul «Corriere», il giornalista ha riportato le parole dell’accusatore Vittorio Veutro nel momento in cui ha chiesto al tribunale la pena dell’ergastolo per Kappler, il cui reato consisteva nell’«avere usato violenza senza stato di necessità e senza giustificato motivo contro cittadini privati che non prendevano parte ad

359’Fucilatelo!’ gridano i parenti dei 335 martiri, «l’Unità», 4 maggio 1948.

360II boia Kappler sfugge alla morte. Il Pubblico ministero ha chiesto l'ergastolo, «l’Unità», 9 luglio 1948. 361Ibidem.

362Ibidem. 363Ibidem.

364L'ergastolo a Kappler, «La Nuova Stampa», 21 luglio 1948. 365Ibidem.

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operazioni belliche, giacché non possiamo seguire Kappler nel suo fanatico razzismo che lo ha portato a considerare gli Ebrei come nemici solo perché figli della loro razza»366. Filippo Focardi ha fatto notare inoltre che «la reazione delle sinistre (specialmente dell’ “Unità”) risultò fortemente ridimensionata in quanto la sentenza, pronunciata il 20 luglio, venne a cadere nei giorni immediatamente successivi all'attentato a Togliatti. La preoccupazione per le sorti del leader comunista, gravemente ferito, contribuì senza dubbio a frenare l'indignazione per l'epilogo del processo a Kappler»367.