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Lo sviluppo delle relazioni commerciali e la visita del ministro Del Bo in Unione Sovietica Nell’ottobre 1959, anche grazie all’insistenza dell’ambasciata italiana a Mosca, si recò in

visita ufficiale in URSS il ministro del Commercio Estero Del Bo190. Questa coronava e rilanciava il processo di incremento delle relazioni commerciali istituite tra Italia e Unione Sovietica un anno e mezzo prima, nel dicembre del 1957, attraverso la firma dell’accordo di pagamenti, dell’accordo a lunga scadenza per mutue forniture di merci (1958-1961) e del protocollo commerciale per l’anno 1958191.

L’accordo commerciale era venuto dopo un lungo periodo di stagnazione delle relazioni economiche tra i due paesi e, peraltro, si pensava – almeno da parte sovietica - che avrebbe contribuito a migliorare i rapporti politici. L’organo di stampa del ministero del Commercio Estero sovietico “Vnešnjaja Torgovlja” dedicò un lungo articolo di analisi alle future prospettive di evoluzione192. L’idea di uno sviluppo degli scambi commerciali tra Italia ed URSS non fu approvata da tutti gli ambienti politici della penisola. Molte erano le preoccupazioni per una avanzata dell’influenza dell’Unione Sovietica, che avrebbe rafforzato le forze di sinistra ed

190 La proposta di invitare Del Bo a Mosca fu avanzata dall’addetto commerciale dell’ambasciata italiana a Mosca

Filippo Spinelli nel corso di un colloquio con il direttore generale per gli scambi con i Paesi occidentali V. Vinogradov. Cfr. Memorandum del colloquio tra il compagno Vinogradov e l’addetto commerciale italiano Filippo Spinelli, 8/8/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, l. 106.

191 I tre accordi furono firmati a Roma il 28/12/1957 dalla delegazione commerciale sovietica guidata da S. Malov e

da quella italiana, guidata da Egidio Reale.

192 Cfr. N. Koževnikov, Novye sovetsko-ital’janskie torgovye soglašenija [Nuovi accordi commerciali sovietico-

accentuato gli elementi di contraddizione all’interno della compagine governativa. Non ultima, inoltre, era l’apprensione italiana sulle reazioni in ambito NATO che un aumento degli scambi avrebbe potuto suscitare.

Mentre il mondo politico si era accostato con prudenza all’opportunità di sfruttare l’accordo commerciale per incrementare gli scambi, alcune grandi imprese italiane (quali l’ENI, la FIAT, la Snia Viscosa, la Montecatini, la Châtillon, l’Olivetti, la Pirelli) si mossero con rapidità per allargare il giro di affari ad Est in un mercato che, sempre di più, necessitava delle loro merci. La nomina dell’ambasciatore Pietromarchi a Mosca, come è stato notato, voluta da Fanfani – sostenitore dell’apertura commerciale ai paesi socialisti – aveva facilitato tale prospettiva. Gran parte degli interessi delle imprese italiane a Mosca era curata dalla società privata di rappresentanza Novosider guidata da Piero Savoretti193. Egli operava nel settore commerciale dell’URSS dall’inizio degli anni Cinquanta e pertanto era ben addentro alle questioni politiche ed economiche sovietiche, aveva conoscenze altolocate e godeva di stima presso gli ambienti del ministero degli Esteri italiano. La personale sintonia con le posizioni di Pietromarchi fece sì che il 1958 rappresentasse l’anno di “svolta” delle relazioni economiche bilaterali italo-sovietiche194.

Il mondo dell’imprenditoria italiana aveva seguito con attenzione gli sviluppi della situazione internazionale, e il 1958 era sembrato proprio l’anno giusto per allargare gli scambi con l’Unione Sovietica, quando pareva che la distensione fra Est e Ovest avrebbe compiuto passi in avanti. Nel luglio del 1958 il presidente della FIAT Valletta, analizzando i cambiamenti in corso nel contesto internazionale, aveva dichiarato:

“Si allontanano sempre di più i pericoli di una guerra totale sotto la garanzia della reciproca paura dei due blocchi e dei neutrali circa l’uso delle atomiche e gli sviluppi di una sempre maggiore efficienza. […] Il signor Chruščëv sarà indotto a cambiare tattica e politica sia interna che estera. Si impone, a lato delle produzioni in armamenti, anche a costo di ridurli, la pronta e intensa produzione di beni di consumo e di appoggio per le popolazioni civili”195.

La stessa percezione era stata avvertita da Enrico Mattei, la cui ENI, nel 1958, era riuscita a concludere alcuni accordi in URSS e ed era interessata a piazzare in Unione Sovietica 50.000 tonnellate di gomma sintetica in cambio di olii combustibili. Nel dicembre 1958, di ritorno da un

193 Savoretti non aveva legami formali con l’ENI, visto che l’ente di Mattei era un’azienda di stato. Ma dato il

legame personale tra i due, la Novosider si adoperava anche per facilitare l’espansione dell’ENI in URSS. La FIAT, invece, si affidò ufficialmente alla Novosider solo nel 1960, anche se le relazioni con Valletta erano già da tempo avviate.

194 Cfr. B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., pp. 65-68.

195 L’affermazione di Valletta è citata in V. Castronovo, FIAT – Una storia del capitalismo italiano, Milano, Rizzoli,

viaggio in Cina, Mattei si era fermato per colloqui riservati in Unione Sovietica nei quali aveva ribadito che:

“[…] L’Occidente europeo è una cosa diversa dall’America. Un Paese occidentale con popolazione densa e con produzioni industriali di alta qualità, come l’Italia, ha bisogno di importare materie prime e semi lavorate per le sue industrie, ha un suo volto ben distinto e può trovare punti di incontro di carattere economico con l’Unione Sovietica. L’Italia in particolare, col suo presente governo (Fanfani) si trova in condizioni singolarmente favorevoli”196.

Mattei era stimato dalla dirigenza sovietica un interlocutore privilegiato per tre motivi di fondo: per la convinzione della necessità di allargare il mercato italiano in Unione Sovietica; per la posizione di non asservimento alle politiche degli Stati Uniti e alle indicazioni del cartello petrolifero americano; ed infine per l’essere un trait d’union tra il mondo politico e quello economico in Italia.

Gli attacchi che Mattei riceveva in Italia da vari settori della Democrazia cristiana e dai partiti della destra venivano considerati da Mosca con inquietudine. Un eventuale calo di prestigio di Mattei in Italia avrebbe significato anche un rallentamento del processo di avvicinamento tra i due paesi. Un tentativo in tal senso fu fatto nel marzo del 1959, quando sembrò che per un accordo tra Segni, Malagodi e De Micheli si puntasse a destituire Mattei dalla presidenza dell’ENI, proprio per l’imbarazzo internazionale che avevano creato le sue azioni e per il suo crescente orientamento verso il mercato sovietico197.

A Mosca si utilizzò il canale degli scambi commerciali per lasciare una porta aperta all’Italia anche nei periodi più tesi delle relazioni bilaterali e internazionali. Sotto il governo Fanfani, ancor più durante il gabinetto Segni, nel corso del 1959, i sovietici portarono avanti una linea di intense relazioni con il mondo imprenditoriale italiano, prediligendo spesso contatti riservati rispetto a quelli ufficiali dei canali politici198. L’impasse negli ambienti governativi verso un’apertura all’Est era colta da Pietromarchi, che svolgeva la funzione di ambasciatore ora

196 Questo almeno è quanto si evince da un appunto su una conversazione avuta con La Pira, senza data, ma

sicuramente avvenuta alla vigilia del viaggio, perché inserita nei materiali preparatori della visita, in Archivio Storico dell’ENI (in seguito ASENI), Coll. H.III.2, udc. 31, nua 312.

197 Cfr. Comunicazione della rappresentanza commerciale dell’URSS in Italia al direttore generale per gli scambi con

i paesi occidentali V.M. Vinogradov, 22/1/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, l. 200.

198 Nel fondo del ministero del Commercio Estero sovietico si trovano, nelle buste relative al 1958-1959, alcune

raccomandazioni di politici italiani all’indirizzo degli enti sovietici per appoggiare l’avanzata commerciale di singoli imprenditori. Si veda, ad esempio, l’appunto di una telefonata all’ambasciata sovietica a Roma (il 1° agosto 1959) del consigliere diplomatico del presidente Gronchi, Cippico, per raccomandare il cugino di Gronchi, dott. Paolo Cova, che voleva importare dall’Unione Sovietica grosse quantità di naftalina. In RGAE, F. 413, op.13, d. 8506, l. 120.

ligio alle direttive del ministero degli Esteri, ora con proprie iniziative sostenute dagli ambienti industriali199.

Il trend positivo che avevano preso gli scambi italo-sovietici, rafforzatisi a seguito della

firma del protocollo commerciale annuale, il 22 dicembre 1958, continuò per tutto il 1959, nonostante i rallentamenti conseguenti ai momenti di maggiore tensione internazionale. Come è stato già ricordato, nel mese di aprile il ministro Patoličev avrebbe dovuto partecipare alla Fiera di Milano, ma la firma da parte italiana dell’accordo per le basi dei missili lo aveva costretto a rinunciare al viaggio. Il volume degli scambi in alcuni settori in particolare, come quello chimico o petrolifero, richiese di allargare l’organico dei lavoratori presso le rappresentanze commerciali degli enti sovietici. Tale fu il caso degli enti Sojuzpromeksport e Promsyr’eimport che nel giugno del 1959 chiedevano all’ambasciata italiana l’autorizzazione ad inserire nuovi addetti commerciali nelle loro rappresentanze in Italia200.

C’è un altro aspetto da considerare per comprendere il fenomeno dell’evoluzione degli scambi italo-sovietici nel 1958-1959 e per capire perché, con gradualità, numerosi settori si stessero aprendo a una diversa attitudine nei confronti del commercio con l’URSS. Nel contesto internazionale diventava sempre più chiara l’idea che una guerra aperta tra i due blocchi sarebbe scoppiata con maggiore difficoltà che in passato, con la conseguenza che, invece, si sarebbe intensificata la battaglia ideologica per affermare la superiorità di uno dei due sistemi. Esportare in URSS beni di consumo occidentali, dei quali l’economia sovietica era carente, avrebbe significato diffondere stili di vita differenti, e quindi una diversa immagine del mondo occidentale.

Nel settembre del 1959 di ritorno da un viaggio in Ucraina, Crimea e Georgia, Pietromarchi scrisse un resoconto chiarificatore per il ministero degli Esteri. L’ambasciatore nella missione aveva constatato come la tendenza “all’imborghesimento” in URSS fosse largamente diffusa nelle regioni con più alto livello economico. La fame di beni materiali occidentali, annotava il diplomatico, saltava agli occhi per via di infiniti inconfondibili segni di reazione da parte del popolo a quella forma di “claustrazione” alla quale lo condannava il regime. Secondo

199 Per fare un esempio delle imprese compiute da Pietromarchi di sua iniziativa, il 9 maggio 1959 l’ambasciatore

inviò l’addetto commerciale Spinelli a sondare, per via confidenziale, se le organizzazioni per il commercio estero sovietico avessero intenzione di acquistare in Italia una nave passeggeri di 13.000 tonnellate. Nel resoconto del colloquio si legge che Spinelli aveva specificatamente sottolineato che il governo italiano non era a conoscenza di tale iniziativa dell’ambasciatore, ma che se effettivamente ci fosse stato un interessamento sovietico, Pietromarchi avrebbe compiuto tutti i passi necessari per far giungere a Mosca rappresentanti dell’IRI. In RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, ll. 252-253

200 Cfr. Resoconto del colloquio tra il direttore del Dipartimento per l’Europa sud-occidentale, compagno O.V.

Koževnikov, e l’addetto commerciale dell’ambasciata italiana in URSS Spinelli, 25/6/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, ll. 157-158.

l’ambasciatore dovunque si riscontrava un incontenibile impulso “a godersi la vita”, a “procacciarsi tutto ciò che lo sterminato e materialistico mondo sovietico avesse da offrire di beni e di piaceri”: “è un’umanità in maniche di camicia, male odorante di aglio e di vodka, che tradisce le recenti origini operaie o contadine dal modo di mangiare, di vestire, di comportarsi: tutta questa gente è frenetica delle danze occidentali, delle canzoni occidentali, della moda occidentale”. E concludeva: “Siamo alla fase dell’inevitabile reazione che contrassegna il termine di ogni periodo di coscrizione, di terrore rivoluzionario, di disciplina e di sacrifici: è la reazione al giacobinismo e al terrore nel periodo del Direttorio. È un moto irreversibile che l’Occidente avrebbe interesse a incoraggiare, allargando la breccia nella cortina di ferro col turismo, le iniziative di cultura e simili” 201.

L’introduzione di prodotti occidentali in Unione Sovietica, secondo questa visione, avrebbe agevolato un mutamento nel sistema sovietico e avrebbe eroso dall’interno le basi fondanti della società. Si trattava di un carattere non distruttivo di anticomunismo: era il tentativo di sradicarlo erodendolo alle radici ed indebolendone il retroterra. È ovvio che l’ipotesi era avanzata in una prospettiva di lungo periodo, ma l’argomentazione, sommata agli effettivi vantaggi economici che l’Italia otteneva dal commercio con l’URSS, iniziava a far breccia anche negli ambienti più ostili all’apertura.

La visita del ministro Del Bo, quindi, giungeva in un momento particolare per le relazioni italo-sovietiche e doveva servire a sancire ufficialmente la “svolta” avvenuta negli ultimi due anni. Poiché, fra l’altro, Del Bo sarebbe stato il primo ministro di un governo italiano a visitare l’URSS nel dopoguerra, la missione rivestiva grande importanza. Nelle intenzioni del governo italiano, la visita del ministro del Commercio Estero avrebbe assunto una funzione specifica: confermare l’avvenuta crescita del volume degli scambi e stringere con i sovietici rapporti di collaborazione in previsione della firma del protocollo annuale per il 1960. Come specificò il ministro stesso nel corso di una colazione all’ambasciata sovietica di Roma, alla vigilia della partenza per l’URSS, Del Bo aveva il mandato del governo per portare avanti le trattative politiche sulla questione delle riparazioni, dei prigionieri di guerra e dell’accordo culturale202. E in effetti il viaggio, anche grazie alla calorosa accoglienza che i sovietici gli riservarono, ebbe una considerevole valenza politica e segnò un’ulteriore tappa nell’evoluzione delle relazioni bilaterali.

201 Cfr. Telespresso n. 14/1396/C del 14/9/1959 da Dipartimento Generale Affari Politici - IV uff. del MAE a

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Gabinetto, Ministero del Commercio Estero – Gabinetto e a varie ambasciate italiane, in ACS, Fondo PCM, Serie 1959-1961, busta 15.2.37389, sottofascicolo “Russia-notiziario”.

202 Cfr. AVP RF, F. 98, op. 42, d. 2, ll. 72-75, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostjanie v Evrope, cit., p. 572.

La visita, appoggiata dal ministro degli Esteri Pella, fu preparata con cura dall’ambasciata a Mosca. Del Bo comunicò alle autorità sovietiche di voler intrattenersi di persona con Chruščëv insieme a Pietromarchi, perché tale incontro avrebbe di sicuro giovato alle relazioni bilaterali203.

Del Bo arrivò a Mosca il 14 ottobre. Il giorno seguente fu ricevuto dal ministro del Commercio Estero Patoličev. La conversazione si svolse con cordialità e da parte sovietica non fu sollevata alcuna polemica sulla questione delle basi e sulle posizioni del governo Segni. Del Bo espresse a Patoličev il suo rammarico per il rinvio della visita in Italia che quest’ultimo avrebbe dovuto compiere in aprile. Fu l’occasione per rinnovare l’invito alla Fiera di Milano che si sarebbe tenuta l’anno seguente.

Patoličev sottolineò che negli ultimi tempi le relazioni economico-politiche tra URSS e Italia erano in via di sviluppo e ricordò che il volume degli scambi era cresciuto nel 1959 dell’80% rispetto all’anno precedente. Una cifra significativa, alla quale si aggiungeva che i rapporti tra gli imprenditori italiani e le organizzazioni per il commercio estero sovietiche si stavano intensificando. Patoličev non mancò di indicare al ministro italiano che l’incremento degli scambi era causato dagli sforzi compiuti da entrambe le parti, ma volle evidenziare il ruolo svolto dall’ambasciatore Pietromarchi per facilitare il miglioramento delle relazioni. Da parte sovietica, ancora una volta, si ribadiva la fiducia accordata da Mosca all’ambasciatore italiano.

Prima di passare agli argomenti prettamente commerciali, Patoličev fece notare all’interlocutore l’importante significato della visita, poiché Del Bo era il primo ministro italiano a venire in URSS dal dopoguerra. La visita, secondo le sue speranze, avrebbe inaugurato una nuova stagione nei rapporti bilaterali economici e negli altri campi. Lo stesso affermò Del Bo, specificando che cosa egli intendesse per “altri campi” nei rapporti bilaterali: quelli culturali e politici.

Le questioni sollevate dal ministro italiano nel corso del colloquio furono di carattere commerciale. L’Italia, al momento, aveva un bilancio attivo a favore dell’URSS e pertanto era interessata a redigere la lista di merci da importare dall’Unione Sovietica. Di sicuro un prodotto che l’Italia sarebbe stata disposta ad acquistare in misura maggiore era la naftalina, indispensabile all’industria chimica. Allo stesso tempo fu manifestato l’interesse italiano a immettere sul mercato russo automobili e macchine utensili grazie ad un accordo di credito da parte delle ditte italiane. Questioni da analizzare nel corso delle trattative commerciali che avrebbero avuto luogo in novembre. L’ultima proposta avanzata da Del Bo fu l’allestimento, nell’autunno del 1960, di

203 Cfr. Resoconto del colloquio tra il vicedirettore del Dipartimento per il commercio con gli stati occidentali,

compagno Čenčikovskij, e l’addetto commerciale dell’ambasciata italiana in URSS, F. Spinelli, 3/10/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, l. 62.

una mostra di beni di consumo italiani a Mosca o a Leningrado e di una mostra di beni di consumo sovietici in una città italiana204. Il carattere disteso del primo incontro induceva a ben sperare sul clima dei colloqui dei giorni seguenti.

Il viaggio di Del Bo fu anche l’occasione per chiudere la questione dei prigionieri di guerra che ancora ostacolava le relazioni bilaterali, attraverso la firma di un comunicato congiunto sul “completamento del rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani”205. Nel documento si conveniva da entrambe le parti che sul territorio dell’Unione Sovietica non si trovavano più prigionieri di guerra italiani, che si era in grado di definire la posizione giuridica dei parenti dei dispersi, poiché erano già passati 14 anni dalla fine del conflitto, e infine che le organizzazioni nazionali della Croce Rossa dei rispettivi paesi avrebbero collaborato per esaminare i singoli casi206.

Nel corso della visita Del Bo incontrò inoltre il presidente del Comitato per le relazioni culturali Žukov – persona di “intelligenza superiore ed aperte vedute” secondo Pietromarchi207 – con il quale affrontò la questione dell’inizio delle trattative per l’accordo culturale italo- sovietico208.

Il ministro Del Bo, così come aveva espressamente richiesto alle autorità sovietiche, ottenne di essere ricevuto da Chruščëv. Il Comitato centrale del PCUS aveva approvato la richiesta reputando l’incontro con il ministro italiano un’occasione per ribadire in veste ufficiale all’Italia che a Mosca si era disposti a un sensibile miglioramento delle relazioni209. Lo stesso Del Bo, alla fine del colloquio, informò subito il presidente Segni con un telespresso segreto:

“Colloquio si è svolto in atmosfera particolarmente cordiale. Krusciov ha espresso sua soddisfazione per le intese già da me avviate in materia di scambi commerciali nonché per accordo intervenuto in materia prigionieri. Da parte mia ho dichiarato che questo accordo apre strada a negoziati per accordo culturale. Del che Krusciov si è dichiarato molto lieto. Krusciov si è astenuto da qualsiasi accenno a questione riparazioni. […] Krusciov ha fatto presente che promettente sviluppo rapporti commerciali deve favorire miglioramento relazioni politiche tra i due paesi in particolare attraverso personali contatti. Ho messo in rilievo che Unione Sovietica

204 Cfr. Resoconto del colloquio tra il ministro Patoličev e il ministro del Commercio Estero italiano, R. Del Bo,

15/10/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, l. 64.

205 Cfr. Telegramma segreto n. 30637 del 17/10/1959 ore 18.45 da ITALDIPL Mosca a ministero Affari Esteri su

“Accordo sui prigionieri e dispersi in Russia”, in ASILS, Fondo Gronchi, sc. 31, fasc. 185 “Riservata 1958-1961”.

206 Cfr. Italia – URSS. Pagine di storia 1917-1984. Documenti, cit., pp. 85-86.

207 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 6 settembre 1959, pp. 250-

251.

208 Cfr. Resoconto del colloquio tra il compagno Žukov con il ministro del Commercio Estero italiano, Del Bo, e

l’ambasciatore italiano in URSS, Pietromarchi, 17/10/1959, in RGANI, F. 5, op. 50, d. 142, l. 177.

209 Cfr. Risoluzione rigorosamente segreta 244/IX del Presidium del Comitato centrale del PCUS del 15/10/1959 su

“Ricevimento di Chruščev del ministro del Commercio Estero italiano Del Bo”, in RGANI, F. 3, op. 14, d. 326, l. 10 e F. 3, op. 12, d. 581, l. 143.

non ha contestazioni di alcun genere verso l’Italia affermando che i rapporti politici devono svolgersi sulla base della assoluta non interferenza nelle questioni di politica interna. Krusciov si è astenuto da ogni accenno relativo sia Alleanza atlantica sia a basi. In materia di disarmo mi ha ripetuto criteri sue note proposte dandomi interessanti particolari su stato armamenti sovietici. Krusciov mi ha dichiarato sua opinione potersi più facilmente intendere in materia distensione con Inghilterra, Francia, Italia, Germana Federale, avendo questi paesi maggiore interesse anche per ricordo sofferenze guerra evitare nuovo conflitto. Avendogli io richiamato attuale politica del presidente Eisenhower egli ha riconosciuto suo sincero intendimento distensivo ma si è dichiarato preoccupato orientamento intransigenza di alcune sfere politiche americane. […]”210.

Il fatto che Chruščëv non avesse menzionato alcuna questione spinosa per le relazioni bilaterali dimostra che alla dirigenza sovietica premeva il felice esito della visita di Del Bo, e che