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I primi colloqui dell’ambasciatore Pietromarch

Pietromarchi arrivò a Mosca il 28 settembre 1958. Se si scorrono le pagine dei suoi diari emerge con chiarezza il primo impatto con la realtà sovietica, con le abitudini quotidiane, con il sistema di governo e di lavoro, in altre parole con quell’”altro mondo” nel quale era stato mandato:

“Mosca è immensamente mutata da quella che conobbi venticinque anni fa. Era quello uno dei momenti più acuti della crisi economica che affliggeva il paese. La città mi sembrò allora un immenso sobborgo popolare. I negozi si erano trasformati in camere di abitazione e la miseria si ostentava fin sui marciapiedi. La gente era smunta dalla fame, vestita di abiti rattoppati con un’espressione di profonda sofferenza. Tutto ciò è scomparso. La città ha quartieri ben tagliati dagli edifici imponenti da un’architettura sobria. […] La gente è vestita decorosamente. […] Soprattutto ho notato la solidità delle scarpe. Questa popolazione è ben calzata e questo è già un enorme vantaggio per chi deve affrontare questi climi”88.

84 Nel settembre 1958 Amintore Fanfani ricopriva contemporaneamente le cariche di presidente del Consiglio,

ministro degli Esteri e segretario politico della Democrazia cristiana.

85 Cfr. B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., p. 88.

86 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 25 agosto 1958, pp. 3-4. 87 Ivi, 23 settembre 1958, pp. 10-11.

L’approccio dell’ambasciatore era carico del desiderio di vedere, osservare e conoscere. Le sue pagine non sono solo espressione di una posizione pregiudiziale nei confronti del mondo sovietico. Si registrano anche note di “stupore” per ciò che in URSS era stato realizzato considerandone però i limiti e le conseguenze89.

Il primo incontro ufficiale di Pietromarchi con la diplomazia sovietica fu con il primo viceministro degli Affari Esteri Kuznecov, il 1° ottobre. L’ambasciatore avrebbe dovuto essere ricevuto dal ministro degli Esteri, ma in quel giorno Gromyko si trovava in missione a New York presso le Nazioni Unite. Il colloquio si svolse in un’atmosfera di grande franchezza, senza nascondere le questioni aperte tra i due paesi, ma riconoscendo la reciproca volontà di superarle. Il giorno seguente, nel corso di una breve cerimonia formale, Pietromarchi presentò ufficialmente le proprie credenziali al vicepresidente del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS, Tarasov.

L’incontro che nei fatti segnò l’inizio dell’avventura diplomatica di Pietromarchi a Mosca fu con il ministro degli Esteri Gromyko, avvenuto il 20 ottobre, circa un mese dopo l’arrivo dell’italiano in Unione Sovietica. Il tono del colloquio fu sincero ma molto aspro, come scrisse lo stesso ambasciatore:

“Desideravo scendere nel vivo delle questioni e conoscere i miei interlocutori, per musicarne la resistenza. E la resistenza che ho trovato in Gromyko è stata superiore a quanto mi aspettavo” 90.

Senza troppi giri di parole il discorso si focalizzò su quattro punti fondamentali: le relazioni commerciali italo-sovietiche, la questione dei prigionieri di guerra italiani in URSS, le riparazioni di guerra e il ristabilimento della fiducia reciproca tra Italia ed URSS per concorrere alla pace nel mondo.

Le opinioni dei due diplomatici non collimarono ad eccezione del primo argomento del colloquio che riguardava gli scambi commerciali. Da entrambe le parti si riconosceva la necessità di aumentare il volume del commercio bilaterale come strumento per un eventuale miglioramento dei rapporti politici. Circa i prigionieri dell’ARMIR in URSS, Gromyko seccamente affermò che la considerava una questione chiusa, anche se, su proposta di Pietromarchi, accettò di inviare a Mosca l’on. Luigi Meda, presidente della associazione italiana per prigionieri e dispersi, con lo

89Con grande ammirazione Pietromarchi descrisse, ad esempio, i magazzini GUM sulla Piazza Rossa. Dopo aver

commentato che attraverso una visita a questi magazzini era possibile seguire i tangibili progressi della produzione dei beni di consumo in Russia, egli annotava con amarezza: “E’ il paradiso artificiale, la promessa di quanto verrà assicurato a tutti i cittadini del mondo sovietico, non appena i piani quinquennali e settennali avranno avuto integrale esecuzione. Il GUM è la dimostrazione del progresso in marcia e mantiene vive le speranze”. Ivi, 30 settembre 1958. p. 15.

scopo di concordare con la Croce Rossa sovietica un piano di collaborazione. Sul tema delle riparazioni le offerte di Pietromarchi furono più diversificate. L’ambasciatore ricordò al ministro che parlare di riparazioni dopo quindici anni dalla fine della guerra era sconcertante e che le ripercussioni sull’opinione pubblica italiana sarebbero state negative. In altre parole, un pagamento da parte italiana di una somma molto elevata (i sovietici avevano chiesto 20 milioni) avrebbe messo in discussione la effettiva volontà sovietica di portare avanti una politica di distensione con i paesi del blocco occidentale. Tuttavia, di fronte alla fermezza di Gromyko, Pietromarchi avanzò un’altra via d’uscita, forse non concordata con il ministero degli Esteri ma suggerita dai circoli economici vicini a Gronchi91. Va premesso che la proposta non è menzionata

nella ricostruzione del colloquio fatta dall’ambasciatore nei suoi diari, cosa che invece si riscontra nella relazione stilata da Gromyko92. Si trattava, secondo Pietromarchi, di risolvere la questione anche per via confidenziale, poiché Roma avrebbe potuto pagare una somma concordata camuffandola come una operazione commerciale. In questo modo si sarebbe salvato a livello ufficiale il volto “intransigente” mostrato dal governo italiano e, allo stesso tempo, si sarebbe eliminato un pesante ostacolo d’intralcio alle relazioni bilaterali.

Così come proposto da Gromyko, qualche giorno dopo Pietromarchi si incontrò con l’ambasciatore sovietico a Roma per discutere nel concreto alcune questioni aperte, in particolare quella delle riparazioni. Non vi furono significative novità nelle argomentazioni dei due interlocutori, se non che Kozyrev sottolineò l’importanza di un viaggio del presidente della Repubblica in URSS per l’inaugurare una fase nuova dei rapporti tra i due paesi93.

Tra le varie visite ufficiali di Pietromarchi dopo la nomina, ancora non era stata realizzata quella al segretario del partito comunista Chruščëv. Dalle pagine del diario dell’ambasciatore emerge che egli nutriva nei confronti del leader sovietico un sentimento di innata simpatia, la percezione che, nonostante tutto, Chruščëv fosse il leader più malleabile della nomenklatura comunista. Queste considerazioni erano sì messe spesso in discussione dai colpi di scena del segretario del PCUS, ma, di fondo, rimaneva sempre nel diplomatico una sottile linea di fiducia per il capo comunista che, almeno a parole, proclamava la necessità di un nuovo clima di distensione.

Il 21 ottobre Pietromarchi annotava:

91 Prima di partire per Mosca Pietromarchi aveva preso contatti con vari imprenditori italiani, in particolare con

Vittorio Valletta (presidente e amministratore delegato della FIAT), Enrico Mattei (presidente ENI) e i dirigenti della “Nuova Reggiane”. Come si vedrà in seguito, la Confindustria italiana aveva già studiato un piano di espansione in Unione Sovietica, e varie imprese, tra cui l’ENI, avevano già iniziato ad attuarlo.

92 Cfr. Relazione segreta di Gromyko al Comitato centrale, 14/11/1958, in AVP RF, F. 098, op. 41, d. 13, ll. 72-75,

citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 596.

“Krusciov ha un sorriso bonario, invitante. Ride con le labbra, ride con gli occhi; è di un’allegria comunicativa. La sua figura ispira simpatia; non ha nulla dell’alterigia sprezzante, delle pose dei dittatori. Si presenta come un uomo semplice, alla mano, d’una saggezza spicciola, concreta. E probabilmente è il meno complicato, il meno machiavellico di tutti questi governanti. Dà l’impressione d’un uomo che desidera soprattutto la simpatia, il consenso e col quale non dovrebbe essere difficile intendersi94”.

E qualche giorno dopo aggiungeva:

“Forse un giorno la storia riconoscerà che l’Occidente ha commesso un grave errore nel respingere la mano che quest’uomo gli tendeva con sorridente fiducia. Giacchè con tutta la sua furbizia e malizia Krusciov è un semplice, con temperamento spontaneo ed espansivo col quale indubbiamente sarebbe più facile intendersi di quanto non lo fosse con un uomo gelido, calcolatore, perfido come Stalin”95.

L’incontro con il leader sovietico fu fissato per il 9 novembre 1958. La settimana precedente Pietromarchi aveva ricevuto una nota molto dura dal viceministro degli Affari Esteri Zacharov circa la costruzione delle basi per i missili Jupiter in Italia. Il diplomatico sovietico, con tono minaccioso, aveva ricordato all’Italia che, in caso di necessità, l’URSS non avrebbe esitato a colpire i territori che ospitavano tali basi96. Questa nota nei confronti dell’Italia, come molte delle mosse sovietiche del periodo, contribuiva a incrinare i già deboli contatti bilaterali. Con queste premesse Pietromarchi giunse all’incontro con Chruščëv.

L’incontro fu - era prevedibile - burrascoso. L’esuberante leader sovietico liquidò in poche battute la questione dei prigionieri di guerra in URSS e minacciò di essere in grado di distruggere in breve tempo l’Italia in caso di istallazione delle basi missilistiche. L’esito del colloquio non fu certo positivo. Tuttavia l’atteggiamento ragionevole che il ministro degli Esteri adottò nel corso dell’incontro seguente97 era la dimostrazione che Chruščëv, al di là dell’esito, era intenzionato a stabilire migliori rapporti con l’Italia ed aveva incaricato il ministro di approvare le proposte del diplomatico italiano.

Mentre a Mosca l’ambasciatore Pietromarchi intesseva rapporti politici e cercava di superare gli ostacoli, la diffidenza e le incomprensioni tra Italia e URSS, la situazione

94 Ivi, 21 ottobre 1958, pp. 30-31. 95 Ivi, 24 ottobre 1958, p. 34. 96 Ivi, 1 novembre 1958, pp. 45-47.

97 Pietromarchi incontrò Gromyko il 18 novembre. Nel corso dell’incontro gli fu comunicata la risoluzione che era

stata approvata dal Comitato centrale del PCUS su proposta del ministro degli Esteri circa l’incontro a Mosca fra i rappresentanti della Croce rossa italiana e sovietica. Si veda AVP RF, F. 098, op. 41, d. 13, ll. 72-75, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanije v Evrope, cit., p. 596.

internazionale si era ulteriormente complicata per gli sviluppi della questione di Berlino. La Repubblica Democratica Tedesca, infatti, da tempo premeva sull’Unione Sovietica perché si ponesse fine alla “occupazione alleata” a Berlino Ovest, perché la Repubblica Federale Tedesca era sempre più determinata ad affermarsi come la sola Germania esistente (anche attraverso l’integrazione nel sistema difensivo basato sugli armamenti militari) ed il cancelliere Adenauer mirava alla trasformazione della RDT in uno Stato cuscinetto tra i blocchi, sancendo in modo permanente la divisione del paese. Assai preoccupato per la situazione creatasi, il 27 ottobre Ulbricht accusò gli occidentali di aver violato gli accordi di Potsdam col riarmo della RFT: egli sosteneva che essi non avevano pertanto più diritto di stare a Berlino. Berlino, unificata, doveva diventare la capitale della Repubblica Democratica Tedesca. Chruščëv, che durante la visita di Adenauer a Mosca in settembre non era riuscito a convincere il cancelliere tedesco sulla convenienza di aprire un negoziato diretto con la RDT, appoggiò le minacce di Ulbricht in un discorso del 10 novembre a Mosca, (il giorno dopo il colloquio con Pietromarchi), in cui dichiarò che era giunto il momento di porre fine alla “occupazione di Berlino”. Il 27 novembre, con una lunga nota diretta alle tre potenze occidentali che “occupanti”, il segretario del PCUS precisò che se entro sei mesi non fosse stata creata la città libera di Berlino ovest, l’URSS avrebbe iniziato i negoziati per un Trattato di pace separata con la Repubblica Democratica Tedesca: Berlino sarebbe diventata una città libera e smilitarizzata, e un accordo con la RDT avrebbe permesso la libera comunicazione con l’esterno della città. In sostanza il governo sovietico avrebbe consegnato la parte orientale della città al governo Ulbricht e sarebbe toccato a questi, capo di un governo sovrano e indipendente, il compito di rinegoziare con le potenze occidentali i diritti dei quali esse avevano goduto a Berlino ovest e lungo le linee di comunicazione verso l’antica capitale tedesca. Non si trattava di vero e proprio ultimatum, ma l’indicazione di una data (il 27 maggio 1959) entro la quale una dichiarata intenzione avrebbe potuto tradursi in una realtà avvicinava la nota sovietica a un ultimatum98.

La mossa sovietica, oltre a provocare tensione nel clima internazionale, non fu senza conseguenze sul piano delle relazioni politiche tra Italia e URSS. Tutte le aperture sovietiche in atto grazie alla linea del governo Fanfani e del nuovo ambasciatore a Mosca erano a rischio e dipendevano ora dalla risposta che alla nota avrebbe dato il blocco atlantico. L’Italia, infatti, si sarebbe attenuta alle decisioni prese nel Consiglio atlantico e, nel caso di una recrudescenza dello scontro, avrebbe dovuto rivedere la politica di graduale apertura nei confronti del Cremlino. La situazione creatasi costrinse il governo Fanfani a occuparsi di questioni non inerenti al suo programma di politica estera e che, anzi, lo avrebbero intralciato. L’argomento fu discusso

durante la riunione dei capi missione d’oltrecortina, che si svolse a Roma l’ultima settimana di novembre per uno scambio di vedute sulla condizione di quei paesi, sull’influenza sovietica su di essi e sulle direttive da seguire. Dagli incontri emerse che, dopo il ’56, era in ripresa l’influenza sovietica nei singoli paesi dell’Europa orientale e che il timore del pericolo tedesco e del riarmo della Germania aveva spinto i paesi dell’Europa orientale a stringersi a Mosca per essere protetti99. Anche nel corso dei colloqui degli ambasciatori italiani nei paesi dell’Est, prima ricevuti da Fanfani e poi da Gronchi, risultò che le linee di politica estera dei due politici democristiani erano divergenti. Ad un atteggiamento di risolutezza nei confronti dell’URSS da parte del ministro degli Esteri si contrapponeva quello più possibilista portata dell’inquilino del Quirinale100. Era convinzione di Gronchi che gli occidentali avrebbero dovuto accettare il dialogo

con Mosca per svelare la pretestuosità delle posizioni sovietiche e metterne a nudo i veri intenti propagandistici.

Il Cremlino temeva un’accresciuta potenza della Germania Federale poiché essa minava gli equilibri dei due blocchi. Altrettanto i dirigenti dei paesi socialisti dell’Europa orientale. L’ambasciatore Pietromarchi, mesi dopo, in un rapporto per il ministero degli Esteri avrebbe precisato:

“La propaganda, con la quale la Russia cerca di rassicurare il mondo, che si apre un’era di competizione pacifica, destinata a mostrare la superiorità del comunismo, non deve trarre in inganno. Qui vale il noto aforisma che la parola è stata data agli uomini per nascondere il loro pensiero. È perciò da attendersi che tutto sarà messo in opera per aprire le vie al trionfo del comunismo. […] E’ sembrato ad un certo momento, dopo l’insuccesso del blocco di Berlino nel 1948 e la creazione della NATO, che la Russia rinunciasse a una pressione diretta nel continente e preferisse accerchiarlo attraverso il Medio Oriente e il mondo arabo del Nord Africa. Adesso [Krusciov] è tornato a premere su Berlino e sulla Germania. Krusciov ha più volte dichiarato che il fulcro della resistenza occidentale è la Germania e che senza di essa l’Alleanza atlantica si ridurrebbe a ben poco. E perciò il punto da lui prescelto per far breccia è la Germania. Il suo sforzo si concentra di nuovo su Berlino per distruggere le forze nel settore più delicato e precario sul quale gravitano l’uno e l’altro blocco. Un suo successo potrebbe provocare ripercussioni gravissime nell’opinione pubblica tedesca e consentire a Krusciov l’agitare con successo la bandiera della riunificazione per attrarre tutta la Germania nell’orbita dei paesi socialisti. […] Il programma del Cremlino mira al predominio su tutto il continente europeo che si vuole isolare e

99 Cfr. Memorandum su “Riunione presso il signor Presidente dei capi missione dei paesi oltre cortina”, Roma

26/11/1958, ASILS, Fondo Gronchi, sc. 31, fasc. 185 “Riservata 1958”. Della riunione si parla in B. Bagnato, Prove

di Ostpolitik, cit., pp. 106-108.

disarmare, come dimostrano le proteste sovietiche contro le basi missilistiche, le proposte di zone di pace, la richiesta di ritiro dall’Europa delle truppe americane e simili ”101.

Il clima creato dalla condizione internazionale si percepì nel corso del secondo colloquio che Pietromarchi ebbe con Chruščëv. A differenza del precedente, il tema principale della conversazione fu la questione di Berlino e della pace. Delle relazioni bilaterali si parlò in un secondo momento. Queste ultime, del resto, erano strettamente legate agli esiti della crisi di Berlino. Chruščëv mantenne un atteggiamento pacato nella discussione su Berlino, quasi in cerca dell’approvazione del diplomatico italiano. Sulle questioni bilaterali, invece, fu più deciso, pur con concessioni all’interlocutore. Circa gli scambi commerciali, egli concordò con Pietromarchi e sottolineò che l’URSS avrebbe potuto soddisfare la domanda italiana di petrolio, carbone, metallo e risorse minerali. Sulla questione dei prigionieri di guerra sollevata dall’ambasciatore italiano la reazione fu inattesa:

“Questa reazione ci offende profondamente. Voi siete venuti a farci la guerra, ad ammazzare i nostri figli e a fare ammazzare i vostri. Ed ora ci chiedete prigionieri che non esistono”102.

Pietromarchi fu costretto a correggere il tiro e ad affermare, a nome del suo governo, che si era convinti dell’infondatezza della cosa, ma che era necessario un accordo tra le due Croci Rosse per liquidare le questioni legate alla burocrazia. Sulle riparazioni, invece, Pietromarchi aggiunse che l’Italia si attendeva un gesto di magnanimità. Poiché Fanfani, per evitare una reazione negativa nell’opinione pubblica, non voleva discutere la questione in parlamento, l’operazione sarebbe avvenuta senza l’approvazione di quest’ultimo, ma il governo avrebbe potuto pagare solo la somma di 1 milione. Come era stato ribadito nel corso del colloquio con Gromyko, la parte italiana, in ogni caso, avrebbe preferito risarcire o attraverso un’operazione commerciale o con la costruzione di una residenza per il personale dell’ambasciata sovietica a Roma. La conversazione si concluse in modo positivo, visto che Chruščëv, modificando la posizione del mese precedente, promise all’ambasciatore di affidare al ministero degli Esteri il compito di “liberare il percorso” dagli ostacoli al fine di stabilire rapporti di amicizia con l’Italia103.

101 Cfr. Telespresso del 19/8/1959 da ambasciatore Pietromarchi a MAE su “L’URSS e l’europeismo”, in ACS,

Fondo PCM – Ufficio del consigliere diplomatico, busta 21, fasc. C42 “Rapporti confidenziali per il presidente del consiglio 1959”.

102 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 13 dicembre 1958, p. 81. 103 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 41, d. 13, ll. 90-98, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 598.

Il ministero degli Esteri prese in mano la pratica, ma ridimensionò le aperture del leader del Cremlino il quale, in un documento riservato ai membri del Comitato centrale, aveva respinto la proposta italiana di pagare la cifra simbolica di 1 milione: l’URSS avrebbe accettato un simile accordo solo se il governo italiano avesse smesso di portare avanti una politica dichiaratamente anti-sovietica nel contesto internazionale. La proposta dell’ambasciatore italiano, quindi, non fu accettata dal Comitato centrale e la cifra delle riparazioni si fermò ai noti 20 milioni. Un punto su cui il ministero degli Esteri sovietico si adeguò alle posizioni italiane fu quello dei prigionieri. Gromyko pensava che Mosca avrebbe dovuto esprimere apprezzamento per la dichiarazione fatta dall’ambasciatore a nome del governo italiano e che su tale dichiarazione avrebbe potuto basarsi un futuro comunicato congiunto da concordare104.

Le conclusioni del Comitato centrale furono comunicate da Gromyko a Pietromarchi durante un colloquio fissato per il 22 dicembre. La conversazione fu molto tesa e, soprattutto, le decisioni prese dai sovietici contrastavano con le posizioni ottimistiche dell’ambasciatore italiano. Il governo dell’URSS, infatti, aveva respinto tutte le proposte italiane e si era congratulato solo per l’ammissione dell’inesistenza di soldati dell’ARMIR in Unione Sovietica105. Qual’era il gioco dell’Unione Sovietica? Quali le prospettive dei rapporti bilaterali Italia-URSS? C’era davvero la volontà reciproca di migliorare le relazioni italo-sovietiche? Queste le domande che si poneva l’ambasciatore italiano alla fine del 1958, al momento senza risposte convincenti. La situazione era resa ancora più ambigua dal fatto che, nell’ultimo semestre dell’anno, si erano intensificate le relazioni commerciali106. Se era evidente che l’Unione Sovietica desiderava incrementare il valore degli scambi, perché continuava a porre