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La crisi governativa e il nuovo esecutivo Tambron

D AL GOVERNO T AMBRONI ALLA CRISI DI C UBA

2.1 La crisi governativa e il nuovo esecutivo Tambron

Il ritorno di Gronchi da Mosca innestò una serie di reazioni nel mondo politico italiano che contribuirono ad accelerare il processo di disgregazione del governo Segni, già in atto da alcuni mesi. La difficile situazione in cui versava la compagine governativa era dovuta a vari fattori. In primo luogo vi erano le lotte intestine e i contrasti di corrente che, nel corso di tutto il 1959, si erano avuti all’interno della DC, in relazione alla possibilità della “svolta a sinistra”. Dopo il Congresso democristiano di Firenze, che aveva sancito la leadership di Moro, fautore di una moderata apertura al PSI, era evidente che il partito, sotto la sua guida, si era avviato sulla strada che avrebbe portato al centro-sinistra. Il governo Segni, pertanto, aveva terminato la sua funzione di “espediente tattico per confondere gli avversari e guadagnar tempo”300. In secondo luogo vi era la violenta campagna propagandistica avviata dal PCI contro l’istallazione delle basi in Italia, che aveva trovato appoggio in ampi strati della popolazione. Infine vi erano le reazioni del partito liberale, (che nel progetto del centro-sinistra sarebbe stato rimpiazzato dal PSI), che accusava il gabinetto Segni di non portare avanti politiche in linea con gli accordi di governo, tra i quali quelli riguardanti la politica estera della penisola301. È opinione condivisa dalla storiografia italiana che la missione di Gronchi, seppure non fu la causa principale, fu l’elemento che esasperò le tensioni all’interno del governo e l’espediente utilizzato dai liberali per fare cadere l’esecutivo302.

Nelle valutazioni dell’ambasciata sovietica a Roma gli attacchi personali all’indirizzo di Gronchi da parte dei “circoli clericali della destra” avevano assunto il carattere di una campagna organizzata allo scopo di sminuire il valore politico della visita, di dimostrare la sua inutilità, e di sostenere la pericolosità di un tale gesto nei confronti degli alleati303. La politica estera e le

questioni della distensione erano diventate il principale campo di competizione tra i vari partiti per fini di politica interna. L’11 febbraio Pietromarchi scriveva nei sui diari:

“I commenti [negativi sulla visita] sono venuti da chi non conosceva il personaggio [Chruščëv]. Soprattutto i commenti sono stati ispirati a motivi di politica interna. Il ragionamento

300 Cfr. G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-2007, cit., p. 254.

301 Sulla crisi del governo Segni si vedano, tra gli altri, G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro sinistra, cit., pp.

35 e ss; e S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 424.

302 Si veda, ad esempio, P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 363.

dei critici è stato il seguente: noi eravamo contro questa visita ed ecco che gli avvenimenti ci danno ragione. Ma contrari perché? Per ragioni di politica interna, perché l’insuccesso della visita risolleva le sorti dei partiti di destra e impedisce l’apertura a sinistra”304.

Attacchi risoluti furono scagliati sin dai giorni del viaggio di Gronchi, e poi nei mesi seguenti, anche contro l’ambasciatore Pietromarchi. Il diplomatico era accusato non solo di aver portato avanti una linea di politica estera personalistica ed autonoma nei confronti dell’URSS, ma anche di avere preparato male la visita, senza prevedere le eventuali mosse del segretario del PCUS. La campagna contro Pietromarchi, che si sarebbe conclusa con la sua rimozione per limiti di età, fu avviata al fine di collocare diplomatici vicini alle posizioni di Pella nelle più importanti ambasciate italiane. Secondo Pietromarchi, il principale regista di tale operazione era stato il segretario generale della Farnesina, Umberto Grazzi:

“Non v’è dubbio – scriveva l’ambasciatore - che tutta la svalutazione dell’opera mia e la campagna denigratoria a mio danno, che ha fatto breccia in un uomo debole e suggestionabile come Pella, viene da Grazzi”305.

Già in un appunto per Gronchi scritto alla fine del 1959 dal suo consigliere diplomatico si leggeva della possibile ipotesi di una rimozione di Pietromarchi da Mosca, quindi probabilmente l’operazione era stata preparata in anticipo, a prescindere dai risultati del viaggio in URSS, ed era riconducibile ad un piano più vasto di spostamenti diplomatici306.

304 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 11 febbraio 1960, pp. 328-

329.

305 Ivi, 1 marzo 1960, pp. 342-343.

306 Cfr. Appunto senza data, scritto alla fine del 1959, su “Previsto un nuovo mutamento nelle nostre rappresentanze

diplomatiche all’estero” in ASILS, Fondo Giovanni Gronchi, Sc. 26, fasc. 138, sottofascicolo 4, in cui si legge: “Negli ambienti del Ministero degli Esteri si apprende che nel corso dei prossimi mesi il Ministro onorevole Giuseppe Pella procederà ad un nuovo e molto importante trasferimento dei titolari di alcune tra le principali rappresentanze diplomatiche italiane all’estero. Il movimento in preparazione dovrebbe servire a rafforzare la ‘corrente pelliana’ negli alti ranghi della nostra diplomazia, procedendo ad un ulteriore indebolimento dei gruppi che pensano diversamente dal titolare del Palazzo Farnesina, col particolare riguardo ai punti di vista del governo Doroteo in merito ad alcune capitali ‘nevralgiche’. Le principali vittime della ‘nuova bufera’ riguardano le nostre ambasciate a Mosca, a Parigi e quella a Londra. L’ambasciatore Luca Pietromarchi, accreditato presso il governo dell’URSS è accusato di aver favorito la recente missione a Mosca del Ministro Dino Del Bo molto di più di quanto era negli intenti del ministro Pella. Pietromarchi è ritenuto inoltre ‘responsabile’ di aver abbandonato la corrente Pelliana e di sostenere una troppo coraggiosa politica di apertura bilaterale tra l’URSS e l’Italia. Il pretesto per la sua ‘liquidazione’ sarà quello dei ‘limiti di età’. Il nome del suo successore non è stato ancora definito, anche a causa delle numerose candidature. Le prime indiscrezioni del Palazzo Farnesina indicano che Pella vorrebbe mandare a Mosca l’ambasciatore Massimo Magistrati, attuale titolare della nostra rappresentanza diplomatica ad Ankara. Altre indicazioni affermano che Magistrati non sarebbe molto entusiasta di tale designazione, in quanto egli vorrebbe venire a Roma per assumere la Segreteria Generale del Ministero degli Esteri, facendo in modo che a Mosca fosse inviato l’ambasciatore Umberto Grazzi, il quale dal canto suo vorrebbe rimanere nell’attuale incarico. Secondo le indiscrezioni del Palazzo Farnesina risulta che il Ministro Pella preferirebbe mandare a Mosca l’ambasciatore Magistrati, anche in considerazione che nel corso del 1960 la capitale sovietica diventerà un importante centro delle consultazioni diplomatiche, e che un uomo così legato al titolare del Ministero degli Esteri, come lo è appunto Magistrati, sarebbe assolutamente adatto a tale compito”.

La valutazione della missione sovietica di Gronchi fu di prioritaria importanza nel dibattito politico italiano. Su richiesta del segretario del PLI Malagodi e di quello socialista Nenni fu convocata per il 19 febbraio una riunione della Commissione Esteri della Camera, nella quale non solo si palesarono le diverse posizioni rispetto al viaggio presidenziale in URSS, ma si definirono anche le fratture sui temi di politica estera tra i vari partiti governativi307. La seduta, nonostante fosse stata indetta già dopo che il Consiglio dei Ministri avesse approvato la relazione di Pella sul viaggio, fece nuovamente emergere tutte le differenti posizioni politiche tra gli esponenti dei vari partiti italiani.

Di grande rilevanza per le successive implicazioni di politica interna fu l’intervento di Malagodi, segretario del partito liberale, in risposta all’esposizione del ministro Pella. Il titolare degli Esteri aveva riportato le impressioni registrate durante il viaggio, ponendo l’attenzione su due aspetti in particolare: il primo che nelle conversazioni il pensiero del capo dello Stato era stato pienamente concorde con la linea di politica estera stabilita dal governo; il secondo che, analizzati tutti gli aspetti, la visita a Mosca era da considerarsi un momento proficuo e positivo della politica estera italiana.

Malagodi approfittò della seduta della Commissione esteri per attaccare il governo. Egli dichiarò che il gabinetto Segni, avendo accettato che il presidente della Repubblica fosse a capo della delegazione italiana a Mosca, non solo aveva violato alcuni articoli della Costituzione, ma aveva compiuto un errore gravissimo, che avrebbe potuto ripercuotersi sul piano politico e costituzionale. Secondo il segretario del PLI il governo italiano aveva sottovalutato la tattica sovietica di dividere gli occidentali indebolendo la loro unità e accrescendo il rischio di una guerra. Il partito liberale non era disposto ad appoggiare una linea di politica estera “piena di contraddizioni, velleitaria e dilettantesca” che dimostrava come il governo italiano avesse “ceduto spiritualmente” ed avesse adottato un atteggiamento di “tracotanza”. Le differenti posizioni in politica estera, aveva concluso il segretario liberale, riflettevano anche le “antipodiche concezioni” in politica interna tra il PLI e gli altri partiti del governo308. L’attacco verbale si concretizzò in azione politica il 20-21 febbraio, quando Malagodi fece approvare al consiglio nazionale del PLI la decisione di ritirare la fiducia esterna al governo Segni proprio in polemica con le presunte aperture all’URSS prodotte dal viaggio presidenziale.

Senza l’appoggio dei liberali, Segni, il 24 febbraio, fu costretto a rassegnare le dimissioni ed aprì una crisi politica che si sarebbe conclusa solo dopo alcuni mesi. Sulla decisione dei

307 Cfr. Verbale della seduta della Commissione Esteri del 19/2/1960, in ASCD, Commissione Affari Esteri (III) in

sede referente, seduta del 19/2/1960, pp. 1-16.

liberali pesavano due fattori: da una parte la constatazione che l’idea del dialogo con i socialisti si era ormai rafforzata nella sinistra della Democrazia cristiana e, dall’altra, quella che nella maggioranza della DC non si escludeva un’alleanza con i partiti della destra per evitare l’ipotesi del centro-sinistra. L’obiettivo di Malagodi era di forzare il governo Segni ad un chiarimento, nella speranza di far naufragare definitivamente l’opzione di apertura ai socialisti309. Dopo un tentativo fallito di affidare la formazione di un nuovo esecutivo a Segni e in seguito a Fanfani, Gronchi conferì l’incarico a Fernando Tambroni, esponente della sinistra democristiana310. Il nuovo esecutivo entrò formalmente in carica il 28 aprile, due mesi dopo l’apertura della crisi politica, con l’appoggio determinante dei voti del Movimento Sociale Italiano. Agli Esteri fu chiamato Antonio Segni, una garanzia per gli alleati; al ministero per il Commercio Estero fu sollevato dall’incarico colui che aveva favorito una brusca svolta nelle relazioni con l’URSS, Del Bo, per affidare la carica a Martinelli.

In URSS la delicata crisi italiana fu interpretata come il crollo del sistema politico creato dalla Democrazia cristiana ed appoggiato dai grandi circoli imprenditoriali e dalle alte gerarchie ecclesiastiche. In un’analisi sulla situazione italiana pubblicata su “Moskovskaja Pravda” si rilevava come l’orientamento del nuovo governo in politica estera mirava a continuare la guerra fredda, in alleanza con i “revanscisti di Bonn”, e non si aveva timore di rendere l’Italia il “poligono di tiro” della NATO311. Le critiche mosse dal PCI all’indirizzo del nuovo governo erano in totale sintonia con le valutazioni sovietiche. Malgrado tutto a Mosca non si era mancato di notare che una parte dei democristiani non fosse più disposta a collaborare con i partiti della destra, anche perché a Piazza del Gesù si era ormai consci che simili alleanze avrebbero provocato la perdita dei consensi da parte di alcuni settori cattolici. A qualche mese dalla formazione del primo esperimento di centro-sinistra, al Cremlino si era convinti che le posizioni delle due correnti della DC, di destra e di sinistra, si fossero ormai nettamente distanziate e non fosse neanche da escludere una scissione all’interno del partito stesso312.

Le valutazioni di Mosca sull’evoluzione in corso all’interno della DC giustificavano la singolare posizione che, durante la crisi governativa, aveva assunto il partito comunista. Il PCI di Togliatti, nonostante non vi fossero condizioni favorevoli alla partecipazione dei comunisti ad una nuova maggioranza, non aveva scartato la prospettiva di un governo di centro-sinistra con

309 Cfr. G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., p. 35.

310 Gronchi maturava da tempo questa eventualità. Già nel novembre del 1959 Fanfani aveva scritto: “Gronchi mi fa

capire che con Pella e Segni non s'intende più. Credo di capire che pensa al maturarsi di una crisi e vede ancora la soluzione in un monocolore presieduto da Tambroni, ed anzi sul finire del pranzo a ciò mi accenna”, in ASSR, Diari di Fanfani, 26 novembre 1959.

311 Cfr. A. Vladimirov, Tretij mesjac bez Pravitel’stva [Il terzo mese senza Governo], in “Moskovskaja Pravda”,

29/4/1960.

l’appoggio esterno non solo del PSI, ma anche del PCI. Secondo l’interpretazione di Amendola, l’eventualità derivava dal fatto che Togliatti, sensibile al problema della stabilità democratica, avvertì il pericolo di una crisi istituzionale, che si verificò poi con il governo Tambroni, e propose una soluzione di centro-sinistra, offrendo l’appoggio del PCI313. La posizione del segretario comunista riprendeva quanto esposto dall’ideologo del Cremlino, Suslov, durante il IX Congresso del PCI, nel febbraio del 1960. Nell’occasione il rappresentante sovietico aveva chiamato a raccolta in primo luogo i socialisti, poi i cattolici di sinistra ed infine i senza partito per creare un fronte di opposizione alle derive di destra dei governi democristiani314.

La principale questione di politica estera con cui si confrontò il nuovo gabinetto Tambroni furono i preparativi alla vigilia della Conferenza di Parigi, prevista per il 16 maggio del 1960, nella quale si sarebbe dovuto giungere ad un accordo su Berlino315. L’abbattimento di un aereo da ricognizione americano nello spazio aereo sovietico, il 1° maggio, che aveva scatenato una violenta polemica sia in Occidente che in Oriente, e il fallimento del vertice che ne seguì, furono avvenimenti recepiti con smarrimento negli ambienti politici della penisola316. La diplomazia italiana, ancor prima che sfumasse la conferenza di Parigi, aveva ribadito la necessità di continuare la linea di rigido atlantismo portata avanti dal governo Segni, anche perché nella primavera del 1960 le posizioni di Chruščëv sulla politica di distensione si erano repentinamente irrigidite. Il leader sovietico, nel corso di un duro discorso pronunciato il 25 aprile a Baku, aveva attaccato l’atteggiamento delle potenze occidentali nella Commissione dei Dieci per il disarmo, ed aveva smentito “ogni illusione” che, in caso di accordo di pace con la Repubblica Democratica Tedesca, gli occidentali avrebbero mantenuto il diritto di conservare le proprie truppe a Berlino Ovest. L’improvviso irrigidimento era sì legato al sospetto che le potenze occidentali si proponessero di ridurre la Conferenza al vertice ad un mero scambio di opinioni senza l’elaborazione di risposte concrete, tuttavia era anche la risposta al duro intervento del segretario di stato americano Herter che, il 4 aprile, aveva ribadito che gli Stati Uniti non erano disposti ad intavolare nessun negoziato che fosse stato influenzato dalle minacce sovietiche317.

Nell’analisi stilata dal I Dipartimento europeo del ministero degli Esteri sovietico così veniva valutata la posizione italiana alla vigilia della conferenza al vertice di Parigi:

313 Le parole di Amendola sono riportate in G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., p. 45.

314 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 18 marzo 1960, p. 364. Il

discorso di Suslov fu pubblicato su “l’Unità” del 3/2/1960.

315 Cfr. E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit., pp. 1034-1036.

316 Per una trattazione sulla questione dell’abbattimento dell’U-2 si veda M. Beschloss, Mayday: Eisenhower, Khrushchev and the U-2 affair, New York, Harper & Row, 1986.

“Per molti anni il governo italiano, nella definizione della sua politica, non si è basato solo sul principio della ‘solidarietà atlantica’, ma è stato anche influenzato dal timore che la distensione internazionale, e soprattutto il miglioramento dei rapporti sovietico-italiani, potesse rafforzare le posizioni del PCI e indebolire quelle del partito dirigente democristiano. In conformità con gli orientamenti generali del corso della sua politica estera, il governo italiano ha sempre tenuto un atteggiamento negativo rispetto a tutte le proposte dell’Unione Sovietica volte a favorire la distensione internazionale. […] In una serie di casi ha anche preso delle misure con l’obiettivo di complicare la situazione. […] Alla vigilia del viaggio di Chruščëv negli USA, il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Segni, e il ministro degli Esteri, Pella, ‘hanno avvertito’ Eisenhower del ‘pericolo’ di qualsiasi apertura all’URSS. La stessa linea è stata portata avanti da Segni nel corso della sua visita negli USA alla fine del settembre 1959. […] Il miglioramento dell’atmosfera internazionale e dei rapporti sovietico-statunitensi, legato al viaggio del compagno N.S. Chruščëv negli Stati Uniti, ha esercitato un’influenza positiva sull’opinione pubblica italiana. […] Sotto la pressione dell’opinione pubblica, e dei circoli economici interessati allo sviluppo degli scambi con l’URSS, ed anche tenendo in considerazione la posizione dei suoi principali partner occidentali, il governo italiano ha affermato di essere anch’esso a favore della distensione internazionale”.

E, dopo aver analizzato alcune questioni in particolare318, il documento si concludeva con la constatazione che “dal momento che negli ultimi due mesi in Italia continua la crisi governativa, l’attenzione dei circoli politici italiani è concentrata soprattutto sulle questioni di politica interna. I problemi legati alla preparazione della conferenza al vertice, di conseguenza, non vengono sollevati né negli interventi dei politici italiani, né sulla stampa”319.

Considerata l’atmosfera alla vigilia della Conferenza, la questione dell’abbattimento dell’U-2 non fu determinante, ma offrì un buon pretesto ai sovietici per giustificare la rottura dei negoziati ed addossare la colpa su Eisenhower. Come nota Gaddis, la prassi dei voli di

318 I punti analizzati dalla diplomazia sovietica erano: 1) Disarmo. In tutto il dopoguerra il governo italiano non

aveva avanzato nessuna iniziativa propria e si era limitato a sostenere le posizioni delle principali potenze occidentali. Andava tuttavia notato che Gronchi, durante i colloqui a Mosca, aveva espresso l’idea che il disarmo sarebbe dovuto essere totale, cioè avrebbe dovuto riguardare sia le armi convenzionali sia quelle atomiche. Il lavoro del Comitato dei Dieci aveva dimostrato che l’Italia cercava di utilizzare la questione del disarmo per accrescere il suo ruolo nello scacchiere internazionale; 2) Accordo di pace con la Germania e questione Berlino. Nell’ultimo anno il governo italiano non aveva fatto dichiarazioni pubbliche per precisare la posizione di Roma su tale questione. Secondo le informazioni reperite da Mosca, i sovietici ritenevano che l’Italia stesse elaborando una posizione che sosteneva pienamente le opinioni della RFT; 3) Frontiera Oder-Neisse. L’Italia riconosceva questa frontiera e non era disposta ad appoggiare una guerra per la sua modifica; 4) Sicurezza europea. L’Italia si era sempre espressa negativamente nei confronti di qualsiasi proposta avanzata dall’URSS o dagli altri paesi socialisti.

319 Cfr. Appunto segreto sulla posizione dell’Italia rispetto alla Conferenza al vertice delle quattro potenze, stilato dal

I Dipartimento europeo del ministero degli Esteri sovietico, 25/4/1960, in AVP RF, F. 098, op. 43, p. 259, d. 12, ll. 15-21.

ricognizione americani sull’URSS era stata già avviata da alcuni anni e la dirigenza sovietica ne era ampiamente al corrente: solo l’imbarazzo tratteneva entrambe le parti dal riconoscere quello che accadeva. Secondo lo studioso americano, per i russi era umiliante avere perduto il controllo del loro spazio aereo mentre gli americani erano riluttanti ad ammettere che lo stavano violando320.

“Bisogna riconoscere che nei giorni scorsi a Parigi è tramontata, almeno temporaneamente, quella distensione che era stata oggetto di tante sincere speranze e di tante interessate speculazioni politiche”, scriveva l’ambasciatore a Washington Brosio al ministro degli Esteri Segni, in seguito al fallimento del vertice di Parigi. Secondo il diplomatico italiano i fatti avevano dimostrato cosa Chruščëv intendesse per “distensione” e “spirito di Camp David”: una promessa di accordo sui paesi satelliti, sulla Germania e su Berlino, che cancellasse ogni aspirazione alla libertà dei primi, seppellisse ogni progetto di riunificazione della seconda ed aprisse la via ad un graduale inserimento di Berlino occidentale nella RDT321.

L’evoluzione della questione internazionale fu affrontata nel corso della seduta della Commissione esteri della Camera convocata il 19 maggio 1960. Il dibattito fu piuttosto teso