• Non ci sono risultati.

I limiti della soluzione giurisprudenziale alle frodi IVA

Nel documento Iva: crisi europea ed esperienza sammarinese (pagine 159-163)

3. Il ruolo della Corte di Giustizia nella lotta alla frode IVA

3.3 I limiti della soluzione giurisprudenziale alle frodi IVA

L’inconveniente dell’aver demandato il compito di combattere le frodi IVA alla Corte di Giustizia, piuttosto che trovare una soluzione normativa di sistema, è ovviamente il fatto che non esiste una definizione unica e circostanziata del concetto di buona fede, data la circostanza che la Corte di Giustizia si trova certamente a dover fornire principi generali ma applicati a casi nel concreto ben diversi l’uno dall’altro.

Nella sentenza Optigens si fa riferimento solo alla conoscenza, oppure alla conoscibilità, della frode da parte del soggetto passivo. Nella Axel Kittel, si evidenzia la necessità che i soggetti passivi adottino «tutte le misure che si possono loro

ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode». Nella sentenza Federation of Technological Industries si da rilevanza invece al

prezzo della cessione: «si presume che un soggetto abbia ragionevoli motivi per sospettare la

406 CGUE, sentenza del 31 gennaio 2013, causa C-642/11, Stroy trans EOOD, punto 52; il soggetto che si

dimostra essere a conoscenza dell’esistenza del carattere fraudolente dell’operazione non può sostenere che non sapeva, per cui l’eventuale riconoscimento dell’esercizio della detrazione implicherebbe un abuso del regime giuridico della stessa, come chiarito da Corte di giustizia nel caso Halifax.

407 CGUE, sentenza del 6 luglio 2006, Cause riunite C-439/04, C-440/04, Axel Kittel, al punto 60; CGUE,

sentenza del e 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/2003 e C-484/03, Optigen, punto 55; D.DE

GIROLAMO, L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di responsabilità del cessionario nelle frodi Iva, in Il Fisco, n. 31 del 2007, pag. 4571.

sussistenza di tale fattispecie se il prezzo ad esso richiesto era inferiore al prezzo minimo che questi poteva ragionevolmente aspettarsi di pagare sul mercato per detti beni, ovvero era inferiore al prezzo richiesto per precedenti cessioni dei medesimi beni».408

Viene invece supposta la non conoscibilità nel caso in cui la falsità dei documenti

presentati dall’acquirente emerga solo successivamente il compimento

dell’operazione.409 Si intuisce chiaramente che i giudici comunitari attribuiscono alla

nozione di buona fede un significato più complesso del mero fatto di scienza: la consapevolezza o l’ignoranza della frode commessa da altri non dipendono semplicemente dalla sussistenza di uno stato di fatto psicologico o intellettivo, ma sono collegate all’adempimento di un preciso obbligo di comportamento gravante sul contribuente.410 È quindi possibile invocare uno stato di ignoranza “in buona

fede” solo se essa è incolpevole, avendo diligentemente assolto precedentemente al dovere di adottare tutte le misure che potevano essere ragionevolmente richieste a quel contribuente per evitare di prendere parte a operazioni o catene di operazioni in frode.411

La naturale conseguenza è che l’operatore è corresponsabile per il danno cagionato dall’evasione altrui non solo se sapeva, ma anche se “avrebbe dovuto sapere” dato il

408 Punto 31 della citata sentenza.

409 CGUE, sentenza del 27 settembre 2007, causa C-409/04, Teleos, punto 50, in www.curia.euoropa.eu.

410 A. MONDINI, Corresponsabilità tributaria per le evasioni Iva commesse da terzi, in Rass. Tributaria, n. 3 del 2014,

pag. 453.

411 A. MONDINI, Corresponsabilità tributaria per le evasioni Iva commesse da terzi, in Rass. Tributaria, n. 3 del 2014,

pag. 453: «Nell’accezione propria al diritto comune, “essere in buona fede” nel realizzare fatti o atti giuridici non significa agire

ignorando che altri violano il diritto, ma agire ignorando di ledere l’altrui diritto o, rectius, essere convinti di esercitare jure il proprio diritto, anche se ciò finisce per cagionare ad altri un danno ingiusto o una deminutio dei loro diritti. La coscienza di essere in buona fede può nascere anche da un errore indotto dall’apparenza creata da terzi. In tutti i casi, comunque, la deresponsabilizzazione del soggetto che adduce la propria buona fede soggettiva è subordinata a una valutazione (da parte dell’ordinamento, quindi obiettiva) circa l’ammissibilità sociale dell’ignoranza, il cui limite è appunto la non scusabilità dell’errore»; D.DE GIROLAMO, L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di responsabilità del cessionario nelle

dovere di porre in essere un’attività di vigilanza, di acquisizione e vaglio critico di informazioni.

Per sintetizzare, al contribuente si può attribuire una responsabilità connessa all’evasione altrui esclusivamente fornendo la prova della sua effettiva conoscenza di essa; spetta all’Amministrazione contestare la buona fede, altrimenti presunta. Se non essa non riesce a dimostrare che il contribuente è direttamente coinvolto della ideazione della frode, dovrebbe provare che sussistono precise circostanze di fatto per cui non è logicamente possibile che il contribuente ignorasse l’illecito tributario. Una prova simile è estremamente difficile da rilevare e l’Amministrazione si troverebbe in molti casi di fronte al rischio di non riuscire a sviluppare argomentazioni presuntive sufficientemente gravi e precise. D’altro lato, nel momento in cui venissero cristallizzate determinate tipizzazioni o presunzioni giurisprudenziali di conoscenza, la prova potrebbe al contrario rivelarsi assai ardua da contrastare per il contribuente.

Da quanto appena descritto si desume che la buona fede rimane quindi una figura assai astratta, e tale carenza di criteri direttivi nella definizione dei caratteri della buona fede si è risolta in una delega aperta alla giurisprudenza interna, creando una inevitabile confusione e disomogeneità nell’elaborazione a livello nazionale dell’elemento soggettivo della fattispecie IVA.412 Inoltre, viene affermato che sul

piano procedimentale ed, eventualmente nel processo, spetta all’Amministrazione finanziaria nazionale dimostrare la sussistenza di elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione era ricollegabile all’ambito di una

412 F. CERIONI, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della «mala fede» del contribuente nella

giurisprudenza europea e nazionale, Diritto e Pratica Tributaria, n.1 del 2014, pag. 145: «La Corte di giustizia non aveva chiarito che cosa si potesse esigere da un soggetto passivo, ignaro della macchinazione fraudolenta, al fine di escludere l’omissione dell’onere di conoscenza della frode a monte, lasciando al giudice nazionale una discrezionalità eccessiva nella limitazione del diritto alla detrazione nel caso concreto, poco coerente con il sistema comune dell’iva europea»; R.A.WOLF,

frode volta a determinare l’evasione dell’imposta.413 Nel momento in cui la

normativa europea non specifica in nessun modo quale comportamento attivo il contribuente dovrebbe adottare, e data la circostanza che è la stessa Amministrazione a doverne vigilare, appare necessario che il diritto nazionale disciplini positivamente tale dovere.414

È necessario delinearne la forma, il contento, i metodi di adempimento, e solo in un secondo momento attuarne il sanziona mento con la perdita dei diritti.

Un secondo inconveniente è legato ad un profilo molto più economico, vi è infatti il rischio che un simile regime si possa rivelare inefficiente sotto il profilo economico, sacrificando eccessivamente le esigenze di conformazione del mercato rispetto alla tutela dell’interesse fiscale. In quest’ottica infatti si finisce per generare negli operatori l’insicurezza nei rapporti commerciali, e di conseguenza un incremento dei costi di prevenzione, tali da pregiudicare la stessa neutralità dell’imposta.415 In un contente sto come quello appena descritto, in cui non vi è

nemmeno una definizione univoca di buona fede, sull’operatore grava il rischio che nonostante l’adozione di tutte le precauzioni possibili la frode ed il danno erariale si realizzino ugualmente. In certe situazioni, in cui l’operazione ad esempio si deve concludere tra soggetti che sono distanti migliaia di chilometri, che non parlano la stessa lingua e che soprattutto non sono soggetti alle stesse regole nazionali, si finirebbe per preferire l’astensione dagli affari ogniqualvolta sorga un qualsiasi

413 F. CERIONI, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della «mala fede» del contribuente nella

giurisprudenza europea e nazionale, Diritto e Pratica Tributaria, n.1 del 2014, pag. 145 Si vedano le sentenze 21

giugno 2012, Mahagében e David, punto 49 e 6 dicembre 2012, Bonik, punto 43.

414 A. MONDINI, Corresponsabilità tributaria per le evasioni Iva commesse da terzi, in Rass. Tributaria, n. 3 del 2014,

pag. 453; R.A.WOLF, VAT Carousel Fraud: A European Problem from a Dutch Perspective, in Intertax, n. 1 del 2011, pag. 34.

415 R.A.WOLF, VAT Carousel Fraud: A European Problem from a Dutch Perspective, in Intertax, n. 1 del 2011, pag.

34: «All in all, the ECJ has provided the tax authorities with new means to limit tax losses while generating new VAT

uncertainties for companies at the same time»; A. MONDINI, Corresponsabilità tributaria per le evasioni Iva commesse da terzi, in Rass. Tributaria, n. 3 del 2014, pag. 453; R.DE LA FERIA, The European Court of Justice's solution to aggressive

minimo dubbio di irregolarità fiscale che riguarda gli altri operatori coinvolti. È chiaro che le circostanze sopra descritte sconfessano decisamente la ratio stessa dell’intero impianto del mercato comune e dell’armonizzazione.416

Nel documento Iva: crisi europea ed esperienza sammarinese (pagine 159-163)