I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento
I.2. Il dibattito sui crimini di guerra fra i giuristi italiani
I.2.5. Verso una giustizia internazionale penale
Nell’analisi delle varie posizioni assunte dai giuristi italiani presi in esami di fronte alle problematicità e alle novità della punizione dei criminali di guerra nel processo di Norimberga, emergevano anche le loro opinioni riguardo a una futura evoluzione del diritto internazionale. Gli autori più critici delle procedure adottate nel processo di Norimberga erano anche i più scettici verso un futuro miglioramento dell’ordinamento internazionali. Autori come Vedovato, invece di auspicarsi un superamento delle lacune del diritto internazionale, facevano appello al diritto statuale, ritenuto l’unico organo idoneo al giudizio. Alla base di questa posizione vi era la volontà di difendere la sovranità statale, la cui area di competenza sarebbe stata profondamente ridimensionata da un diritto internazionale legittimato a giudicare individui colpevoli di crimini contro l’umanità. Anche l’avvocato Carlo Miglioli aveva aspramente criticato il disegno alleato di punizione dei criminali di guerra, screditando la legittimità del processo di Norimberga e di quello di
193 Giuseppe Codacci-Pisanelli, I processi per delitti internazionali, in A. Tarantino, R. Rocco e R. Scorrano (a
cura di), op. cit., pp. 71.
194 Ivi, pp. 94. 195 Ivi, pp. 94-95.
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Tokyo. Egli si mostrava comunque favorevole alla creazione di un organismo sovranazionale per le questioni di diritto penale internazionale, che fosse in grado di superare le anomalie giuridiche dei procedimenti precedenti. Ben presto, però, si rendeva conto dell’infattibilità di tale progetto, a causa dell’impossibilità di veder realizzato un «super-Stato, sovrano dei sovrani»196. L’unico organismo idoneo sarebbe stato il «piccolo- immenso Stato della Città del Vaticano»197, ma tale soluzione era ovviamente irrealizzabile e Miglioli stesso ne era consapevole. Questi autori si limitavano dunque a criticare le lacune dell’attuale diritto internazionale e mancavano di idee propositive per la punizione dei criminali di guerra. Le loro critiche verso l’istituzione di una Corte internazionale erano mosse principalmente dal timore di veder danneggiato il principio di sovranità statale. Le critiche alla problematicità della legge di Norimberga da parte di questi autori rimangono comunque più che legittime. Sorprende però che alcuni autori abbiano tentato di giustificare gli imputati. L’avvocato Miglioli presentava parole di pietà per i «sette c.d. “criminali di guerra” tedeschi, scampati alla forca, e condannati […] con la fatale sentenza pronunciata dalla Corte “quadripartita” di Norimberga, nel 1946»198, i quali conducevano
una vita da «sepolti vivi, […] morti che vivono»199 ed erano costretti a una dura vita carceraria, scandita da continue ispezioni in cella, nessuna lettura e solo poche e brevi visite. Invece, i crimini per i quali gli imputati erano stati condannati a Norimberga non venivano mai menzionati ed è ciò che rende evidente la strumentalizzazione che Miglioli compieva di certi argomenti. L’autore evidenziava il trattamento a suo dire inumano riservato ai detenuti di Spandau: «quanto di diritto umano, nel far morire, ogni giorno di più, i condannati di Norimberga, ai quali si applica il più incivile e feroce regime carcerario, vietando loro persino il sonno quotidiano?»200. Un altro espediente che egli usava consiste nel sottolineare le azioni disumane compiute dagli Alleati durante il conflitto e per le quali non erano stati mai giudicati:
Quanto di diritto umano […] vi sia stato nei bestiali, feroci ed inutili bombardamenti di tante città italiane – onuste di gloria e di storia, da Cassino a Bologna, da Napoli a Milano, da Torino a Vicenza, a Verona, a Rimini ecc. ecc. –; od anche nella distruzione di Nagasaki, di Tocushima e di Hiroshima, in cui centinaia di migliaia di vecchi, di donne e di fanciulli perirono di schianto, annientati dalla apocalittica micidialità di una
196 Miglioli, op. cit., p. 96.
197 Ivi, p. 99. 198Ivi, p. 67. 199Ivi, p. 69. 200 Ivi, p. 48.
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o di due bombe atomiche; ovvero nelle tragiche Fosse di Katin, o nelle paurose «foibe» istriane?201
Miglioli arrivava a definire la momentanea sospensione della sovranità della sconfitta Germania, decisa dagli Alleati, come «il più pauroso oltraggio che sia mai stato operato contro la giustizia, contro l’etica e contro l’umanità»202. Notiamo dunque come la volontà
di criticare il disegno di punizione attuato dagli Alleati, volontà del tutto legittima, possa portare a perdere di vista la reale portata dei fatti. È vero che il processo di Norimberga fu caratterizzato da anomalie giuridiche ed è vero che gli Alleati commisero gravi crimini di guerra, per i quali non si sottoposero a giudizio, ma non si può giustificare le azioni compiute dai criminali tedeschi.
Persino Salvatore Lener sembrava offrire una sorta di giustificazione nei confronti dei crimini compiuti dai gerarchi nazisti. È interessante notare che il gesuita usasse degli appigli retorici molto simili a quelli utilizzati da Miglioli. Lener infatti affermava che, sebbene fosse stata la Germania a dare inizio alle ostilità, essa vi fu storicamente costretta ed era stata punita solamente perché aveva perduto, fatto che aveva determinato la vera differenza fra quest’ultima e i russi o gli anglo-americani. Si tendeva a relativizzare le colpe della Germania nazista: «certo è che, quando si sta nell’ingranaggio, non si può guardare tanto per il sottile»203. L’autore metteva in discussione, inoltre, la legittimità di
punire gli individui ritenuti responsabili per le loro posizioni di vertice, attraverso l’argomentazione del comando superiore:
Tutti i tedeschi ne porteranno le conseguenza per generazioni. Perché ci si vuole accanire allora contro alcuni soltanto? Costoro comandarono, è vero; ma furono a loro volta dispoticamente comandati. Nella loro situazione, se non volevano mettere in pericolo, più ancora che la propria testa, le sorti della nazione impegnata per la vita e la morte, non potevano agire diversamente.204
Allo stesso tempo però non si poteva ignorare, a parere del giurista, la portata dei crimini nazisti, ovvero le stragi, i campi di concentramento, le camere a gas, i lavori forzati, le rappresaglie. Non si poteva dunque lasciare impuniti individui che avevano attuato «delitti
201Miglioli, op. cit., pp. 47-48. 202Ivi, p. 93.
203Lener, op. cit., p. 21. 204Ivi, pp. 20-21.
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lesivi […] della intera umanità»205, ovvero «coloro che quelle atrocità a[vevano]
predisposto, comandato, approvato, eseguito o colpevolmente tollerato»206.
In alcuni passaggi sembra che Lener auspicasse comunque un futuro miglioramento del diritto internazionale reso necessario anche dal fatto che «l’umanità intera è rimasta inorridita per quei fatti»207. L’autore infatti riteneva: «quando l’umanità intera proclama orrore e spavento per certe azioni che si rivelano quasi moltiplicazioni di delitti ovunque puniti, una legge che ne colpisca gli autori vi deve essere»208. Un’importante spinta a modificare il diritto internazionale in favore di norme precise sulla punizione dei criminali di guerra proveniva proprio dall’opinione pubblica, le cui esigenze di giustizia venivano prese in gran considerazione da Lener. Coloro inoltre che dovevano rispondere a questa esigenza di trasformazione del diritto erano proprio i giuristi, il cui compito era quello di «additare coraggiosamente la via della giustizia»209.
Lener però era consapevole dei limiti nella fattibilità di tale progetto. In altre parti del testo, infatti, egli ammetteva: «poiché nell’ordinamento internazionale la guerra non è, né può essere ancora, allo stato presente, delitto punibile, la questione della direzione soggettiva della pretesa punitiva, secondo lo stesso diritto, non è neppur formulabile. Dove non c’è delitto, non vi sono delinquenti»210. Finché la guerra non verrà definita un crimine
penalmente perseguibile, nessuno potrà essere accusato di crimini contro la pace. Fino a quel momento, non si potrà evitare che gli Stati ricorrano alla guerra in quanto strumento di risoluzione dei contenziosi, come Lener sottolineava: «finché la società umana non perverrà a eliminare un male peggiore ancora della guerra, l’ingiustizia, e fin tanto che la guerra potrà presentarsi non solo ai governanti ma agli stessi popoli come l’unico disperato mezzo di soddisfare essenziali esigenze di giustizia, neppure il diritto umano potrà proscriverla come delitto»211. La strada verso il raggiungimento di una giustizia internazionale penale dotata di norme precise e di organi idonei era ancora lunga.
205Lener, op. cit., p. 22.
206 Ibidem. 207 Ibidem. 208 Ibidem. 209 Ivi, p.23. 210 Ivi, p. 128. 211Ivi, pp. 131-132.
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La posizione di Giuliano Vassalli era invece diversa rispetto a quella di Vedovato e, in parte, a quella di Lener. Il giurista perugino auspicava la creazione di un organismo sovranazionale, che potesse amministrare la giustizia internazionale penale:
È nostra opinione […] che non debba rinunciarsi all’idea dello Statuto di un Parlamento mondiale che, superando le sovranità nazionali, si rivolga, sia pure per il tramite degli Stati, a tutti gli uomini e pervenga a realizzare in modo privo di contraddizioni l’adeguamento di tutti i diritti nazionali ai principi di umanità e di eguaglianza propri della comunità internazionale.212
Vassalli era consapevole delle difficoltà insite in tale progetto e dei tempi molto lunghi necessari alla realizzazione di quest’ultimo, ma non si poteva certo rimanere «in attesa di codesta “vera giustizia”»213. Egli infatti si chiedeva retoricamente: «si deve rinunciare
forse ad ogni miglioramento dei sistemi attualmente vigenti e negare ogni carattere di legittimità, anzi sinanco di giuridicità, ai sistemi medesimi?»214 e la risposta era nettamente negativa. Perciò i risultati finora ottenuti dalla giustizia internazionale contro i crimini di guerra rappresentavano un successo importante, seppur parziale:
Ben conosciamo i limiti, le manchevolezze, forse i pericoli che un sistema tanto parziale e provvisorio presenta; ma riteniamo che esso debba tuttavia essere preferito alla rinuncia ad ogni affermazione di un diritto sopraordinato a quello statale in attesa che il «superstato» si avveri con le sue leggi e i suoi tribunali. In ogni caso non si deve dimenticare che anche l’esistenza del nudo precetto ha nel diritto la sua importanza e che della sanzione può bastare talora la giuridica possibilità. L’ingiustizia, poi, consistente nella soltanto parziale applicazione del diritto penale può essere un male minore di quello rappresentato dall’assenza di ogni sanzione.215
L’autore arrivava a concludere che gli insegnamenti da trarre dalla punizione dei criminali di guerra avessero un risultato comune, ovvero il superamento del dogma della sovranità statale. A suo parere, quest’ultimo avrebbe portato importanti benefici per l’individuo in quanto cittadino: «dal superamento degli schemi del diritto statuale l’individuo, soggetto dei precetti penali, esce come rinvigorito. Il suo senso di solidarietà sociale, non più rimesso ai precetti dello Stato, dovrebbe necessariamente aumentare. Il suo senso di
212 Vassalli, op. cit., p. 265.
213 Ivi, p. 263. 214Ivi, p. 263. 215 Ivi, p. 266.
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responsabilità anche, in quanto egli cessa di essere strumento quasi meccanico della volontà dello Stato per assumere coscienza dei propri doveri in una sfera più vasta.»216 Si trovava d’accordo con l’opinione di Vassalli il giurista Nuvolone, il quale vedeva un futuro miglioramento del diritto internazionale nel «riconoscimento di valori giuridici obbligatori per tutti al di sopra dei valori relativi dei singoli stati»217, attraverso l’organizzazione di forme supernazionali che fossero «garanzia di una pacifica e concorde evoluzione»218. Si sarebbe potuto così raggiungere l’obiettivo «della eliminazione sicura di ogni germe di futura guerra»219. Anche Nuvolone dunque si auspicava la creazione di un organismo sovranazionale, che riuscisse a risolvere il conflitto fra l’esigenza della certezza del diritto e quella di giustizia per crimini tanto gravi:
Il conflitto è determinato, appunto, dallo squilibrio tra il bisogno di punire fatti che si considerano gravemente lesivi del principio di coesistenza sociale e l’organizzazione della comunità umana. Esso potrà comporsi solamente il giorno in cui la società umana si sarà data un’organizzazione giuridica superstatale, fornita dei necessari poteri per imprimere le forme della pubblicità alla proprie leggi e assicurarne, anche coattivamente, l’osservanza.220
È interessante notare come anche per Nuvolone, come per Vassalli e Lener, il superamento della sovranità statuale potesse migliorare il senso di solidarietà reciproca fra gli individui. Sembra che tutti e tre i giuristi tenessero in considerazione l’esigenza del sentimento popolare nei confronti della punizione dei crimini di guerra, che spesso coincideva con il bisogno di fare giustizia. L’appello conclusivo di Vassalli andava proprio in questa direzione:
Sappiamo come governanti infami abbiano cercato di condurre, in nome del “sano sentimento giuridico popolare”, i loro popoli ai più nefandi delitti. Ma appunto per questo dobbiamo interessarci a tali sentimenti in quanto giuristi ed evitare di cadere nell’eccesso opposto rifugiandoci in un astratto ossequio alla legge scritta, […] quasi prigionieri di quelle trattazioni per cui la scienza giuridica […], per voler essere troppo “positiva”, si chiude ad ogni contatto con la realtà.221
216 Vassalli, op. cit., p. 58.
217 Nuvolone, op. cit., p. 7. 218 Ibidem.
219 Ibidem. 220 Ivi, p. 157.
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Bisognava dunque trovare un equilibrio fra la funzione positiva del diritto e l’esigenza del giudizio:
Il popolo, per nei suoi fatali errori […], sente come delitti, e come i più gravi delitti, proprio certi fatti che alla stregua della legge scritta dello Stato noi saremmo tenuti a considerare “giustificati” e cioè non delitti. Deve essere opera del giurista […] spiegare tutto questo facendo sentire il diritto come cosa viva, come alimento di tutti e per tutti, come prodotto genuino dello spirito umano.222
Possiamo concludere che il dibattito sulla punizione dei crimini di guerra sorto fra i giuristi italiani era stato ricco e costruttivo e aveva approfondito con cura le più importanti questioni giuridiche emerse dal processo di Norimberga. I giuristi, discutendo dell’ammissibilità della responsabilità individuale, dell’ordine del superiore e della retroattività della legge di Norimberga, avevano proposto delle possibili soluzioni per risolvere le controversie in cui si imbatteva il diritto internazionale nella punizione dei criminali di guerra..
222 Vassalli, op. cit., p. 60.
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