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I significati operativi della pedagogia interculturale come “pedagogia dialogica e

CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

1. La pedagogia interculturale come risposta educativa all’attuale società

1.2. I significati operativi della pedagogia interculturale come “pedagogia dialogica e

I teorici della pedagogia interculturale pedagogia interculturale si sono focalizzati in particola modo sull’emblematico significato dell’incontro, inteso come contesto operativo entro cui l’educazione interculturale si realizza come relazione dialogica tra diverse culture. Infatti la pratica educativa di carattere interculturale implica sempre una relazione tra persone appartenenti a diverse patrimoni culturali.

A tal proposito può risultare utile richiamarsi alla tesi di Lewin (1980), il quale sulla base delle sue ricerche condotte negli Stati Uniti circa le relazioni tra la minoranza nera ed ebraica e la maggioranza bianca, è giunto a formulare la seguente conclusione:

“Le relazioni tra i gruppi sono un problema bifronte. Ciò significa che per migliorare le relazioni tra i gruppi, è necessario studiare entrambi i gruppi oggetto dell’interazione. Negli ultimi anni si è cominciato a comprendere che i cosiddetti problemi della minoranza sono di fatto problemi della maggioranza, che il problema del negro è quello del bianco, che la questione ebraica è la questione dei non ebrei” (Lewin 1980, p. 261).

Lo spiccato realismo di tale osservazione di Lewin ci invita a riflettere consapevolmente sull’innegabile necessità di prendere in considerazione tutti i soggetti partecipanti alla medesima relazione sociale. La relazione tra maggioranza e minoranza risulta essere problematica per due motivi: è asimmetrica dal punto di vista strutturale poiché i rapporti di forza sono inevitabilmente a svantaggio della minoranza e la minoranza si trova in una condizione di “invisibilità” agli occhi di coloro che sono incapaci di riconoscerli nelle loro soggettività (Susi 1999; 2005). In merito al tema dell’incontro con le altre culture, è stata denunciata una “retorica pedagogica di antica memoria” (Demetrio 1997, p. 1).

L’educazione interculturale, concentrandosi prevalentemente sulla relazione tra soggetti di diverse culture, viene a delineare un processo e a strutturare un progetto (Favaro, 2001 a). Rispetto alla finalità di creare situazioni di produttivo incontro e costruttivo confronto tra differenti riferimenti culturali l’approccio pedagogico interculturale, è stato illustrato dagli studiosi ricorrendo a significative parole-chiave. Secondo Demetrio (1997 b) l’opzione pedagogica interculturale, risulta essere connotata da tre fondamentali azioni quali: l’interazione, la reciprocazione e l’accettazione.

Fare intercultura significa innanzitutto interagire ossia agire con un altro soggetto per progettare e discutere, agire in maniera reciproca con l’altro per scambiarsi informazioni e saperi, e accettare l’altro per riconoscere come legittime le sue differenze a condizione che queste non vengano a ledere i propri diritti universali di uomo e di cittadino.

Secondo Favaro (2001 a) le parole chiave dell’educazione interculturale possono anche essere identificate nella: interazione, reciprocità e rispetto. L’interazione si pone come sinonimo di curiosità e apertura propedeutiche al confronto con l’altro. La

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reciprocità si presenta come la condizione relazionale raggiungibile solo attraverso lo scambio di informazioni, saperi e risorse. Infine il rispetto è da intendersi come il riconoscimento dei punti di vista diversi, disposizione al cambiamento e la ricerca di analogie e comunanze. L’antropologa Callari Galli (1996), particolarmente attenta agli stretti rapporti che intercorrono tra la pedagogia e l’antropologia culturale, ha denominato il luogo dell’intercultura come lo “spazio dell’incontro”. Infatti in questo nuovo progetto formativo di democratica convivenza tra individui di diverse culture assume un ruolo centrale il cosiddetto “spazio dell’incontro” che altro non è che uno spazio pedagogico “costituito e regolato dall’intercultura che, procedendo oltre la multiculturalità, vuole venire a costituire un habitus e un habitat di dialogo, di confronto, di reciproca intesa” ( Cambi 2006, p. 13) e uno spazio “mai stabile, né totalmente raggiunto; è sempre in cantiere” (Cambi 2006, p. 27).

Pertanto l’intercultura si costruisce all’interno di questo spazio, che è uno “spazio fisico, mentale, coscienziale”, uno spazio carico di tensioni tra identità, uno spazio da teorizzare rigorosamente, da costruire nelle pratiche formative e da tutelare, e al cui centro vi sono “quattro dispositivi: il confronto, la decostruzione, il dialogo, l’intesa” (Cambi 2006, p. 49).

In rapporto al tema dell’incontro Cambi (2001) ha esplicitato il duplice significato dell’intercultura, da intendersi sia come multi-culturalità, sia come trans-culturalità, sostenendo che l’intercultura, in quanto multiculturalità, pone le culture in una posizione frontale di ascolto tra loro, mentre nel secondo caso, l’intercultura, in quanto trans-culturalità, attiva forme di meticciamento e di scambio non esenti da rischi, le quali possono anche dar vita a nuove realtà culturali. Secondo Demetrio e Favaro (1997) l’educazione interculturale, nel rintracciare le strategie di incontro più opportune rispetto al tipo di contatto interculturale che si intende promuovere, ha individuato tre tipologie di incontri: incontri cognitivi, relazionali-comunicativi e simbolici. In primo luogo, secondo gli autori, gli incontri cognitivi consentono di accedere ai saperi dell’altro, gli incontri relazionali permettono di entrare in comunicazione con l’altro tramite l’interazione verbale, la narrazione, le negoziazioni e le mediazioni e infine gli incontri simbolici consentono di manifestare agli altri i gesti di accoglienza, ospitalità, riconoscimento, disponibilità e rispetto reciproco. In merito al tema dell’incontro tra le culture Demetrio e Favaro (1992) si sono espressi nei seguenti termini:

“Un gioco di scambi, di prestiti, di debiti con il quale si acquista (fattore integratore) e si vende o si scambia (fattore interattivo); all’interno di un ritmo di vita che non sempre riesce a dettare regole e orientamenti, dal momento che esso appartiene alla dimensione morfogenetica delle cose: è cioè in divenire continuo, mai del tutto definibile e prevedibile” (p. 11).

Gli autori hanno anche affermato che dalla relazione tra due universi culturali ne scaturiscono altri mondi, la cui reciproca concessione acquista una funzione generatrice. Demetrio e Favaro (1997) hanno individuato come prerequisito dell’incontro con gli alunni immigrati l’ascolto nelle sue articolazioni operative di “ascolto autobiografico, partecipante e metaforico” (p. 126). I tre approcci all’ascolto individuati si prefiggono di stimolare a parlare e a raccontare storie di sé.

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L’ascolto autobiografico, che mira a conoscere le biografie dei protagonisti di un’esperienza migratoria, incoraggia la narrazione di sé e l’autoriconoscimento come soggetti dot ati di una storia di vita apprezzabile.

L’ascolto partecipante consiste nell’entrare in concreta relazione con i ragazzi immigrati coinvolgendoli in varie attività di lavoro, e l’ascolto metaforico, il quale consente di accostarsi a ciò che non è visibile in tempi immediati, sollecitando i ragazzi immigrati ad esprimersi con un linguaggio metaforico, ad esempio rappresentandosi con il disegno.

Cambi (2006) sostiene che la costruzione dell’incontro, in quanto dispositivo educativo, ha luogo secondo quattro percorsi ideali:

- il primo nella teorizzazione dell’incontro come spazio fisico e mentale atto al riconoscimento reciproco e alla validazione dei diritti umani;

- il secondo nel riconoscimento del dialogo come tecnica per eccellenza dello spazio dell’incontro e del dialogo critico;

- il terzo nell’individuazione della dimensione mondiale della cultura e della formazione di un “uomo planetario”;

- il quarto nella presa di coscienza dell’importanza innegabile della scuola per edificare una reale ed efficiente l’intercultura.