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LA NOMOFILACHIA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

II.2. La funzione nomofilattica alla luce delle moderne teorie esegetiche.

Da quanto sopra, emerge che l’art. 65 r.d. sull’ordinamento giudiziario è legato a una nozione formale di interpretazione, tipica dell’orientamento riconducibile alla versione classica del positivismo giuridico, definito “formalismo interpretativo”41.

39 Taruffo, La Corte di cassazione, cit., p. 360 e sub nota 30. 40 Così Taruffo, La Corte di cassazione, cit., p. 361.

27 Secondo la teoria formale dell’interpretazione, ogni norma ha un significato intrinseco, implicito e oggettivamente dato, che il giudice ha il compito di “scoprire” e rendere esplicito attraverso il metodo logico-deduttivo. Il giudice, quindi, “dichiara il diritto” e non lo crea; procede logicamente senza compiere scelte discrezionali, applicando deduttivamente la norma al fatto. Tale teoria ritiene, inoltre, che ogni testo normativo ammetta una, ed una sola, interpretazione vera ed esatta, che deve essere affermata scartando le interpretazioni sbagliate, non vere.

Ora, se possiamo considerare pacifica la volontà del legislatore del ’41 di codificare la dottrina logico formalistica, è anche vero che questa dottrina da tempo non è più condivisa, tanto che Bobbio, già alla fine degli anni ’50, così si esprime: «Che le operazioni compiute dal giudice per interpretare il diritto siano esclusivamente operazioni logiche, nel senso stretto della parola, cioè siano operazioni di deduzione di certe conclusioni da certe premesse […] non lo crede davvero più nessuno. I giuristi e i filosofi del diritto sono diventati sempre più attenti alla presenza, palese o nascosta, consapevole o inconsapevole, dei giudizi di valore.»42

Le teorie dell’interpretazione oggi dominanti respingono i postulati del formalismo interpretativo e, in particolare, l’idea per cui dato un enunciato normativo ne esisterebbe un significato oggettivo, che attende solo di essere trovato e dichiarato dall’interprete. Al contrario, si ritiene che l’interpretazione sia un’attività creativa del diritto per cui il giudice, quando interpreta la norma

42 Bobbio, Sul formalismo giuridico, in Riv. ital. di dir. e proc. penale 1958, p. 977 ss., spec. p.

28 per applicarla al caso concreto, non ne individua un significato preesistente, ma lo determina discrezionalmente in funzione della decisione.

Alla luce di queste nuove concezioni sull’interpretazione, il fondamento teorico dell’art. 65 appare quanto mai discutibile. Si pone, quindi, la necessità di una rilettura delle funzioni delineate dall’art. 65 che mantenga i caratteri essenziali della Cassazione e i valori positivi che ad essa si ricollegano, ma che sia anche coerente con le moderne teorie esegetiche.

La dottrina è concorde nel ritenere che, alla luce delle recenti teorie ermeneutiche, la funzione nomofilattica non consiste nell’assicurare l’esattezza formale dell’interpretazione, perché ciò comporterebbe la difesa di un’interpretazione formale della legge, ma consiste nello stabilire qual è l’interpretazione giusta della norma sulla base delle direttive e delle scelte più corrette. La nomofilachia così intesa non si riferisce a criteri specifici e predeterminati di giustizia materiale o a criteri equitativi, ma è, al contrario, scelta dell’interpretazione sorretta dalle migliori ragioni siano esse logiche, sistematiche o valutative43. Divergenze tra gli studiosi si ravvisano, piuttosto, allorché si intende precisare come dovrebbe esplicarsi in concreto la funzione di legittimità della Corte suprema.

Secondo Taruffo, la scelta della soluzione interpretativa più giusta deve avvenire sulla base di criteri generali di interpretazione, piuttosto che in

43 Così Taruffo, La Corte di cassazione, cit., p. 376; nello stesso senso, ad esempio, Silvestri

E. Corti supreme europee: accesso, filtri e selezione, Atti del convegno su “Le Corti Supreme” Perugia 5-6 maggio 2000, a cura del Centro Studi giuridici e politici della Regione umbra e del Centro internazionale magistrati “Luigi Severini”, Milano 2001, p.105 ss., spec. pp. 112, 113; Borrè, Il giudizio di cassazione nel sistema delle impugnazioni: un primo tentativo di

sintesi, in Il giudizio di cassazione nel sistema delle impugnazioni, a cura di Mannuzzu e

Sestini, in Democrazia e diritto, suppl. n.1, 1992, p. 159 ss., spec. p. 160-163; Bin, Funzione

uniformatrice della Cassazione e valore del precedente giudiziario, in Contratto e impresa

29 relazione alle peculiarità del caso concreto, ciò per consentire di utilizzare la medesima interpretazione ai casi analoghi e di assicurare, in tal modo, l’uniforme interpretazione della legge. Con riferimento alle pronunce della Cassazione osserva, infatti, l’Autore che: «più queste si fondano sull’enunciazione di principi interpretativi a significato ampio e proiettati verso il futuro, più sono destinate ad operare come guida autorevole ed uniforme per la giurisprudenza successiva.»44

La nomofilachia viene così a coincidere con la difesa dello ius constitutionis, mentre la tutela della legalità nel singolo caso, lo ius litigatoris, è considerata un effetto secondario della funzione nomofilattica; «l’interpretazione della legge compiuta in quel caso rappresenta un esempio dell’interpretazione ritenuta valida in generale, e quindi destinata ad operare anche in altri casi.»45 L’Autore osserva che nella prassi la Cassazione privilegia la giustizia del caso concreto, sull’individuazione della corretta interpretazione della norma in termini generali. In sostanza, il controllo della Corte verte principalmente sul punto della qualificazione giuridica del fatto, piuttosto che sull’interpretazione della norma sottoposta al suo esame. Un sintomo di questa tendenza è la lettura sostanzialistica del termine «sentenze», contenuto nell’art. 111, 2° comma, Cost., (ora 7° comma), per cui la Corte interpreta la garanzia del controllo di legittimità come un diritto individuale esistente in capo ad ogni soggetto titolare di un diritto soggettivo su cui abbia inciso un provvedimento giurisdizionale, quale che sia la forma adottata. Nella stessa direzione operano altri fattori, quali la propensione delle parti a ricercare in Cassazione una

44 Taruffo, La Corte di cassazione tra legittimità e merito, in Foro it. 1988,V, p. 237 ss., spec.

p. 239.

30 vittoria non conseguita nei gradi di merito, piuttosto che l’esatta interpretazione della legge, e l’incapacità della stessa Corte di privilegiare le questioni di maggior importanza e di elaborare organiche politiche dell’interpretazione delle norme più oscure.

Taruffo ravvisa nella tendenza della Cassazione a decidere il caso concreto, un elemento di riduzione di efficacia della funzione di legittimità; ciò in quanto egli ritiene che la Corte, quando giudica avendo di mira la giusta soluzione del singolo caso, utilizza criteri individualizzanti, volti a trarre dalla norma ciò che serve a risolvere la specifica questione, piuttosto che criteri generalizzanti, che riconducono il caso entro un’interpretazione assunta come valida in linea generale, con la conseguenza di rendere la ratio decidendi reale troppo specifica e non idonea, quindi, ad essere estesa ad altri casi.

Nell’idea dell’Autore, dunque, la Corte adotta un modello di decisione che è molto più vicino a quello del giudice di merito che non a quello del giudice di legittimità, per cui l’esatta osservanza della legge viene intesa non come elaborazione di corrette interpretazioni della norma, ma come eliminazione degli errori compiuti dal giudice della sentenza impugnata, mentre l’uniforme interpretazione diviene un valore sicuramente secondario, in realtà non attuato46.

L’analisi di Taruffo è oggetto di critiche in dottrina; al riguardo, particolarmente interessanti sono le osservazioni svolte da Chiarloni.

Chiarloni contesta la contrapposizione, prospettata da Taruffo, tra il controllo di legalità del singolo caso e l’attuazione del compito di nomofilachia,

31 attraverso l’elaborazione di corrette interpretazioni delle norme sottoposte all’esame della Corte, poiché la risoluzione dei problemi di qualificazione e sussunzione è parte fondamentale di una completa esplicazione della nomofilachia. Osserva, invero, l’Autore, che i giudici di Cassazione si trovano in una posizione ben diversa da quella del legislatore chiamato a compiti di interpretazione autentica delle norme. Il legislatore deve, infatti, risolvere i dubbi interpretativi che nascono in relazione alle norme astrattamente considerate, tuttavia, non è in grado di far fronte agli innumerevoli dubbi che derivano dall’applicazione della norma alla fattispecie concreta; qui soccorre, necessariamente, la funzione concretizzatrice della giurisprudenza di legittimità, che risolve i problemi di sussunzione.

Si intende, quindi, perché Chiarloni, in aperto contrasto con Taruffo, ritenga che la ratio decidendi della pronuncia di legittimità debba essere specifica e modellarsi sul caso di specie: solo così la Corte può controllare la correttezza dell’applicazione della norma, compiuta dal giudice di merito, ai fatti rilevanti posti a fondamento della decisione. Ciò non solo, la concretezza delle rationes decidendi è una condizione essenziale per l’assolvimento del compito di nomofilachia, sotto il profilo della precisa comunicazione ai destinatari degli orientamenti della Cassazione. Sussistendo tale concretezza può, infatti, evitarsi l’incertezza derivante dai contrasti apparenti di giurisprudenza o, al contrario, l’illusione di una conformità dei precedenti che cela la realtà dei contrasti.

In definitiva, secondo Chiarloni la tesi di Taruffo deve essere rovesciata, poiché la realizzazione dell’uniforme interpretazione della legge esige,

32 necessariamente, il controllo di legalità del singolo caso attraverso l’attenta qualificazione dei fatti individuati dal giudice a quo47.

Nell’ambito della rilettura delle funzioni della Corte di cassazione delineate dall’art. 65 r.d. sull’ordinamento giudiziario, un ruolo significativo assumono le riflessioni sull’uniforme interpretazione della legge che la Corte attua dettando principi di diritto validi per l’avvenire.

Taruffo muove dall’osservazione che l’uniformità sincronica e diacronica dell’interpretazione della legge non possono coesistere in termini assoluti, come invece sembra emergere dall’art. 65, se non a costo di dar vita a un sistema impossibile da garantire e soprattutto inopportuno, «perché ciò significherebbe cristallizzare un’interpretazione, bloccando l’evoluzione del diritto e facendo della nomofilachia un’operazione formalistica invece che un’attività di creazione di interpretazioni “giuste”»48.

L’obiettivo è, dunque, quello di individuare il punto di equilibrio tra l’uniformità nell’interpretazione della legge e le variazioni che essa deve conoscere per continuare ad essere giusta.

Al riguardo, l’Autore osserva che l’uniformità sincronica dell’interpretazione, relativa, cioè, ad un ragionevole periodo di tempo, è indispensabile per

47 Chiarloni, La Cassazione, cit., pp. 989-996; l’analisi di Chiarloni è condivisa da Borrè, Il

giudizio di cassazione nel sistema delle impugnazioni, cit., pp.163-166. Secondo Borrè il

controllo della Cassazione sulla qualificazione giuridica del fatto non solo è compatibile con la funzione nomofilattica, ma è anche necessario per garantirne l’utile esercizio. Ciò in quanto, per fare “buoni precedenti” e quindi “buona nomofilachia” occorre stabilire quali fatti individualizzanti debbano essere sussunti, così da evitare precedenti che non possono funzionare come tali per la loro eccessiva specificità o che, al contrario, per non aver considerato la giusta quantità di elementi individualizzanti, occultano i contrasti giurisprudenziali. Nello stesso senso anche Pivetti, Quale Cassazione? Quale nomofilachia?, in Quest. Giust. 1991, p. 836 ss., spec. pp. 847-849, secondo cui nel giudizio di legittimità, come in ogni altro giudizio, la qualificazione giuridica del fatto rappresenta uno strumento indispensabile per modificare o rifiutare la soluzione interpretativa precedentemente adottata, poiché solo applicando tale interpretazione al caso concreto è possibile accertarne la validità.

33 realizzare la certezza del diritto e l’uguaglianza di trattamento secondo la legge.

Nello stesso senso si esprime Chiarloni, secondo cui una prassi sincronica di uniforme interpretazione del diritto vigente è un obiettivo apprezzabile poiché in tal modo si evita incertezza e disordine49.

Il discorso muta con riguardo all’uniformità diacronica, che si realizza nel lungo periodo. Rispetto a questa si pone il problema della variazione necessaria poiché «se la Cassazione deve essere un organo di giustizia, invece che il luogo ove si producono interpretazioni formalistiche di una legge […], occorre che l’uniformità diacronica sia fortemente relativizzata e possa venir meno quando variazioni anche rilevanti nell’interpretazione di una norma siano necessarie»50.

Il punto di equilibrio tra l’uniformità diacronica e la variazione necessaria si individua nella c.d. “variazione giustificata”, nel senso che la Cassazione dovrebbe mantenere l’uniforme interpretazione di una norma fino a quando non si verificano ragioni tali da giustificare l’adozione di un’interpretazione diversa.

II.3. I valori sottesi alla funzione nomofilattica e la questione dei

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