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Come garantire la nomofilachia: l’intervento della Corte costituzionale e «il principio di diritto nell’interesse della legge».

NUOVA DISCIPLINA DEI CONTROLLI SUI PROVVEDIMENTI ANTICIPATORI NELL’INTERESSE DELLA PROLE E DEI CONIUGI.

II.7. Come garantire la nomofilachia: l’intervento della Corte costituzionale e «il principio di diritto nell’interesse della legge».

Dall’analisi della giurisprudenza fin qui condotta sono emersi indirizzi giurisprudenziali divergenti, sia con riferimento al rapporto tra il potere di reclamo alla Corte d’appello dei provvedimenti presidenziali, introdotto ex novo con la l. n. 54 del 2006, e il preesistente potere di revoca e modifica del

160 giudice istruttore, sia in relazione alla reclamabilità delle ordinanze revisionali del giudice istruttore.

Questi contrasti giurisprudenziali, frutto di una normativa incoerente, riflettono le difficoltà interpretative e applicative degli stessi giudici di merito nell’individuare soluzioni efficaci e si ripercuotono sulle parti del processo dando vita al fenomeno dei trattamenti differenziati dei singoli in ragione del Comune di residenza, in palese violazione del principio costituzionalmente garantito della parità di trattamento (art. 3 Cost), e del principio della certezza del diritto. Di qui, la necessità di individuare i possibili rimedi per garantire l’omogenea interpretazione del diritto su tutto il territorio nazionale, tanto più necessaria, in una materia come quella della crisi familiare ove «la delicatezza degli interessi in gioco […] merita adeguata protezione attraverso una garanzia processuale che gli interessati possono utilizzare a fronte di provvedimenti inopportuni, ingiusti o illegittimi»95.

Come si è già ribadito, all’uniformità giurisprudenziale non si può pervenire per il tramite del ricorso in cassazione ex art. 111, 7° comma, Cost., poiché la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che i provvedimenti temporanei e urgenti emessi nell’interesse della prole e dei coniugi nei giudizi di separazione e di divorzio non hanno natura di sentenza sostanziale essendo privi del carattere della definitività, in quanto sempre modificabili e revocabili dal giudice istruttore e destinati ad essere assorbiti dalla successiva sentenza96. Non potendo esperire il ricorso straordinario per risolvere i contrasti giurisprudenziali relativi al rapporto tra il reclamo alla Corte d’appello e la

95 Guaglione, Il processo cautelare, Napoli 2006, p. 292.

96 Così, di recente, Cass. 6 giugno 2011 n. 12177, in banca dati dejure; Cass. 28 gennaio 2011

161 revoca e modifica all’istruttore, nonché quelli relativi alla reclamabilità delle ordinanze istruttorie, occorre cercare altrove la soluzione.

Da più parti si era individuata la via maestra nell’intervento della Corte costituzionale97. Tale auspicato intervento della Consulta, che si è concretizzato nella sentenza n. 322 dell’11 novembre del 2010, non ha, però, fornito indicazioni decisive per risolvere i contrasti relativi alla reclamabilità delle ordinanze istruttorie ex art. 709, 4° comma, c.p.c.

Il Tribunale di Cagliari, investito, in due distinti procedimenti di separazione giudiziale, del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso le ordinanze del giudice istruttore di modifica di quelle presidenziali, ha sollevato la questione di costituzionalità degli articoli 709, 4° comma, c.p.c. e 709-ter c.p.c. per violazione degli articoli 3, 24 e 111, 1° e 2° comma della Costituzione nella parte in cui non prevedono che siano sottoposte a reclamo davanti al tribunale, in composizione collegiale, le ordinanze del giudice istruttore di revoca o modifica dei provvedimenti temporanei e urgenti emessi dal presidente del tribunale nell’interesse della prole e dei coniugi ai sensi dell’art. 708, 3° comma, c.p.c.

La Corte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate, sull’assunto che i giudici remittenti avrebbero omesso «di sperimentare la possibilità di pervenire ad una doverosa interpretazione costituzionalmente conforme della norma che consenta di

97Sul punto vedi, tuttavia, Gazzoni, Mandare da Erode a Pilato: ancora sulla reclamabilità

delle ordinanze del giudice istruttore date nel giudizio di separazione, nota a Tribunale di

Roma 7 luglio 2006, decr, in Dir. fam. 2007, p. 216ss., spec. 227, il quale, pur auspicando l’intervento della Consulta, ritiene che non sia di agevole praticabilità per la difficoltà di trovare giudici disposti a sollevare la questione di costituzionalità e per il fatto che la questione non è facile da porre sul piano tecnico.

162 colmare la dedotta carenza di tutela». La Corte ha, inoltre, osservato come, in assenza di un diritto vivente su tale questione, ed anzi in presenza di differenti orientamenti della giurisprudenza di merito «i dubbi di legittimità costituzionale così prospettati sembrerebbero piuttosto risolversi in un improprio tentativo di ottenere dalla corte l’avallo della interpretazione della norma propugnata dai rimettenti, con un uso evidentemente distorto dell’incidente di costituzionalità»98. Ha riconosciuto, infine, che la soluzione richiesta dai rimettenti non appare come l’unica costituzionalmente obbligata, tenuto conto del fatto che, nel contesto della conformazione degli istituti processuali, il legislatore gode di un’ampia discrezionalità.

Con tale pronuncia la Consulta si è limitata a dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale così prospettatale senza prendere posizione alcuna sulla natura delle ordinanze che il giudice istruttore emette ai sensi dell’art. 709, 4° comma, c.p.c., né sulla possibilità di estendere a quest’ultime in via analogica il reclamo alla Corte d’appello ex art. 708, 4° comma, c.p.c., o quello cautelare di cui all’art. 669-terdecies.

Ben si può dire che in tale occasione la Corte ha deciso di “non decidere” l’annosa questione della reclamabilità dei provvedimenti provvisori del giudice istruttore e ha lasciato che siano i giudici di merito a regolarsi di volta in volta in base alla loro sensibilità costituzionale99.

98 Corte costituzionale 11novembre 2010, n. 322, ord., in Foro it. 2011, I, p. 1642 ss.

99 Questa la conclusione cui perviene, tra gli altri, Cea, Il problema del reclamo contro i

provvedimenti del giudice istruttore nel giudizio di separazione e il «non possumus» della Corte costituzionale, in nota a Corte Costituzionale 11 novembre 2010, n. 322, ord., in Foro it.2011, p. 1642 ss.; anche secondo Guaglione, Il giusto processo nel conflitto fam., cit., § 3, la

Corte costituzionale non ha fornito indicazioni decisive per la soluzione del problema . Di diverso avviso Martini, Separazione e divorzio. Reclamabili le ordinanze del giudice che

modificano i provvedimenti temporanei-Corte Costituzionale,Ordinanza 322/2010, in www.litis.it, per il quale la Corte ha in sostanza accreditato quella giurisprudenza che ritiene le

163 Alla soluzione dei contrasti giurisprudenziali, come si segnala autorevolmente in dottrina, si potrebbe pervenire tramite una pronuncia della Corte di cassazione emessa ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006100.

Come si è già rilevato101, nell’intento di recuperare e rafforzare la funzione nomofilattica, che l’art. 65 r.d. n. 12 del 1941 attribuisce alla Corte di cassazione, il d.lgs. n. 40 del 2006 ha modificato l’art. 363 c.p.c. sostituendo al desueto istituto del «Ricorso nell’interesse della legge», il «Principio di diritto nell’interesse della legge». Trattasi di un’innovazione che si inserisce tra quelle che hanno visto il legislatore della riforma impegnato a riscoprire il ruolo del principio di diritto nella tutela dello ius costitutionis.

Nella versione ante riforma, l’art. 363 c.p.c. consentiva solo di cassare le sentenze di merito palesemente erronee che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione avesse sottoposto alla Corte, qualora le parti non avessero proposto ricorso nei termini o vi avessero rinunciato e la sentenza fosse divenuta definitiva. La nomofilachia veniva perseguita evitando che «potesse assumere valore di precedente giudiziario una decisione sbagliata»102.

ordinanze del giudice istruttore reclamabili al tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art 669-terdecies c.p.c.

100 Così, Cipriani, La nuova disciplina dei provvedimenti, cit., p. 201, il quale sostiene

l’intervento nomofilattico della Cassazione ex art. 363 c.p.c., per risolvere il problema della reclamabilità delle ordinanze istruttorie ex art. 708, 4° comma, c.p.c. Nello stesso senso Cea,

La nuova torre di Babele: la legge sull’affidamento condiviso e il reclamo contro i provvedimenti del giudice istruttore, in Foro it. 2006, p. 2214 ss., spec. p. 2216, sub nota 8.

In giurisprudenza vedi, ad esempio, Tribunale di Udine 19 maggio 2011, ord., cit., che ritiene l’intervento della Cassazione ai sensi dell’art. 363 c.p.c. «quanto mai opportuno in una situazione di grave incertezza del diritto dovuta all’accentuata disparità di opinioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito».

101 Supra, cap. I, sez. II, § II.4.

164 Nella versione, restaurata in funzione nomofilattica dal d.lgs. n. 40 del 2006, l’art. 363, 1° comma, c.p.c. prevede che il Procuratore generale possa sollecitare la Cassazione a enunciare nell’interesse della legge il principio di diritto, non più a cassare la sentenza, oltre che nell’ipotesi prevista anche dal vecchio testo in cui le parti «non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato», anche nel caso in cui «il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile».

Un’ulteriore e importante innovazione, contenuta nel 3° comma dell’art. 363 c.p.c., consente alla Corte di pronunciare il principio di diritto anche d’ufficio quando «il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza». Resta ferma la previsione che la pronuncia della Corte non influenzerà il provvedimento del giudice di merito (art. 363, ult. comma, c.p.c.).

Come da molti evidenziato, il riferimento al «provvedimento non ricorribile in cassazione e non altrimenti impugnabile», di cui al primo comma, allude a tutti quei provvedimenti, ordinanze e decreti, che non rivestendo natura decisoria né definitiva non sono suscettibili neppure di ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, 7° comma, Cost.103. Ed in tal senso, si osserva, «deve senz’altro intendersi, se non altro sul piano dell’intenzione del legislatore, anche il più

103 Così, ad esempio, Silvestri, Il «quesito di diritto» ex art. 366-bis c.p.c.: le prime pronunce

della Cassazione, in Riv. trim. dir. civ. 2008, p. 337 ss., spec. p. 341; Carratta, Commento all’ art. 363 c.p.c, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da Chiarloni,

Bologna 2007, p. 356 ss.; Luiso, Diritto processuale civile, vol. II, Milano 2007, p. 425; Demarchi, Il nuovo rito civile, vol. II, Milano 2006, p. 31; Taruffo, Una riforma della

165 generico riferimento del terzo comma all’inammissibilità del ricorso, quanto alla pronuncia d’ufficio»104.

Alla luce di queste modifiche relative all’ambito applicativo dell’istituto, la Corte, su richiesta del Procuratore, o d’ufficio se dichiara il ricorso inammissibile e ritiene la questione di particolare importanza, può enunciare principi di diritto anche in ordine a quei provvedimenti, come quelli anticipatori, cautelari, di volontaria giurisdizione, camerali ex art. 2409 c.c. in tema di amministrazione delle società per azioni, ovvero emessi nel corso di procedure fallimentari, che, in quanto privi dei requisiti della sentenza in senso sostanziale, sono tradizionalmente sottratti ad ogni controllo di legittimità. In questi primi anni di applicazione della norma così novellata, la Corte suprema ha in più occasioni espresso il suo indirizzo su questioni relative a provvedimenti non ricorribili in cassazione ex art. 111, 7° comma, Cost.

In una delle prime applicazioni dell’art. 363, 3° comma, c.p.c., le Sezioni Unite della Cassazione hanno enunciato d’ufficio il principio di diritto nell’interesse della legge, pur dichiarando inammissibile il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso l’ordinanza emessa in sede di reclamo, di conferma di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. emesso ante causam, in quanto «anche allorché il giudizio di merito non sia iniziato da nessuna delle parti del procedimento cautelare, il permanere dell’efficacia esecutiva del provvedimento che lo conclude non ne comporta la stabilità, da intendere come concreta idoneità a costituire giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. …»105. Tale pronuncia si apprezza, tra l’altro, per aver fornito una prima indicazione

104 Così Fornaciari, L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363

c.p.c., in www.judicium.it, § 2.

166 interpretativa sul significato da attribuire all’espressione «particolare importanza» di cui all’art. 363, 3° comma, c.p.c. In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che «la particolare importanza della questione di diritto non può desumersi solo dall’incidenza di essa in rapporto alla normativa e al c.d. diritto vivente, di cui deve tenere invece conto in via esclusiva il p.g. che ricorra nell’interesse della legge, ma anche dagli elementi di fatto, come gli interessi in gioco in genere oggetto delle controversie, in cui può rilevare la risoluzione della questione.» Trattasi, dunque, di un’interpretazione volta a estendere la portata della norma alle situazioni di rilevanza sociale.

Ancora esemplificando, le Sezioni Unite della Cassazione hanno enunciato il principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363, 1° comma, c.p.c., in relazione ad un decreto di idoneità all’adozione di un minore straniero emesso dal Tribunale per i minorenni a norma dell’art. 30 della l. n. 184 del 1983, che osservano le Sezioni Unite, «non incide su diritti né su status dei richiedenti, né risolve un conflitto tra contrapposti interessi, essendo un provvedimento interlocutorio e privo di forza potenziale di giudicato che si limita a concludere un procedimento (di volontaria giurisdizione) volto alla tutela dell’unico interesse preso in considerazione dalla legge, vale a dire quello del minore, ed è soltanto reclamabile alla sezione per i minorenni della Corte d’appello, contro il cui provvedimento non è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.»106

Da quanto sopra emerge che l’istituto del principio di diritto nell’interesse della legge rappresenta lo strumento privilegiato per far sì che la Corte si pronunci

167 sui provvedimenti non ricorribili ex art. 111,7° comma, Cost., e , quindi, anche in merito alle controverse questioni sorte in tema di controlli sui provvedimenti interinali emessi nei procedimenti di separazione e di divorzio che danno vita al fenomeno della “giurisprudenza a macchia di leopardo”.

Attraverso l’enunciazione del principio di diritto, la Corte, d’ufficio o su richiesta del Procuratore generale, potrebbe risolvere il problema della reclamabilità delle ordinanze con cui il giudice istruttore revoca o modifica i provvedimenti presidenziali.

Certamente questa pronuncia, che non avrebbe un effetto diretto sulla controversia che ha originato la questione, stante la previsione dell’art. 363, 4° comma, c.p.c., costituirebbe una guida, per gli altri giudici, allorché in futuro avranno a che fare con casi simili 107.

107 Ricci, Il giudizio civile, cit., p. 34; Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione,

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CONCLUSIONI

Più volte nel corso di questo studio si è sottolineata la presenza nel nostro ordinamento di provvedimenti sottratti al ricorso straordinario in cassazione, in relazione ai quali la giurisprudenza di merito manifesta orientamenti divergenti. La fattispecie dei controlli avverso i provvedimenti anticipatori emessi nell’interesse della prole e dei coniugi nei processi di separazione e di divorzio ne è un esempio evidente.

La previsione del reclamo alla Corte d’appello, di cui al novellato articolo 708, 4° comma, c.p.c., che decide in camera di consiglio avverso i provvedimenti presidenziali, ha colmato una rilevante lacuna del nostro sistema giudiziario consentendo un controllo avverso provvedimenti che, pur emessi a seguito di cognizione sommaria e inidonei al giudicato, sono in grado di incidere con immediata efficacia esecutiva su aspetti anche personalissimi della famiglia in crisi. Trattasi di un forma di riesame avente tratti peculiari che in parte lo avvicinano al reclamo camerale ex art. 739 c.p.c., come il termine di dieci giorni per proporre il reclamo che decorre dalla notificazione del provvedimento, tanto che da più parti si è sostenuta la natura di volontaria giurisdizione dell’udienza presidenziale.

L’attribuzione del riesame alla Corte d’appello, ispirata con molta probabilità dall’esigenza di evitare il metus reverentialis dei giudici del Tribunale a pronunciarsi su un provvedimento del presidente, si è aggiunta al potere del giudice istruttore di revocare e modificare le ordinanze presidenziali che, in

169 base alla nuova disciplina contenuta nell’art. 709, 4° comma, c.p.c., non è più condizionato al mutamento delle circostanze.

L’esigenza di coordinamento tra questi due strumenti di controllo che inevitabilmente si è posta, onde evitare la sovrapposizione di fasi incidentali e il conseguente rischio di decisioni contrastanti, ha indotto la giurisprudenza e la dottrina a formulare le risposte più varie.

La casistica giurisprudenziale analizzata ha evidenziato una divergenza di soluzioni. L’alternatività tra i due rimedi secondo il criterio gerarchico, con prevalenza del reclamo rispetto all’istanza di revoca e modifica; l’alternatività secondo il principio della prevenzione per cui la scelta di un rimedio preclude la proposizione dell’altro fondata sugli stessi motivi; l’applicazione analogica alle ordinanze presidenziali delle norme sul procedimento cautelare uniforme, che sarebbero, quindi, revocabili o modificabili solo se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si alleghino fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento, sono solo alcune delle posizioni che si sono andate formando nella giurisprudenza di merito e che denotano quanto la disciplina sul punto si presti a soluzioni non omogenee.

La mancata previsione di una analoga forma di controllo per le ordinanze che il giudice istruttore emette nel corso del processo, a revoca e modifica di quelle presidenziali o in via autonoma, ha inoltre rinvigorito la questione sulla reclamabilità di questi provvedimenti emessi nel corso di una fase la cui durata occupa quasi l’intero giudizio. In giurisprudenza, come si è visto, sono ravvisabili tre orientamenti, così riassumibili: inammissibilità di una qualsiasi forma di reclamo avverso tali ordinanze; reclamabilità di tali provvedimenti al

170 tribunale in composizione collegiale ex art. 669-terdecies, e quindi con esclusione dal collegio del giudice che li ha emessi; reclamabilità alla Corte d’appello, in applicazione analogica dell’art. 708, 4° comma, c.p.c.

Premesso che i provvedimenti del giudice istruttore hanno la medesima natura di quelli presidenziali, in quanto entrambi sono volti a regolare gli interessi personali e patrimoniali dei soggetti nella delicata fase della crisi familiare, la predisposizione di una forma di controllo anche avverso le ordinanze istruttorie è resa necessaria dal rispetto dei principi costituzionali, in primo luogo dal rispetto del principio di uguaglianza.

Quanto alle modalità per realizzare tale controllo si ritiene che se il reclamo alla Corte d’appello ex art. 708, 4° comma, c.p.c. ha il vantaggio di mantenere “sotto lo stesso tetto” il riesame dei provvedimenti emessi dal presidente e dal giudice istruttore nel medesimo grado di giudizio, il reclamo cautelare al collegio del Tribunale ex art. 669-terdecies c.p.c. delle ordinanze istruttorie è da ritenersi preferibile in quanto tali provvedimenti hanno natura latu sensu cautelare e la previsione del reclamo alla Corte per i provvedimenti presidenziali non è dovuta alle peculiarità del rito familiare, ma alla necessità di liberare da ogni imbarazzo i magistrati che devono pronunciarsi su un provvedimento adottato dal loro presidente.

L’analisi dei controlli sui provvedimenti anticipatori emessi nell’interesse della prole e dei coniugi nei procedimenti di separazione e di divorzio ha così rilevato la formazione di differenti indirizzi interpretativi da parte dei giudici di merito, risultato di interventi normativi, quali la l. n. 80 del 2005 e la l. n. 54 del 2006, che si sono susseguiti a breve tempo l’uno dall’altro senza

171 coordinarsi tra loro e che hanno prodotto dubbi e incertezze interpretative nei giudici di merito.

Va sottolineato a riguardo che la disformità sincronica della giurisprudenza, sempre deplorevole, quando incide su una materia come quella delle controversie in materia di famiglia acquisisce connotati ancor più negativi, per il delicato tema del contendere.

Il divario delle interpretazioni dei giudici di merito sul regime di impugnabilità dei provvedimenti de quibus non può essere ricomposto tramite il ricorso straordinario in cassazione poiché i provvedimenti presidenziali in tema di separazione e quelli successivi del giudice istruttore non partecipano dei requisiti della sentenza in senso sostanziale, essendo provvedimenti sempre revocabili e modificabili in corso di causa e destinati ad essere superati e assorbiti dalla sentenza che definisce il giudizio. L’ordinamento attuale, cionondimeno, riconosce alla Corte di cassazione il potere di esercitare l’uniforme interpretazione della legge anche in queste materie sottratte al sindacato di legittimità, attraverso la pronuncia del principio di diritto nell’interesse della legge di cui al novellato art. 363 c.p.c. Si tratta del momento più elevato di esercizio della funzione nomofilattica in cui la Corte persegue unicamente la tutela dello ius constitutionis, pronunciando regole di giudizio idonee a servire come criteri di decisione per la soluzione di casi analoghi o simili.

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BIBLIOGRAFIA

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