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CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

1. La pedagogia interculturale come risposta educativa all’attuale società

1.3. La didattica interculturale: dalla teoria alla prassi educativa

1.3.1. Le metodologie didattico-educative interculturali

In merito agli aspetti didattico-metodologici dell’educazione interculturale, Nanni e Curci (2005) hanno identificato sette metodi didattici che risultano essere tra loro complementari e garanti di un’efficace apprendimento personalizzato in un contesto cooperativo:

- il metodo narrativo; - il metodo comparativo; - il metodo decostruttivo;

78 - il metodo del decentramento;

- il metodo della restituzione (o riconoscimento del debito culturale); - il metodo del gioco (o della via ludica);

- il metodo dell’azione (o pedagogia dei gesti).

Per tutti i metodi sopramenzionati sono stati segnalati sia i vantaggi sia gli svantaggi sul piano didattico, sia gli aspetti propositivi e arricchenti, sia gli aspetti in un certo senso più ambigui e pericolosi.

La via narrativa all’educazione interculturale è in grado di mettere tutti i soggetti nella condizione di essere attivi protagonisti dell’incontro dal momento che permette ad ognuno di raccontare il proprio background culturale e di confrontarlo con quello degli altri alla ricerca di comunanze e differenze. In merito alla pedagogia narrativa i due autori hanno proposto tre metodologie operative: l’uso della fiaba, la scelta di un personaggio ponte e la progettazione di un laboratorio narrativo.

Ad esempio la fiaba, in quanto genere narrativo universale, presenta tematiche simili, quando non identiche, nei racconti fiabeschi di culture molto lontane e diverse e dunque si presta facilmente a favorire la conoscenza della cultura di altri popoli. La scelta di lavorare su un personaggio-ponte consente di coniugare la narrazione con l’intercultura; ad esempio “Giufà” o i “folletti” sono personaggi presenti in molteplici culture dell’area del Mediterraneo.

La progettazione di un laboratorio narrativo, consistente nella lettura di brevi brani di storie che raccontano vicende di vita e storie di immaginazione dei bambini, ragazzi, adulti, vengono a creare occasioni per dialogare insieme e riflettere su abitudini diverse dalla propria cultura.

Il metodo comparativo, basato sul confronto tra due o più narrazioni o visioni di uno stesso oggetto consente il superamento di un’impostazione unilaterale dell’educazione, permettendo al tempo stesso di educare al pluralismo e alla relatività.

Il metodo del decentramento favorisce, attraverso il confronto con gli altri, la capacità di decentrarsi dal proprio punto di vista per considerare il proprio punto di vista come uno dei possibili ma non come l’unico legittimo. In merito al decentramento Nanni e Curci (2005) affermano che esso “è un tirocinio democratico, un allenamento per imparare ad accettare la parzialità della propria verità, mai totalizzante, mai assoluta, mai definitiva” (Nanni e Curci 2005, p. 86).

Il metodo della restituzione consiste nel portare l’alunno a scoprire e ad apprezzare il debito culturale che la sua cultura d’origine ha rispetto ad altre culture. Il riconoscimento del debito culturale verso altri patrimoni culturali permette di individuare gli elementi culturali (come ad esempio parole, utensili, prodotti alimentari) che, attraverso scambi culturali e ibridazioni, sono entrati a far parte del nostro patrimonio culturale e del nostro immaginario collettivo.

Il metodo del gioco è particolarmente indicato per la scuola dell’infanzia, adatto soprattutto a quei giochi che valorizzano la raffigurazione simbolica dei problemi, il coinvolgimento diretto e la partecipazione attiva dei bambini mediante giochi di ruolo, simulazioni, spettacoli teatrali e drammatizzazioni.

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Il metodo dell’azione valorizza, oltre alle conoscenze e agli atteggiamenti, anche il linguaggio dei gesti, le azioni, i comportamenti, proponendosi come “la via pragmatica dell’educazione alla cittadinanza attiva” (Nanni e Curci 2005, p. 106). Tale metodo sembra essere decisamente in linea con quanto asserito da Orsi (2004):

“Il rispetto per le differenze, i valori del dialogo tra culture, l’incontro tra universi simbolici eterogenei, la scoperta della dimensione dell’altro come altro da sé al quale aprirsi, non avviene tanto in virtù di azioni che trasmettono pure e semplici conoscenze, non attraverso lezioni che si profondono nell’inculcare contenuti. Ma transita per via di una pratica che deve permeare in profondità il clima della scuola” (Orsi 2004, p. 12).

Si pensi ad esempio alle iniziative di antirazzismo, all’allestimento di mostre, all’organizzazione di feste dei popoli, o ai gemellaggi tra scuole che possono prevedere attività ordinarie come lo scambio di lettere, di giocattoli, di maschere, di musiche e di ricette tipiche. Dal punto di vista teorico e della ricerca sono state ordinate e sistematizzate le esperienze più conosciute e formalizzate di approccio interculturale nei segue nti filoni:

- la didattica dell’accoglienza;

- didattica per la promozione e il confronto delle culture; - la didattica per il decentramento dei punti di vista;

- la didattica per la prevenzione degli stereotipi e dei pregiudizi; - la didattica per il cambiamento delle discipline;

- la didattica dell’italiano come lingua seconda (Favaro 2001).

La didattica dell’accoglienza può essere attuata nella fase iniziale di inserimento dell’alunno immigrato nel contesto scolastico. L’accoglienza dei bambini immigrati e delle loro rispettive famiglie nelle istituzioni scolastiche è gestibile tramite la progettazione efficace di questo momento che prevede di predisporre dei dispositivi e dei flessibili percorsi operativi, come un “protocollo di accoglienza” che icluda l’insieme delle strategie, delle procedure, degli strumenti, delle figure professionali, del personale specializzato (come ad esempio i mediatori linguistico-culturali), di cui gli istituti decidono di dotarsi. Come ha messo in luce Tassinari (2002), gli interventi di mediatori culturali immigrati, nell’ambito di una didattica dell’accoglienza, pur avendo contribuito a far uscire dall’anonimato gli alunni appartenenti a minoranze etniche discriminate, sollecitando l’interesse degli insegnanti e dei compagni per la loro storia, ha comportato, però, al tempo stesso, il rischio di una rappresentazione edulcorata e di una immagine folcloristica delle singole culture, favorendo così il consolidamento di pregiudizi e stereotipi, a sostegno di una visione eurocentrica delle altre culture.

La didattica per la promozione e il confronto delle culture ha previsto percorsi didattici volti a promuovere l’acquisizione della conoscenza delle diverse culture dei bambini immigrati. In questo approccio vengono presentati temi quali le caratteristiche del paese, la vita sociale e culturale, la lingua, le feste, il cibo, il gioco, la scuola.

L’approccio conoscitivo può, tuttavia,comportare alcuni rischi, tra cui, il più pericoloso - come segnalato da Susi (2005) - è proprio quello di attuare una certa

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“folclorizzazione” culturale, producendo inevitabilmente una visione rigida e statica delle culture. La didattica per il decentramento dei punti di vista è un approccio interculturale che prende in esame specifici elementi culturali a partire dai diversi punti di vista, allo scopo di mettere in luce l’esistenza di una molteplicità di prospettive per una stessa tematica. Il decentramento è un importante principio dell’educazione interculturale, dal valore antropologico, che permette il superamento dell’etnocentrismo; esso diventa “una palestra di apprendimento che consiste in un perdersi (iniziale) per ritrovarsi attraverso l’ascolto dell’altro e nel racconto che l’altro ci restituisce (Nanni e Curci 2005, p. 52).

La didattica dei punti di vista può, però, come osservato da Rivera (1998), far sì che la varietà culturale oggetto di analisi, si riduca poi a semplice diversità di costumi nel senso più esteriore (rispetto alla musica, alla danza, all’abbigliamento ecc) piuttosto che favorire lo scambio comunicativo e la reciproca relativizzazione culturale.

La didattica per la prevenzione degli stereotipi e dei pregiudizi, se da un lato, implica una riflessione consapevole sui contenuti disciplinari, invitando gli insegnanti a mettere in discussione alcuni assunti epistemologici e culturali su cui fino ad oggi si sono fondati i percorsi di apprendimento, dall’altro implica anche l’analisi, la selezione e la stesura dei libri di testo proposti ai bambini.

La didattica per il cambiamento delle discipline e dei curricoli scolastici si propone di revisionare i contenuti presenti e di selezionarne dei nuovi, partendo, dalla constatazione di fatto per la quale, gli attuali curricoli escludono a priori determinati aspetti culturali extraeuropei.

La didattica dell’italiano come lingua seconda concerne le strategie messe in atto in presenza di alunni immigrati con peculiari necessità linguistiche, volte a promuovere un’appropriata competenza nell’italiano scritto e parlato, sia nella ricezione che nella produzione linguistica; una buona competenza nella lingua italiana, in genere, è considerata essere come uno dei prioritari fattori di successo scolastico e di positiva integrazione sociale. Gli alunni immigrati, al momento del loro arrivo - come osservato da Fiorucci (2008) - si devono confrontare con due differenti esigenze linguistiche: la “lingua italiana del contesto concreto” indispensabile per comunicare nella vita quotidiana e la “lingua italiana specifica” necessaria per comprendere ed esprimere i concetti oltre che per apprendere i diversi saperi disciplinari. Le attività di didattica interculturale presentano alcune componenti fondamentali ravvisabili in tre metodologie, quali: la metodologia della “stratificazione delle esperienze”, la metodologia “conversazionale” e la metodologia “prestazionale” (Giusti 2001, p. 170). Le attività didattiche strutturate secondo la metodologia della “stratificazione delle esperienze” vedono impegnati per un certo arco di tempo insegnanti e alunni in un lavoro comune di ricerca attiva, volto all’analisi specifica dei rapporti fra due culture. Le proposte operative strutturate secondo la metodologia “conversazionale” si incentrano principalmente sul dialogo e la narrazione, prevedendo occasioni di incontro diretto sul piano fisico con delle persone sconosciute portavoce di altre culture. I percorsi operativi che si avvalgono della metodologia “prestazionale” effettuano integrazioni alla didattica tradizionale, proponendo attività, condotte da un “esperto” immigrato, implicanti un confronto diretto con le altre culture rispetto a

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contenuti che risultano essere nuovi ed interessanti. Il pensiero pedagogico interculturale presenta molteplici possibili obiettivi, ciascuno dei quali privilegia almeno una delle metodologie illustrate nella tabella di seguito riportata.

Obiettivi Scelte metodologiche

Valorizzare le singole soggettività Il pensiero interculturale assegna importanza all’osservazione, all’ascolto Recuperare frammenti dell’interiorità

dei singoli attraverso la narrazione

Il pensiero interculturale si propone esso stesso come pensiero narratore

attraverso la sollecitazione e la raccolta di narrazioni

Attribuire il privilegio educativo a tutte le forme di dialogo

Il pensiero interculturale sviluppa negli educandi la capacità di collegare, di riflettere, di interpretare, di trovare connessioni fra i pensieri, fra gli

avvenimenti Trasmettere l’abitudine a guardare la

realtà da più punti di vista

Il pensiero interculturale procede attraverso intrecci possibili di storie e memorie nel tempo e nello spazio, attraverso la valorizzazione di sguardi sul mondo diversi e di comportamenti attivi, non passivi

Operare affinchè nei bambini, nei ragazzi, negli adolescenti immigrati le origini non vengano dimenticate e allo stesso tempo vi sia un buon inserimento nella società

Il pensiero e la pratica interculturale favoriscono l’instaurarsi di relazioni simmetriche che permettano ai soggetti di negoziare gli spazi e gli interessi (scolastici, lavorativi, del tempo libero) Favorire l’integrazione di aspetti e

motivi della cultura europea con quelli di altre culture

Ricercare attraverso la lettura, la Sperimentazione, l’incontro diretto di Motivi e temi le diversità e le affinità Criticare gli atteggiamenti e i

comportamenti conflittuali che considerano inevitabile la prospettiva dello scontro

Stabilire contatti diretti fra allievi, fra genitori, fra gruppi che fanno capo e si ritrovano nei luoghi dell’educazione e della formazione

Evitare categorizzazioni e gerarchie di uomini, di ragazzi e delle culture che li rappresentano

Proporre atteggiamenti che sospendono il giudizio, abituare a prendere tempo nel formulare opinioni e punti di vista

Fonte: Giusti 2004, p. 69.

Relativamente agli strumenti operativi che si rivelano essere più funzionali ad una didattica propriamente interculturale Ongini (1999) ha segnalato dieci elementi di cui le scuole dovrebbero dotarsi per la progettazione di attività e di percorsi di lettura di carattere interculturale:

- i libri di divulgazione su paesi e culture differenti, come atlanti, libri di ricette di cucina, riviste;

- le fiabe e le leggende del mondo per tutte le fasce d’età;

- i libri in lingua materna dei bambini e dei ragazzi immigrati (di narrativa e divulgazione);

- i libri bilingue in italiano con il testo a fronte nella lingua dei ragazzi immigrati; - i libri plurilingue ossia tradotti in tutte le lingue;

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- i libri indirettamente multiculturali come romanzi, racconti, storie, che non sono esplicitamente o intenzionalmente finalizzati all’educazione multiculturale e antirazzista;

- storie di immigrazione per adulti e ragazzi, pubblicate in italiano; - storie di emigrazione, autobiografie di immigrati;

- i materiali multimediali come video, film, registrazioni musicali, Cd-rom;

- i materiali per l’insegnamento e l’alfabetizzazione linguistica dell’italiano come seconda lingua come le grammatiche, i dizionari, i manuali di conversazione e di apprendimento della lingua d’arrivo o di quella di origine.