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CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

3. Scuola e processi di integrazione

3.4. Pratiche di mediazione culturale a scuola

Il tema della mediazione culturale rappresenta un importante ambito di studio e di indagine all’interno del più ampio campo della pedagogia interculturale. Spesso, però, con l’espressione “mediazione culturale” in contesti educativi ci si riferisce unicamente e in maniera riduttiva all’insieme delle azioni educative orientate all’accettazione, accoglienza delle diversità culturali e all’integrazione degli alunni immigrati (Tarozzi, 2004) e a quelle figure professionali, individuate dalla normativa sull’immigrazione, che vedono impegnati soggetti immigrati nel ruolo di mediatori linguistico-culturali (Fiorucci, 2004). Solo a partire dalla metà degli anni Novanta in Italia hanno fatto la loro comparsa i termini “mediatori” e “faciloitatori” accompagnati dalla specificazione “linguistico-culturale”. Tali termini hanno dato vita ad alcuni progetti e dispositivi di mediazione accompagnati da tentativi di rispondere in maniera efficace e mirata agli impellenti bisogni posti dalla complessità sociale e culturale.

Appare opportuna una preliminare chiarificazione del significato di mediazione in quanto processo insito nella stessa azione educativa. Franco Cambi (1991) ha individuato nella mediazione la dimensione fondamentale e costitutiva dell’agire educativo e il tratto caratteristico dell’intenzionalità della relazione educativa.

Secondo Favaro (2004) la mediazione trova il suo nucleo centrale proprio nella relazione educativa con l’altro. La valenza autenticamente pedagogica della mediazione è messa in luce dalla seguente riflessione: “In pedagogia la mediazione è

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sia un abito sia un atto intenzionale che consentono di esplicitare e rendere evidenti i legami che sussistono tra soggetti apparentemente lontani, attraverso incessanti negoziazioni di significati” (Tarozzi 2004, p. 306).

Secondo Castelli (1996) il termine “mediazione” sta ad indicare un processo volto a favorire un’evoluzione dinamica di una situazione di conflitto tra più soggetti, aprendo nuovi canali di comunicazione, e nell’intento di giungere attraverso un lavoro di negoziazione e contrattazione, alla condivisione di un’intesa. La relazione - come rilevato da Infantino (1996) - in genere, può incentrarsi su una comunicazione asimmetrica dovuta all’ineguale divisione del potere comunicativo tra i partecipanti all’interazione, oppure su una comunicazione caratterizzata da rapporti di reciprocità, in cui i partecipanti all’interazione dispongono dello stesso potere comunicativo, e lo esercitano alternandosi tra loro.

La comunicazione interculturale è dunque, concordando con Fiorucci (2004, p. 22): “Un’operazione di integrazione e di reciproco adattamento, è, in definitiva, un tentativo concreto di superamento dell’etnocentrismo”.

Fiorucci (2004) ha messo in risalto la necessità di costruire, istituire, difendere e gestire consapevolmente e intenzionalmente gli ambiti di dialogo e di mediazione in quanto questi non esistono per natura. A riguardo egli ha puntualizzato che si tratta della “dimensione politica della mediazione culturale” (p. 12).

Soffermandoci sul significato della mediazione, nel senso più ampio del termine, vediamo che essa sta ad indicare azioni quali “avvicinare”, “facilitare il contatto”, “includere”, favorire l’interazione e lo scambio”, “promuovere opportunità equivalenti nel rispetto delle differenze” (Favaro, 2004 a).

Inoltre Favaro (2004 a), ponendo l’accento sulla processualità della mediazione - un processo che non avviene per caso nè spontaneamente ma che deve essere voluto e progettato da tutte le persone che entrano in relazione - ha specificato:

“Processo che implica due condizioni: l’accesso e l’uso, da parte degli immigrati, di servizi, risorse e luoghi comuni a tutti i cittadini; e il

riconoscimento, da parte del paese di accoglienza, dei bisogni, delle specificità e

delle differenze, culturali, linguistiche, religiose ecc. espresse dai singoli e dai gruppi di minoranza. Il nucleo centrale della mediazione è dunque la relazione con l’altro: tra operatori e nuovi utenti, tra servizi comuni e riferimenti e comportamenti distintivi, tra linguaggi verbali e non verbali che esprimono significati simili con accenti e suoni diversi” (Favaro 2004 a, p. 19).

E’ possibile individuare tre livelli di mediazione: “la comunicazione culturale”, la “mediazione interculturale” e la “mediazione linguistico-culturale” (Fiorucci 2004, p. 12-13).

Il primo livello della comunicazione culturale è quello della mediazione in senso ampio, che in alcuni casi non è intenzionale e che riguarda ambiti informativi come ad esempio il cinema e la televisione. Il secondo livello della mediazione interculturale prevede spazi di intervento più ampi in termini di formazione interculturale rivolta a tutti coloro che operano nei servizi sociali, nei servizi sanitari, nelle strutture socio-educative, nelle carceri ecc. Il terzo livello della mediazione linguistico-culturale coinvolge il lavoro di una figura professionale quale appunto

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quella del mediatore culturale, la cui funzione va ben oltre quella di una semplice traduzione e interpretariato; il mediatore culturale, infatti, deve essere dotato sia di competenze tecniche e specifiche, sia delle cosiddette competenze trasversali come la responsabilità, la creatività, l’autonomia e la gestione dei processi relazionali e comunicativi.

Secondo Johnson e Nigris (1996) la mediazione, da intendersi come un duplice processo in cui ha luogo la decodifica dei messaggi comunicativi, si esplica a diversi livelli: “di ordine pratico e orientativo”, “linguistico-comunicativo”, e “psicosociale” (p. 373).

Al primo livello, sul piano orientativo vi corrispondono i compiti che il mediatore svolge nei confronti del proprio gruppo di appartenenza e dei servizi presso cui si trova ad operare come ad esempio tradurre informazioni e informare allo scopo di rendere il servizio stesso più accessibile. Al secondo livello, sul piano linguistico- comunicativo, vi corrispondono compiti del mediatore quali fornire informazioni e chiarimenti o prevenire e gestire fraintendimenti comunicativi. Al terzo livello, sul piano psico-sociale, il mediatore assume un ruolo di stimolo e arricchimento per l’assetto programmatico e organizzativo del servizio.

Nel definire l’educazione in termini di mediazione Demetrio (1997) si è pronunciato in merito alla figura del mediatore, indicandolo come colui che agisce da intermediario tra una persona e un’altra allo scopo di facilitare maggiormente la comunicazione tra gli interlocutori. Specificamente egli afferma:

“In questo caso il mediatore, in quanto facilitatore di incontri, si preoccupa di: a) creare le condizioni adatte alla relazione; b) di individuare le motivazioni, l’interesse, il tornaconto reciproco perché le due o più persone si rendano disponibili a stare insieme, c) di scegliere un contenuto (un argomento, un problema, un’attività) rispetto al quale eserciterà un intervento” (Demetrio 1997, p. 77).

E’ utile operare una distinzione tra il mediatore culturale e il mediatore interculturale: il primo corrisponde a colui che pur appartenendo a una data cultura e rappresentandola per nascita si presta come mediatore mentre il secondo, pur avendo una certa origine culturale, indipendentemente dalle sue radici, s’impegna a tradurre concretamente i valori dell’interculturalismo (Demetrio, 1997).

Come ha sostenuto Fiorucci (2004) la scuola deve divenire essa stessa luogo di mediazione, all’interno della quale, oltre al mediatore professionale, tutti gli attori coinvolti nel processo educativo, devono farsi carico del proprio specifico compito di mediazione, e sede in cui devono divenire strumenti di mediazione culturale i saperi stessi che la scuola trasmette e veicola attraverso i programmi, le circolari e i sussidi didattici.

Sulla base delle esperienze maggiormente consolidate, l’intervento di mediazione nella scuola, si colloca su piani diversi, ciascuno dei quali richiede compiti precisi quali “l’accoglienza”, “l’informazione”, la “comunicazione e relazione”, la “cultura e intercultura” (Favaro 2004 b, p. 171-172). Secondo questa ripartizione dei compiti del mediatore interculturale, nel contesto scolastico, la funzione di “accoglienza” si traduce operativamente in una sorta di tutoraggio, volto alla rassicurazione sul piano

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affettivo e all’orientamento nel nuovo sistema, mentre la funzione di “comunicazione e relazione” si traduce operativamente nell’azione di interpretariato e traduzione di messaggi, avvisi e documenti scritti e oltre che di assistenza agli incontri tra insegnanti e genitori immigrati. Altrettanto importante è la funzione di “informazione” per la quale il mediatore è tenuto a fornire utili e chiare informazioni sulla scuola nel paese d’origine, aiutando anche a rilevare le competenze pregresse dei bambini immigrati e a ricostruirne la biografia scolastica e linguistica.

Secondo Favaro (2001 b, p. 21) l’intervento del mediatore culturale a scuola assolve a diverse funzioni quali: “accoglienza, tutoraggio e facilitazione” nei confronti dei bambini e dei ragazzi neoarrivati, “mediazione” nei confronti degli insegnanti, “interpretazione e traduzione” nei confronti delle famiglie e in occasione, se necessario, dei colloqui tra insegnanti e genitori immigrati, collaborazione alle “proposte di educazione interculturale” che prevedono momenti di conoscenza e valorizzazione dei paesi e delle culture d’origine e conduzione di “laboratori di apprendimento della lingua d’origine orale e scritta (L1)” in orario extrascolastico su richiesta dei bambini stessi nel caso in cui il mediatore in questione possegga una competenza didattica specialistica e un’esperienza come insegnante nel proprio paese (Favaro, 2001 b, p. 21).

In sintesi il mediatore culturale non può essere considerato come “l’esperto o il tecnico dell’educazione interculturale” a cui si demandano le questioni dell’integrazione dei bambini immigrati (Fiorucci 2004, p. 24-25).

Secondo Tarozzi (2004, p. 319) le funzioni del mediatore linguistico-culturale a scuola, si collocano entro ambiti definiti qua li: “situazioni di emergenza” come l’interpretariato nel processo d’inserimento dei bambini appena giunti da un paese straniero, la “consulenza” ai responsabili dei servizi educativi” relativamente alla formazione e all’aggiornamento degli insegnanti, all’organizzazione scolastica, ai materiali didattici, la “gestione dei conflitti” tra utenti e istituzioni, “animazione interculturale” per chi ha una formazione specifica in merito.

La mediazione costituisce una ineluttabile pratica interculturale se si considera che nell’incontro tra servizi, professionalità dei rispettivi operatori e utenti immigrati sono profondamente mutate le richieste provenienti dai nuclei immigrati, le difficoltà sociali e culturali legate al percorso migratorio, le modalità di presentazione delle richieste dettate dalle prefigurazioni e le aspettative relative all’accesso di risorse come ad esempio il reperimento di alloggio (Fumagalli 2004).

Nell’incontro tra servizi, professionalità dei rispettivi operatori e utenti immigrati sono profondamente mutate le richieste provenienti dai nuclei immigrati, le difficoltà sociali e culturali legate al percorso migratorio, le modalità di presentazione delle richieste dettate dalle prefigurazioni e le aspettative relative all’accesso di risorse come ad esempio il reperimento di alloggio.

Fumagalli (2004 , p. 102) ha affermato che le famiglie e i minori immigrati “trasformano le loro specificità, fatte di risorse e di difficoltà, in domande e bisogni che chiedono di essere decodificati e accolti dai servizi”. La tabella, di seguito riportata, aiuta a collocare nelle varie dimensioni alcune difficoltà presenti nei nuclei

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familiari immigrati e con le quali i servizi educativi si trovano a fare i conti nelle pratiche di mediazione.

Livelli di difficoltà

- problemi di alloggio (mancanza, inadeguatezza, ecc.)

- difficoltà economiche

- mancanza o perdita del lavoro del capofamiglia - nucleo numeroso

- problemi sanitari Difficoltà di tipo sociale ed

economico

Difficoltà di tipo culturale - ruoli tra i coniugi rigidi e predefiniti

- concezione differente del ruolo maschio/femmine - diversa rappresentazione della famiglia, della salute, dell’infanzia, della società

Difficoltà riconducibili alla condizione di migrazione

- problemi di tipo giuridico

- difficoltà linguistiche e di comunicazione

- non conoscenza o diffidenza del sistema dei servizi - isolamento sociale

- solitudine della donna

- mancanza di sostegno parentale

- difficoltà di tipo psicologico e relazionale legate al percorso migratorio

Fonte: M. Fumagalli 2004, p.104