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CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

2. Identità e processi di integrazione nei percorsi migratori

2.2. I bambini immigrati e percorsi d’integrazione

Palmas e Chaloff (2006), hanno osservato che, a livello nazionale ed europeo, vi è la diffusa tendenza a “patologizzare” la condizione di coloro che hanno origini straniere, siano essi adulti o minori, considerandola come un inequivocabile fattore di rischio per il benessere psicologico e la risuscita a scuola. Partendo dalla constatazione per la quale manca una definizione condivisa di soggetti appartenenti alle minoranze etniche, classificate prevalentemente in base alla nazionalità, i suddetti autori hanno propugnato il superamento di tale visione attraverso la programmazione di interventi basata su di un sistema statistico in grado di operare distinzioni precise tra le categorie di immigrati destinatari dell’intervento programmato (cfr. tabella 1).

Tabella 1

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Definizioni e identificazione dei minori di origine straniera

Definizioni Identificazione ___________________________________________________________________________ Minori immigrati di prima generazione Età al momento dell’immigrazione

Minori immigrati di seconda generazione Storia migratoria della famiglia (genitori, nonni)

Minori appartenenti a un gruppo etnico minoritario Autodichiarazione di appartenenza a

un gruppo etnico, lingua parlata a casa

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I pedagogisti hanno tracciato numerosi profili dei bambini immigrati, classificando in vari modi i bambini che hanno esperito in forma diretta o indiretta il vissuto migratorio.

Favaro (2001 a) ha distinto, dal punto di vista giuridico e della cittadinanza non italiana, i bambini che si possono considerare immigrati in senso stretto dai bambini che si possono considerare, invece, immigrati in senso più ampio, in quanto vivono, realmente e/o simbolicamente, la condizione della migrazione e dello spostamento, pur essendo cittadini italiani.

I bambini immigrati in senso più stretto sono stati dunque suddivisi in tre gruppi: - i bambini nati in Italia da genitori immigrati, i quali si collocano nella fascia d’età compresa tra i 0 e gli 8-10 anni;

- i bambini ricongiunti ai genitori emigrati anni prima;

- i cosiddetti “bambini della guerra” che hanno lasciato il paese d’origine, devastato da conflitti o persecuzioni, recandosi insieme ai genitori in un altro paese, in cerca di asilo e rifugio.

I bambini immigrati in senso più ampio sono stati suddivisi in altri tre gruppi (Favaro 2001 a):

- i bambini figli di coppia mista (ossia aventi un solo genitore straniero), riconosciuti come italiani fin dalla nascita;

- i bambini giunti in Italia per adozione internazionale, per lo più provenienti dai paesi dell’Est europeo, i quali diventano cittadini italiani dopo il primo anno di affido preadottivo;

- i bambini zingari, italiani o di altra nazionalità.

Nell’analisi delle diverse tipologie di percorsi di integrazione intrapresi dai bambini immigrati sono stati delineati i rischi e le vulnerabilità specifiche che accompagnano le differenti esperienze migratorie (Favaro, 1998).

Secondo Favaro (1998) per i bambini nati in Italia sono stati individuati:

- maggiori probabilità di crescere in un nucleo monoparentale, problemi di custodia, cura e accudimento;

- il rischio di separazione dalla madre per eventuale rientro nel paese d’origine o per possibilità di affido etero-familiare;

- il rischio di “pendolarismo” tra il paese d’origine e il paese ospite.

Secondo Favaro (1998) per i bambini ricongiunti sono state riscontrate alcune possibili difficoltà:

- nel distacco dalle figure affettive di riferimento;

- nei possibili ricongiungimenti “a puntate”, che comportano la separazione tra fratelli;

- nella migrazione vissuta come obbligo e non come scelta, nella duplice ridefinizione dei rapporti familiari.

Infatti i bambini ricongiunti, da una parte devono elaborare il distacco con le figure significative del paese d’origine, dall’altra devono riallacciare i legami affettivi con il genitore o i genitori emigrati.

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Secondo la pedagogista ulteriori ostacoli per tutti i bambini immigrati si riferiscono alla necessità di un riorientamento spaziale, temporale e percettivo, alla urgenza di apprendimento della nuova lingua, alle modalità e condizioni dell’inserimento scolastico, alla discrepanza tra aspettative e impatto con una realtà spesso frustrante. Secondo Favaro (1998) per i bambini rifugiati le difficoltà maggiori si richiamano a: - un vissuto traumatico dovuto alle condizioni di vita nel paese d’origine;

- alle condizioni precarie nel paese d’arrivo;

- al vissuto discontinuità legato al cambiamento improvviso;

- al rifiuto della cultura ospite associato alla dolorosa e forzata perdita del paese d’origine;

- ai vissuti di solitudine e alle difficoltà di condivisione della propria esperienza con i coetanei.

In merito alla specificità dell’immigrazione infantile, Bastianoni (2001), ha spiegato la complessità dei viaggi di cui sono protagonisti i bambini immigrati, nel passaggio da un contesto di appartenenza culturale ad un altro, segnalando i cosiddetti viaggi circolari che interessano numerosi bambini nati in Italia ma che, in età precoce, ritornano nella terra d’origine; i motivi di ciò rimandano per lo più all’impossibilità della madre di occuparsi di loro per ragioni di lavoro e mancanza di una rete allargata di sostegno, oppure per la necessità avvertita di rinsaldare il legame con la cultura d’origine tramite il nuovo arrivato, garantendo così una certa continuità a tale legame (questi bambini, affidati temporaneamente ai parenti nel paese d’origine, si ricongiungono poi, in un secondo tempo, ai genitori nel paese ospite).

Simmel (1993) ha definito lo stato psicologico di chi emigra, in età infantile o adulta, nei termini di sospensione tra la cultura d’origine e quella di arrivo che costituisce un fattore scatenante il conflitto tra i valori e i riferimenti della cultura di origine e quelli veicolati dalla cultura d’accoglienza; dunque, secondo questo autore, la soluzione a tale conflitto è resa possibile dalla capacità di mediare e di negoziare questi due mondi in un equilibrio dinamico esente da qualsiasi forma di eccessiva apertura o chiusura.

I bambini della migrazione sono stati definiti, in modo ulteriormente significativo, come “i viaggiatori perenni di un viaggio iniziato da altri” (Favaro 2001 a, p. 13). Inoltre Favaro (2001 a) ha spiegato come essi, per divenire i protagonisti in prima persona di questo viaggio, debbano da un lato continuare a modificare il proprio progetto familiare, dall’altro continuare ad integrare il cambiamento sperimentato nella propria storia di vita.

Il bambino migrante rispetto al bambino autoctono si trova a dover “conciliare dentro di sé i conflitti che lo spostamento geografico introduce nello spazio corporeo e negli spazi culturali, linguistici e familiari. Questi conflitti sono caratterizzati da sentimenti di perdita e di separazione” (Favaro 1996, p. 68).

Lo spazio corporeo che subisce dei cambiamenti in seguito alla migrazione riguarda l’immagine fisica di sé e lo spazio della lingua comprendente sia i sistemi verbali e non verbali di comunicazione, sia la dimensione culturale della lingua stessa.

Il cambiamento più evidente, conseguente all’esperienza migratoria, riguarda proprio lo spazio geografico: il bambino immigrato e il bambino nato nel paese di residenza

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vivono una situazione di appartenenza ambivalente dal punto di vista geografico, con riferimenti costanti ad un “altrove”, che pongono così i bambini in una condizione di provvisorietà spaziale e temporale.

In merito allo spostamento da un paese di partenza ad un paese di arrivo, va necessariamente considerata, come proposto da Aluffi Pentini (2002), la multifattorialità dell’evento migratorio, in riferimento sia alle variabili oggettive di tipo familiare, sociale, culturale, linguistico ed economico, sia alle variabili soggettive relative al modo in cui il minore vive quotidianamente nel paese d’origine. Riguardo allo stato di precarietà spazio-temporale e al profondo senso di smarrimento e spaesamento che accompagnano inevitabilmente il vissuto migratorio Aluffi Pentini (2002) asserisce:

“Il viaggio della migrazione interrompe una continuità di vita. In seguito allo spostamento nel paese di arrivo, anch’esso con le sue variabili di tipo oggettivo e soggettivo, può verificarsi uno “spaesamento” del minore e/o della sua famiglia dovuto alle difficoltà di trovare modalità di ambientamento, e di integrare soggettivamente i cambiamenti oggettivi che si sono verificati. Questo spaesamento viene influenzato in particolare da una variabile oggettiva nel rapporto con il paese d’arrivo, che riguarda la regolarità o meno dell’ingresso e le chance in senso lato di accesso a opportunità e servizi. Lo spaesamento influisce sul benessere del bambino e della sua famiglia, ossia il mancato raggiungimento del benessere sperato rischia di protrarre a lungo lo spaesamento che segue all’evento migratorio in senso stretto, tanto per gli adulti che per i bambini” (Aluffi Pentini 2002, pp. 21-22).

Questa dinamica di spaesamento innescata allo spostamento migratorio è illustrata dallo schema di seguito riportato.

PAESE DI PARTENZA

VARIABILI OGGETTIVE di tipo: FAMILIARE, SOCIALE, ECONOMICO, POLITICO, CULTURALE

RELIGIOSO, LINGUISTICO

VARIABILI SOGGETTIVE di tipo: PSICOLOGICO, AFFETTIVO

SPOSTAMENTO - SPAESAMENTO - PRECARIETA’

PAESE DI ARRIVO

VARIABILI OGGETTIVE di tipo: FAMILIARE, SOCIALE, ECONOMICO, POLITICO, CULTURALE

RELIGIOSO, LINGUISTICO, “DIVERSITA’ VISIBILE”. Inoltre: REGOLE, MECCANISMI DI ASCESA

SOCIALE, REGOLARITA’ DI INGRESSO, OPPORTUNITA’ DI ACCESSO E INTEGRAZIONE, ATTEGGIAMENTO DEGLI AUTOCTONI

VARIABILI SOGGETTIVE di tipo: PSICOLOGICO, AFFETTIVO

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Nel tentativo di risolvere questi conflitti interiori il bambino immigrato può cercare di adottare varie soluzioni che incidono notevolmente sulla sua crescita psicologica (D’Alessio, Schimmenti e De Stasio, 2005). La prima definita come resistenza culturale è una forma reattiva che comporta una resistenza nei confronti della nuova cultura e una chiusura difensiva verso i valori tradizionali della cultura d’origine. La seconda soluzione denominata assimilazionista è una reazione che comporta una completa adesione del minore immigrato alla nuova cultura con conseguente perdita delle proprie specificità etniche originarie.

La terza soluzione consiste, invece, in una specie di auto-emarginazione, condizione che si traduce nel disconoscimento della cultura d’origine da parte del soggetto immigrato e il rifiuto a partecipare alla cultura d’accoglienza e nell’isolamento. La quarta soluzione, denominata doppia etnicità, che risulta essere maggiormente funzionale all’integrazione, prevede un continuo confronto fra l’ambito familiare della cultura originaria e quello dei coetanei della cultura ospitante, presupposto basilare per un reciproco adeguamento e un produttivo e arricchente interscambio tra le due culture.