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Integrazione e intercultura a partire da alcune parole-chiave: una preliminare

CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

3. Scuola e processi di integrazione

3.2. Integrazione e intercultura a partire da alcune parole-chiave: una preliminare

La questione dell’integrazione sociale, culturale e scolastica degli immigrati è stato motivo di ampio dibattito in sede della Commissione europea in merito alle politiche migratorie e ai principi a cui devono attenersi le politiche di integrazione. L’integrazione - come osservato da Schimmenti (2008) - è un percorso che vede coinvolti, da un lato l’individuo che tenta di inserirsi nel nuovo contesto socio- culturale e nelle corrispettive istituzioni, e dall’altro, la società accogliente e le sue condizioni strutturali atte a favorire o ad ostacolare il processo integrativo del giovane immigrato.

In merito all’integrazione in termini di duplice processualità, è stato affermato:

“Per integrazione si intende un processo biunivoco, che si fonda sulla presenza di reciproci diritti e obblighi sia per i cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente, sia per la società di accoglienza. Si intende ancora un processo dinamico, che implica uno sviluppo progressivo di diritti e di doveri nel corso del tempo, secondo un approccio incrementale. La società ospitante garantisce un corredo di diritti a favore dei migranti, uno status giuridico tale da consentire agli stessi di partecipare alla vita economica, sociale, culturale e civile. E i migranti sono chiamati a rispettare le norme e i valori fondamentali della società che li ospita e a partecipare attivamente al processo di integrazione, nel rispetto della loro identità” (Scevi, 2007).

In letteratura pedagogica e sociologica il concetto di integrazione culturale riferito all’immigrazione è stato definito in modi diversi secondo l’accezione non tanto di assimilazione quanto di ibridazione. A riguardo, il sociologo algerino Sayad (2002), in una sua attenta riflessione sui molteplici aspetti del fenomeno migratorio nella sua doppia componente di emigrazione e di immigrazione, ha precisato:

“L’integrazione è quel tipo di processo di cui si può parlare solo a posteriori, per dire se è riuscito o fallito. E’ un processo che consiste idealmente nel passare dall’alterità più radicale all’identità più totale (o pretesa tale). Se ne constata la fine, il risultato, ma non può essere colto nel corso della sua realizzazione perché coinvolge l’intero essere sociale delle persone e la società nel suo insieme (…). Ma soprattutto non bisogna immaginare che sia un processo armonico, privo di conflitti” (Sayad 2002, p. 287).

Il concetto d’integrazione si richiama in primo luogo a quello di interazione tra mondi di diversa tradizione etnico-culturale (Consiglio d’Europa, 1989).

L’integrazione è stata riconosciuta essere da diversi autori come il compito prioritario e irrinunciabile dell’educazione interculturale (Demetrio, 1992).

Demetrio e Favaro (1992), nel definire il significato operativo della pedagogia interculturale, hanno specificato che essa non allude affatto ad una pedagogia intenta a lavorare solo per l’integrazione assimilativa, dal momento che i principi della pedagogia interculturale nascono dall’incontro di tre soggettività: noi educatori, gli immigrati e i rispettivi figli. Questi autori, a riguardo, affermano:

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“Nell’azione pedagogica, entrano pressocchè simultaneamente in campo i portatori, non di uno, ma di tre percorsi di integrazione. L’educatore autoctono è chiamato ad integrare (ricordiamo che il concetto esprime un arricchimento oltre ad un rimescolamento del sistema; ancora una volta mentale, comportamentale, affettivo) i propri saperi, saper fare ed essere di fronte all’alterità. L’immigrato adulto, dal canto suo, è costretto a fare lo stesso; pur nella sua legittima resistenza al cambiamento e all’integrazione, molte volte vissuta come perdita più che come approdo. Il non ancora adulto, nella sua dipendenza, dal primo e dal secondo, talvolta, rappresenta la variabile nuova che sfugge ad entrambi; nella sua volontà di proiezione, e di identificazione autonoma, impegnato com’è a costruirsi una propria morfologia” (Demetrio e Favaro 1992, p. XII-XII).

Nell’ottica interculturale l’integrazione costituisce un processo a due vie, prefiggendosi di promuovere le azioni educative più idonee a porre l’altro in una situazione di vantaggio (Ladmiral e Lipiansky, 1989).

Secondo Demetrio (1992) la pedagogia interculturale s’impegna a favorire l’incontro, lo scambio e la reciproca conoscenza tra i valori delle identità linguistico-culturali, porgendo la massima attenzione sia alla riuscita scolastica di chi presenta maggiori difficoltà, sia alla riuscita del più complesso processo di integrazione culturale. Questo processo, che non avviene mai per “assimilazione osmotica”, e ha come risultato “l’ibridazione culturale”, si compie positivamente quando il soggetto riesce a conciliare le due culture, scoprendo che questa “biculturalità” non lo penalizza ma ne favorisce e ne accresce il successo.

Inoltre Demetrio (1992) ha definito il concetto di integrazione come non univoco poiché, se da un lato chi accoglie è chiamato a modificare i propri schemi di comportamento e di pensiero, dall’altro chi è accolto è chiamato ad adattarsi alle condizioni socio-ambientali richieste per concludere positivamente il proprio progetto migratorio.

Il processo d’integrazione è stato descritto in rapporto a tre parole-chiave: “accoglienza, stabilizzazione e formazione” (Demetrio 1992, p. 33-34).

Si tratta di indicatori di cambiamenti sociali ormai inarrestabili, di tre momenti e pratiche in stretta connessione tra loro che concorrono a promuovere in diversa misura il processo d’integrazione. Infatti la mancata ricerca di opportune risorse formative non può garantire un’adeguata accoglienza e di conseguenza non può favorire l’insorgere della prospettiva di stabilizzazione nel migrante. I due pedagogisti illustrano come il termine accoglienza, riferito alle politiche e alle pratiche dell’accoglienza, assuma molteplici significati sul piano operativo, stando ad indicare sia un metodo professionale adottato dagli operatori, volto a facilitare il più possibile il migrante nella sua prima fase di inserimento, sia una cultura autoctona disposta al confronto dialettico con l’alterità.

Pertanto l’accoglienza non va affatto intesa come “un civile dovere di ospitalità” bensì come “attenzione e ascolto dei bisogni e dei diritti, della ‘voce’ di chi vede messo in crisi il fondamentale tramite comunicativo delle parole” (Demetrio e Favaro 1992, p. 34).

In tale prospettiva, come indicato dagli autori sopracitati, l’accoglienza si configura essere al tempo stesso una modalità di “pronto soccorso”, uno “stile professionale” e

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una “strategia” o un “atteggiamento locale e comunitario”. In quanto modalità di “pronto soccorso” l’accoglienza si propone di agevolare al meglio il primo impatto con il paese ospitante. In quanto “stile professionale” l’accoglienza si prefigge di rassicurare l’immigrato circa il suo futuro nel nuovo paese e in quanto “strategia” e “atteggiamento locale” essa si richiama non solo ai comportamenti dei singoli individui ma anche alle scelte delle forze, siano esse pubbliche e private, della comunità.

La parola-chiave stabilizzazione sta invece ad indicare “la ricerca delle opportunità- orizzonte, la ricostruzione di un tessuto bipsicologico, bilinguistico, bietnico” (Demetrio e Favaro 1992, p. 35); chi riesce dunque a gestire la propria condizione culturale duplice e quindi a conciliare le contrapposte dinamiche interiori relative a ciò che si è stati e a ciò che è necessario essere nel paese d’arrivo porterà a buon esito il proprio progetto migratorio e il percorso di stabilizzazione. Infine la sintesi tra accoglienza e stabilizzazione ha come risultante la formazione dei migranti ai quali offrire percorsi formativi che favoriscano ulteriormente il loro inserimento sociale e lavorativo nel nuovo paese. In tal senso la formazione rappresenta un mezzo efficace di sostegno all’integrazione. L’azione educativa interculturale contrasta sia la tendenza biculturale che prevede una giustapposizione tra le culture proponendo percorsi educativi differenziati, sia la tendenza integrazionista orientata invece verso l’assimilazione forzata del soggetto immigrato (Demetrio, 1992).

In merito al concetto di integrazione, Favaro e Luatti (2004, p. 94) si pronunciano nei seguenti termini: “L’integrazione è innanzitutto un problema di tempo e di tempi e si colloca, per gli adulti, nella fase della migrazione in cui si fa spazio al futuro e ci si orienta verso il paese di immigrazione” (Favaro e Luatti 2004, p. 94).

Il processo di integrazione assume significati diversi a seconda della generazione immigrata coinvolta, come esplicitato dalla seguente osservazione:

“L’integrazione è dunque anche una questione di generazioni: una possibilità per coloro che arrivano da adulti, una prospettiva quasi obbligata per chi nasce o cresce nel nostro paese. Mentre per gli immigrati della prima generazione, un inserimento positivo nel paese che li ospita può essere l’obiettivo da perseguire, per la nuova generazione, la finalità dell’integrazione deve essere alla base delle politiche educative e sociali. L’integrazione è quindi anche, e soprattutto, una

questione di scelte e di politiche di accoglienza messe in atto dal paese di

immigrazione, dai servizi per tutti e dalla scuola” (Favaro e Luatti 2004, p. 97).

La “Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati” ha formulato una definizione di integrazione da porre alla base del “modello migratorio italiano”: - l’integrazione come integrità della persona che, da tradursi operativamente in dignitose condizioni di vita materiali, affettive, familiari, sociali ecc;

- l’integrazione come interazione positiva, sia nei confronti del gruppo di origine, sia nei confronti degli autoctoni, nell’orizzonte di una pacifica convivenza (Zincone, 2000 e 2001).

Tale definizione di integrazione, dalla caratterizzazione più operativa che analitico- descrittiva, ha individuato quattro “tasselli” funzionali delle strategie integrative: - l’interazione basata sulla sicurezza attraverso il rispetto comune delle regole;

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- un minimo di integrità garantita a tutti, anche agli irregolari garantendo il rispetto dei diritti della persona;

- la piena integrità garantita agli immigrati regolari attraverso una equiparazione ai cittadini, rispetto sia ai diritti civili sia ai diritti sociali;

- l’interazione basata sul pluralismo e la comunicazione, volta a costruire spazi e canali di comunicazione condivisi nel rispetto delle diversità culturali, linguistiche, religiosi e di ogni altro genere (Favaro e Luatti, 2004, p. 97; Favaro e Luatti, 2008, pp.33-34).

Due aspetti sono particolarmente enfatizzati dalla suddetta definizione: la garanzia dei diritti alla persona per tutte gli individui e le opportunità equivalenti per tutti i cittadini autoctoni e stranieri (vedasi lo schema di seguito riportato).

Integrazione ragionevole degli immigrati: quattro tasselli

Fonte: Zincone, 2000.