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5. L’Emilia-Romagna

5.7. L’Emilia

5.7.3. La provincia di Reggio Emilia

La provincia di Reggio Emilia, con il suo capoluogo omonimo (in latino Regium Lepidi) patria del primo Tricolore italiano (1797), è una realtà estremamente florida dal punto di vista economico; essa presenta un reddito medio tra i più elevati d’Europa e si colloca tra le prime dieci province italiane per qualità della vita. La sua ricchezza si fonda essenzialmente sul settore industriale (Max Mara, Veroni, Ferrarini, Lombardini) e sull’agricoltura dalla quale derivano i suoi prodotti di eccellenza: il Parmigiano Reggiano e il Lambrusco Reggiano.

Tutto ciò ha determinato l’inizio di diverse ondate migratorie provenienti sia dal resto dell’Italia che dall’estero e, in modo particolare, ha catturato l’interesse delle cosche mafiose che hanno trovano qui un terreno fertile per poter penetrare nell’economia legale attraverso il riciclaggio del denaro. Se inizialmente il mercato della droga rappresentava l’interesse principale dei sodalizi mafiosi, con il passare del tempo, l’attenzione si è spostata al settore edilizio. La provincia reggiana si attesta, a livello nazionale, tra le province con il più elevato numero di imprese di costruzioni103;

103 Ad ottobre 2010 erano 13.246 le imprese di costruzioni iscritte presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia.

(rappresentate nella maggioranza dei casi da ditte individuali); tra queste numerose sono quelle che operano nell’illegalità: esiste un’altissima percentuale di manodopera clandestina, ricorso all’usura e al credito illegale, diverse sono le truffe riscontrate ai danni dello Stato ed è inoltre accertato, il mancato versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dei dipendenti.

L’ex presidente della Camera di Commercio Enrico Bini, aveva già sottolineato la grave situazione in cui versavano le aziende edili, parlando di un fallimento del mondo imprenditoriale che non è stato in grado di tutelare i propri imprenditori consegnandoli in mano ai mafiosi: “Molte imprese, che nel passato operavano agilmente sui mercati nazionali e internazionali, oggi stentano a sopravvivere e quando sono in evidente stato di bisogno, si presenta qualcuno che spesso in modo gentile e bonario, quasi amichevole, si propone per aiutarli a superare le tante difficoltà. Gli uomini della malavita si offrono inizialmente a risolvere il problema esistente e lentamente, quando non si è più in grado di pagare, diventano titolari dell’impresa nell’indifferenza generale. In questo modo entrano nel tessuto imprenditoriale ed economico in genere sano, cacciando i vecchi proprietari e attribuendo la direzione a uomini e donne compiacenti. Accade spesso che le operazioni societarie avvengano con pagamenti in contanti senza lasciare alcuna traccia del denaro”.

Da un'indagine elaborata dall'associazione Industriali di Reggio Emilia sulla percezione della sicurezza da parte degli imprenditori reggiani, è emerso che circa il 15% degli intervistati è a conoscenza di queste infiltrazioni criminali, in modo particolare, nel settore edile. Da tale indagine è altresì emerso che circa il 15% delle imprese ha segnalato episodi di concorrenza sleale praticati da determinate imprese (operanti nel settore delle costruzioni e in quello degli autotrasporti) che si propongono di offrire beni e servizi ad un prezzo inferiore di quello del mercato104. Anche qui, dunque, la presenza mafiosa si attesta ai massimi livelli, così come elevato è il rischio

104 “Rapporto sulla mafia in Emilia-Romagna” Fondazione Antonino Caponnetto http://www.re.camcom.gov.it/allegati/rapporto%20antimafia%20x%20convegno%20con%20copertin a_121001015636.pdf

di radicamento nel territorio. È bene sottolineare che il mercato degli stupefacenti, dalla cocaina alle droghe sintetiche, rimane oggi un’importante attività gestita in comune da diverse cosche ‘ndranghetiste e camorriste con la collaborazione di soggetti provenienti dall’area balcanica; anche in questa provincia la necessità di fare affari prevarica sulla voglia di alcune cosche, di primeggiare rispetto alle altre.

Forte è la presenza, come del resto in tutto il territorio emiliano, delle ‘ndrine calabresi e delle cosche campane, anche qui Cosa Nostra gioca un ruolo minoritario. Di come la ‘Ndrangheta sia riuscita a penetrare nel territorio reggiano si è ampiamente discusso nei paragrafi precedenti: si ricorda il soggiorno obbligato, nel giugno del 1982, del boss Antonio Dragone a Montecavolo, frazione di Quattro Castella, dove da lì a poco si sarebbe circondato da alcuni cittadini cutresi, migrati nel territorio reggiano in cerca di lavoro. Si sarebbe così formata una locale dipendente direttamente da Reggio Calabria, impegnata nel traffico di sostanza stupefacenti. L’egemonia della famiglia Dragone dovette fare i conti, intorno alla prima metà degli anni Novanta, con la comparsa di Nicolino Grande Aracri all’interno della ‘ndrina cutrese. In seguito ad una lotta interna della cosca che si combatté in Calabria e che ebbe alcune ripercussioni a Reggio Emilia, la famiglia Grande Aracri alleata con i Nicoscia di Isola Capo Rizzuto affermò il suo dominio sul territorio reggiano insediandosi a Brescello. Una volta sedate le tensioni interne, poté dedicarsi all’espansione nel territorio reggiano arrivando fino al piacentino, passando per il modenese e il parmense. Come risultato dalle dichiarazioni di Angelo Salvatore Cortese, la famiglia cutrese ha orientato inizialmente i propri interessi nel traffico di sostanze stupefacenti per poi spostare l’attenzione verso il settore edilizio e degli appalti pubblici. Oggi essa continua ad operare, oltre nel capoluogo, nei piccoli centri di Bibbiano e Montecchio Emilia e nella bassa reggiana nei comuni di Brescello e Gualtieri105. Sono altresì presenti altre ‘ndrine calabresi riconducibili ai Barbaro, Strangio-Nirta di San Luca, Bellocco di Rosarno, Gallo di Gioia Tauro, Muto di Cetraro, Arena, Dragone, Martino di Cutro106.

105 Secondo quanto dichiarato dal prefetto De Miro.

106 Fonte Rapporto del 2013 della fondazione Antonio Caponnetto.

L’attuale presenza nel territorio reggiano, anche se alle volte invisibile, di esponenti affiliati alla Camorra (predominano il clan dei casalesi e il clan Belforte di Marcianise) è legata alla funzione di supporto logistico che quest’ultimi offrivano ai latitanti camorristici,107 costretti a fuggire dalla Campania per evitare vendette di clan rivali o per sfuggire alla giustizia. Con il passare del tempo, è mutata in una vera e propria penetrazione nel settore del mercato immobiliare e nelle imprese attraverso le estorsioni e il ruolo giocato dai fiduciari dei clan i c.d. “prestanome”, attraverso i quali riciclare i proventi illeciti. Forte è la loro presenza riscontata negli appalti pubblici attraverso un complesso sistema di sub-appalti. Essendo giunti in un territorio di dominio ‘ndranghetista, essi sono dovuti scendere a patti con quest’ultima, stabilendo che ognuno impone il pizzo ai soli conterranei emigrati nella provincia emiliana.

Al momento il dato più preoccupante è rappresentato dall’incessante susseguirsi di atti intimidatori ed avvertimenti, soprattutto incendi di natura dolosa di automobili, capannoni, agriturismi e colpi di arma da fuoco, che destano un forte allarme sociale.

Segnali di una evidente presenza estorsiva o di recupero crediti usurai si sono verificati nella zona di Scandiano, Novellara, Reggiolo, Bibbiano, Albinea e Cadelbosco.

Secondo l’ex procuratore della Repubblica di Reggio Emilia Giorgio Grandinetti, queste intimidazioni sono da ricondursi principalmente ad attività estorsive; invero rappresentano la risposta alla concorrenza di altri imprenditori facendo emergere un dato allarmante che segna una penetrazione della mentalità mafiosa in ambienti che mafiosi non sono.

Dunque ne emerge un quadro davvero critico della presenza mafiosa nel territorio reggiano; come si evince da quanto descritto, la diffusione del fenomeno mafioso non avviene nei grandi centri cittadini quanto attraverso la fittissima rete di piccoli comuni:

luoghi isolati che, essendo facilmente controllabili dalle cosche mafiose, ne consentono di determinare più velocemente una condizione di assuefazione e di omertà e di agire nell’invisibilità della giustizia.

107 DIA, Centro operativo di Firenze, Relazione semestrale, 31 maggio 2010.

Alcuni segnali che evidenziano l’aggravarsi delle infiltrazioni criminose nel territorio, sono rappresentati dall’incremento dei beni sequestrati alle mafie (assenti fino al 2012) e dall’esclusione dalle “white list” di diverse imprese coinvolte nella ricostruzione in seguito al terremoto del 2012. Infine le indagini condotte hanno riscontrato l’esistenza di rapporti tra le organizzazioni criminali e i politici locali.

La Tab. 3 mostra i beni confiscati nella provincia di Reggio Emilia: sino al 2012 vi era la totale assenza di beni confiscati alle organizzazioni criminali, dato in controtendenza se paragonato al grado di infiltrazione della mafia calabrese. Oggi sono in totale 130 i beni confiscati di cui solo 32 sono aziende; si nota come 68 beni sono collocati nel paesino di Brescello, già noto per la radicata presenza della cosca cutrese.

Tab.5.4: Beni confiscati in provincia di Reggio Emilia

Fonte Beni: Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata, (dati aggiornati al 12/10/2017).