CAP 3 AMBITO PROTEZIONE DEI MINOR
3.3 FUNZIONE DI AIUTO E CONTROLLO
Quando un operatore si trova a rilevare una situazione di sospetto o certo abuso, perpetuato su dei minori, gli si presenta il difficile compito di valutare, se per il caso in questione, sussistano le condizioni che lo obbligano a segnalare i maltrattamenti al Tribunale per i Minorenni.
La complicata decisione, fonte di ansia per l'assistente sociale e la sua équipe, riguarderà la possibilità di seguire la famiglia all'interno di un contesto spontaneo, improntato all'aiuto, rimandando il coinvolgimento della magistratura minorile nell'eventualità futura di peggioramenti della situazione o in conseguenza di una riscontrata non adesione del nucleo alle proposte di lavoro del servizio, inserendo così successivamente la famiglia in un contesto di tutela.200
Questa suddivisione dicotomica degli interventi, ossia in attività esclusive di aiuto o viceversa di controllo, esclude a priori la possibilità di riuscire ad utilizzare l'ambito della tutela come aggancio, punto di contatto, con la famiglia; opportunità in cui il fine superiore della protezione dei minori consente di rapportarsi con famiglie che da sole, indipendentemente, non chiederebbero un aiuto ma che non vuol dire non possano beneficiare di un supporto loro offerto.
Una soluzione al dilemma della segnalazione al Tribunale per i Minori ci viene offerta da S. Cirillo201 che utilizza come spartiacque gli
indicatori della “gravità del maltrattamento subito dal bambino” e della “negazione che i genitori fanno del danno” arrecato ai propri
200 Sentimenti come la paura di interrompere il rapporto faticosamente costruito con gli utenti, di possibili risentimenti e ritorsioni della famiglia, il pensiero di una collaborazione faticosa con i magistrati e gli avvocati possono far vacillare l'assistente sociale e ritardare il coinvolgimento del Tribunale pur dove si renda necessario per un'adeguata tutela dei minori.
figli. Nei casi di elevata gravità del danno, azioni costituenti un reato, come la violenza sessuale od aggressioni fisiche, l'obbligo di referto e di rapporto, di cui gli operatori sono incaricati, non permette altra soluzione se non avvisare immediatamente, da un lato l'autorità giudiziaria ordinaria, per le procedure penali, e dall'altro la magistratura minorile, per le procedure civili di tutela, ed innescare le necessarie misure di protezione ed i relativi interventi di aiuto e controllo del nucleo.
La variabile del riconoscimento da parte dei genitori del danno che arrecano o viceversa della negazione dei maltrattamenti che infliggono,202 si dimostra un valido aiuto, nei casi di modesta gravità,
nel determinare la possibilità di restare e lavorare in un contesto spontaneo o viceversa collocare la famiglia in un contesto di controllo. Il “rapporto incongruo tra la sofferenza del figlio ed il disinteresse del genitore” ci servirà come parametro di azione; “un medesimo comportamento lesivo richiederà un intervento di tutela dei servizi a seconda del fatto che l'autore critichi il proprio comportamento e chieda aiuto per controllare la propria impulsività o viceversa che neghi l'inadeguatezza del gesto e rifiuti di metterlo in discussione”.203
Un genitore che nega l'esistenza stessa di un pericolo per i figli, non riconosce l'inadeguatezza dei suoi comportamenti, non si rende disponibile, non accetta gli interventi necessari, non si dimostra collaborativo non è certamente in grado di assicurare il rispetto dei diritti del minore e di garantire la sua protezione; le motivazioni
202 Per negazione è da intendersi una “menzogna, una consapevole alterazione della verità grazie alla quale il genitore maltrattante tenta di evitare soprattutto il biasimo altrui”; G. Cambiaso, riadattando la concettualizzazione di T.S. Trepper e M.J. Barrett, suddivide in quattro livelli il mancato riconoscimento; la negazione dei fatti, che sia reale ciò che ci viene contestato; la negazione della consapevolezza, si riconoscono i fatti ma se ne nega la coscienza nel commetterli; la negazione della responsabilità, si attribuisce la colpa dei fatti ad altri; la negazione dell'impatto, si minimizza la portata nociva del proprio comportamento. In Cirillo S. (2005), pp. 29-30.
personali al cambiamento mancano totalmente ed al di fuori di un contesto coatto le possibilità che questi utenti acconsentano a farsi aiutare ed accettino le proprie responsabilità sono esigue.
La proposta di P. Di Blasio204 vede nella connessione dei fattori
protettivi con quelli di rischio,205 presenti nella famiglia, il parametro
fondamentale nella decisione delle strategie di intervento più opportune.
L'autrice prospetta tre possibili percorsi da attivare qualora i servizi rilevino il disagio della famiglia e si presentino dei rischi per i figli. Inserisce negli interventi di sostegno ed aiuto quelle situazioni familiari in cui gli “elementi protettivi” sono presenti ed “in grado di contrastare quelli di amplificazione del rischio”, quindi prevalenti a questi ultimi. In tali casi “l'equilibrio, la stabilità della famiglia ed il suo assetto psicologico vengono messi in crisi da eventi imprevisti”, momenti critici del ciclo di vita del nucleo, come ad esempio difficoltà economiche, problemi medici, lutti o perdite; le difficoltà del bambino vengono fatte dipendere da tali cause.
Siamo in presenza di “genitori sostanzialmente idonei a occuparsi dei figli, che lo stress accumulato e l'avvicendarsi di eventi critici ha messo momentaneamente in difficoltà”, che “accanto al desiderio di ricevere supporto esprimono il disagio di dover dipendere dalla rete dei servizi”; nuclei ritenuti “in grado di farsi aiutare a riacquistare la propria autonomia”.206
Qualora vi sia una compresenza di fattori di protezione e di amplificazione del rischio ma gli elementi che lo riducono “non sono tali da compensare”, contrastandolo, “l'impatto delle condizioni
204 Di Balsio P., Acquistapace V. (2002); Di Blasio P., Rossi G. (2004).
205 Argomento illustrato nel paragrafo 3.1.3 FATTORI ED INDICATORI DI RISCHIO. 206 Di Balsio P., Acquistapace V. (2002), p. 59;
esistenziali e relazionali” che si dimostrano pericolose per i figli, ci troviamo in una situazione familiare definibile “ad alto rischio”.
Come strategia di intervento dovremo combinare gli interventi di controllo, volti alla protezione dei minori, di aiuto alla famiglia, per il potenziamento delle sue risorse, e di monitoraggio della situazione. Ci troveremo a lavorare in “situazioni che non si sviluppano pienamente all'interno di un rapporto di fiducia”, con famiglie che non richiedono esplicitamente aiuto, con “l'obiettivo di divenire autonomi dai servizi non sempre perseguito”; occorrerà vigilare, cogliere “eventuali segnali di violenza”, fare “attenzione agli indicatori” di rischio, non fermarsi alle “apparenti normalizzazioni delle situazioni” ma approfondire con l'intento di intervenire prontamente, per “proteggere e tutelare i componenti più deboli del nucleo”.207
Infine nelle famiglie dove sono del tutto assenti dei fattori protettivi o risultano così ridotti da non riuscire ad incidere in positivo su quelli di rischio e della loro amplificazione, in cui i segni della violenza sono evidenti, immediate dovranno essere le azioni di tutela e protezione dei minori, interventi capaci di vicariare e riparare le carenze da questi subite, azioni comprendenti prescrizioni rivolte ai genitori, con l'ulteriore intento di cercare di responsabilizzarli.
Misure protettive che contemplano la possibilità di un allontanamento del bambino, famiglie che andranno supportate psicologicamente e attentamente valutate, per capirne la suscettibilità al cambiamento, per comprendere se il recupero di una relazione soddisfacente sia una meta possibile e stabilire se la famiglia possiede delle risorse, sulle quali far leva, per ripristinare rapporti adeguati di accudimento al suo interno.
Al nucleo, mentre viene valutato, verrà data una scelta, una
opportunità di ricevere aiuto per cercare di comprendere le cause del proprio disagio, la possibilità di capire la dinamica e la processualità violenta; interventi psicologici e sociali idonei a scalfire le dinamiche distruttive, se la famiglia si rende disponibile ed accetta la necessità del cambiamento.208
In queste situazioni non solo andrà salvaguardato il “diritto del bambino ad essere aiutato” individualmente, sia tutelato fisicamente, attraverso misure protettive concrete, che supportato psicologicamente, essenziale sarà seguirlo “anche sul piano dei rapporti con la propria famiglia di origine”; “la natura e le caratteristiche dei legami familiari” andranno “chiariti”, i sentimenti e le percezioni che il bambino nutre verso i suoi genitori svelati, la dinamica della violenza e degli abusi compresa per evitare che il bambino si renda ulteriormente vittima di ingiustificate colpevolizzazioni, sentimenti di autodenigrazione, ambivalenza e rabbia.209
Controllo ed aiuto combinati per comprendere il prima possibile le intenzioni di cambiamento della famiglia, valutarla dal punto di vista di una recuperabilità delle proprie responsabilità genitoriali, supportandola al fine di un ricongiungimento con i propri figli o al contrario, emersa l'impossibilità di ristabilire dei rapporti solidi, accompagnare i bambini nel percorso di inserimento in una famiglia sostitutiva.
Questi interventi hanno come fondamento la possibilità di superare modalità di azione altalenanti tra la necessità di scegliere tra la tutela del minore ed il diritto dei genitori di occuparsi dei propri figli; ragionare per interessi contrapposti fa correre il rischio di fermarsi, nel
208 Cirillo S., Di Blasio P. (1989); Cirillo S. (2005).
caso ci si schieri dalla parte dei figli, alle misure protettive messe in moto per bloccare i rischi da questi sofferti, senza prevedere un progetto a lungo termine, causando maltrattamenti istituzionali, come un allontanamento prolungato fine a se stesso, non apportando nessun cambiamento nelle modalità relazionali, rilevate disfunzionali, del nucleo; all'opposto, difendere una assoluta autonomia della famiglia nelle scelte educative, esclude a priori qualsiasi possibilità di aiutare non solo il minore, proteggendolo ed intervenendo nei casi di inadeguatezza e nelle condizioni di pregiudizio, ma escluderebbe anche per la famiglia la possibilità, tramite l'intervento dei servizi e dell'autorità giudiziaria, di ricevere sostegno ed attenzioni, un'occasione per cambiare.210
Privilegiare e prevedere azioni isolate di tutela dei minori, non guardando al futuro ed alla tutela complessiva, porta a segmentare e rendere inefficace la loro protezione; viceversa quello che occorre, come suggerisce D. Ghezzi,211 è un “pensiero progettuale sulla
famiglia naturale”, scaturito da un'attenta e meticolosa valutazione delle loro capacità e dalla constatazione delle risorse sociali disponibili, ritenute in grado di favorire ed incentivare la loro volontà di migliorarsi.
L'impasse della necessità di esercitare, simultaneamente, funzioni e compiti così differenti, può essere superata, per D. Guidi e D. Valerio Sessa,212 con la capacità di sentirsi “alleati del bambino”, consentendo 210 Come sostiene E. Caffo “l'approccio al problema dell'infanzia abusata è stato contrassegnato,
per lungo tempo, da un'ottica punitiva, repressiva e semplificatoria” inserita nella “polarità lineare colpevole/vittima”, dove la scelta dell'operatore consisteva nello schierarsi con il minore, attivando interventi punitivi verso i genitori ed azioni di tutela o con la famiglia, aiutandola ma rigettando così i problemi del bambino.
In Crivillé A., Dellavalle M. (1995), p. 8. 211 Ghezzi D., Vadilonga F. (1996), pp. 139-140.
212 Le autrici nello specifico affrontano il tema della presenza dell'aiuto e del controllo e della necessità di tutelare i minori riguardo all'istituto dell'adozione; suggeriscono l'alleanza con il bambino per comprendere, nel corso delle procedure di idoneità, di abbinamento ed
inserimento nella famiglia adottiva, il doppio ruolo degli operatori di sostegno e vigilanza, compiti intrapresi a protezione del diritto del minore ad una famiglia.
così agli operatori di “vigilare, come richiede l'istituzione”, ed “aiutare la genitorialità, come è utile alla coppia” ed ai figli; costruendo una relazione positiva volta alla presa in carico del nucleo nella sua relazione con il bambino.
Seguendo l'operato di S. Cirillo e M.V. Cipolloni,213 occorre dunque
integrare le istanze di tutela dei figli con quelle di supporto e terapia volte ad aiutare le famiglie in difficoltà, nella consapevolezza che “il benessere del minore comprende necessariamente il ristabilirsi, se possibile, di un buon rapporto con il suo nucleo di origine”; “l'interesse del minore non può essere circoscritto indipendentemente dal mantenimento di un legame” con i propri genitori, fondamentale sarà la difesa prioritaria di tale possibilità e la necessità di una analisi preventiva della effettiva realizzazione del progetto di recupero della famiglia. Il “rispetto delle capacità residue, anche minime”, dei genitori andrà sempre garantito, fuggendo da un possibile “abuso delle funzioni di controllo sociale” spettanti ai servizi, nella consapevolezza che tra i “primari diritti del bambino” rientra proprio la “persistenza del rapporto affettivo” con la propria famiglia.
L'incontro degli interessi, dei figli e delle loro famiglie, e delle funzioni degli operatori, l'aiuto ed il controllo, è possibile, secondo M. Dellavalle,214 se ragioniamo sul fatto che supportare il genitore altro
non è che un modo per tutelare i minori, “porre dei limiti” alle famiglie, “a protezione dei bambini”, deve essere considerata come una “opportunità strutturante per i genitori”.
M.T. Pedrocco Biancardi sottolinea come “una corretta impostazione di progetti di prevenzione del disagio minorile non può trascurare il
In Ghezzi D., Vadilonga F. (1996), p. 164. 213 Cirillo S., Cipolloni M.V. (1994), pp.144-145.
214 M. Dellavalle dedica l'intero capitolo di presentazione all'edizione italiana dell'opera di A. Crivillé al tema dei maltrattamenti minorili ed ai conseguenti interventi, lavoro intitolato “Minori da tutelare, genitori da aiutare. L'intervento sociale nel contesto italiano”. Crivillé A., Dellavalle M. (1995), pp. 37-38.
disagio della famiglia e assumerlo in termini di sostegno e terapia, quando i fatti manifestano, soprattutto attraverso le sintomatologie dei figli, una sua incapacità-impossibilità di garantire alla prole quei fattori di protezione senza i quali la sua evoluzione è inevitabilmente compromessa.”215
Il “mondo familiare”, ma più in generale il “mondo degli adulti”, per l'autrice resta il contesto principale in cui si elaborano e costruiscono al contempo i “fattori protettivi e di rischio dello sviluppo complessivo dei bambini”; agire in termini di prevenzione primaria comporterà l'attenzione all'individuazione precoce delle situazioni di rischio ed il loro sostegno preventivo, per “evitare che si costruiscano sistemi relazionali esposti al pericolo di creare disagio” nei figli.216
Diviene impossibile e rischioso pensare di poter aiutare i minori escludendo dal progetto la famiglia, un “sostegno adeguato dato ai genitori in difficoltà”, all'insorgere o all'acuirsi delle problematiche di relazione, costituisce una “efficace forma di prevenzione del danno del bambino”.217
Controllo ed aiuto dei servizi da combinarsi ed attivarsi tempestivamente, interventi di contenimento e sostegno progettati ai fini della prevenzione dei maltrattamenti infantili, nei vari momenti evolutivi del fenomeno; ossia in ambito di prevenzione primaria, azione rivolta ad impedire che le modalità di interazione all'interno della famiglia siano tali da creare pericoli o rischi per i figli; nella prevenzione secondaria, riguardo all'identificazione dei casi di abuso ed alla presa in carico precoce di questi, con la possibilità di attuare interventi protettivi celeri ed efficaci; nei confronti della possibilità di interrompere il ciclo ripetitivo della violenza, attraverso interventi
215 Pedrocco Biancardi M.T. (2002), p. 19. 216 Pedrocco Biancardi M.T. (2002), pp. 21-22. 217 Cirillo S., Cipolloni M.V. (1994), p. 161.
terapeutici rivolti alla vittima ed al sistema abusante, definiti prevenzione terziaria; strategia ampia e composita di prevenzione avente lo scopo di ridurre le cause fondamentali ed i fattori di rischio ritenuti terreno fertile per gli abusi ed al contempo idonea a rafforzare i fattori di protezione, ostacolo per i nuovi casi di maltrattamento. La “prima forma di tutela” attuata nei confronti “dei minori” prevede e si concretizza in “interventi a sostegno della famiglia”, per il suo prioritario diritto a mantenere rapporti con il proprio nucleo, ma qualora si prenda atto del fallimento degli aiuti, che le risorse della famiglia originaria, anche se supportate, sono rimaste insufficienti a garantire il diritto del minore ad essere figlio, andrà garantito e tutelato il suo “diritto ad una famiglia”; al minore vengono riconosciuti bisogni fondamentali, la cui soddisfazione gli va assicurata in ogni caso, necessità di cui i familiari sono i garanti principali, ma non gli attori scontati.218
L'importanza del ruolo e della presenza della famiglia, ai fini del benessere del minore, sono ampiamente riconosciute e considerate dalla normativa sull'affidamento e sulle adozioni, che prevede per il giudice la possibilità, qualora, nel corso della procedura per la declaratoria dello stato di adottabilità, il nucleo di origine dia segnali di recupero delle proprie capacità educative, di sospendere il procedimento ed impartire prescrizioni ai genitori, idonee a garantire alla prole l'assistenza e le attenzioni necessarie, incaricando i servizi sociali di effettuare controlli periodici sulla loro ottemperanza.219
Aiuto e controllo presenti nell'intero percorso, sia riguardo alle famiglie rilevate in condizioni di rischio per il benessere dei minori, con la contemporanea attuazione di misure protettive verso i figli, comprensive di un loro possibile allontanamento temporaneo, che
218 Ghezzi D., Vadilonga F. (1996), pp.149-150. 219 Giannino P., Avallone P. (2000).
interventi a loro sostegno, sia nei confronti dei nuclei chiamati ad affiancare, per un periodo determinato, o a sostituirsi, nei casi di riscontrato abbandono, alla coppia genitoriale; necessità di sostegno all'intera famiglia e compiti di tutela del minore presenti dunque anche nel rapporto degli operatori con le famiglie affidatarie ed adottive in cui il bambino verrà inserito.
Le coppie che si candidano come affidatarie o che fanno richiesta di adozione verranno attentamente valutate dai servizi che si esprimeranno sulla loro effettiva idoneità, non solo le loro capacità educative e la loro disponibilità alle esigenze dei bambini, il loro ambiente e lo stile di vita sarà indagato, ma verranno anche affrontate le motivazioni che li hanno spinti ed indirizzati, la loro maturità e consapevolezza nella scelta; questo per garantire la sicurezza del minore, già vittima di esperienze passate per lui traumatiche, che non può correre il rischio nel nuovo nucleo di essere sottoposto ad ulteriori e nuove sofferenze.
Selezione degli aspiranti che non si limita alla valutazione della idoneità ma che prevede un percorso di preparazione specifico, un accompagnamento ed un sostegno per le nuove famiglie formatesi, sia prima della sua creazione, con il compito dei servizi di fornire alla collettività le informazioni necessarie sull'adozione e sulle altre forme di solidarietà, sia nella ricerca futura di nuovi equilibri, con un supporto riguardo le problematiche quotidiane od un intervento tempestivo nei possibili momenti critici che si manifesteranno.
La duplice funzione degli interventi dei servizi, il controllo e l'aiuto, può essere ben compresa nella situazione in cui le difficoltà della famiglia rendono necessario che il minore ne venga momentaneamente allontanato, per una sua adeguata protezione, ed inserito in una famiglia affidataria; in tal caso la collocazione del
minore ne consentirà la sua tutela, mentre con il nucleo di origine si avvierà una collaborazione con gli operatori ed un sostegno finalizzato al superamento delle problematiche ed alla riconquista di una ritrovata autonomia; supporto garantito tramite interventi terapeutici e misure di aiuto, come inserimenti lavorativi, sostegni economici o domiciliari, con la contemporanea vigilanza dell'osservanza delle prescrizioni impartite ed il controllo sui reali cambiamenti apportati. In interventi così complessi, dove funzioni e compiti si integrano, prioritario sarà come suggerisce D. Ghezzi,220 definire e determinare le
varie competenze, per evitare sovrapposizioni, duplicazioni o all'opposto lacune o perdite; i referenti della famiglia naturale e del minore non dovrebbero essere gli stessi che lavorano con la famiglia affidataria, per evitare di sottoporre loro a “contraddizioni di identificazione non gestibili a livello interno ed operativo”, dovute al fatto di operare con due nuclei in “relazione dialettica”, rendendo il progetto dell'affido faticoso da gestire a scapito del minore.
Accettare questa doppia funzione ed attuare interventi di controllo per gli operatori non è sempre un procedimento semplice, paure frenano o rimandano la segnalazione alle autorità competenti delle situazioni di rischio, il timore di sospetti infondati, di perdere la fiducia degli utenti, di poter con l'intervento creare ulteriori disagi ai minori rende difficili le decisioni, come la scelta e la tempestività delle azioni. Fondamentale è per gli attori socio-sanitari poter contare su degli strumenti adeguati di rilevazione e di intervento, capaci di indirizzare e rendere meno incerto il cammino; prioritaria sarà una formazione adeguata e costante nel tema della tutela minorile, i professionisti dovranno essere dotati di competenze culturali e tecniche nel campo dell'età evolutiva, delle dinamiche individuali e familiari e nelle
peculiarità degli abusi. Solo attraverso la collaborazione dei vari soggetti coinvolti ed una reciproca comprensione dei vari settori di appartenenza si rendono praticabili e produttivi, ai fini della tutela, gli