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La questione dei missili Jupiter

Per dimostrare l’assoluta fedeltà agli Stati Uniti, cosa di cui non dubitavano gli americani, il nuovo governo Segni concluse a poche settimane dalla sua formazione le trattative per lo schieramento dei missili Jupiter in Italia (26 marzo 1959)134. La decisione, peraltro, avrebbe potuto costituire una moneta di scambio per rivendicare la partecipazione del governo italiano alle future conferenze internazionali, in particolare a quelle per stabilire il futuro della

133 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 42, d. 4, ll. 20-22, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 615.

Germania135, e per uscire da un ruolo troppo marginale nelle decisioni della NATO. In una nota sovietica stilata nel dicembre 1959 sul ruolo dell’Italia nella NATO, infatti, si precisava che, nonostante nel decennio 1949-1958 le spese militari italiane fossero salite da 301 miliardi a 589 miliardi, con un crescita pressoché del doppio, il suo peso nelle decisioni dell’Alleanza era ancora marginale. Per ovviare alla situazione, dunque, il governo Segni aveva adottato numerose misure filo-atlantiche136.

Sebbene fosse stato Fanfani ad avviare i preliminari dell’accordo sui missili, durante il viaggio negli Stati Uniti del luglio 1958, la scelta di perfezionarlo fu fatta da Segni con una estrema rapidità. La stampa sovietica commentò la firma dell’accordo con durezza137. La mossa

di Segni suscitò molte reazioni all’interno nel paese, anche in settori della Democrazia cristiana138. Il dibattito in parlamento fu vivace e trovò concordi i deputati comunisti e socialisti139, seppure con numerosi distinguo, nello stigmatizzare l’accordo che portava l’Italia ad abdicare alla sovranità nazionale e a esporsi al rischio di distruzione atomica140. Nenni affermò alla Commissione esteri, che la politica estera del governo era innaturale ed anacronistica, poiché la situazione del mondo era in completa trasformazione. Il PSI, quindi, continuava a sostenere il criterio della “non automaticità degli impegni” in sede atlantica, quantunque essi andassero contro gli interessi del paese. Le scelte di Pella, era ovvio, miravano ad influenzare la politica interna della penisola. “Se le preoccupazioni del Governo italiano in relazione alla difesa fossero state effettive e non semplicemente temi di politica interna, il Governo poteva condizionare l’accettazione dei missili alla verifica che, in effetti, rampe di missili fossero state installate in

135 Cfr. MAE , segr. pol. n. 294, segreto, Resoconto sommario dei colloqui avuti a Londra da S.E. il Ministro Pella

con il Primo Ministro britannico MacMillan e con il Ministro degli Affari Esteri Selwyn Lloyd 16 -17 marzo 1959, in ACS, Fondo P.C.M. – Ufficio del Consigliere Diplomatico, busta 48, fasc. “Incontri internazionali durante il governo Segni 1959-1960”.

136 Cfr. Informativa segreta della Direzione delle informazioni di politica estera del ministero degli Esteri dell’URSS

del 31/12/1959 su “Ruolo dell’Italia nella NATO, nell’Unione Europea Occidentale, nel ‘Mercato Comune’ e in altri raggruppamenti chiusi”, in Gosudarstvennij Archiv Rossijskoj Federacij (in seguito GARF), F. 9318, op. 1, d. 214, ll. 22-26.

137 Si veda, ad esempio, l’articolo di V. Gladil’ščikov, Opasnyj šag [Un passo pericoloso], in “Izvestija” 2/4/1959. 138 Il 4 aprile del 1959 La Pira scrisse a Gronchi: “Caro Presidente, perdonami: ma questa attuale politica estera (ed

interna!) italiana mi dà immense preoccupazioni: mi pare superficiale, retorica, pericolosa: mette elementi di grave inquietudine nell’equilibrio già tanto faticoso delle nazioni! Era proprio necessaria questa urgenza nel decidere circa i missili? Proprio mentre si cercano elementi nuovi di distensione e di pace! […] Mi pare che la situazione è così grave da esigere una meditazione seria ed una seria azione di recupero o, almeno, di freno”, in ASILS, Fondo Giovanni Gronchi, Sc. 18, Fasc. 89 “Autografi La Pira”.

139 La stampa sovietica aveva sempre dato una certa importanza alla posizione del PSI contro le basi missilistiche in

Italia. Si guardi, ad esempio, la “Pravda” del 5/5/1958, con un articolo dal titolo “Ital’janskaja socialističeskaja

partija – protiv sozdanija raketnych baz” [Il Partito Socialista Italiano è contro la creazione delle basi missilistiche]. 140 Vivace polemica avevano suscitato le dichiarazioni di Pella a New York, quando il ministro aveva affermato: “se

mia figlia dovesse correre il rischio di vivere in un mondo comunista, io come padre scelgo per la mia bambina piuttosto il rischio della bomba atomica”, in Annuario Istituto per gli Studi di Politica internazionale (ISPI), 1959 p. 382. Per un confronto delle varie argomentazioni avanzate dai vari partiti politici si legga il verbale della seduta della Commissione Esteri del 14/4/1959, in Archivio Storico Camera dei Deputati (in seguito ASCD), Commissione Affari Esteri (III) in sede referente, seduta del 14/4/1959, pp. 1-6.

Cecoslovacchia e in Albania con minacce dirette per il nostro paese”141. Togliatti, dal canto suo, accusò il governo di aver sposato le tesi del più ottuso oltranzismo atlantico, rappresentato da Adenauer e dall’asse Parigi-Bonn142.

La percezione da parte sovietica che la mossa di Segni, più che avere prioritariamente un carattere anti-sovietico, tendesse a inseguire un ruolo meno marginale nell’Alleanza atlantica e nelle questioni internazionali, fu confermata durante una colazione di lavoro tra l’ambasciatore Kozyrev e il ministro degli Esteri Pella nell’ambasciata dell’URSS a qualche giorno dalla firma dell’accordo sui missili, il 30 marzo. Bisogna ricordare che, fino a quel momento, non vi era stata nessuna risposta ufficiale da parte sovietica alla decisione presa dal governo italiano. Nel corso del colloquio, che si svolse in termini abbastanza costruttivi, Kozyrev ebbe l’impressione che Pella cercasse a tutti i costi di ottenere l’appoggio dell’URSS a una partecipazione italiana all’incontro sui rapporti Est-Ovest che si sarebbe tenuto a Ginevra. Per ridimensionare la scelta sulle basi missilistiche, Pella spiegò all’ambasciatore che la decisione non dipendeva da un “nuovo corso” di Roma, infatti era stato già stabilito l’anno precedente di installare i missili, quando l’URSS aveva costruito simili basi sul territorio albanese. Per convincere l’interlocutore della necessità di una partecipazione agli incontri al vertice, Pella propose inoltre di pensare a una assemblea permanente di due o tre anni, dopo la Conferenza di Ginevra, al fine di una normalizzazione dei rapporti internazionali. Fra l’altro “nel caso, insieme a Chruščëv e Gromyko, avessero partecipato alla tavola rotonda Segni e Pella” si sarebbe potuto anche risolvere il problema delle riparazioni, accordandosi per un valore di 2-5 milioni di dollari, somma che non avrebbe incontrato opposizione da parte dell’opinione pubblica italiana. Kozyrev non apprezzò le proposte di Pella, e rispose al ministro che la situazione internazionale cambiava continuamente e l’Italia, reagendo in modo inopportuno, rischiava di “ritrovarsi come il fanalino di coda in tutti gli avvenimenti internazionali menzionati nel corso del colloquio”143.

Da esso, tuttavia, emerse con chiarezza l’ambizione italiana a “contare” nel consesso internazionale. La consapevolezza di tale aspirazione del governo italiano indusse Mosca a presentare, nei mesi seguenti, una serie di proposte. Il Cremlino, però, non poteva prendere in considerazione l’eventualità di un appoggio sovietico alla partecipazione dell’Italia alla Conferenza di Ginevra, anche perché, come segnalava una relazione della Direzione per le informazioni di politica estera su “Italia e prossimo incontro di Ginevra”, la posizione italiana in

141 Cfr. ASCD, Commissione Affari Esteri (III) in sede referente, seduta del 10/4/1959, pp. 8-9. 142 Ivi, pp. 10-11.

143 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 42, d. 4, ll. 64-70, citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 619.

politica estera non solo non era indipendente, ma in tutto e per tutto coincideva con le posizioni degli Stati Uniti144. Perché dunque mettere al tavolo delle trattative un ennesimo oppositore?

La risposta sovietica all’accordo sui missili, come era prevedibile, fu molto dura anche se non immediata. Prima di una risposta ufficiale, infatti, il governo di Mosca reagì con una mossa che, sebbene lasciasse spazio a varie interpretazioni, si iscriveva in pieno nella linea che il Cremlino stava preparando. Il 20 marzo, prima che l’accordo per i missili fosse stato ratificato, l’ambasciatore italiano a Mosca aveva ufficialmente invitato il ministro del Commercio Estero Nikolaj Patoličev a visitare l’Italia in occasione della Fiera di Milano145. Patoličev sarebbe stato ospite del governo italiano e, nell’occasione, si sarebbero rafforzati i rapporti commerciali con l’Italia, che già nell’ultimo anno stavano avendo un trend positivo146. Gli scambi economici, del

resto, erano l’unico campo in cui con l’Italia non c’erano stati rilevanti ostacoli. Patoličev sarebbe stato il primo ministro sovietico a recarsi in Italia dal dopoguerra e, dunque, l’evento avrebbe avuto ancora maggiore significato. Sia Chruščëv che Mikoyan, ai quali Pietromarchi aveva preannunciato l’invito durante un ricevimento al Cremlino, si erano rallegrati per la decisione147. Tutto era stato confermato, ma a qualche giorno dalla firma dell’accordo per i missili, per una prevedibile coincidenza, l’illustre ospite fu colto da un’indisposizione e fu costretto a rinviare il viaggio. La questione sarebbe da poco, se non si pensasse all’importanza che avevano le relazioni commerciali nei rapporti bilaterali italo-sovietici. La circostanza, però, che come motivazione ufficiale, Mosca non avanzasse un’accusa contro il governo italiano significava che l’URSS era intenzionata a non aggravare la situazione creatasi tra Italia e Unione Sovietica. Il rinvio della visita di Patoličev era di sicuro un messaggio chiaro all’indirizzo del governo italiano ma a Mosca si preferì non dare seguito alla questione.

La nota di protesta sovietica fu consegnata all’ambasciatore Pietromarchi il 28 aprile. La decisione di stilarla fu presa da Gromyko, e sottoposta alla valutazione del Comitato centrale, dopo che il ministro degli Esteri era stato sollecitato dal viceministro, Zorin, a stilare “una nota che avrebbe permesso di continuare ad esercitare una pressione sull’Italia per un determinato periodo, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica italiana e internazionale su tale questione”148. Nel presentare il progetto di lettera al Comitato centrale Gromyko precisava che sarebbe stato utile consigliarsi con Togliatti prima di inviarla, per valutarne i pro e i contro, e

144 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 42, d. 10, ll. 35-37, p. 619.

145 Cfr. Invito dell’ambasciata italiana al ministro del Commercio Estero Patoličev, 20/3/1959, in AVP RF, F. 098,

op. 42, p. 56, d. 3, l. 41.

146 Cfr. Resoconto del colloquio tra il ministro del Commercio Estero Patoličev N.S. e l’Ambasciatore d’Italia signor

Pietromarchi, 20/3/1959, in RGAE, F. 413, op. 13, d. 8506, ll. 188-189.

147 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 16 marzo 1959, pp. 162-166. 148 Cfr. Lettera segreta di Zorin a Gromyko, 4/4/1959, in AVP RF, F. 098, op. 42, d. 10, p. 256, l. 1.

ipotizzare altre mosse utili ad ostacolare la costruzione delle basi missilistiche149. Nella nota si poneva l’accento che sul territorio italiano erano state costruite basi missilistiche controllate da un'altra potenza e che l’Italia, in caso di conflitto, sarebbe stato il primo paese del blocco NATO ad essere attaccato proprio in virtù della presenza delle basi. Così come per via verbale aveva già fatto l’ambasciatore Kozyrev, a Mosca risultava incomprensibile la strategia italiana di accrescere il ruolo della penisola con simili misure che minacciavano la pace e l’ordine mondiale150. La politica del “Tratteremo dopo l’installazione delle rampe dei missili”151 era inaccettabile per l’Unione Sovietica in una logica di graduale distensione tra i blocchi.

Il riferimento nella nota sovietica alla debole posizione dell’Italia nel sistema internazionale aveva colpito un punto dolente per l’opinione pubblica italiana. In molti circoli politici, non solo dell’opposizione, infatti, si guardava con preoccupazione alla perdita di autorevolezza dell’Italia nell’arena internazionale. Non si trattava solo della propaganda comunista, ma della posizione degli altri partiti di sinistra, così come di alcune correnti della DC, appoggiate soprattutto dai poteri economici del paese. L’opinione diffusa era che il governo italiano, nella complicata situazione internazionale, non avesse ben chiaro in quale direzione andare. La strategia sovietica fu colta in modo puntuale da Pietromarchi. Questi, in una lettera riservata al ministro Pella, gli aveva comunicato:

“Non escluderei che la ragione per cui si cerca di tenere aperta la questione delle basi vada ricercata nel proposito di sollevarla alla Conferenza di Ginevra. Ci conviene pertanto tenere presente la possibilità che, al momento in cui si chieda la partecipazione dell’Italia alle conferenze internazionali tra Est e Ovest, essa incontri l’opposizione sovietica. […] Il monito è evidente. L’URSS non intende riconoscere quello che essa considera il nostro biglietto d’entrata alle Conferenze Est-Ovest” 152.

La mossa di Mosca fu accolta con grande favore dal PCI. L’occasione per esprimere la sua approvazione all’operato del Cremlino si verificò nel corso di un colloquio tra Togliatti e Kozyrev l’8 maggio. Il segretario del PCI, infatti, aveva comunicato al diplomatico che la nota sovietica era stata appresa dai “circoli di destra” al potere con grande insoddisfazione. L’accenno alla circostanza che la presenza di basi militari della NATO non avrebbe aumentato il prestigio italiano nel contesto internazionale, aveva centrato in pieno la preoccupazione su cui si fondava

149 Cfr. Lettera segreta di Gromyko al CC del PCUS, 18/4/1959, in AVP RF, F. 098, op. 42, d. 10, p. 256, ll. 14-15. 150 Cfr. B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, pp. 136-137.

151 Cfr. P. Ingrao, Il mondo e l’Italia a una svolta: o distensione o coesistenza pacifica, o la corsa al terrore atomico,

“Rinascita”, 1958/1, p. 5

152 Cfr. Lettera personale dell’ambasciatore Pietromarchi al ministro degli Affari Esteri Pella, 13/5/1959, in ACS,

Fondo P.C.M. – Ufficio del Consigliere Diplomatico, Busta 21, Fasc. C42 “Rapporti inviati in via confidenziale al presidente del Consiglio (1959)”.

in primo luogo la politica del ministro Pella. Fra l’altro, sottolineava Togliatti, anche nella cerchia dei sostenitori della installazione di basi NATO si era dubbiosi circa la necessità di affrettare in questo modo le trattative, soprattutto in vista dei colloqui Est-Ovest e del desiderio italiano di prendervi parte153.

La campagna stampa contro il governo Segni e contro il ministro Pella fu portata avanti dal PCI con determinazione. Lo stesso fu fatto in Unione Sovietica attraverso gli organi di informazione del partito. La questione dei missili, in conclusione, aveva segnato una battuta d’arresto nei rapporti bilaterali tra Italia e URSS. In un editoriale di Togliatti su “Rinascita”, dal significativo titolo Alternativa atlantica: o comunismo o morte il segretario del PCI non risparmiava critiche al ministro degli Esteri che, con sarcasmo, veniva definito “uomo di non grande levatura mentale né di eccelsa cultura”, “dalla provinciale furberia di colui che si mette in mostra facendo proprio quello che gli sembri essere il tema che serve, in quel momento, a farsi applaudire”, “contabile dei lanieri di Biella”154.

La percezione dell’impasse nel quale si trovava la politica estera del governo Segni fu avvertita anche all’ambasciata italiana a Mosca. La poca chiarezza con cui si erano definite le linee di azione nei confronti dell’URSS costringeva Pietromarchi a una riflessione dai toni amari:

“Sono ormai quattro mesi che non ricevo istruzioni nonostante che io le abbia sollevate. Quasi ogni settimana sia in rapporti di ufficio sia con lettere personali al ministro. Evidentemente a Palazzo Chigi non si sa che pesci pigliare […] Da quando sono destinato qui ho previsto quanto ora sta accadendo e cioè che noi avremmo insistito per essere ammessi a partecipare a una Conferenza ad alto livello e che perciò occorreva a tempo normalizzare i nostri rapporti con la Russia. Tutti sono stati tanto miopi da non avvertire questa necessità”155.

Il clima in Italia, gli attacchi da parte dell’opposizione e la necessità di sbloccare la situazione costrinsero Pella a “rivedere” la linea intransigente verso l’URSS156. Nel corso di un colloquio con l’ambasciatore Pietromarchi (2 maggio), infatti, sembrò che il ministro, dopo aver fatto una valutazione delle relazioni negli ultimi mesi con l’URSS, fosse giunto alla conclusione che bisognasse effettuare un passo in avanti per sbloccare la fase di stallo. Il tema opportuno fu

153 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 42, d. 4, ll. 95-98, 127 citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit., p. 622.

154 Cfr. P. Togliatti, Alternativa atlantica: o comunismo o morte, “Rinascita”, 1959/4, p. 225

155 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 17 aprile 1959, pp. 184-185. 156 Oltre alla campagna stampa in Italia e alla dura reazione dei sovietici dopo la firma dell’accordo per i missili,

probabilmente la decisione di Pella fu presa anche in seguito alla lettera che Pietromarchi aveva inviato al segretario generale della Farnesina, De Ferraris, il 16 aprile. In essa Pietromarchi aveva insinuato il dubbio che i sovietici si sarebbero opposti ad una partecipazione italiana ai colloqui di Ginevra proprio a causa dell’ostilità del governo italiano. Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 17 aprile 1959, pp. 184- 185.

individuato nella proposta di separare la questione dell’accordo culturale da quella delle riparazioni e dei prigionieri. Del resto i sovietici avevano spesso spinto in questa direzione. La stipula dell’accordo culturale avrebbe dato slancio alle relazioni bilaterali e avrebbe sottratto a Mosca l’argomento più efficace per negare all’Italia il diritto di partecipare alle riunioni al vertice. L’idea fu sostenuta e approvata anche da Gronchi e Segni, che l’ambasciatore riuscì ad incontrare nella prima settimana di maggio prima di ripartire per l’URSS157.

Nonostante i tardivi tentativi di essere ammessa alla Conferenza di Ginevra, l’Italia non fu invitata al tavolo delle trattative. Lo stesso giorno in cui si aprì la conferenza (10 maggio), l’Italia consegnò al governo sovietico la nota di risposta a quella del 28 aprile. In essa si sottolineava che le questioni riguardanti l’ammodernamento della difesa nazionale erano questioni interne e che, pertanto, erano inaccetabili le ingerenze da parte di un governo straniero. L’installazione dei missili era una questione aperta già da vari anni e, dunque, il governo Segni aveva solo portato a termine una trattativa già in corso158.

Per rafforzare la propaganda contro la politica estera italiana e per rimarcare la sterilità delle scelte politiche di Pella (l’Italia non era stata invitata a Ginevra), Togliatti aveva consigliato a Kozyrev di continuare, da parte dell’Unione Sovietica, la campagna accusatoria, precisando fra l’altro che si era deciso di installare i missili nonostante l’assenza di simili basi militari nei paesi socialisti159. Questa argomentazione avrebbe svelato “i piani imperialistici” occidentali, confutando la motivazione ufficiale offerta dal governo, cioè che le basi missilistiche sarebbero state installate a fini difensivi. Il ministero degli Esteri sovietico appoggiò la proposta del segretario del PCI e il 23 maggio il Comitato centrale del PCUS approvò la risoluzione160.

I temi toccati durante il colloquio tra Togliatti e Kozyrev furono alla base del discorso dai toni particolarmente aspri che Chruščëv tenne il 27 maggio a Tirana, dove si era recato per una visita in Albania mentre ancora erano aperti i lavori della Conferenza di Ginevra. Il leader sovietico, infatti, pronunciò un discorso di estrema durezza, quasi minaccioso, verso l’Italia, nel quale accusò la classe dirigente di attuare una politica impopolare e propose di creare una zona denuclearizzata nella regione dei Balcani e dell’Adriatico161. Sollevò anche la questione dei

157 Cfr. I diari di Luca Pietromarchi, ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), cit., 3 maggio e 6 maggio 1959,

pp. 188-191.

158 Cfr. Sovetsko – ital’janskie otnošenija v 1959-1960 gg. v dokumentach [Le relazioni sovietico-italiane nei

documenti], Moskva, 1961, pp. 29-30.

159 Il colloquio si svolse l’11 maggio.

160 Cfr. AVP RF, F. 098, op. 42, d. 10, ll. 5-6 citato in I.A. Chormač, SSSR – Italija i blokovoe protivostojanie v Evrope, cit.,, p. 622.

161 Un’analisi del punto di vista sovietico sulla questione dei missili e, più in generale, sulla politica estera italiana si

può trovare in un articolo pubblicato sull’ organo di stampa del ministero della Difesa dell’URSS “Sovetskij Flot”, Lineckij V., Tri Kita Rima: kuda oni tjanut Italiju? [I tre fondamenti di Roma: dove porteranno l’Italia?], 13/6/1959, p. 4. Qualche giorno dopo il discorso del leader sovietico a Tirana, in un telegramma al ministero degli Esteri,

prigionieri italiani rifiutando ogni eventuale collaborazione del suo governo nella ricerca di notizie e, a giustificazione, ricordò che era stata l’Italia ad avere mosso guerra all’URSS e non viceversa.

Il richiamo alla questione dei prigionieri colse il governo italiano di sorpresa, anche se i toni di Chruščëv non giunsero inaspettati. Già il 21 maggio, in una relazione sul futuro viaggio di Chruščëv in Albania, Pietromarchi aveva scritto al ministero degli Esteri italiano:

“Ad accelerare tuttavia questa visita […] ha indubbiamente contribuito l’installazione delle rampe dei missili in Italia e gli accordi in corso tra l’America, la Grecia, la Turchia per