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Si riprendono i rapporti bilaterali: il governo delle “convergenze parallele” e la visita della delegazione parlamentare italiana in URSS

D AL GOVERNO T AMBRONI ALLA CRISI DI C UBA

2.2 Si riprendono i rapporti bilaterali: il governo delle “convergenze parallele” e la visita della delegazione parlamentare italiana in URSS

Il nuovo governo Fanfani passò alle camere il 5 agosto con una larga maggioranza, secondo gli accordi già conclusi dai partiti durante le consultazioni. A seguito degli scontri di piazza avvenute in diverse città italiane, quando il paese si era trovato in un momento particolarmente delicato, la popolarità degli esponenti della destra della Democrazia cristiana si era profondamente indebolita, mentre l’autorità di Fanfani e dei suoi sostenitori era cresciuta, e la sua candidatura sembrava una via di uscita alla situazione di crisi creatasi. Il nuovo esecutivo avrebbe dovuto avere un carattere “provvisorio”, cioè rappresentare una soluzione d’emergenza in riposta ai disordini di luglio. Anche per questo il governo fu sostenuto da una larga maggioranza, con l’importante astensione dei parlamentari del PSI. Solo i deputati e i senatori del PCI e dell’MSI votarono contro. Il programma fu stilato dopo molteplici consultazioni che Fanfani, già durante la crisi, aveva avuto con i rappresentanti dei vari partiti, compreso il PCI. Per ottenere l’astensione dei socialisti, il politico aretino aveva acconsentito al varo di alcune proposte avanzate dalle forze di sinistra. L’approvazione di un programma riformista era alla base della scelta innovativa operata da Nenni: per la prima volta dal 1947, quando i social-comunisti erano stati esclusi dal governo, il PSI non aveva votato contro l’esecutivo. Nenni si era posto in una situazione di “fiduciosa attesa”, preludio della partecipazione del PSI alla futura maggioranza di centro-sinistra352. Secondo il segretario socialista il nuovo governo era “un ministero di concertazione e unità democristiana che in sé e per sé [poteva] fare solo politica moderata, ma che [era] caratterizzato dal suo primo ministro, qualificatosi negli ultimi due anni [come] uomo di sinistra, anzi, come dice[va] il ‘Times’, l’uomo dell’apertura a Nenni”353. In effetti il nuovo governo aveva una composizione centrista: ad esclusione della carica di primo ministro, gli esponenti della sinistra democristiana non avevano ricevuto incarichi chiave. I ministeri principali erano ancora assicurati ai rappresentanti della destra, a cominciare da quello degli Affari Esteri, il cui nuovo titolare era Segni354.

352 G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-2007, cit., p. 260. 353 Cfr. P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra, cit., 26 luglio 1960, p. 135.

354 Oltre al dicastero degli Esteri, altri esponenti della destra democristiana furono a capo dei più importanti

L’ambasciatore sovietico a Roma valutò in termini positivi il programma del nuovo gabinetto355 che, in politica estera, pur riaffermando una fedele adesione all’Alleanza atlantica, si proponeva “di non lasciarsi scoraggiare dai gravi ostacoli che erano sorti sul cammino della pace e di continuare a contribuire con tutte le forze possibili alla realizzazione di una maggiore comprensione tra i popoli”356. Altri punti del programma di Fanfani testimoniavano l’effettiva volontà riformatrice dell’esecutivo, mediante l’introduzione del sostegno all’agricoltura, il miglioramento del sistema scolastico, il riordinamento della previdenza sociale, l’istituzione delle regioni a statuto normale, la realizzazione dei piani-casa per l’edilizia popolare, ecc. Nel programma di governo furono incluse delle misure volte ad incrementare le esportazioni con l’estero. Questo punto programmatico avrebbe influito molto da vicino sulle relazioni economiche avviate dall’Italia con l’URSS negli ultimi anni.

L’orientamento del governo nei confronti del comunismo, comunque, aveva escluso ogni possibilità di incomprensione o di immotivata speranza. Fanfani aveva sostenuto:

“Condividendo le condanne che il comunismo ha ricevuto dalla ragione e dalla storia, opereremo inoltre affinchè fallisca ogni azione diretta a introdurre i suoi schemi fra noi e, grazie alla giustezza della politica svolta dallo Stato democratico e alla tempestività, correttezza ed efficacia del suo funzionamento, si riducano prima, e poi scompaiano, le tentazioni cui la dottrina e la prassi comunista sottopongono le coscienze dei cittadini diseredati o scontenti”357.

Si trattava di una affermazione programmatica ferma e rigorosa, nella quale il leader democristiano aveva ribadito le sue posizioni. Tuttavia, nell’intervento di Fanfani, va notato, non ci furono riferimenti polemici all’Unione Sovietica ad eccezione di un rapido accenno al fatto che l’Italia avrebbe sollecitato la ripresa dei lavori del Comitato dei Dieci “posto in condizione di non poter funzionare per inaccettabile decisione unilaterale del blocco sovietico”358.

Il nuovo governo, veniva notato all’ambasciata sovietica, pur difendendo le posizioni degli Stati Uniti sui temi del disarmo, della coesistenza pacifica e della questione tedesca, non aveva manifestato l’intenzione di ostacolare lo sviluppo dei rapporti italo-sovietici, soprattutto per quanto riguardava il settore commerciale e quello dei rapporti culturali. Vista la stima di cui godevano le posizioni di Fanfani al Cremlino, a Mosca si attendevano dei cambiamenti positivi

359. La decisione da parte di Fanfani di ratificare al più presto un nuovo accordo commerciale e di

355 Cfr. I.A. Chormač, SSSR - Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 696. 356 Cfr. APCD, III legislatura, discussioni, seduta del 2/8/1960, pp. 16122-16123. 357 Ivi, pp. 16121-16122.

358 Ivi, p. 16123.

359 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 043, d. 2, ll. 56-61, citato in . I.A. Chormač, SSSR - Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 697.

allargare il volume degli scambi, accogliendo il ministro per il Commercio Estero Patoličev a Roma, era il primo segnale di tale inversione di rotta.

La caratteristica riformatrice del governo delle “convergenze parallele”, che sin dall’esposizione del corposo programma non si presentava affatto “transitorio” - come in un primo momento era sembrato - creò un certo imbarazzo nel PCI. Alcuni aspetti del programma, infatti, coincidevano in parte con le richieste dei comunisti ed inoltre il mancato accenno di Fanfani ad una ferma politica anti-sovietica metteva in discussione uno dei pilastri della propaganda di cui si era finora servito il PCI. Nell’intervento alla Camera durante la discussione per la fiducia al nuovo governo, Togliatti non aveva potuto evitare di mostrarsi d’accordo con alcuni punti di politica interna, (come la costruzione di nuove autostrade e il ribasso del prezzo dello zucchero o la riforma del sistema scolastico), così come con l’indirizzo di politica estera volto a favorire la distensione, pur contestandone i metodi proposti per la realizzazione. Questo aspetto, del resto, non sfuggiva all’analisi dell’ambasciata sovietica a Roma, dove Kozyrev scrisse in un resoconto sul nuovo governo:

“La tattica di Fanfani di non acuire i conflitti con l’URSS può privare il partito comunista di un intero tema per la critica del governo, critica che al momento attuale risulterebbe molto efficace in virtù del crescente interesse verso l’URSS e gli altri stati socialisti da parte di tutti i settori della società italiana”360.

L’intenzione di migliorare le relazioni tra Roma e Mosca emerse anche nel corso del colloquio tra il presidente Gronchi e Kozyrev alla fine dell’agosto del 1960. Da entrambe le parti si convenì che le vedute dei governi italiano e sovietico sulle principali questioni internazionali mostravano punti di convergenza, e ciò rappresentava un fatto importante. Attraverso le relazioni economiche, aggiungeva il diplomatico sovietico, i due paesi negli ultimi anni avevano sensibilmente intensificato i contatti, e questo aveva giovato ad un miglioramento dei rapporti politici. Pur in un clima di cordialità, Gronchi non mancò di far notare a Kozyrev che in realtà la situazione si era complicata in seguito alle affermazioni poco rispettose di Chruščëv all’ambasciata italiana, durante la sua visita a Mosca, e al fallimento del vertice di Parigi. Solo ora, anche grazie al nuovo governo, secondo il presidente, i rapporti andavano lentamente ristabilendosi. Proprio in quei giorni, ad esempio, il governo italiano aveva riesaminato l’invito a Patoličev di visitare l’Italia e le trattative per l’accordo commerciale a lungo termine. Per quanto riguardava la politica estera, Gronchi specificò all’ambasciatore che l’Italia non intendeva seguire passivamente le direttive di alcun paese straniero, al contrario, desiderava dire la propria parola,

specie in materia di disarmo. “Se dovessi fare perciò fare una previsione per il prossimo futuro – continuava Gronchi – direi che ci sono da parte italiana tutte le premesse per un miglioramento nelle nostre relazioni economiche e culturali ed anche per la ricerca di punti di migliore intesa in campo politico. […] Ella può dire questo, come mia opinione personale ed anche come pensiero del governo, a Krusciov ed agli altri dirigenti della politica sovietica”. Kozyrev confutò l’idea – diffusa in Italia – che da parte sovietica si fosse avuta l’intenzione di umiliare il presidente durante la sua visita in URSS ed aggiunse anche, come aveva già fatto in altre occasioni, che Chruščëv lo riteneva un valido statista. Sottolineando viva preoccupazione per il “revanscismo” di Bonn, il diplomatico sovietico pose all’attenzione di Gronchi il fatto che i generali tedeschi si fossero espressi con grande chiarezza nel richiedere l’atomica. Gronchi ne condivise le preoccupazioni ed affermò che l’Italia avrebbe fatto di tutto per convincere i paesi occidentali che ricercare la pace “tenendo la mano sull’elsa della spada” fosse un metodo errato. Kozyrev espresse viva considerazione per tale affermazione e assicurò il suo interlocutore che avrebbe riferito al Cremlino che l’Italia era desiderosa di ricercare una migliore intesa tra Est ed Ovest361. Il colloquio, pur con momenti di tensione, aveva mostrato da entrambe le parti il desiderio di riprendere il corso dei rapporti bilaterali arenatisi sotto il governo Tambroni.

L’ambasciata dell’URSS a Roma, che nelle settimane seguenti all’insediamento del nuovo governo aveva analizzato con attenzione lo sviluppo degli eventi, registrò un mutamento dell’approccio di Segni, a capo del dicastero degli Esteri, nei confronti dell’Unione Sovietica. Nell’estate del 1960, infatti, Kozyrev comunicava al Cremlino che Segni, durante tutti gli incontri avuti, si era mostrato molto amichevole ed attento, ed inoltre aveva manifestato particolari segnali di apprezzamento invitando l’ambasciatore sovietico, in qualità di ospite personale, in varie occasioni ufficiali e non362. Tale cambiamento, seppure non eclatante, fu percepibile nel discorso che il ministro pronunciò alla Camera il 6 ottobre, in occasione di una discussione sulla politica estera del governo:

“Si è qui parlato della Russia ed è giusto parlarne. Siamo stati accusati di neutralismo per avere migliorato i rapporti con la Russia. L'accusa ci è venuta dalla destra e si contrappone a quella della sinistra. La realtà è che nei confronti di uno Stato con il quale siamo in relazioni normali, anche se è retto da un regime totalmente diverso dal nostro, non abbiamo alcun motivo di preclusione politica per non avere dei rapporti quali la convivenza internazionale vuole. Abbiamo compiuto concreti passi con la Russia atti a dimostrare come i nostri rapporti siano notevolmente migliorati. E credo che questo non debba essere rimproverato da nessuno, ma

361 Cfr. Colloquio signor Presidente con ambasciatore sovietico Kozyrev, 31/8/1960, in ASILS, Fondo Gronchi, Sc.

82, fasc. 596 “Colloqui Kozyrev 1957-1960”.

362 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 43, d. 6, ll. 86-87, citato in I.A. Chormač, SSSR - Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 699.

debba essere considerato da tutti come un fattore di pace. I rapporti economici con la Russia sono notevolmente migliorati . Nei primi sei mesi di quest'anno gli scambi sono pressochè duplicati, per quanto riguarda le importazioni dalla Russia in Italia e sono più che duplicati per quanto riguarda le esportazioni dall'Italia verso la Russia. Tuttavia, la nostra bilancia commerciale è ancora largamente passiva perchè abbiamo acquistato in sei mesi per 32 miliardi e mezzo e abbiamo venduto solo per poco più di 23 miliardi. Speriamo che un nuovo trattato a lungo termine, per un periodo piuttosto ampio, possa servire a espandere questi rapporti, ma anche a portarli su un piano di equilibrio economico. Quanto agli scambi culturali, si sa che è stato firmato a Mosca nel febbraio scorso un accordo culturale; il relativo disegno di legge di ratifica, previa approvazione da parte del Consiglio dei ministri, è stato presentato 1'11 giugno scorso al Parlamento, cui spetta di approvarlo. Ma noi, con un accordo provvisorio sancito in un processo verbale dell'agosto scorso, abbiamo già messo in esecuzione il trattato stesso in tutte quelle parti in cui era eseguibile”363.

È lecito ipotizzare che la svolta di Segni avesse la sua genesi nelle nuove valutazioni che il segretario generale della Farnesina, Umberto Grazzi, aveva espresso circa i rapporti bilaterali italo-sovietici. Stando a quanto sosteneva Pietromarchi, infatti, il dirigente del ministero godeva di grande influenza sulle posizioni di Segni. In un rapporto stilato da Grazzi per il ministro, egli aveva scritto:

“E’ ovvio che il nostro paese, uno dei più deboli rispetto a Mosca, non può staccarsi dalla linea occidentale nei riguardi dell’URSS e neanche allontanarsene: ma è anche da riconoscere che la situazione interna italiana presenta particolari aspetti, quali consigliano a tenere in considerazione il vecchio asserto che più le relazioni esterne con Mosca sono buone, meno difficile è tenere imbrigliato un movimento comunista all’interno. […] L’aumento dell’interscambio (che, sia detto di passaggio, converrebbe però non estendere eccessivamente per non rafforzare lo sviluppo sovietico nei rispetti del mondo occidentale e per non facilitare la penetrazione russa nei paesi sottosviluppati) e la firma dell’accordo culturale, che ha imbrigliato la tendenziosa attività di talune organizzazioni sedicenti private, sono due punti che vanno portati al nostro attivo”364.

Il 9 settembre Kozyrev incontrò per la prima volta Fanfani dopo la sua nomina alla carica di Presidente del Consiglio. L’ambasciatore espose il punto di vista di Mosca circa i rapporti

363 Cfr. APCD, III legislatura, discussioni, seduta pomeridiana del 6 ottobre 1960, pp. 17219-17220.

364 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 15 luglio 1960, p. 415.

Pietromarchi commentò furiosamente tale relazione, dando a Grazzi “dell’idiota, della bestia e del traditore”. Secondo l’ambasciatore il segretario generale della Farnesina “non aveva capito nulla” dell’importanza della visita di Gronchi a Mosca e l’idea che fosse pericoloso allargare gli scambi con l’URSS era inesistente poiché la percentuale degli scambi dell’Italia con l’URSS si manteneva ancora su livelli minimi.

bilaterali italo-sovietici, e propose al governo una collaborazione per la soluzione pacifica dei principali problemi internazionali, quali il disarmo e la coesistenza pacifica. Fanfani concordò sul fatto che entrambi gli stati desideravano giungere ad un accordo sul disarmo, ma sottolineò la differenza di approccio alla soluzione del problema tra Roma e Mosca: trovare percorsi comuni per la regolazione delle contraddizioni internazionali sarebbe stato il principale obiettivo da raggiungere. In attesa di una soluzione di tali problemi, attraverso trattative tra i blocchi, lo statista aretino proponeva di affrontare gli ostacoli che rallentavano i rapporti bilaterali italo- sovietici. Come esempio dell’inutilità di porre questioni di carattere politico a livello internazionale prima che i tempi fossero maturi, Fanfani portò all’attenzione del diplomatico di Mosca gli esiti del viaggio di Gronchi in URSS, che aveva dato minori risultati di quanto gli italiani si aspettassero. Non andava tuttavia sottovalutato che tale missione aveva rappresentato un passo in avanti nelle relazioni bilaterali, soprattutto grazie allo sviluppo degli scambi commerciali e alla firma dell’accordo culturale. Fanfani inoltre assicurò l’ambasciatore che era stata analizzata con il ministro del Commercio Estero la possibilità di aumentare il credito per le forniture in URSS, allo scopo di sviluppare gli scambi bilaterali. L’Italia, affermò il presidente del Consiglio, era pronta ad acquistare petrolio sovietico in cambio di tubi d’acciaio e gomma sintetica - scelta fortemente criticata sia in Italia sia all’estero. Del resto il governo italiano, nonostante avesse ricevuto importanti proposte commerciali anche da altri paesi, non era intenzionato a rifiutare la vantaggiosa offerta di Mosca.

Kozyrev sollecitò l’attenzione di Fanfani all’importanza della collaborazione tra Italia ed URSS sulla questione del disarmo durante l’Assemblea Generale dell’ONU che si sarebbe tenuta a breve. Fanfani espose i suoi dubbi sulla realizzabilità di una simile proposta, dal momento che sarebbe stato complicato intervenire durante l’incontro di 80 capi di stato, e l’esito negativo della trattativa avrebbe rappresentato “il fallimento dell’ultima istanza” e indebolito le speranze di quanti cercavano la pace. Il capo del governo italiano promise all’ambasciatore sovietico di pensare seriamente al tema, ed escogitare una mossa per risolvere la questione del disarmo in sede di Assemblea Generale.

Non essendo riuscito ad evitare di toccare la questione del revanscismo tedesco, Fanfani affermò che il governo italiano perseguiva nei confronti della RFT “la politica di De Gasperi”, cioè una linea che, incrementando la collaborazione europea, cercava di inserire la Germania nella “partitura comune” dei popoli europei, riducendo in tal modo i suoi sforzi revanscisti e militari. Al tentativo di Fanfani di spostare il discorso sul revanscismo dell’Austria nei confronti

del sud-Tirolo365, Kozyrev affermò che l’URSS non intendeva migliorare i rapporti con l’Italia a spese dell’Austria e consigliò di affrontare il problema in sede di colloqui bilaterali italo- austriaci366.

Dai primi colloqui con gli esponenti del nuovo governo, quindi, a Mosca da una parte si registrava un rinnovato interesse per l’incremento delle relazioni bilaterali, dall’altra si aveva l’impressione che, per il momento, non fosse possibile collaborare con Roma per la soluzione dei problemi internazionali.

La nuova stagione dei rapporti italo-sovietici ebbe ulteriori sviluppi. Dopo una serie di rinvii che si ripetevano dal 1958, finalmente le circostanze furono mature per la partenza della delegazione interparlamentare italiana in URSS. Il viaggio avrebbe coronato la prima fase dell’avvio dei rapporti politici bilaterali non solo con gli esponenti dei partiti di sinistra, ma anche con quelli dei partiti di maggioranza. Tale possibilità, sia da Mosca che da Roma, veniva considerata utile per allargare i canali di contatto e ricercare nuove forme di collaborazione. La missione dei parlamentari in URSS fu fissata dal 14 al 22 settembre. Giuseppe Codacci-Pisanelli, esponente democristiano, guidava la delegazione composta dai: senatori Terracini (PCI), Busoni (PSI), Granzotto-Basso (PSDI), Ferrari (DC), Donati (DC), e dai deputati Riccio (DC), Colitto (PLI), Barbieri (PCI), Aicardi (PSI) e Piccoli (DC). La diplomazia sovietica preparò un fitto programma per la loro permanenza, fatto di incontri ufficiali con esponenti istituzionali, e di visite a luoghi significativi dell’URSS, per mostrare ai parlamentari italiani i successi raggiunti dal sistema socialista e il livello di vita dei cittadini sovietici.

In un documento redatto da Pavel Medvedovskij, consigliere dell’ambasciata sovietica a Roma, il diplomatico aveva indicato sei temi che sarebbe stato utile affrontare con i parlamentari italiani: la questione del disarmo, visto che l’Italia aveva rifiutato di affrontare la proposta dell’URSS in merito; la ratificazione dell’accordo culturale, che era stato firmato ma non ratificato da parte italiana; l’importanza di organizzare contatti tra esponenti governativi, esito diretto della nuova stagione apertasi con il viaggio di Gronchi a Mosca; l’incremento dei rapporti economici, dato l’interesse dell’URSS a migliorare le relazioni economiche con i paesi occidentali; il problema del sud-Tirolo, che l’URSS reputava una questione di esclusiva competenza di Austria e Italia, senza la necessità di portare il caso all’ONU o al tribunale

365 Il governo austriaco aveva tentato di rimettere in discussione davanti alle Nazioni Unite gli accordi De Gasperi-

Gruber sull’Alto Adige firmati nel 1946. In essi le due parti avevano sancito la sovranità italiana sulla regione, pur impegnandosi a concedere alla minoranza tedesca una larga autonomia. L’Austria ripropose periodicamente negli anni successivi tale questione all’ONU (sempre respinta), fino al raggiungimento di un accordo definitivo tra le due parti raggiunto il 30 novembre 1969 dai ministri degli Esteri Aldo Moro e Kurt Waldheim. Sulla questione dell’Alto Adige si veda M. Toscano, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Bari, Laterza, 1967.

366 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 43, d. 6, ll. 111-118, citato in I.A. Chormač, SSSR-Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., pp. 700-701.

internazionale del’Aja; la questione dei prigionieri italiani in URSS, che Mosca considerava essere già stata definitivamente chiusa, nonostante a più riprese questo tema emergeva nei colloqui bilaterali367.

L’atmosfera dei colloqui si scaldò nel corso della visita, e nel complesso fu piuttosto cordiale, perché da entrambe le parti si dava grande importanza all’evento stesso della visita che, già in sé, rappresentava l’apertura di una nuova fase dei rapporti politici tra i due paesi. Molta