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Modelli e proposte di integrazione nel contesto scolastico

CAPITOLO II ADATTAMENTO PSICO-SOCIALE NELL’ESPERIENZA

3. Scuola e processi di integrazione

3.3. Modelli e proposte di integrazione nel contesto scolastico

Nella letteratura nazionale e internazionale la scuola è considerata essere una sede istituzionale esclusiva in cui è doveroso attivarsi nel promuovere percorsi di confronto e di convivenza tra diversi. Uno dei Rapporti sulle migrazioni elaborato dalla Fondazione ISMU (Iniziative e studi sulla multietnicità) si apre significativamente con la seguente considerazione:

“La presenza straniera ha introdotto un processo di cambiamento demografico che comporta nuove sfide relative alle possibili forme di sperimentazione della convivenza interculturale, la cui difficoltà principale consiste nel delicato e necessario equilibrio tra il diritto alla differenza e il dovere all’integrazione” (XII Rapporto ISMU sulle migrazioni, 2007).

In merito al problema inerente l’integrazione del bambino immigrato, la scuola nella fascia formativa dell’obbligo, preposta ad impartire un’istruzione di base, rappresenta inevitabilmente un luogo e un “punto di passaggio cruciale” sia per intraprendere, sia

Integrità

• Integrità essenziale/diritti della persona per gli irregolari

• Integrità piena per i regolari

Interazione

• Interazione come sicurezza

• Interazione come comunicazione e pluralismo

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per sostenere, adeguatamente ed efficacemente, il cammino di una buona integrazione e cittadinanza. Innanzi a soggetti di diversa appartenenza etnica e culturale, il compito del sistema educativo diventa ulteriormente complesso dal momento che si tratta, sostanzialmente, di “far nascere soggetti nuovi, padroni degli strumenti (in primo luogo la lingua) tipici della nuova cultura, da utilizzare nel nuovo paese, ma anche coscienti e riconosciuti nelle proprie radici culturali, fondamentali da preservare innervandole nel nuovo contesto” (D’Alessio, Schimmenti e De Stasio 2005, p. 170). La scuola multiculturale è stata definita come una terra di frontiera (Zoletto, 2007).

Alcuni studi condotti nel mondo anglosassone sul concetto di frontiera, noti come border studies, hanno ridimensionato l’accezione geo-politica di idea di frontiera come linea di confine, elaborando, invece, l’idea di frontiera come terra di frontiera. Se rispetto ad una linea di confine si deve rigidamente restare da una parte della linea, rispetto ad una terra di frontiera ci si viene spesso a trovare nel mezzo (Anzaldùa, 1987). Gli immigrati, di fatto, nei primi incontri di accoglienza, si trovano a fare il loro ingresso in una terra di frontiera che deve farli filtrare in certe modalità e a certe condizioni nella nostra società (Piasere, 2004).

In un siffatto quadro, i contesti educativi e scolastici, ormai nettamente multiculturali e plurilingui, si trovano, così, a far fronte ad una sfida complessa, corrispondente esattamente a quella di “essere sempre di più una scuola di qualità per tutti, in cui si accolga ogni bambino con competenza, con un’attenzione ai tempi, ai bisogni e alle capacità di ciascuno; in cui si cerchi di realizzare quella sorta di simbiosi sociale e culturale tra ‘vecchi e nuovi’ cittadini, che è reciprocamente positiva” (Favaro 2009 b, p. 19). L’inserimento scolastico dei bambini stranieri, quale momento fondamentale del processo integrativo, può generare un percorso innovativo per tutti, di riscoperta della nostra lingua, dei contenuti disciplinari, dei punti di vista diversi, delle analogie e delle differenze tra culture (Favaro, 2009 b).

Tralasciando i contesti nazionali che in passato, a livello istituzionale e formativo, hanno scelto di percorrere la strada della “separazione”, articolata in classi scolastiche separate e nell’impossibilità di accesso alla cittadinanza dei cittadini immigrati e dei loro figli, è possibile individuare tre opzioni di integrazione realizzate fino ad oggi, in modo più o meno coerente, dalle istituzioni scolastiche di diversi paesi europei (Unione Europea, 2004):

- “integrazione multiculturale”, modello che riconosce le minoranze valorizzando apertamente le differenze e i diversi apporti culturali (adottato soprattutto dalla Gran Bretagna e dai Paesi Bassi);

- “integrazione in-differente”, modello di integrazione e cittadinanza di tipo assimilatorio, che prevede un percorso di assimilazione degli individui ma non delle comunità etniche, relegando le differenze culturali nella dimensione del privato, al di fuori degli spazi pubblici (adottato in passato soprattutto dalla Francia);

- “integrazione interculturale”, modello che tenta di coniugare nel miglio modo possibile le opzioni sopraindicate, porgendo attenzione al reciproco processo di scambio e contaminazione che viene a compiersi nell’incontro tra storie e culture differenti.

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La strada dell’integrazione interculturale, come osservato da Favaro (2008):

“Si propone di procedere sui due binari paralleli: da un lato quello dell’inclusione e dell’estensione dei diritti e dei doveri di cittadinanza ai nuovi cittadini e, dall’altro, quello di un riconoscimento della pluralità. Non quindi di differenze considerate come un segno distintivo, definito una volte per tutte, una ‘sostanza e un fatto’, fissi nel tempo, ma come tratti che si modificano e interagiscono, oggetto di infinite elaborazioni” (Favaro, 2008, p.32-33).

Schimmenti (2008) ha individuato diversi possibili scenari dell’integrazione nel sistema scolastico: l’integrazione come assimilazione/assorbimento, come istituzionalizzazione della pluralità, come un processo di fusione e come pluralismo. L’integrazione può concretizzarsi come assimilazione ossia come assorbimento totale delle diversità in un sistema socio-culturale pre-esistente al quale ci si deve necessariamente adattare. L’integrazione può essere istituzionalizzazione delle pluralità in quanto tale processo si basa sulla legittimazione delle differenti culture in vista di una concordata convivenza. L’integrazione si esplica anche come un processo di fusione nel quale il contesto sociale diviene un crogiolo di culture attraverso cui si viene a costituire un ethos comune.

Inoltre l’integrazione intesa come pluralismo prospetta una democratica convivenza che rende necessaria un’articolata interazione delle differenze.

Fra le modalità più efficaci per inaugurare in maniera positiva il cammino di integrazione dei bambini immigrati nella scuola italiana, sono state segnalate alcune “buone pratiche” in uso in molte scuole nella prima fase di inserimento , le quali dovrebbero essere motivo di generalizzazione ed estese a tutte le istituzioni scolastiche:

“- una commissione o un gruppo di lavoro sul tema dell’accoglienza e dell’intercultura;

- un protocollo di inserimento dei bambini neoarrivati che individua chi fa che cosa soprattutto nella prima fase;

- materiali plurilingue per comunicare con le famiglie che non conoscono l’italiano; - un momento iniziale (bastano 3-4 giorni) che precede la scelta della classe e l’inserimento vero e proprio, durante il quale si conosce e si osserva il bambino neoarrivato” (Favaro 2009 a, p. 3).

Tra le “cattive pratiche” che colpiscono, in particolar modo, la prima fase di inserimento, Favaro (2009 a) indica il cosiddetto inserimento del bambino neoarrivato in situazione di ritardo scolastico, ossia il suo inserimento in una classe inferiore di uno o più anni, quando effettuato in maniera automatica, senza alcuna conoscenza del bambino neoarrivato e senza l’esplicitazione delle motivazioni alla base di tale scelta.

Il positivo inserimento del bambino neoarrivato nella nuova scuola, secondo Favaro (2009 b), richiede necessariamente un progetto di accoglienza, le cui azioni si articolano in tempi e contesti molto diversi: in classe, nella scuola, e fuori dalla scuola.

Nel contesto classe l’organizzazione del progetto di accoglienza si traduce operativamente in un “aiuto mirato da parte degli insegnanti di classe”, in un’attenta

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analisi dei bisogni e delle competenze dell’alunno sulla base dei quali apportare un opportuno “adattamento del programma”, “forme di tutoraggio e di cooperazione da parte di compagni di classe” e “utilizzo di testi semplificati e di materiali didattici specifici” (Favaro 2009 b, p. 3). Secondo Favaro (2009 b), a scuola, tale progetto implica la “frequenza di un laboratorio di italiano L2 per alcune ore settimanali”, l’uso, ai fini dell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua, di “testi e materiali didattici specifici e di strumenti multimediali”, e una “programmazione e valutazione congiunta rispetto al percorso di italiano L2, tra gli insegnanti di classe e gli insegnanti di laboratorio”, mentre, fuori dalla scuola, le pratiche di accoglienza corrispondono a un “aiuto allo studio in tempo extrascolastico” e al “doposcuola e frequenza di luoghi di aggregazione” (Favaro 2009 b, p.3).

Un’attenta pianificazione dell’integrazione scolastica degli alunni di cittadinanza non italiana chiama in causa due aspetti alquanto preoccupanti: il primo relativo all’inserimento di questi studenti in qualsiasi momento dell’anno scolastico, anche in caso di mancata e/insufficiente conoscenza della lingua italiana e il secondo, riguardante la concentrazione degli alunni stranieri in alcune scuole di certe zone periferiche e di alcuni comuni.

In particolare la distribuzione degli alunni in una classe con maggioranza di bambini figli di immigrati “appare legata alla casualità della residenza dei cittadini stranieri con figli in età scolare, ma quando si giunge al 40% di alunni stranieri in una classe, ci si trova davanti ad una casualità che provoca disorientamento” (Lenzi 2007, p.8).