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Verso il viaggio di Gronchi in Unione Sovietica

La notizia dell’invito di Gronchi in URSS fu così dirompente nel mondo politico italiano che il ministro Del Bo, appena atterrato a Roma, per non essere accusato di avere responsabilità improprie, precisò subito alla stampa:

“Per lo svolgimento di questa missione io ho avuto direttive del presidente del consiglio, mi sono consultato con il ministro degli Esteri, mi sono valso della competenza tecnica dei funzionari del ministero degli Esteri e del Commercio Estero, non ho avuto contatti a questo riguardo con nessun precedente titolare del ministero del commercio con l’estero. […] Impegno il mio onore personale dichiarando che non ho sollecitato, presso il governo di Mosca, nessun invito di nessuna autorità italiana. Ho troppo alto il senso della dignità dello Stato per poter anche lontanamente immaginare la possibilità di assumere un’iniziativa del genere. L’invito al presidente della Repubblica deve essere considerato una azione assolutamente autonoma delle autorità sovietiche, le quali assai probabilmente, si sono indotte a formulare l’invito proprio in seguito all’apprezzamento della nostra azione e al modo coraggioso e leale con cui abbiamo tutelato gli interessi del nostro paese”217.

L’invito sovietico a Gronchi, in effetti, provocò un intenso dibattito in Italia. Se il PCI e il PSI salutarono l’evento come un passo verso la distensione, la posizione di chi temeva che l’URSS avesse effettuato un salto di qualità nel tentativo di influenzare la politica italiana e i suoi orientamenti internazionali trovava una giustificazione proprio nella mossa sovietica. Non ultima, infine, la preoccupazione che l’invito a Gronchi fosse arrivato in un momento delicato per la politica italiana e per la situazione internazionale. Il governo italiano era stato colto di sorpresa dall’invito ed era assai dubbioso circa la genesi e le conseguenze dell’iniziativa.

Da un punto di vista di politica interna l’invito arrivò alla vigilia di importanti congressi dei partiti, primo fa tutti il VII della DC a Firenze (23-28 ottobre), oltre a quello del PRI (dal 20 al 23 novembre), al XII del PSDI (dal 26 al 29 novembre) e al IX del PCI (fine gennaio 1960). Nel maggio del 1960 si sarebbero svolte le elezioni amministrative e, quindi, una tale apertura di credito all’Unione Sovietica avrebbe potuto comprometterne il risultato a vantaggio del PCI. L’incertezza del governo Segni, inoltre, era motivata dal timore che un allentamento delle posizioni verso l’URSS avrebbe rafforzato i partiti e le correnti della DC che sostenevano la necessità dell’apertura a sinistra. Timori espressi da Segni nel corso dei colloqui che il presidente del Consiglio ebbe nel settembre del 1959 a Washington, a due giorni dalla conclusione della visita di Chruščëv. In questa occasione era emersa la preoccupazione che un’accelerazione del

processo di distensione, con il legittimare l’Unione Sovietica nel ruolo di interlocutore degli Stati Uniti, finisse per destabilizzare il quadro politico italiano conferendo un crisma di rispettabilità anche alle forze politiche della sinistra218. In America Segni aveva ribadito la valenza dell’interscambio economico con l’URSS di tanti paesi occidentali, ma aveva aggiunto di ritenere che la linea della fermezza nei negoziati fosse una garanzia di fronte al rischio che l’URSS tentasse “l’avventura”219.

Per ciò che concerneva la politica estera l’invito di Gronchi a Mosca suscitò apprensione nella maggior parte delle cancellerie occidentali. Gli alleati, infatti, esprimevano perplessità sia per il messaggio che Gronchi avrebbe portato in URSS, sia per l’eventuale visita di restituzione da parte di Chruščëv in Italia. Negli ambienti NATO era chiaro che il governo Segni-Pella volesse rivendicare per l’Italia un maggior peso nelle scelte del blocco occidentale, ma una visita di Gronchi a Mosca avrebbe potuto riservare delle sorprese. Il Dipartimento di Stato seguì i preparativi del viaggio giudicando le azioni di Gronchi ambigue e sotto certi aspetti “enigmatiche”. Londra, così come Washington, si preoccupò soprattutto per il delicato problema della visita di restituzione. La diplomazia francese era inquieta. La Santa Sede, attraverso le parole del cardinal Tardini, aveva manifestato tutta “l’impressione penosa” che l’ipotesi del viaggio aveva provocato negli ambienti d’Oltretevere220.

Considerate le diverse implicazioni di politica interna ed estera, il 7 novembre il Consiglio dei Ministri, dopo un lungo e animato dibattito, sancì ufficialmente l’accettazione dell’invito di Gronchi in URSS, precisando al contempo che la visita non avrebbe messo in discussione gli orientamenti atlantici dell’Italia221. Alla relazione di Pella, che sosteneva che l’invito doveva essere accolto, seguirono gli interventi degli altri ministri, le cui posizioni esprimevano le varie anime all’interno della coalizione di governo. Se da una parte c’era chi, come Togni, Bettiol, dissentiva di principio con l’ipotesi del viaggio, di cui si sarebbero avvantaggiati solo Mosca e il PCI, dall’altra c’erano ministri, quali Angelini e Jervolino che, pur ammettendo la delicatezza di un’eventuale visita, ne valutavano l’utilità. Infine vi era un terzo gruppo di ministri, quali Colombo e Pastore, che vedevano il viaggio necessario e non contemplavano la necessità di drammatizzare in modo eccessivo222. Il Consiglio dei Ministri stabilì alla fine che Gronchi

218 Cfr. L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 279.

219 Cfr. E. Martelli, L’inserimento dell’Italia nel processo di distensione Est-Ovest: la visita di Gronchi a Mosca, cit.,

p. 17.

220 Cfr. B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., p. 167 e ss.

221 Cfr. Resoconto relativo alla seduta del Consiglio dei Ministri del 7/11/1959 in merito al viaggio a Mosca del Sig.

Presidente della Repubblica, in ASILS, Fondo Gronchi, sc. 70, fasc. 533 “Viaggio a Mosca”.

222 Il resoconto del Consiglio dei ministri è riportato in modo dettagliato da Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., pp.

sarebbe andato in Unione Sovietica nella prima decade del gennaio 1960. Si trattava ora di definire le modalità, gli argomenti dei colloqui e il programma degli incontri223.

Segni e Pella, “travolti” dall’iniziativa di Mosca, tentarono almeno di servirsene per accrescere il prestigio dell’Italia agli occhi degli alleati. Era intenzione di Segni sfruttare tale visita per contribuire alla definizione di una posizione occidentale univoca nei confronti dei sovietici in previsione della Conferenza al vertice fissata per il maggio seguente. In breve, invece, fu chiaro che l’imminenza della visita di Gronchi a Mosca non aveva modificato, come avevano sperato i dirigenti, lo status dell’Italia nell’Alleanza atlantica. Nella conferenza di preparazione al vertice con Chruščëv, che ebbe luogo dal 19 al 21 dicembre, infatti, oltre alle tre potenze ex- occupanti fu invitata la sola Repubblica Federale Tedesca224.

Da parte sovietica, sebbene non si ignorasse la reazione internazionale che l’invito di Gronchi aveva scatenato, si cercò di eliminare ogni ostacolo che avrebbe potuto frapporsi. A tal fine, nei dei due mesi precedenti al viaggio, fu avviata una efficiente organizzazione per definirne i particolari. Da parte italiana, nel corso dei preparativi, fu sempre ribadito ai sovietici il significato politico della visita225. La Pira arrivò addirittura a rassicurarli che la nomina stessa di Pietromarchi all’ambasciata d’Italia a Mosca era stata voluta proprio per preparare il terreno.226. Il PCI aveva dato a Gronchi il pieno appoggio ad un gesto che avrebbe contribuito alla distensione internazionale. Negli ambienti del ministero degli Esteri dell’URSS non si nascondevano le aspettative, anche perché al Cremlino si era sicuri che il viaggio di Gronchi avrebbe aperto buone prospettive di sviluppo dei rapporti bilaterali sia politici che commerciali.

Scopo della visita di Gronchi, secondo i sovietici, doveva essere prima di tutto una consultazione dalla quale emergessero le reciproche posizioni e, in secondo luogo, un’occasione per chiarire alcuni aspetti dei rapporti bilaterali italo-sovietici. Quel che Chruščëv si attendeva dai colloqui era un’attiva partecipazione dell’Italia alla politica di distensione. Mosca, infatti, guardava con interesse al modo con cui in Italia l’opinione pubblica seguiva gli avvenimenti di politica internazionale e, al contempo, osservava con attenzione i tentativi italiani di inserirsi più attivamente nelle consultazioni ad alto livello227.

223 Cfr. Risoluzione 252/X del 10/12/1959 del Presidium del Comitato centrale del PCUS su “Eventi legati alla visita

del presidente d’Italia Gronchi”, rigorosamente segreto, in RGANI, F. 3, op. 14, d. 338, ll. 4-7.

224 Durante l’incontro, avvenuto a Parigi, si decise di convocare il vertice con Chruščëv per il 16 aprile 1960.

225 Si veda, ad esempio, il resoconto del colloquio tra l’ambasciatore Straneo e il ministro degli Esteri Gromyko,

17/11/1959, in AVP RF, F. 98, op. 42, d. 2, l. 78, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v

Evrope, cit., p. 649. Straneo era stato mandato a Mosca per aiutare l’ambasciatore Pietromarchi a preparare la visita. 226 Cfr. AVP RF, F. 98, op. 42, d. 5, ll. 119-121, 124, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 649.

227 Cfr. Appunto del 29/12/1959 sul Rapporto di Pietromarchi al MAE (telespresso 4259/2077 del 9/12/1959) in

Bagnato ha messo in piena luce la preparazione diplomatica del viaggio anche grazie alla disponibilità di fonti documentarie di primaria importanza come il fondo Gronchi e i diari dell’ambasciatore Pietromarchi228. L’accesso alla documentazione sovietica ci permette, in questa sede, di chiarire su come Mosca si fosse preparata alla visita e di quali temi intendesse di discutere.

In un rapporto stilato dal Dipartimento per le informazioni di politica estera del ministero degli Esteri dell’URSS la diplomazia sovietica aveva analizzato la posizione dell’Italia nelle principali questioni internazionali dell’epoca229. Da tale documento, premesso che “l’Italia appart[eneva] al gruppo di paesi capitalistici i cui governi [avevano] particolarmente legato la propria politica estera con la ripresa della guerra fredda”, emergeva che in vari ambienti, compresi alcuni settori della DC, ci fosse uno scontento generale per l’orientamento della politica estera, sempre messo a tacere e mai ad un livello tale da generare scontri di partito. Secondo Mosca le posizioni italiane erano le seguenti:

Coesistenza pacifica degli stati e distensione internazionale: il Cremlino reputava che nel corso degli ultimi anni l’Italia avesse operato per non facilitare la distensione. La posizione non era solo motivata dalla fedeltà ai principi atlantici, ma anche dal timore che la distensione, e il conseguente miglioramento dei rapporti italo-sovietici, avrebbe favorito il PCI e minato le posizioni della DC. Le posizioni di Gronchi, a giudicare da quanto emerso dai colloqui con i diplomatici sovietici, non si distanziavano in toto dalla “dura” linea del governo italiano.

Disarmo e divieto degli esperimenti atomici: L’Italia nel dopoguerra non aveva mai preso una iniziativa propria su questi temi e si era limitata ad appoggiare le proposte delle principali potenze occidentali. Premessa del disarmo, secondo Roma, era la soluzione dei problemi politici.

Sicurezza europea: negli ultimi anni l’Italia si era opposta a tutte le proposte volte alla garanzia della sicurezza in Europa avanzate dai sovietici o dagli stati socialisti (sistema di sicurezza collettiva, Patto di non aggressione tra NATO e paesi del Patto di Varsavia, accordo bilaterale di amicizia e non aggressione, piano Rapacki, zone denuclearizzate nel Mediterraneo e nei Balcani, ecc.).

Accordo di pace con la Germania: Nell’ultimo anno il governo italiano aveva evitato dichiarazioni pubbliche su tale questione ma era evidente che il governo Segni condividesse in pieno la linea del cancelliere Adenuaer. Gli italiani avevano appoggiato la proposta inglese,

228 Cfr. B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit.,pp. 190 e ss.

229 Cfr. Rapporto del Dipartimento per le informazioni di politica estera del ministero degli Esteri dell’URSS su

“Posizione del governo italiano nelle principali questioni internazionali”, segreto, 31/12/1959, in GARF, F. 9318, op. 1, d. 214, ll. 27-34.

inaccettabile per l’URSS, di creare dei comitati per le questioni economiche, culturali e di altro tipo formati dai rappresentanti dei governi della RDT e della RFT. Secondo le informazioni raccolte, a Mosca risultava che nell’ultima conferenza di Ginevra (luglio 1959) il governo italiano avesse presentato alle altre potenze un “documento di lavoro” nel quale si chiamavano gli alleati a mantenere una posizione ferma nei colloqui con i sovietici e a non acconsentire al ritiro delle truppe da Berlino Ovest. L’analisi sottolineava che Gronchi, soprattutto in passato, aveva sposato una linea che si differenziava decisamente da quella del governo italiano230. Il presidente, infatti, aveva proposto una suggerito “per tappe” della unificazione tedesca231 ed inoltre aveva affermato che bisognasse prevedere uno status di neutralità del nuovo stato, federativo o confederativo, in modo da consentire un diverso ordinamento statale nelle due parti per un certo periodo. In tempi più recenti, però, la posizione era stata definita solo una “ipotesi personale” e non una proposta concreta. Secondo Mosca, alla vigilia del viaggio, Gronchi era del parere che non occorresse attribuire alla questione di Berlino un’eccessiva importanza e che tale problema non dovesse costituire un ostacolo per la distensione internazionale.

Aiuto ai paesi sottosviluppati: La posizione italiana su questo tema si caratterizzava, soprattutto, per il tentativo degli ambienti dirigenti di consolidare in questi stati il proprio ruolo. Tale approccio si fondava sulla convinzione che l’aiuto ai paesi sottosviluppati avrebbe anche rafforzato la loro tendenza a favore del blocco occidentale232.

Un fonte importante sono i materiali preparatori ai colloqui con il presidente italiano Gronchi e con il ministro Pella che il ministero degli Esteri sovietico aveva redatto nei mesi precedenti alla visita233. Da questi documenti si evince quali fossero gli argomenti di interesse di Mosca e quali, invece, sarebbero stati messi in secondo piano.

Con la visita di Gronchi, il Cremlino intendeva precisare, prima di tutto, che della distensione internazionale avviata con l’incontro tra Eisenhower e Chruščëv avevano beneficiato anche i rapporti italo-sovietici. Da parte sovietica, infatti, si rilevava la tendenza ascendente degli scambi economici, culturali e politici tra i due paesi. Il Cremlino aveva apprezzato le

230 Durante la conversazione con l’ambasciatore sovietico del 25 gennaio 1956.

231 Le tre tappe erano: 1) parziale disarmo internazionale e limitazione degli armamenti; 2) firma dell’accordo

internazionale sulla sicurezza collettiva in Europa; 3) soluzione della questione dell’unificazione tedesca attraverso elezioni pan-germaniche.

232 Cfr. Rapporto del Dipartimento per le informazioni di politica estera del ministero degli Esteri dell’URSS su

“Posizione del governo italiano nelle principali questioni internazionali”, segreto, 31/12/1959, in GARF, F. 9318, op. 1, d. 214, ll. 27-34.

233 Cfr. Materiali preparatori ai colloqui con il presidente d’Italia Gronchi e il ministro degli Affari Esteri Pella,

rigorosamente segreto, in RGANI, F. 3, op. 14, d. 344, ll. 38-48. Il documento fu approvato dal Presidium del Comitato centrale del PCUS il 30/12/1959, cfr. Risoluzione 257/XI del 30/12/1959 del Presidium del Comitato centrale del PCUS su “Questioni legate alla permanenza in URSS del presidente d’Italia Gronchi”, segreto, in RGANI, F. 3, op. 14, d. 344, l. 6 e F.3, op. 12, d. 622, l. 125.

dichiarazioni di Gronchi circa lo scopo distensivo che la visita avrebbe rivestito, e pertanto Mosca voleva ribadire che tra l’URSS e l’Italia non c’erano “contraddizioni insanabili” tali da ostacolare l’evoluzione delle relazioni su larga scala. A Mosca, insomma, si era convinti che, nonostante i diversi sistemi dei due paesi, i rapporti italo-sovietici, se fondati sulla base dei principi di coesistenza pacifica, avrebbero avuto risvolti positivi.

La dirigenza del Cremlino nel corso dei colloqui aveva intenzione di rilanciare la proposta sovietica, avanzata già nel maggio del 1958, di un Patto di amicizia e non aggressione con l’Italia. L’URSS guardava ancora a tale accordo come eventuale contributo allo sviluppo dei rapporti bilaterali e, poiché il governo italiano non aveva risposto in modo definitivo alla proposta, era interessata a conoscerne il parere. In base alla reazione della controparte italiana, si sarebbe potuto proporre di concludere un accordo su fondamenti più larghi, sulla base dei principi del Patto di amicizia e collaborazione tra i paesi europei indicato dall’Unione Sovietica il 15 luglio 1958. Scopo della riproposizione dei due accordi sarebbe stato premere sul governo Segni che, in più occasioni li aveva rifiutati insieme a qualsiasi altra forma di intesa per garantire la sicurezza collettiva in Europa. A Mosca non ci si illudeva che la posizione italiana fosse cambiata, ma vista l’importanza della questione si era reputato indispensabile sollevarla di nuovo. L’idea alla base della politica estera di Chruščëv, infatti, era di rendere il più remoto possibile il pericolo di una guerra e di allentare la tensione internazionale, anche per ridurre le spese militari ed avere così a disposizione maggiori risorse per le trasformazioni interne234. Assicurare la pace in Europa, mediante accordi con le principali potenze, avrebbe facilitato il raggiungimento dell’obiettivo.

Un accento particolare durante i colloqui, secondo Mosca, doveva essere messo sullo sviluppo delle relazioni economiche bilaterali. Gli scambi commerciali infatti si erano notevolmente incrementati grazie all’attitudine con cui in URSS si apprezzavano i successi raggiunti in Italia, soprattutto nel campo della chimica e dell’industria meccanica. Poiché nel nostro paese le merci sovietiche riscuotevano un discreto consenso, l’URSS avrebbe potuto esportarvi non solo materie prime, ma anche manufatti. Sulla base di accordi reciprocamente vantaggiosi e tecnicamente sostenibili, si sarebbe intensificato l’export di petrolio, di prodotti petroliferi, di legname e altri merci, a condizione di pagamenti dilazionati nel tempo. I sovietici valutavano anche di proporre a Gronchi la firma di un secondo accordo commerciale quadriennale o quinquennale senza attendere la fine di quello già in corso per gli anni 1958-1961.

234 Cfr. A. Graziosi, L’Urss dal trionfo al degrado. Storia dell’Unione Sovietica 1945-1991, Bologna, il Mulino,

Un altro tema da affrontare con Gronchi era la soluzione della questione delle riparazioni, in modo da eliminare tale ostacolo dai rapporti bilaterali235. In Italia si sperava che il tema non sarebbe stato sollevato dai sovietici, così come era accaduto durante i colloqui con Del Bo236. La questione delle riparazioni implicava delle complicazioni di politica interna che, nell’attuale situazione, avrebbero compromesso la tenuta del governo. Pietromarchi aveva informato Mosca che a Roma la questione si considerava risolta, perché l’URSS aveva già avuto come compenso una serie di edifici italiani in Ungheria, Bulgaria e Romania237. Per i sovietici, invece, il problema non era ancora chiuso, e andava risolto sia per una questione di principio, sia per le conseguenze pratiche che avrebbe comportato. In un appunto del sottosegretario per gli Affari Esteri Folchi a Gronchi, egli segnalava al presidente, in via confidenziale, che l’ambasciatore sovietico Kozyrev aveva accennato proprio a questo tema, sottolineando che la sua soluzione avrebbe sancito un ulteriore successo del viaggio238.

Se per ciò che concerneva i rapporti bilaterali il Cremlino attendeva i colloqui con Gronchi e Pella con un certo ottimismo, non registrava la stessa attitudine per i colloqui su argomenti di politica estera, nella convinzione che i rappresentanti italiani avrebbero sollevato i temi generali della situazione internazionale, evitando l’analisi delle questioni concrete, come la distensione globale e i passi effettivi da intraprendere. I sovietici volevano far emergere con chiarezza il punto di vista del governo italiano, con lo scopo di valutarne le eventuali misure. L’URSS riconosceva il necessario ruolo dell’Italia nello sviluppo della situazione internazionale e comprendeva che, in quanto paese europeo, avesse determinati interessi nel continente. Tuttavia - era opinione dei sovietici - non si poteva non prendere atto che la partecipazione italiana a raggruppamenti militari, economici e politici (NATO, Patto europeo occidentale, Mercato Comune) fosse in palese contraddizione con le aspettative della cooperazione internazionale e andasse in direzione contraria rispetto alle esigenze fondamentali per la pace in Europa. Mosca riteneva opportuno anche ricordare a Gronchi che egli stesso, nel 1949, quando ricopriva la carica di presidente della Camera dei deputati, aveva manifestato qualche riserva circa l’ingresso dell’Italia nella NATO. Al Cremlino, insomma, si desiderava riproporre il principio che il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale sarebbe dipeso proprio dalla sua partecipazione attiva alla distensione internazionale, e non dal suo “appiattimento” sulle posizioni degli Stati Uniti.

235 Cfr. Materiali preparatori ai colloqui con il presidente d’Italia Gronchi e il ministro degli Affari Esteri Pella,

rigorosamente segreto, in RGANI, F. 3, op. 14, d. 344, ll. 38-48.

236 Cfr. Appunto del 29/12/1959 sul Rapporto di Pietromarchi al MAE (telespresso 4259/2077 del 9/12/1959) in

ASILS, Fondo Gronchi, sc. 70, fasc. 533 “Viaggio a Mosca”.