LA NOMOFILACHIA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
II.3. I valori sottesi alla funzione nomofilattica e la questione dei provvedimenti non ricorribili in cassazione.
La funzione di nomofilachia della Cassazione, intesa nel duplice senso di controllo posto a difesa del diritto oggettivo e di unificazione della giurisprudenza, si pone a presidio di principi fondamentali dell’ordinamento
49 Chiarloni, Efficacia del precedente giudiziario e tipologia dei contrasti di giurisprudenza, in
Riv. trim. dir. proc. civ. 1989, p. 120 ss., spec. p.146.
34 quali, la certezza del diritto e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Trattasi di principi che già Calamandrei, nella sua opera del 1920, aveva ricollegato al suo modello ideale di Corte suprema.
Il dovere funzionale della Corte di cassazione e dei giudici di merito di non distaccarsi dai precedenti della Corte se non per gravi e motivate ragioni è essenziale per assicurare la certezza del diritto, intesa come certezza di esso quale regola di condotta per chi intende compiere un determinato atto e vuole conoscere gli effetti giuridici che da esso scaturiscono51. Tale certezza, come è stato opportunamente osservato, ha risvolti positivi «non solo sul versante istituzionale per l’acquisizione di una maggior credibilità del servizio giustizia, ma anche sul versante socio-economico, perché una risposta giudiziaria improntata ad un alto tasso di alea determina in settori portanti dell’economia del paese effetti deleteri, disincentivando gli investimenti di capitale e ponendo seri ostacoli ad ogni iniziativa imprenditoriale.» 52
Alla funzione nomofilattica della Cassazione si ricollega, inoltre, la finalità di assicurare l’uguaglianza nell’amministrazione della giustizia; l’uniforme interpretazione della legge si traduce, infatti, nella garanzia di effettiva parità di trattamento per tutti coloro che si trovano nella medesima situazione o caso. In tale funzione si ravvisa, pertanto, «la proiezione dell’art. 3 Cost. quale garanzia
51 Gorla, Postilla su «l’uniforme interpretazione della legge e i tribunali supremi», in Foro it.
1976, V, p. 127 ss. L’Autore trae dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario l’esistenza di un “dovere funzionale”, e non meramente morale, della Corte di cassazione di realizzare il principio di uniforme interpretazione della legge, che è parte integrante dell’ordinamento perché da esso dipendono la certezza del diritto e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
52 Prestipino, Il nuovo ruolo delle sezioni unite, cit., p. 51; nello stesso senso Bin, Funzione
uniformatrice della Cassazione., cit., p. 548, secondo cui «specie nel campo dei rapporti
economici, vi è un crescente bisogno degli operatori di poter programmare, contare sulla sicurezza del quadro giuridico in cui si muovono le iniziative economiche e del “traffico giuridico”, di “minimizzare l’incertezza”.»
35 dell’uguaglianza dei cittadini (e non dei soli cittadini) di fronte alla legge, essendo tale uguaglianza offesa da sentenze, che, interpretando, in guisa diversa, le norme del diritto, impongono ai casi uguali assetti diversi…»53. Uno scopo, quindi, di carattere costituzionale che si realizza, in concreto, attribuendo alla persona del danneggiato la legittimazione ad agire in Cassazione per rimuovere l’ingiustizia subita e alla Corte la funzione di scegliere una tra le diverse possibili interpretazioni della stessa legge, destinata ad imporsi sulle altre per l’autorevolezza dell’organo da cui promana.
La particolare rilevanza dei valori di certezza del diritto e di uguaglianza, sottesi allo svolgimento della funzione nomofilattica della Corte, fa emergere la criticità di quei settori dell’ordinamento sottratti all’attività razionalizzatrice e unificatrice dei giudici di legittimità. A riguardo vengono in considerazione intere categorie di provvedimenti aventi forma diversa dalla sentenza per i quali, come si dirà compiutamente analizzando l’art. 111, 7° comma, Cost., è escluso il ricorso straordinario in cassazione in quanto non idonei a decidere o incidere su situazioni sostanziali soggettive con efficacia di giudicato e privi del carattere della definitività. In queste materie, tra cui spiccano quella cautelare, di volontaria giurisdizione e anticipatoria, si registrano le più diversificate posizioni da parte della giurisprudenza di merito (è il fenomeno della c.d. giurisprudenza a macchia di leopardo) con grave lesione dei principi di cui sopra.
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II.4. La funzione nomofilattica nelle recenti riforme legislative del giudizio di cassazione: il d.lgs. n. 40/2006, la legge n. 69/2009 e la legge n. 134/2012.
Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto, più volte, sulle norme che disciplinano il giudizio di cassazione allo scopo dichiarato di promuovere la funzione nomofilattica; ha inteso, quindi, rivalutare il ruolo esclusivo della Corte di cassazione nella tutela dello ius costitutionis, nella tutela, cioè, dell’interesse generale all’uniforme interpretazione e applicazione delle norme giuridiche.
Il primo intervento è stato realizzato con il d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, intitolato “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80” con il quale il legislatore delegato ha attuato la delega contenuta nella legge n. 80 del 2005, i cui principi e i criteri direttivi provenivano direttamente dal progetto Vaccarella elaborato dall’omonima Commissione di studio per la riforma del processo civile54. In particolare, la delega, conferita con l’articolo 1, 2° comma della legge 80/2005, al 3° comma ha incaricato il Governo di «disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica»; in tal modo, per la prima volta, si è inserito il termine nomofilachia in un testo legislativo.
La riforma attuata con il d.lgs. n. 40 del 2006, il cui capo primo ha modificato il codice di rito introducendo importanti novità nella disciplina del giudizio di cassazione, ha inteso rafforzare la funzione nomofilattica, da un lato,
54 La Commissione ministeriale presieduta dal professore Vaccarella aveva realizzato una
proposta di legge delega per la riforma del codice di procedura civile, presentata alla Camera il 19 dicembre 2003 come disegno di legge n. 4578. Tale progetto, com’è noto, non ebbe séguito in Parlamento ciononostante il legislatore ne ha ripreso i contenuti nel d.l. 14 marzo 2005, n.35 e poi nella legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80.
37 ampliando, ove possibile ed opportuno, gli ambiti di operatività della funzione uniformatrice della Corte, e, dall’altro lato, predisponendo, al contempo, misure deflative nella convinzione che l’enorme mole di ricorsi che si riversano sulla Corte renda difficile l’esplicarsi della suddetta funzione55. A distanza di soli tre anni dalla suddetta riforma, il legislatore, con la legge n. 69 del 18 giugno 2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, è nuovamente intervenuto sulla disciplina del giudizio civile di cassazione. Come vedremo, in tale occasione il legislatore ha perseguito soprattutto finalità deflative.
Le medesime finalità deflative sono alla base delle recenti modifiche al codice di rito, previste dalla legge n. 134 del 7 agosto 2012 di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 83 del 22 giugno 2012, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese,” (il c.d. Decreto Sviluppo), che hanno interessato il giudizio di appello e quello di cassazione.
Tra le misure contenute nel d.lgs. n. 40 del 2006, volte a rafforzare la funzione di indirizzo della Cassazione attraverso l’estensione del suo sindacato, un ruolo fondamentale è da attribuirsi alla previsione del «Principio di diritto nell’interesse della legge», a mente del novellato articolo 363 c.p.c.
Nel testo previgente l’art. 363 c.p.c., rubricato «Ricorso nell’interesse della legge», statuiva che, nell’inerzia delle parti o in caso di rinuncia all’impugnazione dalle stesse formulata, il procuratore generale presso la Corte
55 L’intento di potenziare la funzione di garanzia oggettiva del diritto è reso palese dallo stesso
legislatore delegato che, si è detto, ha intitolato il d.lgs. n. 40 del 2006 «Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica…». Tale intento è stato poi riaffermato, con gli stessi termini, nel capo primo del suddetto decreto legislativo.
38 di cassazione poteva proporre ricorso per chiedere la cassazione della sentenza nell’interesse della legge. Tale pronuncia non aveva effetto sul provvedimento del giudizio di merito.
L’esigenza perseguita dal legislatore, con il ricorso nell’interesse della legge, era essenzialmente quella di rimuovere una sentenza viziata da errori di diritto senza produrre effetti pratici per le parti. Ciò, a dimostrazione del fatto che l’interesse posto a fondamento dell’iniziativa del procuratore generale era esclusivamente un interesse pubblico, ovvero l’interesse dello Stato alla corretta interpretazione e applicazione delle norme giuridiche. Si trattava, quindi, di una disposizione volta ad esaltare le funzione nomofilattica della Cassazione; purtuttavia, nella prassi, il ricorso nell’interesse della legge non ha avuto alcuna applicazione di rilievo56.
Come premesso, allo scopo di rafforzare la funzione nomofilattica della Cassazione, il legislatore delegato ha novellato l’articolo 363 c.p.c., sostituendo la disciplina del «ricorso nell’interesse della legge» con quella del «principio di diritto nell’interesse della legge».
Il nuovo art. 363 c.p.c., rubricato «Principio di diritto nell’interesse della legge», prevede al 1° comma che «Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci
56 Come osserva Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione, Impugnazioni, II, Torino 1990,
p. 332 sub nota 13, il desueto istituto del ricorso nell’interesse della legge ha trovato impiego in casi di nullità del matrimonio (Cass. 6 marzo 1950, n.562; Cass. 21 luglio1962, n. 2011; Cass. 23 novembre 1963, n. 3020) e, prima che la Corte costituzionale divenisse operante, in tema di apprezzamento della costituzionalità delle norme aventi forza di legge. Rileva, poi, l’A. che Cass. 26 ottobre 1986, n. 3586, ha esteso la previsione di cui all’art. 363 c.p.c. alla proposizione dell’istanza per il regolamento di competenza.
39 nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.»
Sul piano procedimentale, l’art. 363, 2° comma, c.p.c. disciplina, per la prima volta, l’iniziativa del Procuratore generale stabilendo che «La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezione unite se ritiene che la questione è di particolare importanza.»
Il nuovo testo dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. prevede, inoltre, che «Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.»
Quanto agli effetti della pronuncia sul provvedimento del giudice di merito che ad essa ha dato origine, l’art. 363, 4° comma, c.p.c. ne conferma l’esclusione prevedendo che «La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito» (art. 363, ult. comma, c.p.c.)
Da quanto sopra emerge che il legislatore ha inteso rivitalizzare l’art. 363 c.p.c. in funzione nomofilattica, da un lato, ampliandone l’area di applicazione e, dall’altro lato, affiancando all’iniziativa del Procuratore generale, quella d’ufficio della Corte di Cassazione.
Alla luce della nuova disciplina normativa, pertanto, il Procuratore generale può sollecitare l’intervento nomofilattico della Cassazione chiedendo che la Corte pronunci il principio di diritto nell’interesse della legge, oltre che nell’ipotesi (prevista anche dal vecchio testo dell’art. 363 c.p.c.) in cui le parti
40 destinatarie di un provvedimento impugnabile con il ricorso per cassazione, non hanno proposto ricorso nel termine per impugnare o vi hanno rinunciato, lasciando passare in giudicato lo stesso provvedimento; anche nell’ipotesi in cui il provvedimento non sia ricorribile e non altrimenti impugnabile ( art. 363, 1° comma, c.p.c.). È, quest’ultima, una rilevante innovazione che risponde al precipuo scopo, individuato dalla legge delega, di prevedere, fra l’altro, «…meccanismi idonei, modellati sull’attuale articolo 363 del codice di procedura civile, a garantire l’esercitabilità della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, anche nei casi di non ricorribilità del provvedimento ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione.»57
L’articolo 363, 1° comma, c.p.c., nella sua nuova formulazione, consente, quindi, alla Corte di pronunciarsi anche sulle decisioni dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge, nonché in ordine a provvedimenti che non essendo decisori e definitivi, sono insuscettibili di ricorso straordinario ex art. 111, 7° comma, Cost. Rispetto a questi provvedimenti, come si dirà, esaminando le ordinanze istruttorie emesse ai sensi dell’art. 709, 4° comma, c.p.c. e dell’art. 4, 8° comma, l. 898/70 in materia di processi di separazione e di divorzio, si assiste spesso al fenomeno della giurisprudenza a macchia di leopardo, cioè alla presenza di orientamenti diversi tra i giudici di merito, e, dunque, in tali contesti l’enunciazione del principio di diritto ex art. 363 c.p.c., potrebbe rappresentare lo strumento per permettere alla Corte di esercitare la propria funzione di indirizzo58.
57 Così, l’art. 1, 2° comma, n. 3 della legge delega 14 maggio 2005, n.80, di conversione del
d.l. 14 marzo 2005, n. 35.
41 Si noti poi che il nuovo testo dell’art. 363, 1° comma, c.p.c. risolve efficacemente il dibattito circa la natura dell’istituto ivi regolato. L’iniziativa del Procuratore generale, infatti, non integra più, come nel testo previgente della norma in commento, un ricorso diretto alla cassazione di una sentenza, ma una richiesta rivolta all’enunciazione di un principio di diritto e tale modifica consolida la tesi della natura non giurisdizionale dell’istituto, che quindi non può qualificarsi come impugnazione, ma come «un autonomo procedimento finalizzato esclusivamente all’esercizio della nomofilachia quale funzione distinta “che non può farsi rientrare in quella giurisdizionale, ancorché sia, per il suo assolvimento, ad essa collegata”.»59 In coerenza con la natura non impugnatoria dell’istituto, il 4° comma dell’art. 363 c.p.c. esclude ogni efficacia diretta della pronuncia nell’interesse della legge sul provvedimento di merito.
Come si è anticipato, l’altra importante novità, apportata dalla novella del 2006 alla disposizione in esame, che si colloca anch’essa nel solco di un incisivo potenziamento della funzione nomofilattica, è disciplinata nel 3° comma dell’art. 363 c.p.c., ove si prevede che alla pronuncia del principio di diritto si può pervenire anche d’ufficio ad opera della stessa Corte di cassazione. Il legislatore ha, infatti, previsto che la Corte, allorché dichiari inammissibile il ricorso proposto da una parte, enunci ugualmente il principio di diritto se ritiene che la questione sia di particolare importanza. Come si è sostenuto in dottrina, e com’è dato ricavare dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la Corte, valutata la rilevanza della questione, può pronunciare il principio di
59 Reali, La riforma del giudizio di cassazione. Commento all’art. 363 c.p.c., in Le nuove leggi
42 diritto in ogni caso di inammissibilità del ricorso e, quindi, non solo nei casi di non ricorribilità del provvedimento ex art. 111, 7° comma, Cost.; si pensi, esemplificando, alle ipotesi di impugnazione proposta da chi non è legittimato o da chi non ha interesse ad impugnare60.
Le modifiche così apportate al testo dell’articolo 363 c.p.c al fine di rivitalizzarne il contenuto hanno colto nel segno; in questi anni la Cassazione ne ha fatto un uso diffuso61, talvolta anche disinvolto62, ciò ha sollevato le critiche di quella parte della dottrina che non condivide l’idea che la Corte assolva alla sua funzione istituzionale enunciando principi di diritto ad ogni piè sospinto, con il rischio di una «giurisprudenza sempre più alluvionale, e quindi sempre meno coerente ed autorevole.»63
60 In tal senso si pronuncia Luiso, Diritto processuale civile, Milano 2007, vol. II, p. 425, il
quale rileva che «molto probabilmente il legislatore, nel consentire comunque una pronuncia della Corte anche in presenza di un ricorso inammissibile, ha pensato alla inammissibilità che deriva dalla non ricorribilità in cassazione del provvedimento. Tuttavia le ragioni di inammissibilità possono essere anche altre: e dunque non è da escludere che una pronuncia della Cassazione ai sensi dell’art. 363 si possa avere anche per altra via.» Sul punto si veda anche Fornaciari, L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363
c.p.c., in www.judicium.it, § 2, per il quale l’enunciazione d’ufficio del principio di diritto ai
sensi dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. deve essere ammessa in tutti i casi in cui il processo si esaurisce in rito, quale che ne sia il motivo. Propende per l’enunciabilità d’ufficio del principio di diritto in ogni caso di inammissibilità del ricorso, anche Reali, La riforma del giudizio di
cassazione, cit., p. 532; nello stesso senso anche Ianniruberto, Il «nuovo volto» dell’art. 363 c.p.c., in Riv. dir. proc. 2010, p. 1081ss., spec. p.1096.
In giurisprudenza, si veda, ad esempio, Cass. 21 maggio 2007 n. 11682, in banca dati dejure, che enuncia il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. di fronte ad un ricorso incidentale dichiarato improcedibile; Cass. Sez. Un. 6 settembre 2010 n. 19051,in www.altalex.it, ove le Sezioni Unite dichiarano estinto il giudizio di cassazione per rinuncia ed enunciano il principio di diritto in sede di interpretazione dell’art. 360-bis.
61 Le prime applicazioni dell’art. 363 si sono avute con Cass. sez. trib. 21 maggio 2007 n.
11682, in banca dati dejure; Cass. Sez. Un. 28 dicembre 2007 n. 27187, in Foro it. online, a queste ne sono seguite molte altre. Tra le più recenti si veda, Cass. 19 ottobre 2011, n. 21582; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21560; Cass. 28 settembre 2011 n. 19792; Cass. 21 luglio 2011 n. 16007.
62 Di uso disinvolto parla Fornaciari, L’enunciazione del principio di diritto, cit., §1.
63 In tal senso si pronuncia Taruffo, Precedente e giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ.
43 A ben vedere, solo nel medio-lungo periodo si potrà fare un bilancio e valutare se la pronuncia di mero diritto abbia svolto la sua funzione di orientamento sui processi futuri e abbia concorso alla corretta applicazione del diritto vivente. Anche l’innovazione che il d.lgs. n. 40 del 2006 ha apportato all’art. 374, 3° comma, c.p.c., con la previsione per le Sezioni semplici di rimettere la decisione alle Sezioni Unite, qualora non si conformino al principio di diritto da quest’ultime in precedenza enunciato, risponde al precipuo scopo di assicurare la funzione nomofilattica, in questo caso nell’ambito della giurisprudenza della stessa Corte di cassazione.
In particolare, l’art. 374 c.p.c. rubricato «Pronuncia a sezioni unite», prevede al 3° comma che «Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.»
Tale innovazione trova la sua origine nella legge delega di cui alla l. n. 80 del 2005, che prevedeva, però, «il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, stabilendo, che ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata». Il termine vincolo, accolto nello schema del decreto legislativo64, fu poi eliminato nel testo definitivo accogliendo, così, le forti perplessità, manifestate da una parte della dottrina e soprattutto dall’Assemblea generale della Corte, per il timore di un ritorno ad una concezione gerarchico-verticistica della magistratura ordinaria e il contrasto con il principio costituzionale della soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, 2° comma, Cost.).
64 Lo schema di d.lgs. 15 luglio 2005 prevedeva all’art. 374, 3° comma, c.p.c., il vincolo della
44 Alla luce della formulazione attuale dell’art. 374, 3° comma, c.p.c., qualora le Sezioni semplici intendano discostarsi da un precedente delle Sezioni unite, possono farlo, ma devono reinvestire della decisione le Sezioni unite con un’ordinanza in cui devono specificare le ragioni del dissenso e indicare i motivi che inducono al superamento del precedente.
Tale meccanismo, come è stato osservato, si muove su un piano puramente processuale poiché le Sezioni semplici non sono obbligate a emettere una pronuncia conforme, ma, semplicemente, a non emettere una pronuncia di contenuto difforme «dovendo esse convogliare il loro dissenso in un’ordinanza che investa della decisione le sezioni unite»65. Un vincolo, quindi, di carattere negativo in quanto l’eventuale dissenso imporrebbe solo di rimettere la questione alle Sezioni unite, tale vincolo, tuttavia, secondo taluni si risolverebbe in un vincolo di carattere positivo «poiché se la sezione semplice potesse agire in piena indipendenza (interna) rispetto ai giudici delle sezioni unite, che costituiscono comunque un collegio giudicante “diverso” pur all’interno del medesimo organo giudiziario, deciderebbe il ricorso nel modo ritenuto più opportuno, senza dover “sottostare” alle valutazioni delle sezioni unite.»66 Ciò non toglie, che alle Sezioni semplici sia riservato l’importante compito di stimolare l’evoluzione della giurisprudenza fornendo alle Sezioni