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L’ARTICOLO 111, 7° COMMA, DELLA COSTITUZIONE

I.2. L’applicazione diretta dell’art 111, 7° comma, Cost.

Sin dai primi anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la giurisprudenza costante della Corte suprema, sforzandosi di colmare il vuoto determinato dal lungo ritardo nell’entrata in funzione della Corte costituzionale, attribuisce all’art. 111, 7° comma, Cost. natura di norma precettiva ad esecuzione immediata4, in quanto norma processuale direttamente applicabile ai giudizi in corso5. Cosicché, la Corte, ancor prima dell’entrata in funzione della Consulta (nel 1956), utilizza la norma costituzionale de qua per dichiarare l’abrogazione, ex art. 15 preleggi6, delle disposizioni di legge ordinaria o speciale con essa incompatibili, e quindi delle norme che dichiarano alcune sentenze «non impugnabili», o escludono esplicitamente il ricorso per Cassazione, ovvero lo prevedono per motivi più limitati rispetto alla «violazione di legge»; laddove con l’inciso «violazione di legge» ex art. 111, 7° comma, Cost., la Corte intende, fino al revirement del 1992, qualunque

4 Queste le prime sentenze di una serie ininterrotta: Cass., Sez. Un., pen. 5 novembre 1949 n.

61, in Riv. pen. 1950, II, p. 172 ss.; Cass. Sez. Un., civ., 9 aprile 1949 n. 838, in Giur. comp.

Cass. civ. 1949, I, p. 225.

5 Favara, Precettività delle norme costituzionali, in Giur. it. 1950, I, 1, p. 701ss., spec. p. 703. 6 L’ art. 15 disp. prel. cod. civ., rubricato Abrogazione delle leggi, prevede che «Le leggi non

sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.»

65 motivo dell’art. 360 c.p.c. ivi compreso il vizio (logico) di motivazione di cui al numero 57.

È ampia la casistica delle leggi ordinarie anteriori alla Costituzione abrogate per incompatibilità con l’art. 111, 7° comma, Cost., che impone il ricorso in cassazione contro tutte le sentenze.

A titolo esemplificativo si può richiamare l’avvenuta abrogazione dell’art. 618 c.p.c. nella parte in cui prevede che l’opposizione agli atti esecutivi sia decisa con sentenza «non impugnabile»8.

Il medesimo effetto abrogativo si è prodotto in relazione all’art. 32 del r.d.l. 16 settembre 1926, n.1606, secondo il quale le decisioni del collegio arbitrale per le espropriazioni in favore dell’opera nazionale combattenti non sono suscettibili di gravame né in via amministrativa né in via giudiziaria9.

Come accennato, l’art. 111, 7° comma, Cost. è intervenuto ad abrogare anche quelle norme che limitano il ricorso in cassazione solo ad alcuni motivi. Si può qui accennare alle decisioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche. L’art. 201 T.U. acque pubbliche prevede che quando il Tribunale superiore delle acque pubbliche decide quale giudice in unico grado in sede di legittimità, per competenza diretta su determinate materie, il ricorso in

7Cfr., ex plurimis, Cass. 3 aprile 1979 n. 1919, in Giur. it. 1980, I, 1,p. 936; Cass. Sez. Un. 17

febbraio 1960 n. 260, in Giust. civ. 1960, I, p. 709; Cass. 8 ottobre 1953 n. 3205, in Foro

it.1954, I, p. 1130. Come si approfondirà, infra, cap. II, paragrafi II.3., II.4., con il grand arrêt

n. 5888 del 16 maggio 1992, le Sezioni Unite mutano orientamento ed escludono dal ricorso ex art. 111, 7° comma, Cost. il sindacato sul vizio logico di motivazione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Sul punto è poi intervenuto il d.lgs. n. 40 del 2006 che ha esteso al ricorso ex art. 111, 7° comma, Cost. tutti i motivi di impugnazione di cui all’art. 360, 1° comma, c.p.c. In ultimo, tuttavia, la l. 134 del 2012 ha modificato l’art. 360, 1° comma, n. 5 , c.p.c. eliminando dai motivi di impugnazione il vizio logico di motivazione.

8 Queste le prime pronunce di una giurisprudenza di legittimità costante: Cass. 9 settembre

1953 n. 3005, in Foro it. 1954, I, p. 59 ss.; Cass. 29 febbraio 1952 n. 558, in Foro it. 1952, I, 1, p. 1039 ss.

66 cassazione è limitato ai vizi di incompetenza ed eccesso di potere. Pertanto, la Corte suprema ha ritenuto che, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’art. 201 cit. fosse stato abrogato nella parte in cui limita l’ambito del controllo di legittimità e quindi che le sentenze ivi previste fossero impugnabili in Cassazione per violazione di legge (cioè, per tutti i motivi dell’art. 360, 1° comma c.p.c.)10.

Con l’entrata in funzione della Corte costituzionale ci si aspetta che – avendo questa, con le sue prime sentenze, affermata la propria competenza a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi, senza distinzione tra quelle anteriori e quelle posteriori alla Costituzione11 – le venga deferito il giudizio sulla costituzionalità delle norme anteriori incompatibili con l’art. 111, 7° comma, Cost.

Così non è, poiché in primo luogo non sono mai stati sollevati sospetti di incostituzionalità sulle leggi già abrogate.

Il fenomeno può trovare una spiegazione nel fatto che, come osserva Bianchi d’Espinosa, «le parti hanno comunemente accettato l’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi specialmente fra il 1953 e il 1956, e danno per scontata l’avvenuta abrogazione, in virtù dell’art. 111, delle norme che vietano o limitano la proponibilità del ricorso per cassazione; onde il resistente non invoca la norma limitativa ( ed a tale eccezione il ricorrente dovrebbe reagire sollevando l’eccezione di illegittimità costituzionale), o si limita, tutt’al più, nei casi dubbi, a contestare il carattere decisorio di quel determinato provvedimento… Questa [la Corte suprema] potrebbe, è vero, deferire la

10 Tra le prime, Cass. 14 agosto 1951 n. 2518 e Cass. 13 luglio 1951 n. 1948, entrambe in Foro

it. 1952, I, pp. 448, 449.

67 questione alla Corte costituzionale anche d’ufficio; ma a tale iniziativa costituisce evidente remora la più che naturale tendenza di ogni giudice a ritenere la propria competenza la più ampia possibile»12.

In secondo luogo, la stessa Consulta, nonostante la dichiarazione di intenti, non esita a lasciare ampio spazio alla Corte di cassazione, che continua a ritenere ammissibile il ricorso in cassazione, e perciò a ritenere abrogate in virtù dell’art. 111, 7° comma, Cost., quelle norme che escludono tale mezzo di impugnazione contro determinate sentenze.

Considerando che quelle disposizioni abrogate non hanno più ricevuto applicazione e che la giurisprudenza di legittimità ben presto si consolida nel senso della loro avvenuta abrogazione, si è a buon diritto affermato13 che le pronunce della Cassazione, sulle norme anteriori alla Costituzione incompatibili con l’art. 111, 7° comma, Cost., hanno prodotto effetti non dissimili da quelli di una dichiarazione di incostituzionalità ovvero l’eliminazione tout court della norma dall’ordinamento, non nel senso della sua definitiva rimozione, ma almeno nel senso della sua definitiva inapplicabilità. Lo scenario non muta se si guarda alle norme di legge successive all’entrata in vigore della Carta fondamentale e in contrasto con il precetto costituzionale che prevede il ricorso in cassazione per violazione di legge contro tutte le sentenze. Sebbene l’art. 111, 7° comma, Cost nel suo significato letterale sia certamente parametro di legittimità costituzionale, ad oggi non vi è stata alcuna dichiarazione di incostituzionalità della legge ordinaria per contrasto con tale disposizione.

12 Bianchi d’Espinosa, La costituzione e il ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc. 1962, p.

205ss., spec. pp. 233, 234.

68 Analogamente a quanto osservato in relazione alle leggi preesistenti alla Costituzione, è stata la Corte di cassazione a risolvere i contrasti, verificando la compatibilità con il precetto costituzionale delle norme ordinarie e disapplicando la norma illegittima per sostituirla con quella diversa di rango costituzionale14.

Si tratta comunque di una casistica scarsa poiché come osserva Tiscini: «una volta entrata in vigore la Costituzione, il legislatore ordinario ha prestato la massima attenzione nel garantire almeno un controllo (anche di sola legittimità) avverso le sentenze …»15.

Questi, gli effetti prodotti dalla giurisprudenza della Cassazione che attribuisce immediata precettività all’art. 111, 7° comma, Cost. nel suo significato letterale.

I.3. L’interpretazione estensiva dell’art. 111, 7° comma, Cost.: a) la sentenza soggetta a ricorso nell’elaborazione dottrinale.

L’art. 111, 7° comma, Cost., come si dirà nel proseguo, è oggetto di un’interpretazione estensiva della Corte di cassazione che prende il via con il grand arrêt delle Sezioni Unite n. 2593/1953 e che conduce all’elaborazione della nozione di sentenza in senso sostanziale e del ricorso straordinario, per cui ricorribili in cassazione non sono solo i provvedimenti che hanno la forma

14 Tra le ipotesi di applicazione dell’art. 111, 7° comma, Cost. a leggi sopravvenute: Cass. 9

febbraio 1962 n. 271, in Giust. civ. 1962, I, p. 435ss. e Cass. 29 settembre 1960 n. 2520, in

Mass. Giust. civ. 1960, pp. 947, 948. In entrambi i casi la Corte ammette il ricorso in

cassazione, ai sensi dell’art. 111, avverso le sentenze non appellabili del conciliatore, in relazione alle quali l’art 360 c.p.c. (riformato dall’art. 42 della legge 14 luglio 1950, n.581) escludeva tale ricorso.

69 di sentenza, ma anche quei provvedimenti con forma diversa, aventi contenuto decisorio e non altrimenti impugnabili.

Al centro di questa interpretazione estensiva si colloca la nozione di «sentenza» di cui all’art. 111, 7° comma, Cost.; una nozione che era rimasta del tutto in ombra durante i lavori dell’Assemblea Costituente e che assumerà, invece, un ruolo preminente nell’interpretazione e applicazione della norma costituzionale.

La dottrina si occupa del significato da attribuire al termine «sentenza», nel testo dell’art. 111, 7° comma, Cost., sin dal primo apparire della norma.

La prima teorica della «sentenza in senso sostanziale», in relazione alla norma de qua, si deve a Bianchi d’Espinosa.

D’Espinosa è favorevole a un’interpretazione ampia del termine «sentenza», che privilegi il contenuto al nomen juris della pronuncia, e identifica la sentenza con il provvedimento terminativo del giudizio, in qualunque forma emanato (sentenza in senso sostanziale).

Alla luce di ciò, l’Autore ritiene ricorribili in cassazione, per violazione di legge, anche quei provvedimenti che definiti dal legislatore con altro nome (ordinanze, decreti) hanno, invece, contenuto sostanziale di sentenza, anche se la legge vigente li dichiari espressamente non impugnabili, o restringa l’impugnabilità per cassazione a motivi diversi16.

16 Bianchi d’Espinosa, L’art. 111 della Costituzione e le sentenze impugnabili con ricorso per

cassazione, in Foro pad. 1951, IV, p. 121ss., spec. pp. 123, 124. Negli scritti successivi al grand arrêt delle Sezioni Unite della cassazione n. 2593/1953, d’Espinosa definisce la

sentenza in senso sostanziale come il provvedimento che ha contenuto decisorio ed è tale da incidere in modo definitivo sui diritti delle parti, e argomenta più compiutamente le sue tesi a sostegno della nozione estesa di «sentenza» dell’art. 111, 7° comma, Cost.; ID., Ricorso per

cassazione a norma dell’art. 111, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1957, p. 1015 ss., spec. pp. 1028

70 A favore dell’interpretazione letterale del termine si esprime Garbagnati, il quale sostiene che, con la formula «sentenza», l’art. 111 non può aver voluto indicare qualcosa di diverso da ciò a cui si riferiscono gli artt. 131 e 132 c.p.c., ovvero i provvedimenti, ed essi soltanto, a cui la legge attribuisce la forma della sentenza e non quella dell’ordinanza o del decreto (sentenza in senso formale)17.

Con l’apertura della giurisprudenza di legittimità all’interpretazione lata, la dottrina si divide in due opposti schieramenti: i sostenitori della soluzione sostanziale, fatta propria dalla Corte di cassazione, e i sostenitori della tesi formale, legati al senso letterale del termine «sentenza».

Il dibattito dottrinale ha un avvio molto vivace; entrambe le tesi vengono motivate con alcuni dati obiettivi, che sono per lo più i medesimi seppure utilizzati per conclusioni di segno opposto.

Ciò è quanto avviene con riguardo all’analisi dei lavori preparatori.

In realtà, di divergenza tra la sostanza e la forma del provvedimento giurisdizionale si parlava già sotto la vigenza del codice di rito del 1865. La questione era stata affrontata dalla giurisprudenza, in relazione all’ipotesi (patologica) in cui tale divergenza era frutto di un errore giudiziario; si era enunciato il principio, tuttora pacifico in giurisprudenza, della «prevalenza della sostanza sulla forma», secondo cui il provvedimento giurisdizionale va individuato con riguardo al suo contenuto, e non alla forma che in concreto ha attribuito il giudice. Occorre quindi fare riferimento alla sostanza del provvedimento, sia per individuare il mezzo di impugnazione esperibile (o la sua revocabilità), sia per accertarne l’efficacia, nonché la capacità a passare in giudicato.

In dottrina tale teoria era stata propugnata, fra i primi, da Mortara in: Commentario del codice e

delle leggi di procedura civile, IV, Milano 1927, p. 326.

L’elaborazione per via interpretativa della nozione estesa di «sentenza» dell’art. 111, 7° comma, Cost. è stata influenzata dalla teoria della prevalenza della sostanza sulla forma, ma da essa si discosta poiché riguarda i casi in cui il superamento delle forme è frutto della voluntas

legis.

17Garbagnati, Ancora sull’impugnabilità dell’ordinanza, che decide in Camera di Consiglio

un’opposizione a decreto d’ingiunzione, in Foro pad. 1951, I, p. 229 ss., spec. pp. 230, 231.

Mette conto rilevare che successivamente Garbagnati muta opinione e aderisce all’interpretazione estensiva dell’art. 111: ID., Inammissibilità del ricorso per cassazione

contro un provvedimento del giudice di primo grado erroneamente emesso in forma di ordinanza, in Riv. dir.proc. 1967, p. 356 ss., spec. p. 357.

71 Dai fautori della tesi sostanziale si osserva che l’art. 102 (progetto Costituzione), corrispondente all’art. 111, ammetteva il ricorso per cassazione «contro le sentenze o le decisioni pronunziate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali»18; mettendo, così, in rilievo l’intenzione del legislatore di concedere il mezzo di impugnazione non contro le sentenze in senso formale, ma contro tutti i provvedimenti aventi contenuto decisorio, id est le decisioni. In linea con questa ricostruzione si giustifica la soppressione della parola «decisione», nel testo definitivo, con la tendenza a sintetizzare le norme costituzionali19.

Per i sostenitori della soluzione formalistica, al contrario, la formula «decisione» era stata introdotta, non già per consentire alla Cassazione l’esercizio della funzione nomofilattica sui provvedimenti diversi dalla sentenza, ma solo per evitare che l’espressione «decisione», utilizzata in alcuni testi legislativi per qualificare i provvedimenti di giudici speciali, impedisse l’esercizio di quella funzione20.

Allo stesso risultato si perviene nell’esegesi del testo dell’art. 111 Cost.

L’accostamento tra «le sentenze» e «i provvedimenti sulla libertà personale» è servito ai sostenitori della tesi formale per affermare che «proprio la considerazione dei provvedimenti, tout court, in tema di libertà personale sta a indicare che la forma della sentenza, se è irrilevante nello specifico tema della libertà personale dell’imputato, non lo è affatto nelle altre materie, in cui

18 Art. 102 del progetto della Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo costituzionale;

mio il corsivo.

19 Bianchi d’Espinosa, Ricorso per cassazione, cit., p. 1029; ID, La costituzione, cit., pp. 218,

219.

20 Andrioli, Incidenza della costituzione sulla materia fallimentare, in Banca borsa tit. cred.

72 presupposto del ricorso alla Cassazione per la violazione di legge è la forma di sentenza, impressa al provvedimento.»21

Il medesimo accostamento è utilizzato a sostegno della tesi sostanziale: il riferimento a un dato di sostanza, esplicito nell’inciso «provvedimenti sulla libertà personale», impone di leggere in chiave contenutistica anche l’espressione «sentenza»22.

Con il consolidarsi dell’interpretazione estensiva ad opera della giurisprudenza di legittimità, la comune trattazione dottrinale finisce per spostare l’attenzione dal precetto costituzionale alla copiosa applicazione giurisprudenziale dell’art. 111, 7° comma, Cost.23.

Peraltro, come si è osservato da più parti, le indagini condotte per sostenere o confutare gli indirizzi consolidati non producono alcuna influenza sulla giurisprudenza del Supremo collegio, che procede di forza propria24.

Ciò ha portato un’autorevole voce ad affermare che «mentre la dottrina disputava sulla nozione “formale” o “sostanziale” di sentenza – e correlativamente sull’abuso o sulla correttezza di utilizzazione dell’art. 111,

21 Andrioli, Incidenza della costituzione, cit., pp. 394, 395; così anche Garbagnati: Ancora

sull’impugnabilità dell’ordinanza, cit., pp. 229 – 232., nello stesso senso anche Vellani: Natura ed impugnabilità del decreto di liquidazione del compenso al custode (e agli ausiliari in genere), in Giur. it. 1955, I, 2, p. 461ss., spec. pp. 468, 469.

22 Mandrioli, La nozione di sentenza nell’art. 111 della costituzione, in Riv. dir. proc. 1966, p.

383ss., spec. pp. 391, 392.

23 Non manca, però, chi, ed è la dottrina più attenta, si concentra nel tentativo di dare al

precetto costituzionale un più saldo fondamento concettuale: Mandrioli, L’assorbimento

dell’azione civile di nullità e l’art 11l della Costituzione, Milano 1967, p. 36 ss; così anche

Cerino Canova, La garanzia costituzionale del giudicato civile (meditazioni sull’art. 111,

comma 2°), in Riv. dir. civ.1977, I, p. 395 ss., spec. p. 411 ss; Denti, Commento all’art. 111 Cost., cit., p. 20 ss.

24 Denti, Commento all’art. 111 Cost., cit., p. 15; così anche Perago, Il provvedimento

impugnabile, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da Proto

73 comma 2, nelle pronunce della Supr. Corte – questa accentuava il suo indirizzo con un’interpretazione sempre più elastica del precetto costituzionale.»25

A conclusione di questa breve disamina sul ruolo della dottrina nell’esegesi del 7° comma, dell’art. 111 della Costituzione si può osservare che, se da un lato, la teoria della sentenza in senso formale ha perso progressivamente vigore26, dall’altro lato, anche coloro che hanno accolto e condiviso l’apertura giurisprudenziale all’interpretazione sostanzialistica, o che addirittura vi hanno contribuito, pur conservando fede alla lettura estensiva del precetto costituzionale, non mancano di rilevarne le distorsioni e gli eccessi di cui la giurisprudenza di legittimità è artefice27.

I.4. Segue: b) la sentenza soggetta a ricorso nella giurisprudenza della

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