D AL GOVERNO T AMBRONI ALLA CRISI DI C UBA
2.7 Il XXII Congresso del PCUS e il PC
I lavori del XXII Congresso del PCUS (17-31 ottobre 1961) suscitarono grande interesse in Italia. L’importante appuntamento del principale partito comunista del mondo si svolse mentre andavano evolvendosi gli eventi internazionali relativi alla crisi di Berlino. Per questo, il fatto che gli esiti congressuali avevano ribadito che l’URSS avrebbe ricercato i canali per favorire la distensione fu accolto con sentimenti di attesa. Chruščëv nel suo intervento dedicato alla situazione internazionale aveva detto:
“La vita ha dimostrato che il principio della coesistenza pacifica fra Stati con differente sistema sociale, concepito dal grande Lenin, è la via per salvaguardare la pace e scongiurare una guerra di sterminio universale. Noi abbiamo fatto e faremo quanto dipende da noi perché la coesistenza pacifica e la competizione economica pacifica trionfino in tutto il mondo”532.
Alla luce della situazione di tensione di quei mesi tali parole suscitavano un cauto ottimismo. I ripetuti attacchi al culto della personalità di Stalin e la conferma delle decisioni del XX Congresso, uniti ad alcuni gesti significativi, ad esempio la rimozione della salma del dittatore sovietico dal mausoleo della Piazza Rossa, furono recepiti in Italia come elementi di
532 Cfr. Relazione del primo segretario del CC, compagno N.S. Khrustciov, al XXII Congresso del Partito Comunista
dell’Unione Sovietica, 17/101961, in Bollettino d’informazioni dell’ufficio stampa dell’ambasciata dell’URSS in Italia, 25/10/1961, n. 29.
novità. Con ottimismo fu accolta la dichiarazione di Chruščëv di non fissare una data per la firma del Trattato di pace con la RDT, mentre il meccanismo di riforme avviato dal Congresso risultava poco comprensibile agli osservatori occidentali. L’idea diffusa era che nella stessa Unione Sovietica non fosse chiaro quali cambiamenti avrebbe avviato il Congresso. “Dietro la facciata succedono più cose che non immaginassimo e la condanna dei miti e il riesame di tutti i dogmi comunisti suscitano in molti disorientamento e avversione” - scriveva Arrigo Levi dalle colonne del “Corriere della Sera”533.
Dall’ambasciata italiana a Mosca Straneo, in un rapporto riservato per Segni, comunicava al ministro lo stupore con cui gli osservatori diplomatici avevano valutato le risoluzioni del Congresso. Se infatti i lavori si erano chiusi con una mozione finale in cui veniva ribadita la denuncia all’opera di Stalin e dei membri del gruppo antipartito, non si faceva però nessun riferimento ai crimini da loro commessi, né si chiedeva la loro espulsione, né altra sanzione. Si trattava, secondo il diplomatico italiano, di un passo indietro, e assai sorprendente, dopo le gravi accuse rinnovate agli antipartito. “Qual’è l’interpretazione da darsi a questi illogici avvenimenti? – concludeva Straneo - Si tratta di una esitazione, di una generosità e di un timore di Krusciov? Le confesso, Signor Ministro, che siamo in molti a porci queste domande senza sapere dare ad esse una risposta precisa”534.
La dura condanna dello stalinismo scagliata durante il XXII Congresso fu recepita dal partito socialista come la conferma della linea scelta nel ’56, quando il PSI si era allontanato dal PCI, e dall’influenza sovietica, dopo i fatti d’Ungheria. Nenni il 1° novembre, alla conclusione dei lavori congressuali, annotava sui suoi diari:
“Si è concluso a Mosca il ventiduesimo Congresso del PCUS che si era aperto il 17 ottobre. Doveva essere il Congresso del piano ventennale per il passaggio del socialismo al comunismo. Tutto questo è però rimasto in ombra di fronte a due fatti imprevisti: la ripresa massiccia e si potrebbe dire spietata della demolizione dell’epoca staliniana […] e l’attacco di Kruscev all’Albania che è attacco alla Cina. […] Perché tanto furore? […] La risposta verrà dai fatti. Quel che mi pare evidente è che l’antistalinismo non può fermarsi alla demolizione del culto del dittatore, ma deve allargarsi al ripudio della dittatura come sistema permanente di potere”535.
533 Cfr. A. Levi, La lenta destalinizzazione suscita polemiche e resistenze, in “Corriere della Sera”, 19/1/1962. Sulle
pagine dello stesso giornale, il 28/1/1962, era apparso anche un altro articolo dall’eloquente titolo Kruscev cerca di
controllare il marasma che ha suscitato.
534 Cfr. Telespresso riservato n. 168 del 12/1/1962 da Carlo Alberto Straneo a ministro degli Esteri Segni, , in ASILS,
Fondo Giovanni Gronchi, Sc. 48, fasc. 289 “Telegrammi e telespressi inviati al Ministero degli Affari Esteri (gennaio 1962)”
Il Congresso ebbe un impatto molto forte sulla vita interna del partito comunista italiano e sulle sue relazioni con il PCUS. Nella storia del PCUS, come ha notato Renzo Martinelli, rappresentò uno snodo importante, soprattutto in riferimento alla lotta interna condotta dal leader sovietico contro l’ala conservatrice, conclusasi nel 1964 con l’estromissione dello stesso Chruščëv536.
Per come l’assise del partito si era andata delineando nei mesi precedenti al suo inizio, nulla aveva fatto presagire che al XXII Congresso si sarebbe assistito a svolte clamorose e a polemiche particolari. Ci si aspettava, semmai, un incontro di stampo trionfalista, per celebrare i successi del socialismo e i passi avanti compiuti dall’Unione Sovietica. Ma il 17 ottobre, all’apertura, Chruščëv si schierò contro gli oppositori interni, il “gruppo antipartito”, e ribadì la denuncia dello stalinismo enunciata al XX Congresso. Reazione immediata alle affermazioni del segretario del PCUS fu l’abbandono della sala da parte della delegazione cinese, che accentuò ancor di più il contrasto tra il PCC e l’URSS. Il rilancio del tema della destalinizzazione diede avvio, anche nel PCI, ad una vivace discussione. A differenza del ‘56, quando Togliatti era tornato da Mosca dal XX Congresso per comunicare ai membri del Comitato centrale ignari di quanto era accaduto i contenuti del “rapporto segreto”, ora il gruppo dirigente del PCI era pienamente informato sugli avvenimenti. E su richiesta di alcuni dirigenti, che chiedevano al più presto un confronto franco, il 10-11 novembre fu convocato il Comitato centrale.
L’eco del XXII Congresso aveva riacuito i contrasti che si erano attenuati all’interno del PCI, dopo il ’56, in nome di una fedeltà incontestata all’esperienza sovietica. All’apertura del Comitato centrale Togliatti volle seguire la stessa linea utilizzata nel ’56 per sdrammatizzare gli eventi, leggendo un ampio rapporto sul XXII Congresso, in cui si soffermò soprattutto su come a Mosca si era affrontato il passaggio dal socialismo al comunismo. Circa “le rinnovate aspre denunce di atti d’arbitrio e illegalità e delitti commessi da Stalin sotto la su direzione” il segretario del PCI sostenne che era la parte della relazione di Chruščëv su cui più di tutti si erano “gettati a corpo morto i soliti specialisti dell’agitazione anticomunista”, senza dare un’esauriente spiegazione del significato politico di tali parole. Anzi, a chi avesse domandato quale bisogno ci fosse stato di accusare nuovamente i vecchi collaboratori di Stalin, Togliatti riteneva che non fosse facile “dare una risposta esauriente”, non essendo il PCI “a conoscenza di tutta la vita interna del partito sovietico e degli organi di direzione”537.
536 Cfr. Introduzione di Renzo Martinelli, al volume Il PCI e lo stalinismo. Un dibattito del 1961, a cura di M.L.
Righi, Roma, Editori Riuniti, 2007.
537 Cfr. Relazione introduttiva di Palmiro Togliatti alla sessione del Comitato centrale del PCI del 10 novembre 1961, Ivi, pp. 5-38.
La relazione di Togliatti fu accolta con insolito spirito critico dai vari partecipanti. Il discorso del segretario del PCI, secondo molti, aveva dato poco spazio ai problemi dei rapporti all’interno del movimento operaio internazionale (contrasto tra PCUS, partito comunista cinese e partito comunista albanese) e alle nuove denunce di Chruščëv relative all’azione di Stalin. L’intervento di Amendola, in particolare, sollevava la necessità di introdurre nel PCI forme di democrazia interna in grado di superare la fittizia tradizionale unanimità al suo interno. Con fermezza l’esponente comunista aveva detto:
“In realtà, l’unanimità non esiste. Abbiamo il diritto di domandarci se questa unanimità ci sia oggi. Ritengo che questa unanimità non ci sia oggi, perché è venuto un attacco talmente duro che denunzia il persistere di certe resistenze. Bisogna sbarazzarsi di questa finzione dell’unanimità che ostacola lo sviluppo della democrazia, la circolazione delle idee, la vivacità del dibattito. La democrazia esige discussioni chiare, responsabili, coraggiose, con la necessaria differenziazione attorno ai problemi essenziali, differenziazione che può assumere anche la formazione di maggioranza e minoranza. […] L’unanimità è una formula staliniana”538.
I temi affrontati nel corso del dibattito, dai problemi interni della vita del partito a quelli nel movimento operaio internazionale, facevano emergere un diffuso grado di insoddisfazione, e nel dibattito si percepiva l’esigenza che il PCI si liberasse da molti impacci ideologici, per riappropriarsi della propria tradizione, e collocarsi in modo adeguato negli scenari della vita politica italiana orientata verso l’esperimento del centro-sinistra.
Nelle conclusioni, che non furono pubblicate su “l’Unità” per i toni particolarmente accesi e perché erano in contrasto con la maggior parte delle posizioni espresse durante il dibattito, il segretario del PCI respinse il significato generale della discussione, soprattutto perché, a suo avviso, il dibattito era stato preparato male, senza una riunione orientativa della Direzione. Il nodo principale del problema, spiegò, era che il dibattito era stato affrontato con un approccio da “anno zero”, senza tenere conto della storia del partito e delle realtà concrete con cui esso si scontrava nella difficile situazione di ogni stato. Togliatti rifiutò le posizioni di Amendola circa i legami tra i vari partiti comunisti, e si appellò a quel “legame profondissimo”, a quel “legame di omogeneità” con la società sovietica e con il partito che la dirigeva, che, pur tra errori e difficoltà, aveva sempre orientato l’Internazionale comunista e il PCI. Nel suo discorso egli espresse un’impostazione radicalmente diversa del concetto di autonomia del PCI. Mentre Amendola chiedeva che tra i vari partiti comunisti ci fosse una discussione libera, aperta, e tutti potessero discutere degli altri partiti su un piede di parità, Togliatti concepiva l’autonomia come la
538 Cfr. intervento di Giorgio Amendola alla sessione del Comitato centrale del PCI del 10 novembre 1961, Ivi, pp.
possibilità di ogni singolo partito di gestire la propria politica interna senza sottoporla all’analisi e alla discussione degli altri. Come ha osservato Martinelli, questa era una posizione assai diplomatica, ma anche realistica, alla quale Amendola – come tutto il PCI – avrebbe aderito negli anni successivi, rinunciando di fatto all’elemento più nuovo e significativo del suo intervento539.
Lo stesso clima si registrò nella Direzione del partito del 17-18 novembre, dove Togliatti continuò a argomentare le sue posizioni in modo difensivo, incontrando la critica più o meno serrata dei vari esponenti comunisti, in particolare di Amendola540.
Nei giorni seguenti all’acceso Comitato centrale del 10-11 novembre una delegazione comunista, capeggiata da Luigi Longo, si recò in Unione Sovietica. A Mosca, tra i vari incontri, il vicesegretario del PCI ebbe un lungo colloquio con Kozlov, Suslov e Ponomarëv, sugli esiti dell’ultimo Comitato centrale del PCI, e sulla ricezione del XXII Congresso nel partito comunista italiano. Longo denunciò con fermezza le “posizioni settarie” di alcuni ambienti del partito, nelle cui sezioni ancora “si appendevano ritratti di Stalin”, e passò quindi ad enunciare le linee emerse al Comitato centrale. Riportando per sommi capi i vari interventi, Longo si soffermò soprattutto sulle critiche e sulle posizioni prese riguardo ai rapporti tra i partiti comunisti e l’unità del movimento operaio. Sebbene il politico italiano avesse evitato di “riportare” alcune delle affermazioni più “sovversive” dei comunisti italiani, non mancò di segnalare quanto era stato detto circa la necessità di porre fine alla “unità fittizia”541 nel partito, di maturare valutazioni autonome e personali, di rendere pubblici i dibattiti e gli eventuali dissensi.
La prima reazione dei sovietici fu di stupore, e di timore perchè il dibattito avrebbe potuto nuocere alle loro posizioni in Italia. Kozlov, infatti, chiese:
“Non c’è il rischio che il dibattito sugli esiti del XXII Congresso del PCUS si trasformi in una campagna antisovietica, visto che al Comitato centrale del PCI hanno avuto luogo una serie di interventi erronei, il cui contenuto è stato reso pubblico?”542.
A questa domanda preoccupata seguì una dura requisitoria dell’ideologo del PCUS, Suslov. L’altro funzionario sovietico disse che a Mosca avevano saputo molto poco degli esiti del Comitato centrale, ad eccezione della relazione introduttiva di Togliatti pubblicata su “l’Unità”. Il
539 Cfr. Introduzione di Renzo Martinelli, Ivi, pp. XVIII-XIX.
540 Cfr. Trascrizione della riunione della Direzione del PCI del 17-18 novembre 1961, Ivi, pp. 305-326
541 Longo disse ai sovietici che questa posizione era stata sostenuta da Alicata, mentre Amendola avrebbe, secondo il
resoconto del vicesegretario, nuovamente sollevato la tesi del policentrismo. Ciò non è esatto, poiché il tema della critica dell’unità all’interno del partito fu proprio sollevato da Amendola e poi ripreso da altri, tra i quali, in parte, Alicata.
542 Cfr. Resoconto della conversazione tra i membri del Presidium, i segretari del CC del PCUS compagni F.R.
Kozlov, M.A. Suslov, e il segretario del CC del PCUS, compagno V.N. Ponomarëv, con il vicesegretario generale del PCI, compagno Longo, 22/11/1961, in RGANI, F. 81, op. 1, d. 308, l. 21
contenuto delle discussioni aveva suscitato al Cremlino “stupore e apprensione”, poiché le critiche si erano trasformate in un’accusa diretta al PCUS. Ponomarëv fu ancora più chiaro: “Non è possibile ammettere che alcuni compagni italiani agiscano in questo modo”543. Anche perché ciò significava, secondo Suslov, che ci fossero dei cedimenti interni pericolosi:
“L’intervento di Amendola, ad esempio, in modo molto sospetto riecheggia gli articoli de ‘l’Avanti’. In esso e in altri interventi, evidentemente, si riflette lo scopo principale di entrare nelle grazie dei socialisti di destra. Una simile irresponsabilità può divenire il motivo di uno scisma all’interno del movimento comunista”544.
L’atteggiamento dei dirigenti sovietici fu fermissimo: non furono tralasciate “correzioni” alla relazione di Togliatti, soprattutto per ciò che aveva nuovamente sostenuto circa la “immaginaria degenerazione” comunista, (già sollevata durante la nota intervista a “Nuovi Argomenti” nel 1956)545, e per il giudizio negativo sul cambiamento del nome alla città di Stalingrado546. Suslov chiese nuovamente a Longo se ci fosse il rischio che alcuni compagni italiani, dopo essere intervenuti a sproposito al Comitato centrale, avessero fatto trapelare gli esiti della discussione o, ancor peggio, avessero sostenuto queste posizioni anche nei dibattiti pubblici547.
Il rischio, puntualizzò Longo, era già divenuto realtà, poiché la propaganda anticomunista aveva sfruttato quanto era emerso all’interno del PCI. Va notato infatti, che sin dai giorni precedenti al Domitato centrale, sulla stampa di partito erano apparsi articoli che lasciavano prevedere i successivi sviluppi. ”l’Unità” del 5 novembre, ad esempio, aveva ripubblicato una parte dell’intervista rilasciata da Togliatti a “Nuovi Argomenti” nel 1956; un editoriale di Giancarlo Pajetta, sullo stesso giornale del 3 novembre, aveva esposto la posizione del partito sul Congresso di Mosca, proponendo di accettare le risoluzioni non in maniera “dogmatica”, ma “invitando al dibattito e alla riflessione” per una ricerca ulteriore ed un più serio approfondimento548; Trombadori e Bufalini avevano addirittura organizzato una conferenza sulle
543 Ivi, l. 22. 544 Ibidem
545 Si veda l’intervista a Togliatti su “Nuovi Argomenti” del giugno 1956, che era stata duramente criticata da Mosca. 546 Al XXII Congresso del PCUS era stato sancito di cambiare il nome della città di Stalingrado come ulteriore
segnale di rimozione dell’eredità staliniana. Togliatti, nella relazione di introduzione al Comitato centrale del PCI di novembre, aveva affermato di essere personalmente perplesso rispetto a tale decisione, non per un riguardo nei confronti di Stalin, ma perché con quel nome milioni e milioni di persone nel mondo avevano indicato la famosa battaglia che aveva cambiato le sorti della Seconda guerra mondiale.
547 Cfr. Resoconto della conversazione tra i membri del Presidium, i segretari del CC del PCUS compagni F.R.
Kozlov, M.A. Suslov, e il segretario del CC del PCUS, compagno V.N. Ponomarëv, con il vicesegretario generale del PCI, compagno Longo, 22/11/1961, in RGANI, F. 81, op. 1, d. 308, ll. 10-30.
novità del XXII Congresso, di cui aveva riferito “L’Espresso”, alla quale avevano invitato alcuni intellettuali che avevano lasciato il PCI dopo i fatti d’Ungheria549.
Ponomarëv rispose a Longo che la cosa peggiore era che gli organi di stampa di partito avevano riportato queste affermazioni dei dirigenti comunisti senza aggiungere alcuna controargomentazione, avallandone, nei fatti, le posizioni. Kozlov, da parte sua, passò direttamente alle “intimidazioni”, avvertendo Longo di comunicare a Botteghe Oscure che se i compagni italiani “critici” avessero continuato in futuro ad intervenire in questo modo, il PCUS avrebbe proceduto ad agire contro di loro “in modo risoluto”550.
L’esito del colloquio tra la delegazione italiana del PCI e i dirigenti del partito comunista sovietico aveva riportato alla luce quei tratti discordanti nella linea dei due partiti che in determinati momenti apparivano più evidenti. Queste differenze, in realtà, rispecchiavano le diverse concezioni che si stavano sviluppando nel partito stesso e che avevano proprio come punto caratterizzante la diversa interpretazione del legame con Mosca e della funzione del partito.
Lo scollamento tra chi, come Togliatti, vedeva la funzione nazionale del PCI solo entro un movimento mondiale e chi invece la riteneva ormai come compito esclusivo, essendo esaurito l’impulso della rivoluzione bolscevica, metteva in pericolo l’unità del partito, almeno agli occhi dei veterani, e dei sovietici551. Tale discrepanza di approccio all’interno del PCI era da ascriversi sia a fattori di natura politico-organizzativa, sia ideologica. Da un punto di vista nazionale, la “democrazia” rivendicata da Amendola e dai suoi sostenitori sarebbe servita per esigenze politiche, in risposta a quelle sfide da fronteggiare nella transizione verso il centro-sinistra. In sostanza si trattava di dotare il partito di una fisionomia più “moderna”, capace di rispondere alla mutata situazione italiana. Non che Togliatti non si accorgesse dell’importanza delle questioni sollevate da Amendola e dai suoi sostenitori: già nell’aprile del 1962 egli parlò del centro-sinistra come parte della via italiana al socialismo e si preoccupò di non far isolare il PCI in una opposizione sterile. D’altra parte egli dubitava che la formula del centro-sinistra avesse la forza di trasformare la società italiana.
Senza attribuire al Comitato centrale del novembre ’61 un significato che probabilmente non ebbe, è lecito ipotizzare che il dibattito che vi ebbe luogo influenzò negli anni seguenti le dinamiche all’interno del partito, e il rapporto dialettico con il PCUS. Non fosse altro per il fatto che, per la prima volta, la relazione di Togliatti non era stata approvata all’unanimità. Spagnolo
549 Cfr. A. Gambino, I comunisti dopo il XXII Congresso. La parola a Togliatti, in “L’Espresso”, 12/11/1961. 550 Cfr. Resoconto della conversazione tra i membri del Presidium, i segretari del CC del PCUS compagni F.R.
Kozlov, M.A. Suslov, e il segretario del CC del PCUS, compagno V.N. Ponomarev, con il vicesegretario generale del PCI, compagno Longo, 22/11/1961, in RGANI, F. 81, op. 1, d. 308, l. 26.
sostiene che fu proprio questo il momento in cui, probabilmente, Togliatti iniziò quel percorso tormentato di autocritica all’URSS che si concluse con la redazione del Memoriale di Yalta552. Si trattava di un ulteriore passo in avanti nel percorso politico del PCI verso una qualche autonomia da Mosca, contrassegnata da alcune tappe, la Conferenza dei 64 partiti comunisti, del novembre 1957553, e quella degli 81, nel settembre del 1960554.
La dimostrazione di questo rapporto “difficile” tra i due partiti si ebbe anche nel corso della visita del Comitato interparlamentare sovietico-italiano in Italia, nel novembre del 1961. A causa della tensione internazionale generata dalla crisi di Berlino, e dall’annuncio fatto da Mosca che l’URSS avrebbe ripreso gli esperimenti atomici, la delegazione trovò nella penisola un diffuso sentimento antisovietico ed anticomunista. Se ciò era da imputarsi, secondo il Cremlino, alla campagna avviata dai “circoli della destra” per boicottare il viaggio, allo stesso tempo non si poteva non notare che anche il PCI non si era prodigato in modo particolare per la buona riuscita