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I possibili scenari dell’integrazione: tipologie e ruoli della famiglia immigrata

CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

2. Identità e processi di integrazione nei percorsi migratori

2.3. I possibili scenari dell’integrazione: tipologie e ruoli della famiglia immigrata

Gli studiosi hanno rivolto la loro attenzione al ruolo della famiglia immigrata nei processi di adattamento dei figli al nuovo contesto socio-culturale. Nell’infanzia e nell’adolescenza, tappe fondamentali di formazione della personalità di base, la famiglia e la rete di parentela assumono un peso rilevante, collocandosi al centro dei meccanismi di integrazione/adattamento individuali. La struttura familiare, infatti, nel processo migratorio, assume diverse forme, le quali sono determinate e condizionate da un’ampia gamma di fattori che include la storia familiare, le relazioni parentali allargate nel paese d’origine, il progetto migratorio, i servizi, le legislazioni e le politiche del paese di accoglienza. La migrazione, infatti, in genere, può provocare nella famiglia immigrata un’alternanza di propositi e motivazioni al cambiamento e ostili atteggiamenti di antagonismo, avversità, chiusura.

In merito al bagaglio culturale originario delle famiglie immigrate Demetrio e Favaro (1997) hanno distinto gli elementi specifici dei sistemi valoriali dei genitori dei bambini immigrati in tre piani: il “piano ontologico”, il “piano delle rappresentazioni” e quello delle “pratiche culturali”. Il piano ontologico comprende i valori e le credenze relative alle appartenenze religiose, alla concezione della vita, della morte e al ruolo del bambino nella vita familiare. Del piano delle rappresentazioni fanno parte le concezioni dell’infanzia e dello sviluppo infantile, le immagini dei servizi educativi per l’infanzia e le loro aspettative esplicite o implicite. Il piano delle pratiche culturali include i diversi stili di accudimento e le tecniche di puericultura adottate in famiglia.

Secondo Ribolzi (2002), dal punto di vista dei progetti di vita, la famiglia immigrata si trova frequentemente in difficoltà in qualità di “luogo in cui le generazioni si incontrano, e filtrano l’esperienza esterna” (Ribolzi 2002, p. XVI).

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Pur non essendo possibile una rigida categorizzazione delle famiglie immigrate in tipologie ben definite, Fumagalli (2004), assistente sociale e consulente del Centro interculturale Come di Milano, ha indicato alcuni criteri e indicatori di lettura comuni che servono a fornire un quadro d’insieme entro cui collocare le varie dinamiche d’integrazione dei nuclei familiari immigrati.

Per i nuclei familiari immigrati risulta essere fondamentale la famiglia allargata rimasta nel paese d’origine, che accompagna la partenza, sostiene e condivide, pur se in misura parziale, il progetto migratorio. Si intuisce facilmente come la riuscita dell’integrazione, in questo caso, dipenda in larga misura dalla capacità e dalla possibilità a livello familiare, sia di mantenere vivo il legame tra la famiglia migrata e la famiglia rimasta nel paese d’origine, sia di tenere insieme le radici con il presente e con il futuro.

Un altro importante indicatore di lettura concerne il luogo dove la famiglia si è costituita: vi sono nuclei già costituiti nel paese d’origine, poi migrati insieme o in tempi differenti, o al contrario nuclei che si sono costituiti in Italia attraverso il matrimonio della persona immigrata con un connazionale residente in patria. Secondo l’autrice sopracitata l’analisi del percorso migratorio familiare può essere effettuata anche seguendo il criterio della composizione, in base al quale è possibile rintracciare tre tipologie di famiglie immigrate: la famiglia monoparentale, la famiglia mista e i nuclei ricongiunti.

La famiglia monoparentale è composta in genere da donne con bambini al seguito, le quali vivono la maternità in completa solitudine, e alle prese con le difficoltà economiche, di reperimento di alloggio, di tenere con sé il proprio figlio a fronte di lavori molto impegnativi. La famiglia mista è formata da coniugi di nazionalità diversa, solitamente composta da uomini italiani e da donne straniere; può rappresentare un’opportunità di incontro e di crescita tra due appartenenze culturali in caso di preventivo accordo genitoriale sulle scelte educative da condividere.

La famiglia ricongiunta può presentare vissuti di disagio, connessi alle importanti modificazioni relative all’aspetto giuridico, economico, sociale, psicologico e relazionale.

Favaro (2000 b) ha precisato che il nucleo familiare immigrato assolve a tre funzioni fondamentali che riguardano le relazioni interne ed esterne. La prima funzione è quella di mutuo-aiuto, ovvero la capacità da parte della famiglia di fornire risorse ai propri componenti: capitale fisico (cioè i beni strumentali, economici, ecc.), capitale umano (relativo alle capacità e alle abilità delle persone), capitale sociale (relativo alle relazioni e alla socialità). La seconda funzione è costituita dalla possibilità di assumere un ruolo genitoriale, corrispondente alla capacità di riconoscere i bisogni del bambino in rapporto al suo benessere fisico, mentale, affettivo e relazionale. La terza funzione è quella sociale, espressa soprattutto all’esterno, e si articola nelle varie reti di relazioni e scambi che la famiglia riesce a costruire, sia con il paese di accoglienza che con quello di origine.

Da un’indagine condotta sulle relazioni esistenti all’interno delle famiglie immigrate è emerso che le difficoltà maggiori in cui queste si imbattono riguardano proprio i rapporti fra le generazioni; l’arrivo nel paese ospitante comporta, infatti, una

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ridefinizione dei ruoli parentali, soprattutto del ruolo paterno e dei rapporti intrafamiliari, e un cambiamento del contesto familiare in cui ha luogo l’educazione delle nuove generazioni (Favaro 2000 b).

Secondo Ribolzi (2002), dal punto di vista dei progetti di vita, la famiglia immigrata incore con un’alta probabilità in difficoltà in qualità di “luogo in cui le generazioni si incontrano, e filtrano l’esperienza esterna” (Ribolzi 2002, p. XVI).

Favaro e Colombo (1993) hanno specificato come, accanto alle difficoltà riscontrate nei rapporti tra padri e figli, esistono problemi che riguardano principalmente le madri nella pratica di accudimento dei figli. Talvolta, infatti, si verificano delle discordanze, rilevabili soprattutto tra i saperi tradizionali e i rituali appresi nella propria terra e le pratiche di accudimento auspicate e promosse nel paese di accoglienza. Affinchè l’adattamento del bambino alla nuova cultura avvenga senza traumi nè ambivalenze, è assolutamente necessario che si verifichino alcune condizioni favorevoli all’interno della famiglia.

Favaro e Colombo (1993) hanno sottolineato quanto sia importante che i genitori immigrati siano innanzitutto convinti dell’arricchimento apportato dall’appartenenza a due culture piuttosto che ad una sola. Entrambe le pedagogiste in una “dinamica familiare, tra mantenimento e mutamento”, la famiglia immigrata funge da luogo reciprocamente arricchente, di mediazione tra due mondi, rendendo possibile la concessione tra genitori e figli di una “doppia autorizzazione” (Favaro e Colombo 1993, p. 32). In pratica ciò significa che i genitori autorizzano e incoraggiano l’adesione del figlio alla nuova realtà linguistica e culturale riconoscendo i suoi nuovi valori come legittimi e il figlio, da parte sua, autorizza i genitori ad appartenere alla cultura d’origine, conosce, apprezza e valorizza i loro saperi e i loro progetti.

Pertanto le storie delle due generazioni si evolvono secondo una continuità che vede la compresenza di somiglianze e di differenze.

In merito all’inserimento del bambino nella scuola e all’acquisizione della nuova lingua, la famiglia immigrata si troverebbe a compiere - secondo Favaro (2001, p.42) - una specie di “migrazione nella migrazione”, ridefinendo i tempi della permanenza e rivedendo i propri progetti di vita familiare. La modalità di relazione tra scuola e famiglia immigrata costituisce indubbiamente uno degli elementi centrali che si pongono alla base di un positivo inserimento del bambino nei servizi educativi e scolastici.

Giusti (2004), riferendosi ad una ricerca iniziata nel 2001, effettuata nell’ambito del Corso di Pedagogia Interculturale della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Bicocca, spiega come da numerose interviste in profondità rivolte agli immigrati giovani adulti (uomini e donne), provenienti da tutte le parti del mondo e con i figli inseriti nel sistema scolastico italiano, siano stati rilevati alcuni tratti costanti caratterizzanti l’esperienza potenzialmente a rischio di molte famiglie immigrate e dei loro membri.

Tali fattori, inerenti i cambiamenti che possono sopraggiungere sul piano relazionale, risultano essere la causa di disorientamento, di squilibri, e di forme depressive. Gli elementi di cambiamento più significativi associati all’esperienza migratoria sono esaustivamente riassunti nella tabella di seguito riportata.

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Dati dell’esistenza familiare Esemplificazioni

Cambia il rapporto con il tempo Si rileva un’alternanza frequente tra un

forte senso di provvisorietà e l’esigenza sempre più impellente di un nuovo senso di permanenza

Cambiano i riferimenti con i luoghi

Anche se molti intervistati sembrano voler resistere a questo cambiamento, in un periodo di tempo variabilmente lungo il

paese, e il luogo di accoglienza, con i suoi

spazi diversi, viene ad assumere un ruolo

prevalente rispetto a quello di origine Cambiano le relazioni fra i vari

membri della famiglia (genitori/figli, fratelli/sorelle)

La famiglia immigrata cerca di

conciliare e di amalgamare la diversità delle storie di vita e dei percorsi individuali dei suoi vari componenti, e questo è un compito complesso Cambiano i rapporti con il

mondo della vita

La famiglia immigrata (che si presenta spesso come famiglia allargata) propone riferimenti e comportamenti più

o meno elaborati, che hanno a che fare con i temi delle differenze e delle analogie e che possono portare a stabilire alleanze o, in caso opposto, a suscitare confronti, interrogativi, scontri Fonte: Giusti, 2004 p. 34.